Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 02/11/2010 @ 09:19:41, in Europa, visitato 1839 volte)
Da
Roma_Daily_News
28/10/2010 TEKIRDAG/ Il quartiere Hacı Evhat è un vecchio insediamento
zingaro, da 60 anni nel distretto Malkara di Tekirdağ. L'intrecciatura di
cestelli e la stagnatura sono andate dimenticate a Haci Evhat. Molti dei
residenti oggi lavorano nelle miniere di carbone.
Il quartiere da molti anni è uno dei più importanti insediamenti rom nella
regione della Tracia. Tra i residenti circolano racconti della guerra nazionale
turca che mostrano quanto sia antico il quartiere. Uno dei ricordi più
drammatici su quel periodo e su una donna che cercava di nascondersi col suo
bambino dai soldati invasori. Comprimeva al petto il bambino perché non lo si
sentisse piangere e questo causò la morte di lui.
Sino al 1950 la popolazione zingara era bassa. Crebbe con le migrazioni da 72
villaggi zingari verso Malkara dopo il 1950. C'erano state migrazioni da Edirne,
Uzunköprü e Tekirdag verso il quartiere accanto ai villaggi di Malkara. Quanti
si stabilirono nel quartiere erano generalmente zingari specializzati
nell'intrecciare cesti e nella stagnatura. Dicono i più vecchi residenti del
quartiere che le loro condizioni di vita erano molto dure. Le case erano
costruite con canne. Anche se la maggior parte erano zingari provenienti dai
villaggi di Malkara, c'erano tra loro zingari che venivano dalla zone che
facevano parte dello scambio di territori del 1924 tra Grecia, Bulgaria e
Turchia.
Alcune famiglie iniziarono a lavorare nell'agricoltura e nell'allevamento in
fattorie donate dal governo nel periodo 1940-1945. Alcuni svendettero le loro
fattorie a causa di bisogni urgenti. Altre famiglie le persero nelle discussioni
sulla proprietà della terra. Per alcune famiglie le fattorie iniziarono ad
essere inadeguate con la crescita della popolazione ed anche loro vendettero la
terra. Solo qualche famiglia si dedica all'agricoltura. Molte di loro vivono nei
villaggi di Malkara ed hanno condizioni di vita migliori comparate alle altre
famiglie zingare.
Negli anni '60 alcuni residenti andarono all'estero per lavoro. Gli altri
continuarono con i lavori di fabbricazione di cesti, stagnini, fabbri ed
attività agricole. Anche se la musica era un'attività comune tra gli zingari
arrivati dalla Bulgaria e dalla Grecia, i loro discendenti oggi non sono
musicisti. Oggi nel quartiere non resistono più le tradizionali forme di
sussistenza [...], i residenti ne hanno trovate altre , come il lavoro nelle
miniere di carbone. Ci sono almeno 20 miniere di carbone a Malkara. Vengono
pagati 20 lire turche (14 $) per un intero giorno di lavoro. Alcuni dei
residenti raccolgono i pezzi di carbone caduti dai carrelli, per rivenderli.
Alcuni residenti nella raccolta rifiuti per il comune. Nel quartiere ci sono
anche zingari macellai e proprietari di bar e caffè.
Ci sono tre gruppi di dialetto romanes parlati dai residenti: il Kalayci,
lo Sepetçi ed i dialetti dei Rom migrati dalla Grecia e dalla Bulgaria.
I problemi principali del quartiere riguardano l'istruzione e la
disoccupazione. Specialmente i residenti più anziani ricordano Tahsin Eren con
gran rispetto, a causa del suo appoggio al quartiere quando era presidente del
comune.
Sono 7.000 i Rom che vivono oggi nel quartiere [...].
Çingeneyiz Tekirdağ -
www.cingeneyiz.org
Di Fabrizio (del 01/11/2010 @ 09:24:20, in Europa, visitato 1515 volte)
Segnalazione di Alberto Maria Melis
Blitz notturno in campo rom con fucili e manganelli
Hanno fatto irruzione in un campo Rom incappucciati ed armati fino ai denti,
poi hanno cominciato a molestare e minacciare tutti i presenti. È successo in
Francia, da settimane al centro di una dura polemica sull'espulsione dei Rom da
parte del governo, dove il commissariato di polizia di Poissy, nel dipartimento
delle Yvelines, ha aperto un'indagine dopo la violenta intrusione di diversi
uomini nella notte tra mercoledì e giovedi 28 ottobre, in un campo situato a
Triel-sur-Seine.
Secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti, gli uomini sono giunti nel
campo verso le due del mattino a bordo di un'auto munita di sirena. Poi sono
entrati nei camper, nelle roulottes, impugnando fucili e manganelli, sfondando
alcune porte. Diverse persone detto di essere state molestati e minacciate con
le armi, mentre una donna sarebbe stata costretta a spogliarsi. Il blitz è
durato circa mezzora, durante la quale gli aggressori avrebbero anche esploso
diversi colpi in aria. I Rom hanno anche precisato che "erano vestiti come
poliziotti".
"Queste famiglie non potranno mai dimenticare ciò che hanno vissuto. Ma la cosa
più drammatica è che questi uomini sono andati via con i documenti d'identità di
diversi abitanti del campo", dice Annick Omond, del collettivo di sostegno alle
famiglie Rom della zona. Nel campo, si legge sul sito internet del settimanale
Le Nouvel Observateur, vivono da tempo una trentina di famiglie Rom minacciate
di espulsione.
ATS
Di Fabrizio (del 23/10/2010 @ 09:36:31, in Europa, visitato 1819 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
14/10/2010 - Sono apparsi due gruppi su Facebook, richiedenti l'espulsione
dei Rom dall'Istria.
Uno dei gruppi "Dignano senza zingari" era riuscito ad attrarre oltre 100
membri, prima di essere chiuso dagli amministratori. Il gruppo chiede la
rimozione degli zingari dalla città istriana di Dignano (Vodnjian in croato,
ndr), situata a pochi km. da Pola. Si dice nella descrizione: "I maiali
sarebbero più acculturati di loro".
Anche se entrambe le pagine sono presto state rimosse dagli amministratori di
controllo, pongono importanti domande sulla regione, conosciuta di solito per la
sua tolleranza della diversità etnica e religiosa.
Elizabeta Pavlovic, professoressa di sociologia, dice che in tempi di crisi
economica non è insolito per alcuni gruppi diventare capri espiatori dei
problemi di ognuno.
"La gente da la colpa a chiunque altro, e stanno crescendo il razzismo e
l'attività politica della destra. Hanno visto Sarkozy espellere i Rom dalla
Francia e si meravigliano sul perché non possa accadere lo stesso a Dignano ed
in Istria."
Secondo la sua opinione, molti giovani che aderiscono a gruppi simili non
sono quasi coscienti di cosa stiano facendo. Inoltre è più facile essere membro
di un gruppo Facebook perché si può essere anonimi.
La polizia istriana non ha ancora fatto nessun annuncio riguardo ad un
proprio coinvolgimento nel caso, ma il capo distrettuale Ivan Jakovcic ha
condannato il "gruppo intollerante e foriero didisordine".
Ha detto: "Riferirsi ad un gruppo etnico con parole così ingiuriose ed
offensive è oltre ogni parametro di civiltà. Una simile intolleranza è in
opposizione ai valori su cui costruiamo le nostre vite e lo spirito di
comunità".
Di Fabrizio (del 23/10/2010 @ 09:03:02, in Europa, visitato 1929 volte)
Segnalazione di Alberto Maria Melis
MicroMega Intervista di Maria Serena Natale, Corriere della Sera,
20 ottobre 2010
Precarietà esistenziale, migrazioni incrociate, paura dello straniero. Zygmunt
Bauman, l'eminente sociologo polacco teorico della modernità liquida nata dalla
fine delle grandi narrazioni, inquadra il caso rom nella riflessione sull'età
delle diaspore e il sentimento d'incertezza che caratterizza le nostre società,
diventato fonte di legittimazione alternativa per lo Stato contemporaneo.
Professor Bauman, quali meccanismi vede dietro la linea dura di Sarkozy?
Additare lo straniero come responsabile del malessere sociale sta diventando
un'abitudine globale. Nel caso delle espulsioni è in gioco il conflitto
inseriti-outsider esaminato mezzo secolo fa da Norbert Elias: più di amici e
nemici, gli outsider sono imprevedibili, il senso d'impotenza che deriva
dall'incapacità di intuire le loro risposte ci umilia.
Con i rom la dinamica è amplificata?
Sì, perché sono percepiti come perpetui stranieri, colpevoli fino a prova
contraria, preceduti da storie di criminalità più o meno accertate ma assenti
dai luoghi deputati alla formazione delle opinioni, privi di élite capaci di
promuovere le ragioni delle comunità.
Le ansie legate ai flussi migratori sono un tratto dominante di quella che
lei descrive come una diaspora universale.
Oggi assistiamo a ondate migratorie organizzate per arcipelaghi planetari e
interconnessi di insediamenti etnici, religiosi, linguistici. Ogni Paese è
virtualmente bacino di emigrazione e meta di immigrazione, le rotte non sono più
determinate da legami imperial-coloniali: queste diaspore frammentate e
trasversali ci impongono di ridefinire il rapporto tra identità e cittadinanza,
individuo e luogo fisico, vicinato e appartenenza.
Come risponde la politica?
Lo Stato contemporaneo proclama come primo compito del potere la rimozione
dei vincoli alle attività orientate al profitto. Diventa così prioritario per i
governi trovare al senso di vulnerabilità dei cittadini cause non riconducibili
al libero mercato ma a rischi di altra natura. La priorità è la sicurezza,
minacciata da pericoli per la persona fisica, la proprietà e l'ambiente che
possono venire da pandemie, attività criminali, condotte anti-sociali di
sottoclassi, terrorismo globale ma anche da gang giovanili, pedofili, stalker,
mendicanti, regimi alimentari insani.
Uno stato d'allerta permanente.
Nel quale è impossibile sapere dove e quando le parole diventeranno carne.
La mancata materializzazione di una catastrofe paventata è presentata come il
trionfo della ragione governativa su un fato ostile, risultato di vigilanza e
cura delle autorità.
Come va ridefinito il patto sociale?
La migrazione universale porta in primo piano e per la prima volta nella
storia l'arte del convivere con la differenza. Un'alterità non più concepita
come transitoria richiede un ripensamento delle reti sociali, più tolleranza e
solidarietà, nuove abilità e competenze.
E come s'innesta questa differenza radicale sul terreno del
multiculturalismo?
Forme di vita antagoniste si fondono e separano in una generale assenza di
gerarchie: non valgono più ordini di valori consolidati né il principio di
evoluzione culturale ma si sviluppano battaglie per il riconoscimento
interminabili e non dirimenti.
In che modo risponde la democrazia?
Ha abdicato alla funzione di scoraggiare il ritrarsi dei singoli nella sfera
privata, rinunciato a proteggere il diritto delle minoranze a una vita
dignitosa. La democrazia non può fondarsi sulla promessa dell'arricchimento. Il
suo tratto distintivo è rendere servizio alla libertà di tutti. Ha di fronte una
sfida senza precedenti: elevare i principi della coesistenza democratica dal
livello degli Stati-nazione a quello dell'umanità planetaria.
(20 ottobre 2010)
Di Fabrizio (del 22/10/2010 @ 09:45:56, in Europa, visitato 1706 volte)
Da
Czech_Roma (sulle sterilizzazioni forzate nell'est Europa,
QUI)
10-12-2010 Alle donne romanì che sono state vittime di sterilizzazioni forzate è stato
negato il risarcimento dal governo ceco, dopo anni che il caso è stato portato
alla luce. Su istigazione governativa, le donne romanì furono regolarmente
sterilizzate nella ex Cecoslovacchia durante gli anni '70. Anche se queste
politiche non esistono più, singoli casi sono stati riportati fino al 2007.
Ieri, un comunicato stampa dell'European Roma Rights Centre (ERRC) notava
come il primo ministro ceco avesse espresso il proprio rincrescimento per la
pratica, anche se sinora il governo non avesse fatto nessun passo significativo
per risarcire le coinvolte.
ERRC ha sottoposto un rapporto sulla sterilizzazione forzata al Comitato
sull'Eliminazione della Discriminazione Contro le Donne alla 47a
sessione del Comitato a Ginevra. In una dichiarazione scritta al comitato, ERRC
ha sollevato preoccupazioni sulle sterilizzazioni forzate avvenute dal 1989 al
2007. La maggior parte delle vittime di questa pratica mancano di un rimedio
efficace quando hanno scoperto di essere state sterilizzate dopo anni, e hanno
cercato assistenza legale quando ogni reclamo contro i perpetratori o lo stato è
andato prescritto.
ERRC ha ricordato all'ONU che il governo ceco ha mancato di prendere le
misure opportune per prevenire il verificarsi di sterilizzazioni forzate, dato
che legge sul consenso informato non è cambiata.
Si legge nel rapporto ERRC: "Nei 20 casi recentemente venuti alla luce ed
accaduti tra il 1989 e il 2007, sembra sia mancato il consenso libero ed
informato alle sterilizzazioni. La maggior parte delle donne firmò il proprio
consenso all'intervento chirurgico senza essere adeguatamente informate in
anticipo sulle conseguenze. Alcune delle donne firmarono sotto costrizione,
mentre altre non hanno memoria di aver firmato niente. Una di loro era
completamente analfabeta. Alcune donne dicono che a loro non è mai stato chiesto
di firmare il consenso." ERRC ha sistematicamente indagato su questi casi
assieme con l'associazione di Ostrava "Vivere Insieme".
Attualmente non esiste alcun rimedio efficace per la maggior parte delle
donne i cui diritti son stati violati. Secondo Kateřina Červená,
avvocato della Lega dei Diritti Umani, sinora soltanto due donne hanno ottenuto
un indennizzo dai tribunali. Una ragione è che molte delle donne hanno mai
saputo di essere sterilizzate solo parecchi anni dopo l'operazione. Quando hanno
cercato assistenza legale, il loro diritto ad un risarcimento da parte dei
perpetratori o dallo stato era andato in prescrizione.
Ha detto Gwendolyn Albert al portale di informazioni Romea.cz, presentando a
Ginevra il rapporto ERRC: "La Repubblica Ceca dovrebbe seguire l'esempio di
paesi come la Svezia, che hanno istituito una propria procedura di risarcimento
per le vittime di sterilizzazione forzata. Dato che la maggior parte dei casi è
andata in prescrizione, la Repubblica Ceca dovrebbe sviluppare una procedura
separata di compensazione. Affrontare la sterilizzazione forzata delle donne rom
significa fare i conti col passato".
Concorda
Robert Kushen, direttore esecutivo di ERRC: "Il governo ceco deve superare le
barriere esistenti nell'accedere alla giustizia, sperimentate dalle donne romanì
sterilizzate, e stabilire un meccanismo che possa assicurare un compenso che
tutte le donne colpite da questa pratica aberrante. Il governo ceco ha
l'opportunità di fornire un esempio guida agli altri paesi dove le le donne
romanì sono state coattivamente sterilizzate".
Oltre ad ERRC, anche la Lega per i Diritti Umani ha presentato un rapporto
sulla protezione delle donne nella Repubblica Ceca e sui loro vari problemi.
Oltre che sulle sterilizzazioni forzate, la Lega ha criticato l'attuale
situazione sulle violenze domestiche, come pure le barriere per scegliere
liberamente se partorire in casa o negli ospedali. Tra le altre questioni, la
Lobby delle Donne Ceche ha fatto presente il fatto che non ci sono donne
nell'attuale governo.
Nathalia Odwin
Di Fabrizio (del 20/10/2010 @ 23:42:36, in Europa, visitato 2402 volte)
Notizia importante per quanti hanno seguito per un anno e mezzo gli
sviluppi della storia della piccola
Natálka:
il tribunale ha emesso il proprio giudizio. Mi manca il tempo di tradurre le
varie agenzie, questo il lancio di
VIRGILIO notizie (segnalato da Alberto Maria Melis)
La foto è presa dalla
BBC
Ventidue anni di carcere, ridussero in fin di vita una bimba
Praga, 20 ott. (Apcom-Nuova Europa) - Pena esemplare in Repubblica ceca per i
quattro neonazisti che nella primavera del 2009 - con un attacco incendiario
contro una casa abitata da una famiglia Rom - ridussero in fin di vita una
bambina di due anni, Natalka, provocandole ustioni gravissime in tutto il corpo.
L'attentato fu compiuto come gesto dimostrativo per celebrare il 120esimo
anniversario della nascita di Adolf Hilter. Il tribunale di Ostrava, nella
Moravia del Nord, oggi ha inflitto 22 anni di carcere a tre degli attentatori,
mentre il quarto - incensurato, che li aveva aspettati in auto, per fuggire dopo
il raid - è stato condannato a 12 anni di detenzione. I quattro, di età compresa
fra 22 e 25 anni, dovranno anche versare un risarcimento complessivo di 17
milioni di corone (circa 600 mila euro). I condannati hanno immediatamente
impugnato la sentenza, con un ricorso in appello.
Di Fabrizio (del 20/10/2010 @ 09:43:08, in Europa, visitato 2002 volte)
Da
Roma_Francais
Euronews
14/10/2010 - Tony Gatlif è un uomo con una missione. Per 35 anni, Gatlif che
è mezzo Cabilo (Algerino), mezzo zingaro, ha prodotto e diretto film sui Rom in
Europa, un popolo che afferma è spesso incompreso e discriminato.
Il suo ultimo film, "Liberté", uscito quest'anno, è sui circa 30.000 Rom
francesi che furono detenuti e deportati durante la II guerra mondiale.
Anche se Gatlif è arrabbiato per le espulsioni del presidente Sarkozy e per
lo smantellamento dei campi rom illegali, insiste che quanto sta succedendo
oggi non può in nessuna maniera essere comparato alle deportazioni della II
guerra mondiale.
Ma ammonisce che è uno scomodo promemoria di ciò che accade quando un'intera
razza o popolo è presa a bersaglio.
Valerie Zabriskie di Euronews si è incontrata col regista a Lione.
Tony Gatlif, lei è fermamente contrario allo smantellamento dei campi rom,
anche se i sondaggi suggeriscono che il 60% dei Francesi appoggia questa
politica di "smantellamento". La sorprende?
Non posso farci niente. L'unica cosa che posso fare, è spiegare a tutti
quanti non capiscono questo problema sul popolo viaggiante - sono i termini
amministrativi. Sono il popolo rom, zingari che sono in Francia da lungo, lungo
tempo, sin da Francesco I, questi zingari, che sono nel sud della Francia e in
Spagna. Tutto qui. E questo popolo che è qui in Europa dal Medio Evo, ha
contribuito all'Europa, alla sua cultura, a tutto ciò che è europeo. Ed ora,
vogliamo che diventino invisibili. Non vogliamo che esistano. Ma come può un
popolo di 10 milioni semplicemente smettere all'improvviso di esistere? I capi
di stato europei hanno deciso di approvare leggi contro di loro così che non
possano più viaggiare. Questo significa che se non vuoi che un popolo si sposti,
lo confini. E' quel che abbiamo fatto durante la guerra.
Ma ora che la Romania e la Bulgaria sono parte dell'Unione Europea, non si
può più farlo. Hanno il diritto a spostarsi in altri paesi europei, ma se dopo
tre mesi non hanno un lavoro o sono ritenuti un peso sociale, possono essere
espulsi.
Questa legge è stata creata per loro, ma non è per tutti. Vicino a dove vivo
io a Parigi, c'è una persona tedesca senza casa. E' lì da tre anni. Qualcuno gli
ha detto che deve tornare in Germania? E' senza casa, è Tedesco, mi ha detto.
Così queste leggi sono fatte per determinate persone, per i cittadini di
"seconda classe" e poi ci sono leggi per i "veri" cittadini. E' così. E così io
credo che queste leggi siano state create esclusivamente per gli zingari e poter
dire, "attenzione, se apriamo i confini europei avremo tutti gli zingari che
vorranno partire." Sanno che è quel che fanno sempre gli zingari. Così dicono
che faranno queste leggi per bloccarli e rimandarli a casa dopo tre mesi.
Ma non pensa che ciò che è successo il mese scorso al vertice UE, tra il
presidente Sarkozy ed il commissario europeo, mostri che la Commissione Europea
stia iniziando a prestare a ciò che si chiama il problema rom in Europa?
Sono scioccati, penso, questi paesi sono scioccati perché la Spagna non
agisce così, ci sono paesi UE che non fanno così. Neanche la Grecia. La Grecia
ama i suoi zingari. Così la Francia, tutto d'improvviso, con queste leggi che
hanno introdotto, vuole sradicare questo popolo, questi Rom che sono qui da non
so quanto, forse tre o quattro anni. E li sgomberano e li espellono dalle loro
baracche, dalle loro case di cartone, nei boschi, sotto i ponti, lungo le
autostrade. E li spostano numerosi, in massa. E questo ci ricorda un trauma. Ci
sono bambini seminudi, tra le braccia delle madri. C'è panico ovunque. Non hanno
tempo di prendere le loro cose. E' il panico. Naturalmente non siamo agli
estremi delle deportazioni del 1940, ma è ancora, la parte finale di un cuneo.
La gente si lamenta di vedere i Rom, gli zingari con i loro grossi
caravan, le loro belle macchine e nel contempo si dipingono come vittime, le
donne che mendicano per strada con i bambini...
Qui quando sono arrivato alla stazione di Lione, mi ha fermato una donna.
Aveva occhi blu, non sembrava per niente straniera. Era Francese e mi ha chiesto
dei soldi per i suoi bambini. Ha messo la sua miseria proprio di fronte a me,
perché era povera e miserabile e non ho coperto i miei occhi. Ma lo zingaro che
mendica, da fastidio a tutti. Perché? Perché ricorda loro la propria
insicurezza? Forse si sentono molestati? Ma io mi sento molestato anche dai
senza casa. Ma è normale che mi senta molestato. Sarebbe l'ultima frontiera, che
muoiano di fronte a noi senza chiedere niente. Ma questo è com'è il mondo nuovo
oggi. Il mondo moderno.
Ma con tutta la copertura dei media sulle espulsioni di quest'estate,
forse lei non è ottimista, ma non spera che ci sia ora maggiore pressione sui
capi di stato europei per affrontare questo problema che è europeo?
Non ho paura dei capi di stato europei. Non ho paura di chi governa l'Europa.
Ho paura degli Europei. Una volta che un governo come quello della Francia - che
è un paese a cui tutta l'Europa guardava durante l'era comunista perché era il
paese dei diritti umani - una volta che la Francia, il paese dei diritti umani,
inizia a puntare il dito contro gente che è fragile, mi preoccupa la reazione a
catena. Mi preoccupa che la gente di altri paesi dirà di voler fare la stessa
cosa perché questi Rom non sono buoni. E quel che ha detto il governo francese,
che ha detto il presidente francese, o meglio, non ha detto che non erano buoni,
ma che erano problematici. Quindi dal suo punto di vista, in paesi come la
Romania, o la Bulgaria o l'Ungheria ed altrove, anche lì si può dire: "Sì,
abbiamo un problema con questa gente (i Rom).
Questo mese c'è un summit a Bucarest, sull'integrazione dei Rom in Europa.
Cosa ti aspetti che verrà fuori da questo tipo di vertice? Cosa speri?
Che lascino in pace questa gente. Questi Rom non chiedono niente. Non hanno
mai fatto guerre, non si sono mai armati, mai usato bombe. Vogliono solo vivere.
Quindi lasciamoli vivere e troviamo i mezzi per aiutarli a farlo, come chiunque
altro in Europa. E smettiamo di appiccicargli etichette sulla schiena, o di
creare leggi che vanno contro il loro modo di vivere.
Di Fabrizio (del 19/10/2010 @ 09:46:14, in Europa, visitato 1768 volte)
Da
Nordic_Roma (sull'argomento:
1,
2,
3,
4,
5)
YLE.fi Il ministro degli esteri finnico Alexander Stubb ha condannato i
piani per rendere illegale l'accattonaggio per strada. Ha invece chiesto ai
leader UE di fornire appoggio alla minoranza rom d'Europa.
09/10/2010 - Parlando nel programma di discussione domenicale Ykkösaamu di
YLE, Stubb ha detto che i problemi affrontati dai gruppi rom d'Europa, i
principali praticanti dell'accattonaggio, devono essere supportati da programmi
finanziari, come i fondi d'appoggio a livello UE.
Il ministro degli esteri ha chiesto agli stati membri UE di stanziare fondi
per i Rom nel corso dei prossimi negoziati di bilancio. Ha proposto la creazione
di fondi comuni ed una maggiore enfasi sulla formazione per i Rom.
Ha dichiarato: "Tutto dipende da considerazioni finanziarie in un senso o
nell'altro. I Rom sono importanti come qualsiasi altro gruppo di minoranza."
Stubb ha anche puntualizzato che il diritto alla libera circolazione nella
regione è una libertà fondamentale nella UE.
"Non è una questione delle sole Romania, Bulgaria o Francia. Tutti noi
abbiamo una responsabilità comune," ha aggiunto.
Il ministro ha detto che ognuno dovrebbe considerare il modo migliore per
eliminare l'accattonaggio dalle strade cittadine. Ha aggiunto che un divieto
colpirebbe solo il sintomo e non la causa del problema.
"Sono molto scettico su un divieto assoluto dell'accattonaggio. La povertà
non è un crimine. Se è legato alla criminalità organizzata, possiamo intervenire
usando le normali vie legali."
Di Fabrizio (del 18/10/2010 @ 09:49:43, in Europa, visitato 2212 volte)
Da
Roma_und_Sinti
Wsws.org By Martin Kriekenbaum
02/10/2010 - Durante una conferenza stampa, proprio dopo il summit UE di
Bruxelles due settimane fa, il presidente francese Nicolas Sarkozy causò una
tempesta diplomatica, quando dichiarò che la cancelliera tedesca Angela Merkel
gli aveva segnalato "la sua intenzione di smantellare i campi (rom) nelle
settimane a venire". Questa dichiarazione venne immediatamente smentita dal
governo tedesco, che si giustificò dicendo che in Germania non c'erano campi
rom.
Anche i politici tedeschi d'opposizione hanno appoggiato la cancelliera,
aggiungendosi alle critiche verso Sarkozy. Olaf Scholz (SPD - socialdemocratici)
ha accusato il presidente francese di voler distrarre la gente dai suoi problemi
politici interni. Gregor Gysi (Die Linke - sinistra) ha presunto che "lei (Merkel)
non poteva aver pronunciato un simile non senso, perché in Germania non abbiamo
quel tipo di campi".
In effetti, in Germania non ci sono campi comparabili a quelli francesi. Le
autorità disperdono immediatamente gli insediamenti di fortuna a Berlino e
Francoforte quando Rom disperati dalla Bulgaria e dalla Romania li allestiscono
a cielo aperto. Tuttavia, il governo tedesco sta pianificando la deportazione
dei Rom su scala di massa - ma verso il Kosovo piuttosto che la Romania. La
disumanità di tale impegno da parte delle autorità tedesche non è certo meno
preoccupante di quella del governo francese. Questo in modo particolare perché i
Rom, assieme agli Ebrei, furono il bersaglio principale del genocidio nazista.
Il 14 aprile, il ministro degli interni Thomas de Maizière (CDU - cristiano
democratici) ha firmato un accordo con la controparte kosovara, obbligando il
Kosovo a riprendersi 14.000 rifugiati. Circa 10.000 di questi saranno Rom (vedi
"Germany
prepares to deport 14,000 refugees to Kosovo"), che erano fuggiti durante la
guerra nella ex Jugoslavia, patrocinata dalla Germania. In quel periodo, le
milizie del Kosovo alleate della NATO, espulsero oltre i due terzi dei 150.000
Rom dal Kosovo.
Ora saranno costretti al ritorno, anche se non hanno alcuna possibilità di
una vita normale in Kosovo. Indagini condotte nel paese dal politologo Peter
Widmann, mostrano che la disoccupazione tra i Rom in Kosovo sfiora il
100%, e di solito le famiglie rom sono segregate. Particolarmente sono colpiti i
2.000 bambini rom che il governo tedesco intende deportare. Alcuni di loro sono
nati in Germania e non parlano una parola di albanese. Secondo Widmann, tre
quarti dei bambini dei rifugiati deportati in Kosovo non stanno frequentando la
scuola.
Ciò nonostante, il governo tedesco insiste che le condizioni dei Rom in
Kosovo negli anni recenti è migliorata. Secondo il ministro federale degli
interni, non esiste "pericolo imminente, derivante unicamente dall'appartenenza
ad un particolare gruppo etnico", ed aggiunge anche che "le condizioni
economiche e sociali nello stato, volte a riprendere i rimpatriati" sono
irrilevanti nel processo di deportazione. Però, secondo l'UNICEF le procedure di
deportazione violano nella pratica la Convenzione delle Nazioni Unite sui
Diritti dell'Infanzia, perché non permettono di assicurare il mantenimento
dell'esistenza umana.
Rispondendo ad una interrogazione di Die Linke, il ministro tedesco degli
interni ha recentemente confermato che starebbe rispettando i propri piani di
deportazione come riportati un anno fa dal giornale Süddeutsche Zeitung (...).Si
può pertanto presumere che Sarkozy non si sia semplicemente inventato il
commento della Merkel, ma che sia stato informato della prossima deportazione di
Rom.
Vessazioni contro i rifugiati
Le vessazioni nei confronti dei Rom in Germania non si limitano a quanti
saranno a breve deportati. Si trovano ad affrontare discriminazioni sociali
anche i Rom a cui permesso a fatica di rimanere nel paese, quanti possiedono la
cittadinanza tedesca e famiglie che vivono in Germania da generazioni.
Un totale di circa 50.000 cercarono rifugio in Germania dalle guerre in
Jugoslavia negli anni '90. Oltre i due terzi non sono stati riconosciuti come
rifugiati - è stato cioè negato loro un diritto al soggiorno sicuro e sono lì
solo in sofferenza, in attesa di ulteriori sviluppi. Il diritto alla residenza
temporanea viene rilasciato di volta in volta soltanto per brevi periodi di
tempo, normalmente non più di 6 mesi, così questi rifugiati corrono il rischio
di essere rimpatriati in qualsiasi momento.
In linea con questo tipo si status di residenti temporanei, è escluso
l'accesso a quasi tutti i benefici sociali statali. Non hanno diritto a
partecipare a programmi di integrazione e corsi di lingua, non è permesso loro
di viaggiare fuori dal comune o dal distretto amministrativo assegnatogli. Chi
non rispetta queste restrizioni di movimento è passibile di severe punizioni.
Inoltre, dato che sono rifugiati, la legge che copre la previdenza sociale
per i richiedenti asilo consente loro solo una ridotta quantità di sostegno
sociale. I singoli capifamiglia quindi ricevono solo circa 230 € al mese e gli
altri famigliari solo 200 €. Comunque, le amministrazioni comunali spesso pagano
in contanti
solo l'importo minimo legalmente specificato di 40 €, e forniscono
il resto sotto forma di beni tangibili essenziali. Questi rifugiati inoltre non
hanno diritto ad assegni per figli o genitori, e non hanno assicurazione
sanitaria, ricevendo solo cure mediche d'urgenza.
Per dissuadere reclami dai rifugiati, sono assegnati in ostelli ed alloggi
provvisori, alle periferie estreme delle città o in zone industriali. In alcuni
comuni vengono impiantate per i Rom le cosiddette "stazioni di container di
detenzione" - nel porto di Amburgo per l'accoglienza di 200 rifugiati venne
adoperata una nave. In altri casi, vecchi edifici scolastici, alberghi malandati
e siti dell'amministrazione servono come ostelli per rifugiati, tutti
caratterizzati da povere condizioni strutturali, carenza di attrezzature di base
e assenza di assistenza sociale.
Anche se alcuni comuni hanno iniziato a fornire ai Rom appartamenti in
affitto, per la grande maggioranza dei rifugiati la situazione alloggio è
cambiata di poco.
Come i rifugiati, anche i Rom sono soggetti a restrizioni nell'ottenere un
impiego o nel prendere parte a programmi formativi e di perfezionamento. Di
conseguenza, le prospettive sono poche, soprattutto per i giovani rom.
Particolarmente sono colpiti i bambini, negli stati dell'Hesse e dello Saarland
viene loro rifiutato il diritto di frequentare la scuola.
Eppure, spesso anche quei bambini che possono frequentarla non riescono a
ricevere un'istruzione decente. Le autorità si aggrappano a "specificità
culturali" relative ai Rom, denigrati per "non essere interessati alla scuola" e
per il loro "anticonformismo". Le ragioni devono essere individuate nelle
condizioni di vita dei bambini, determinate dalle stesse autorità statali.
La rilocazione e la chiusura degli ostelli per rifugiati obbliga
continuamente i Rom a spostarsi tra i vari alloggi. Per i bambini, questo spesso
comporta cambio di scuole e un rinnovato sforzo di integrazione. Così le
de-registrazioni e le mancate nuove registrazioni portano ad una frequenza
scolastica irregolare ed alla perdita della lezioni.
Tuttavia i genitori - per cui non ci sono corsi di lingua e che spesso hanno
loro stessi una bassa scolarità o non hanno mai frequentato le scuole - sono
vigorosamente rimproverati di non prendersi cura dei figli. Come risultato, i
bambini dei rifugiati rom sono considerati poco propensi ad imparare e quindi,
senza alcun test diagnostico, destinati alle scuole speciali, quando in effetti
viene loro negata ogni possibilità di formazione professionale.
La discriminazione nel sistema educativo e nei mercati della casa e del
lavoro, porta molti Rom all'isolamento sociale. Anche le esperienze negative con
le autorità ufficiali portano alla sfiducia ed all'alienazione. Tutto ciò a sua
volta viene portato a prova da parte dei demagoghi di destra "sull'incapacità di
integrazione" dei Sinti e dei Rom.
Persecuzione dei Rom e dei Sinti
Oltre ai rifugiati dall'Europa orientale, in Germania ci sono anche Sinti e
Rom che vi hanno vissuto da generazioni, la maggior parte in possesso di
cittadinanza tedesca. Secondo la Carta UE sui Diritti Fondamentali e la
Convenzione Quadro della Commissione Europea per la Protezione delle Minoranze
Nazionali, Sinti e Rom sono riconosciuti come una minoranza, titolare di
protezione e diritti speciali.
E' quindi sorprendente quanto poco si sappia sulla loro situazione sociale.
Questo è evidente in primo luogo riguardo alla dimensione di questo gruppo di
popolazione. Dato che viene registrata la sola cittadinanza e non l'etnia, si
può solo stimare il numero di Sinti e Rom con passaporto tedesco. Di solito si
stimano in 70.000 persone. Aggiunti a questi, circa 50.000 rifugiati dalla ex
Jugoslavia e dal Kosovo, tra cui ci sono circa 20.000 bambini. Però, altre stime
contano 200.000 Rom e Sinti in Germania.
Sinti e Rom di sicuro non appartengono ad un gruppo etnicamente omogeneo.
Hanno storie di insediamento differenti e parlano lingue distinte. I Sinti
arrivarono in Germania circa 600 anni fa, ed i Rom nel XIX secolo. Quel che
hanno in comune, è una storia tormentata con la discriminazione.
Dopo la fondazione dello stato nazionale tedesco nel 1871 e la conseguente
espansione del sistema amministrativo, aumentarono le persecuzioni delle
minoranze. Nel 1899 a Monaco venne fondata una squadra speciale, il cosiddetto
"[Ufficio] Centrale Zingaro". Ufficialmente chiamato "Ufficio Centrale per la
Lotta Contro l'Inquinamento Zingaro", la sua giurisdizione venne estesa a
coprire l'intero impero tedesco nel 1929. Il compito principale di questa branca
delle forze di polizia era di compilare un registro sistematico dei Sinti e dei
Rom - un'operazione che il regime nazista fu capace di estendere per costruire
la sua segregazione razziale ed i programmi di sterminio.
Subito dopo la presa del potere di Hitler, i nazisti istituirono "campi
zingari" in città e paesi, e pubblicò il "Decreto Circolare per Combattere la
Piaga Zingara". Col 1942, iniziarono deportazioni programmate di massa verso i
campi di sterminio di
Auschwitz e Birkenau, dove furono uccisi 500.000 Sinti e Rom da tutta Europa.
Dei circa 25.000 Sinti e Rom che ancora vivevano in Germania allo scoppio della
II guerra mondiale, oltre 15.000 furono uccisi dal regime di terrore nazista.
Tuttavia, la persecuzione e l'assassinio di Sinti e Rom venne messa a tacere
e negata per decenni dopo la guerra. Occasionalmente, le autorità continuarono
le inumane politiche naziste. In Baviera nel 1953, venne stabilita la "Centrale
Vagabondi" come diretta continuazione del "Centrale Zingaro". Era guidata da Josef Eichberger,
che in precedenza era stato responsabile del Centro del Reich di Scambio per la
Deportazione di Sinti e Rom. La Centrale Vagabondi si serviva abitualmente
di vecchi documenti nazisti. Numerosi Sinti e Rom, diventati apolidi sotto il
regime nazista, dovettero attendere gli anni '80 per ottenere nuovamente la
cittadinanza tedesca.
Anche le autorità tedesche continuarono l'ideologia di persecuzione impiegata
dal regime nazista. Hanno sostenuto che tutti i Sinti e Rom erano incapaci di
integrazione, a causa della loro razza e cultura, che erano guidati da istinto
nomade; e che avevano tendenze criminali.
Anche se generalmente i Sinti e i Rom hanno subito pressioni per rimanere in
un posto, le rispettive autorità municipali hanno tentato di prevenire gli
insediamenti nei loro rispettivi distretti amministrativi.
Alternativamente vittime di ghettizzazioni e sgomberi, ai sopravvissuti ai
campi di concentramento da alcuni comuni furono solo garantiti spazi dove
parcheggiare le roulotte, senza acqua o elettricità; o altrimenti mandati in
aree residenziali degradate ed isolate.
Nonostante ciò, la gran maggioranza dei Sinti e dei Rom è diventata da tempo
stanziale. Però, solo una piccola parte di loro è stata in grado di migliorare
il suo stile di vita. La deplorevole situazione sociale dei Sinti e dei Rom è
stata evidenziata da due studi completi di scienze sociali del 1978 e del 1982.
Non vennero effettuati ulteriori studi di questo tipo, ma indagini ristrette
localmente rivelano che continuava la situazione precaria di Sinti e Rom. I
risultati mostrano che sino al 30% dei bambini è piazzato in scuole speciali, il
30% degli adulti non ha avuto istruzione scolastica, mentre un altro 50% ha
lasciato la scuola prima di ottenere un diploma. Lo standard residenziale per
una larga parte dei Sinti e dei Rom è risultato essere inferiore al livello
minimo accettato.
Alla metà degli anni '80 inizio un cambio delle politiche comunali, che portò
a scuole speciali e formazione del lavoro, come pure a programmi di edilizia
locale, a misura delle popolazioni rom e sinte. Tuttavia, la situazione sociale
è migliorata solo lievemente per questa gente, che ha vissuto in Germania per
generazioni.
Uno studio del 2007 dell'UNICEF sulla condizione dei bambini di famiglie rom
in Germania, ha presentato un quadro fosco sulle prospettive per i giovani, dato
che "hanno grande difficoltà nel creare una vita di successo per loro stessi, in
condizioni dove i corsi di formazione ed il mercato lavorale non sono favorevoli
ai giovani. In molti casi, il continuare a diffondere notizie sugli stereotipi
degli zingari ostacolano ed impediscono la ricerca di un lavoro o della
formazione".
Inoltre, i Sinti ed i Rom che ottengono successo socialmente e
professionalmente si trasferiscono dai loro vecchi insediamenti, che di
conseguenza corrono il rischio di diventare "aree rifugio per perdenti... Ciò
che accade rispetto alla minoranza dei Sinti tedeschi è uno sviluppo conosciuto
in tutta la società: la tendenza verso la segregazione urbana secondo livelli
economici".
Sinti e Rom, immigrati dopo l'espansione orientale della UE, continuano a
vivere in condizioni estremamente miserabili, nonostante, al contrario di
Francia e Italia, in Germania non ci siano baraccopoli o campi sosta su larga
scala.
I Rom fuggiti da Bulgaria e Romania si sono riuniti l'anno scorso a Berlino.
Si guadagnavano da vivere pulendo i vetri delle macchine ferme ai semafori delle
circonvallazioni cittadine. Mancando di un alloggio regolare, passavano la notte
all'aperto nei parchi, prima di essere impacchettati dalle autorità comunali in
un ostello per richiedenti asilo. I Rom dell'Europa sud-orientale si sono
nuovamente accampati quest'anno nei parchi di Berlino.
Secondo un rapporto della radio bavarese, almeno 500 Rom sono stati assunti
come giornalieri. Dato che il diritto di "libertà di circolazione per i
lavoratori" è stato applicato nella sola Germania - a differenza della Francia -
da quest'anno sono stati loro negati i permessi di lavoro, anche se sono
cittadini dell'Unione Europea. Sono quindi obbligati al "mercato del lavoro
nero" nelle costruzioni o nelle imprese di pulizie. La loro residenza in
Germania è quindi vista dallo stato come illegale, e si trovano ad affrontare
continue molestie da parte delle autorità cittadine.
Considerando i Rom in Europa, il saggista Karl-Markus Gauss ha osservato su
der Zeit che "[A] parte il periodo relativamente breve della persecuzione
nazista, in tutta la loro storia la situazione non è mai stata così brutta" come
adesso. Non solo in Francia i Rom sono diventati bersaglio di campagne razziste;
sono già stati oggetto di attacchi omicidi in Slovacchia e Ungheria. E'
significativo che il summit di Bruxelles abbia risolto "di cercare di sviluppare
una strategia a lungo termine al prossimo incontro così da trovare una soluzione
al problema". Così, la UE ricorda anche nell'uso del linguaggio l'era buia della
persecuzione dei Rom, quando il "problema" era visto esclusivamente nei termini
di etnia.
Comment this on
http://euyouthspeak.org/roma/?p=14847
Di Fabrizio (del 12/10/2010 @ 09:50:35, in Europa, visitato 2347 volte)
Ultimamente i martedì sono stati dedicati alla vicenda
raccontata da "Negligenza mortale". Credo, senza modestia, di essere
stato fra i primi a parlare in Italia di Paul Polansky. Ho ritrovato nel gruppo
di discussione
Arcobaleno a Foggia il primo articolo di Polansky che tradussi in italiano.
Sono passati solo 6 anni. Una testimonianza di come si vive(va?) in Kosovo.
8 luglio 2004
Ieri sera stavo cenando quando alcune donne Romnia hanno iniziato ad urlare che
un bambino di 10 anni si era seriamente ferito giocando a calcio. Sono uscito,
in tempo per incrociare un signore che a braccia trasportava un bambino in stato
di incoscienza. Il bambino vestiva calzoncini, T-shirt ed era senza scarpe. Il
braccio era rotto in due punti, trattenuti a malapena da qualche lembo di pelle.
C'è una piccola clinica serba a solo 4 chilometri, ma i genitori hanno voluto
che li accompagnassi a un altro ospedale più grande, a 10 Km., nella speranza
che fosse attrezzato per curare la frattura.
Alle 19.30 siamo arrivati in quello che è chiamato l'ospedale Greco di
Grachanica. Tre anni fa, era stato costruito da Medicine du Monde di Grecia, per
donarlo alla comunità serba. Mentre parcheggiavo il furgone, Dija, la nostra
interprete, era già balzata a terra col bimbo in braccio, che nel frattempo era
rinvenuto e stava piangendo.
Ho aspettato 45 minuti nel parcheggio e alla fine Dija è tornata, sempre con il
bambino il cui braccio era nelle condizioni di prima, tenuto assieme da una
steccatura di fortuna. Pochi passi dietro ai due, camminava la madre piangendo
lentamente nelle pieghe del suo velo.
Dija era furiosa: accusava i medici di averli presi in giro. Appena arrivata
nella sala per le emergenze, aveva spiegato di cosa si trattasse, mentre il
medico di servizio sarcasticamente le chiedeva se fosse lei il dottore. Dija
aveva rimarcato le condizioni del braccio, ma il medico, soccorso da un nuovo
collega, aveva disposto che prima era necessario fare una radiografia, e il
radiografo era a casa.
Due ambulanze erano nel piazzale, ma entrambe i conducenti erano impegnati
altrove, così quello che sembrava il primario dell'ospedale di Grachanica ha
detto a Dija che avrebbe dovuto andare lei a recuperare il dottore, che vive a
parecchi chilometri di distanza. Disse che avevano provato a telefonargli, ma
nessuno rispondeva al suo cellulare. Una volta rintracciato il radiografo, ci
saremmo dovuti recare ad un'altra clinica, perché la loro era sfornita del gesso
per immobilizzare il braccio. A questo punto, riaccompagnato il radiografo a
casa, avremmo dovuto riportare il bambino a Grachanica per le cure del caso.
Nessuno aveva l'indirizzo del dottore che avremmo dovuto rintracciare, sapevamo
solo che viveva nei pressi di Kisnica. Abbiamo incrociato diversi pedoni per
avere informazioni e 20 minuti dopo abbiamo raggiunto casa sua. Ormai era buio.
Nel cortile di fronte a casa una donna, presumibilmente sua moglie, stava
spazzando e vistasi arrivare incontro un gruppo di zingari con un ragazzo ferito
in gravi condizioni, ci ha richiuso il cancello in faccia dicendo che non aveva
idea di dove fosse suo marito, né di quando sarebbe tornato.
Di solito, ho una soluzione per ogni cosa. Dopo 5 anni di Kosovo, conosco
l'ambiente in cui devo lavorare. Ma questa volta non mi veniva in mente niente
da fare. Il bambino era ripiombato nel coma. I genitori piangevano
silenziosamente. Dija a questo punto è letteralmente esplosa: accusando tutti i
Serbi, soprattutto i dottori. "Se questo bambino fosse un Serbo, sono sicura che
qualsiasi dottore avrebbe potuto aiutarlo".
Tornando all'ospedale, abbiamo intravisto un jeep svedese della KFOR, davanti a
un monastero ortodosso. Grachanica in questi periodi è ancora sotto presidio
armato. Ho parlato con i soldati, giovani e gentili, spiegando la situazione.
Sapevo che la base KFOR ha due ospedali: uno gestito dagli inglesi vicino a
Pristina sulla strada di Kosovo Polje e quello dei finlandesi a Lipjan. Entrambi
a 15 minuti di strada ma, purtroppo, non aperti al pubblico.
I soldati hanno chiamato il comando col telefono da campo. Nel frattempo,
bisbigliavo nelle loro orecchie come i miei antenati fossero arrivati in America
dalla Svezia nel 1880, da un piccolo villaggio di pescatori della costa
meridionale. Pensavo che questa storia potesse esserci d'aiuto, e invece dopo un
lungo colloquio telefonico, ci venne detto che questo povero zingaro dal braccio
rotto poteva essere ricoverato solo all'ospedale albanese di Pristina... Tutti i
Rom intendono l'ospedale albanese come una sentenza di morte. La storia a cui si
sommano le leggende, parlano di Zingari e Serbi morti tra le mani dei dottori
albanesi. Ho chiesto ai soldati da quanto erano in Kossovo. Un mese, mi hanno
risposto.
Ho guidato nuovamente verso l'ospedale. Stavolta, ho accompagnato io il padre
con suo figlio fuori conoscenza, mentre Dija e la madre rimanevano a discutere
su quanto fosse inutile la KFOR in Kosovo. Comunque anni fa erano presenti,
quando gli Albanesi bruciarono la loro casa assieme a tutto il villaggio. E
c'erano anche quando gli Albanesi distrussero 39 chiese serbe e oltre 7000 case
di Serbi e Rom. La KFOR rispondeva che il suo compito non era di proteggere le
persone, ma di evacuarle.
Di nuovo al Pronto Soccorso, raccontammo quanto c'era successo, ma non trovammo
simpatia tra i medici in servizio. Non avevano niente da offrirci, solo di
aspettare il giorno dopo. Oppure, ci rimaneva di guidare sino a MItrovica, un
viaggio di oltre un'ora. Rifiutarono di accogliere il bambino, ormai
incosciente, tra i loro degenti. D'altronde, era solo uno zingaro. Non lo
dissero, non potevano ammetterlo. Ma il linguaggio dei loro corpi e degli occhi
era molto eloquente.
Siamo tornati al villaggio, perché i genitori prendessero il loro Visto, anch'io
ho recuperato il mio visto e la patente. Ne ho approfittato anche per un caffè
forte; ormai erano le 22.00 e a quell'ora vado a dormire.
Una folla di Rom musulmani ha circondato il furgone per pregare. Una giovane
nipote, in preda all'isteria, non voleva lasciare il portello ed è stata
allontanata a forza. Tutti avevamo paura degli agguati notturni. Dopo cinque
anni di occupazione NATO, chi ha la pelle scura o può essere confuso con uno
zingaro non ha libertà di movimento. Per arrivare a Mitrovica, bisogna
attraversare il territorio controllato dagli Albanesi. Molti suggerivano di
attendere mattina, ma c'era il rischio che il ragazzo non sopravvivesse.
Non avevo paura della strada per Mitrovica. L'ho fatta per cinque anni, anche
due volte la settimana accompagnando i Rom all'ospedale. Al collo porto il
tesserino KFOR, che gli Albanesi rispettano ancora.
Partimmo infine alle 22.30. Metà villaggio ci accompagnò sino all'imbocco
dell'autostrada. Le donne urlavano e piangevano, gli uomini in silenzio
trattenevano le lacrime.
I viaggio fu movimentato. Appena lasciata Mitrovica Sud fummo fermati da una
pattuglia della polizia kosovara albanese. La prima loro parola fu "Rom"; io
risposi "KFOR" mostrando loro chiaramente il mio tesserino di riconoscimento.
Guardarono chi c'era nel pullmino ancora una volta, mi batterono la mano sul
ginocchi e in inglese mi dissero "Puoi andare, KFOR"
Un chilometro avanti iniziava una lunga fila di veicoli, diretti a Mitrovica
NOrd, i territorio serbo. Era un altro controllo patente da parte degli
Albanesi, che durante i controlli ne approfittavano per lanciare pietre alle
vetture o picchiare gli occupanti che non fossero in regola.
Fummo all'ospedale di Mitrovica Nord poco prima di mezzanotte. Il parcheggio era
vuoto, ma le luci dell'ospedale erano ancora accese. All'ingresso un'infermiera
fumava una sigaretta. Mentre io rimanevo di guardia al furgone, Dija e famiglia
accompagnarono il bambino, che nel frattempo aveva ripreso conoscenza, sulle
scale dell'ospedale.
Dija ritornò poco dopo, raccontandomi quanto fosse stato gentile e cortese tutto
lo staff dell'ospedale. L'avevano accompagnato per la radiografia. Tutti si
erano preoccupati per lui e non era mai stato lasciato solo.
La radiografia confermava che l'osso s'era rotto in due punti. Il dottore
curante aveva richiesto che il ragazzo passasse la notte in ospedale, gli aveva
fatto anche delle iniezioni di calmante. Ma il ragazzo voleva tornare a casa,
nonostante si sentisse in un ambiente amico. Aveva bisogno della sicurezza del
villaggio.
Col braccio finalmente ingessato, salì sul nostro furgone con le sue gambe e
riprendemmo la strada. Trovammo anche un "kebab-bar" dove ci rifocillammo. Il
ragazzo aveva ritrovato l'appetito.
Alle due eravamo a casa. Quanto ho raccontato è ciò che si chiana vivere in un
villaggio Rom amministrato dall'ONU
Paul Polansky
Head of Mission
Kosovo Roma Refugee Foundation
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