Uno dei gruppi meno conosciuti del nostro paese sono i gitani. Sappiamo di
loro, li abbiamo visti, ma non sappiamo quando arrivarono in Perù né come
vivono, né quali sono i loro costumi. Carlos Pardo-Figueroa laureato alla PCUP e
docente alle Università Ricardo Palma e di Ceprepuc, ha realizzato un'inchiesta
interessante che unisce documentari ed etnografia.
Per conoscere meglio la storia dei gitani in Perù, ripropongo l'intervista
che fece "Punto Edu" alcuni giorni addietro.
Plaza
San Martín (Lima, anni 60)
Qual'è la storia dei gitani in Perù? Ce lo racconta questo ricercatore
dell'Istituto Riva-Aguero e membro della
Gypsy Lore Society, istituzione
internazionale di studi gitani.
A partire di 1951, l'Istituto Riva-Aguero della nostra Università, offre tre
borse di studio per la ricerca, a membri ordinari della suo istituto. Nel 2007,
tra i beneficiari c'era Carlos Pardo-Figueroa Thays, per il suo progetto sui
gitani nel nostro paese. Iniziò a lavorare nel gennaio 2008, raccogliendo
informazioni orali tramite interviste e attingendo ad archivi giornalistici.
Poi, dopo l'elaborazione dei dati di carattere etnografico, sintetizzò i suoi
risultati in un "essai"il quale fu completato con del materiale audiovisivo di
matrimoni, feste d'addio al celibato, il quale rifletteva le tradizioni dei
gitani in Perù.
L'inchiesta si è conclusa nel novembre scorso e si spera di farne un libro.
Quali sono gli obiettivi di questa indagine?
Abbiamo due obiettivi principali. Il primo, storico è di approfondire la
conoscenza di questa etnia così poco conosciuta nel nostro paese: come
arrivarono, si stabilirono e divennero peruviani. Poi, ho proposto
un'inquadratura di carattere etnografico e antropologico: descrivere alcuni
elementi fondamentali della cultura dei gitani (matrimonio, religione, cibi,
musica, parentado). Per questo ho proposto che dei due assistenti di ricerca
concessi dall'IRA, uno sia di storia (Gabriella Adianzén) e l'altro di
antropologia (Maria Elena Gushiken) ambedue provenienti dall'Università.
Da dove proviene questo interesse per i gitani?
Mi sono preoccupato di studiare le
minoranze etniche in Perù, che si inseriscano
in una tendenza storiografica che esiste a partire degli anni ottanta. Ci sono
molte pubblicazioni sui cinesi, giapponesi, italiani, tedeschi... ma c'è stato
poco interesse verso i gitani. A questo si somma un fatto circostanziale: nelle
carte che mia madre conservava in casa, ho trovato un ritaglio di giornale il
quale parlava dell'esistenza di un progetto del 1952, il quale mirava
all'espulsione dei gitani del Perù. Questo destò la mia curiosità. Sarà anche un
terzo elemento, il fatto che vivo nel distretto di La Victoria, nel quale si
concentrano i pochi gitani che si trovano attualmente a Lima.
foto: Parco dell'Esposizione, vicino al Teatro La Cabana – Lima anni 50
Se vogliamo prendere caratteristiche dai gruppi che lei ha menzionato, come si
può definire un gitano?
C'è una miscela enorme di culture dietro ai Gitani, però ci sono dei fili
conduttori. Io li definisco come un'unione di gruppi etnici i quali condividono
alcuni elementi, come abitudini migratorie, lingua o il fatto di essere
organizzati in una società patrilineare, cioè che si organizzano in funzione
dell'autorità maschile. Un quarto elemento è un'intensa endogamia, legata a una
sorte di orgoglio razziale. Loro ci tengono a sposarsi tra di loro, appartenenti
allo stesso gruppo e così a mantenere la consapevolezza del proprio lignaggio e
preservarlo.
Si possono definire come una nazione, un gruppo etnico transnazionale e
multinazionale, perché nei loro spostamenti hanno raccolto le caratteristiche
dei luoghi che li hanno accolti. Prevale anche l'immagine del gitano esoterico,
incluso quella dell'imbroglione. Molte di queste descrizioni provengono dalla
letteratura spagnola. Quando domandiamo loro cosa pensano di quello che si dice
di loro, dicono che a volta "i giusti pagano per i peccatori". Sono consapevoli
di vivere in zone marginali e dello stile di vita che conducono, però bisogna
essere cauti nel generalizzare.
Così come scrivevano i giornali del secolo scorso, le donne gitane erano
impegnate principalmente nella divinazione. Sono ancora , nella maggior parte
dei gruppi, dedite all'esoterismo, questa è l'immagine più diffusa che ne
abbiamo.
A quali conclusioni è arrivato?
Che nel paese ci sono una diversità di gruppi gitani, e che la maggior parte di
loro appartiene al gruppo Rom, dell'Europa dell'est. Riguardo alla storia, ci
sono documenti che indicano che potrebbero essere arrivati nel XVI secolo,
perché poi, ci furono delle normative che cercavano di evitare che continuassero
a venire, a causa dell'immagine negativa che davano, e che veniva rafforzata
dalla letteratura, oltre che per le accuse, come furti e imbrogli. In quanto
all'aspetto etnografico, hanno una serie di particolarità, ma tuttavia almeno
dall'inizio del XX secolo, fanno parte della società peruviana e sono totalmente
integrati. Con questo non significa che abbiano perso le loro tradizioni; così
come non possiamo dubitare che sono gitani, tanto meno possiamo dubitare che
sono peruviani.
Der Spiegel By Siobhán Dowling in Alsószentmárton, Hungary
14/01/2011 - Il villaggio di Alsózentmárton è ai margini estremi d'Europa,
uno degli ultimi posti in Ungheria prima del confine croato. Tutti i suoi
abitanti sono Rom, tra i più marginalizzati nella UE. Ma un progetto condotto
dalla chiesa intende rompere il ciclo di esclusione sociale e svantaggio
educativo.
Non ci sono negozi, caffè o altre attività a Alsószentmárton. Una delle
poche cose che si distingue dalle file di case ad un piano, è l'imponente chiesa
bianca all'ingresso del villaggio. I bambini giocano per strada e vanno in
bicicletta e le giovani donne, non molto più vecchie, spingono passeggini
gridandosi saluti tra loro.
Alsószentmárton è un piccolo villaggio nell'Ungheria sud-occidentale, e tutti
i suoi residenti sono Rom, tra i popoli più marginalizzati d'Europa. Vivendo qui
ai margini estremi dell'Unione Europea, proprio sulla linea del confine con la
Croazia, gli abitanti stanno combattendo gli effetti di decenni di
svantaggio ed esclusione sociale. Un progetto guidato dal sacerdote
cattolico del posto sta cercando di attenuare quella povertà e affrontare uno
dei più grandi handicap della popolazione rom: la mancanza di accesso ad
un'istruzione decente.
Padre József Lánko, un omone con una barba bianca, indossa un maglione di
lana marrone. 55 anni, ha vissuto nel villaggio per 30, ed ha visto in prima
persona le devastazioni causate dalla crisi economica seguita alla fine del
comunismo. "Prima tutti avevano un lavoro, la gente di questo villaggio lavorava
nelle costruzioni o nel fare le strade," spiega. "Avevano un salario minimo, ma
erano certi ad ogni mese di avere i soldi, così da vivere in sicurezza." Con la
caduta della cortina di ferro, da un giorno all'altro, hanno perso tutto.
"Ora vivono come accattoni," dice Lánko. "E' contro l'umana dignità, sarebbe
sicuramente meglio se potessero occuparsi delle loro famiglie lavorando."
Lánko dice che qui la disoccupazione è oscillante. Per la maggior parte
dell'anno è del 90%, ma scende al 60% durante la stagione della vendemmia - il
villaggio è situato vicino alla famosa Via del Vino ungherese - quando la gente
trova lavoro nei vigneti locali. Dice: "D'inverno qui c'è poco, le famiglie non
hanno da mangiare, allora li aiutiamo per qualche giorno, gli diamo qualcosa
perché non debbano morire di fame."
Rapporti difficili con i vicini
Col sostegno finanziario di Renovabis, un ente di beneficenza tedesco che
finanzia progetti in Europa orientale, ora la chiesa può fornire i poveri del
villaggio con raccolta di vestiti e pasti caldi giornalieri. I 1.200 residenti
del villaggio sono Boyash, un gruppo distinto di Rom, la cui lingua è una forma
arcaica del rumeno. Per molti, l'ungherese non è la madre lingua. Lánko ed altri
operatori ecclesiali fanno anche da ponte per le barriere linguistiche, fornendo
assistenza per quanto riguarda la compilazione di moduli o assistendoli nei
rapporti con le banche e le organizzazioni statali.
I Rom sono i membri del più grande gruppo minoritario d'Europa, si pensa
siano tra i 10 e i 12 milioni. La maggior parte vive nell'Europa centrale e
orientale, molti vivono in povertà estrema. L'Ungheria, patria di 700.000 Rom,
dice di voler affrontare la questione rom durante i
sei mesi di presidenza UE. Ma Budapest, per non parlare di Bruxelles,
potrebbe sembrare troppo lontana in questo posto isolato.
Alsószentmárton è circondata da campi pianeggianti fin dove l'occhio può
vedere, ma gli abitanti non possiedono la terra. Era un villaggio misto, ma poi
la popolazione non-rom iniziò ad abbandonare la campagna negli anni '60 e '70
per andare a lavorare nelle fabbriche e nell'industria. Così i Rom poterono
comperare le case a buon mercato, ma non poterono permettersi i terreni
circostanti. Ora, anche se volessero allontanarsi, non potrebbero vendere le
loro case.
Lánko dice che le relazioni con la più ampia comunità non-rom possono essere
foriere di problemi. "Quando c'è bisogno di manodopera non specializzata, le
relazioni sono molto buone, sono manodopera a buon mercato," dice. "Ma
d'inverno, quando gli zingari congelano e vanno a far legna, non chiedono di chi
sia. Ed allora ci sono problemi."
Dice che Alsószentmárton è afflitta dai soliti problemi che accompagnano la
povertà, incluso l'alcolismo. E la gente qui soffre anche di una terribile forma
di sfruttamento per cui altri Rom li caricano di tassi di interessi altissimi in
maniera predatoria.
"Non possiamo davvero proteggere la gente. Nessuno mi può proteggere da me
stesso," ragiona il sacerdote. Lo fa, però, cercando di aiutare la gente a
chiedere normali prestiti dalle banche, perché possano scappare dai pagamenti
punitivi degli usurai.
Qui la gente può vivere in relativo isolamento, a circa 230 km. da Budapest,
ma si è comunque a conoscenza dell'aumento di violenze contro i Rom, incluso una
serie di omicidi nel 2008 e nel 2009, e le marce dell'ormai bandita Guardia
Ungherese. Né può mancare la prevalenza di
retorica piena d'odio anti-Rom in Ungheria, in particolare dall'estrema
destra del partito Jobbik. Lánko è caustico sulle affermazioni dei membri di
Jobbik, ora il terzo partito in parlameto, che i Rom abbiano paura del lavoro, e
che facciano molti figli solo per avere accesso ai generosi assegni
previdenziali.
"Spazzatura," rimugina. "Loro vorrebbero lavorare qui, se ci fosse lavoro. Ed
è spazzatura anche che una famiglia possa vivere con gli assegni famigliari.
Perché non ci provano - questi di Jobbik dovrebbero provare a vivere con gli
assegni famigliare - o con le piccole somme della previdenza. E' impossibile."
Discriminazione nell'istruzione
Mentre i lavori sono pochi e lontani tra loro, Alsószentmárton sta cercando
almeno di dare ai bambini i primi strumenti per aiutarli a fuggire dal circolo
vizioso dello svantaggio sociale e del ricorso alla previdenza sociale,
assicurando loro un'istruzione decente. Nel villaggio ci sono due asili nido,
uno statale e uno gestito dalla chiesa, ed un doposcuola, dove assistenti
aiutano i bambini nel fare i compiti ed organizzare attività per loro.
L'accesso ad una corretta istruzione in Ungheria può essere estremamente
difficile per i Rom. I tassi di completamento sono particolarmente bassi, con
solo il 50% dei bambini rom che completa l'istruzione elementare. E gli ultimi
dati forniti dal Fondo Istruzione Rom di Budapest mostrano che solo il 5% circa
continua gli studi all'università.
Uno dei più grandi problemi nell'istruzione ungherese è la segregazione, sia
attraverso classi separate nelle scuole, che tramite bambini rom dirottati in
scuole speciali per bambini con disabilità mentali, già dal primo giorno di
scuola. E' una forma di discriminazione che perpetua l'esclusione e la povertà
delle comunità rom.
"Una volta che sei in educazione speciale, non stai ottenendo un'istruzione,
e di sicuro non stai ricevendo un'istruzione che ti permetterà di progredire nel
sistema," dice Robert Kushen, direttore dell'European Roma Rights Center di
Budapest. "E non troverai un impiego."
L'organizzazione di Kushen ha già portato con successo la questione della
segregazione scolastica nella Repubblica Ceca alla Corte Europea dei Diritti
Umani. Ora ERRC sta monitorando anche la situazione in Ungheria, dove si stima
che un bambino rom su cinque subisca trattamenti simili.
Ágnes Jovánovics è una delle poche che sono riuscite a ricevere
un'istruzione. Rom del villaggio lei stessa, è ora direttrice del corso
prescolare della chiesa. 44 anni, aveva lasciato presto la scuola, come quasi
tutti a Alsószentmárton, come formazione era assistente alla vendita. Mentre
lavorava in città, decise di tornare a scuola serale e prendere un diploma di
scuola superiore.
Lánko, il prete del villaggio, le suggerì di provare a diventare insegnate di
prescuola, così poteva lavorare nel nuovo nido che era stato creato. Ora
supervisiona nove insegnanti d'asilo, tre dei quali non sono Rom.
Lánko ridacchia: "La gente è scioccata che lì il capo è una Rom. Una Rom che
dice ai non-rom cosa fare!"
Per Jovánovics la sfida più importante nel preparare i bambini alla scuola -
attualmente ce ne sono 81 al centro - è assicurarsi che sappiano parlare
ungherese correttamente. Però, il centro opera sia in ungherese che nel lingua
boyash nativa.
Lánko dice che è molto importante mantenere stretti contatti con le famiglie
dei bambini. Dice che i Rom "non possono vivere senza famiglia. Vivono in
prossimità molto stretta l'un l'altro... spesso con diverse generazioni in una
casa sola."
Non ci sono scuole nel villaggio, così i bambini devono prendere il bus per
la vicina città di Siklós, dove andare alle elementari. Alcuni frequentano lì
anche la scuola secondaria, mentre altri vanno in convitti altrove, incluso la
rinomata scuola Ghandi a conduzione rom, nella città di Pecs a circa 40 km. Gli
operatori della chiesa nel villaggio si assicurano che la mattina i bambini
vadano a scuola. Il progetto aiuta a pagare il percorso per la scuola e il cibo
dei bambini le cui famiglie non hanno soldi.
Orgogliosa delle sue radici rom
Tutti nel gruppo del doposcuola conoscono Jovánovics. Bambini con i volti
dipinti corrono a salutarla e dirle delle loro attività. Oggi, circa 30 bambini
sono stati divisi in gruppi per raccontarsi dei diversi continenti, i cui membri
sono identificati da sciarpe di differenti colori. Poi a turno partono le
performance. Fuori nel cortile, il diciassettenne Tomás sta cucinando in una
pentola gigante patate e paprika. Sta studiando da cuoco e dice che un giorno
vorrebbe lavorare come uno del villaggio.
Jovánovics dice che tutti i bambini vogliono imparare. "Devono farlo,
altrimenti non hanno prospettive," aggiunge.
D'altra parte, non è sempre facile persuadere i Rom che l'istruzione sia
qualcosa a cui aspirare. Dice che la prima volta che decise di studiare, fu
molto difficile per gli altri del villaggio - inclusa sua madre stessa,
comprendere perché lei, una Rom "in tutto e per tutto" voleva avere
un'istruzione. Ma Jovánovics rispose a sua madre che era una cosa che voleva
fare e finalmente è riuscita, dicendo "Se vuoi, puoi farlo."
La motivazione di
Jovánovics ha aiutato anche altri nel villaggio a seguire i suoi passi. Suo
figlio sta studiando italiano all'università, ed un'altra giovane sta
completando la laurea in educazione e spera di diventare un'insegnante.
Jovánovics è orgogliosa delle proprie radici rom e dice che l'istruzione non
le cambierà. "Nelle famiglie zingare ci sono buone tradizioni," dice,
aggiungendo che non vuole abbandonare ciò che ha ottenuto dai suoi genitori.
"Altrimenti, chi sarei? Al di là di quanto possa studiare, sono una zingara."
Di Fabrizio (del 23/01/2011 @ 09:28:59, in Italia, visitato 1806 volte)
Milano 21 gennaio 2011: anche oggi c’è stato uno sgombero in via
Adriano.
Speravamo che il vicesindaco De Corato fosse soddisfatto dei 156 sgomberi
dell’anno scorso che, secondo lui, avrebbero ridotto dell’80% la presenza di
famiglie Rom.
Speravamo che le famiglie rifugiate in qualche stanza di un immenso palazzo
di Via Adriano da anni disabitato, potessero ripararsi dal freddo e restare
tranquille con le loro poche cose per tutto l’inverno. Invece stamattina le
forze della Polizia Locale, anche loro stanche di allontanare donne e bambini,
sono intervenute. Cinque famiglie Rom si trovano ora con i loro sacchetti di
poche cose in mezzo alla strada, al gelo. Si tratta di cinque famiglie con 10
bambini, alcune delle quali hanno collezionato 14 sgomberi in un anno.
Questa mattina durante lo sgombero erano assenti i servizi e gli assistenti
sociali che dovrebbero garantire ai minori il rispetto dei loro diritti.
Nessuna alternativa accettabile è stata offerta alle famiglie, se non la
solita proposta di dividere i nuclei familiari collocando le donne e i bimbi
piccoli in comunità, gli altri figli in un orfanotrofio e la strada per gli
uomini.
Conosciamo bene queste famiglie perché i bambini, con mille difficoltà sono
iscritti e vanno tutti i giorni a scuola, perché gli adulti lavorano
nell’edilizia oppure sono inseriti in percorsi di integrazione.
L’unico intervento di sostegno è stato quello dei volontari della Comunità di
Sant’Egidio, delle mamme e dei cittadini dei quartieri di Rubattino-Lambrate che
dallo sgombero del 19 novembre 2009 seguono queste famiglie.
Chi scrive, il 7 dicembre, ha ricevuto la benemerenza civica dal sindaco
Letizia Moratti perché "con tenacia, amore e grande senso civico ha scommesso
per un’integrazione possibile".
Questo senso civico può essere riconosciuto come un valore prima di Natale,
ed essere totalmente dimenticato poco dopo l’Epifania?
Dov’è il senso civico quando si nega ad Albert di 6 anni (sgomberato 10 volte
in 5 mesi) il diritto ad avere un tetto?
Purtroppo sembra che non si voglia porre fine a questa pulizia etnica: la
tristezza e la disperazione che ogni volta leggiamo sui volti di questa umanità
calpestata, resterà nella storia di Milano come il simbolo di una violenza che
non vorremmo esistesse.
A pochi giorni dal 27 gennaio, Giornata della Memoria, queste azioni non si
allontanano molto dal clima di pulizia etnica che scatenò tanto orrore.
L’integrazione è possibile quando si guarda con occhi nuovi verso le persone e
ci si chiede come insegnare a scrivere a Marius che ha 15 anni, come salvare la
biciclettina che Jonut voleva tenere a tutti durante lo sgombero, se Maria,
Florin, George e Adrian potranno mai sentirsi parte di questa umanità che li
scaccia, li umilia, li costringe a nascondersi, perdendo ogni volta scarpe,
libri e i pochi giocattoli?
Si nega loro l’infanzia nel nome della sicurezza, in realtà si prepara un
futuro di odio e paura verso tutti.
Milano 22 gennaio 2011 - Assunta Vincenti e le mamme e maestre di Ribattino
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - Nonostante le polemiche, perche' i campi nomadi
vengono spostati ma mai aboliti? E a chi servono davvero? Queste e altre domande
si pone Luca Cefisi nel suo scioccante saggio sui bimbi zingari: 'Bambini
ladri'. Esperto di immigrazione Cefisi ha iniziato a occuparsi della
minoranza zingara in Italia nel 1993, in concomitanza con l'arrivo dei profughi
della guerra civile jugoslava. Con questo saggio, ampiamente documentato, ci fa
conoscere la societa' rom: il modello arcaico patriarcale, la solidarieta' di
gruppo, la vita 'libera' dalle regole del mondo esterno. Ci descrive i pericoli
della vita da strada, ''tra pedofili attenti e poliziotti distratti'', la deriva
della tossicodipendenza e ci mostra come determinate problematiche vengono
affrontate in altri paesi europei.
Obiettivo principale del volume e', pero', quello di sfatare alcuni dei piu'
celebri luoghi comuni, presenti ormai in maniera trasversale nell'immaginario
collettivo nazionale. Nella visione dell'autore infatti i rom non sono, al
contrario di come vorrebbero le leggende metropolitane, ne' potenziali
stupratori ne' tantomeno 'ladri di bambini', e pochi sono nomadi per scelta
é con immenso piacere che vi invitiamo alla nostra prima iniziativa:
un'analisi della cultura e della storia del popolo ROM per conoscerlo e
comprenderlo e non farsi contaminare dagli stereotipi razzisti che lo dipingono
come il nuovo "nemico". Un'iniziativa che prende spunto dalle celebrazioni
del giorno della Memoria per ricordare quelle vittime troppo spesso
dimenticate dalla storia.
L'iniziativa si articolerà su tre interventi: una relazione di carattere
storico, tenuta il 24 gennaio dal Prof. Finzi, che illustrerà la
storia degli "zingari" dall'India all'Europa e delle secolari persecuzioni
contro di loro, focalizzando l'attenzione sul genocidio perpetrato dai
nazi-fascisti durante la Seconda Guerra Mondiale (con proiezione di
testimonianze di Rom e Sinti internati ad Auschwitz) per arrivare ai giorni
nostri, in Italia e nel mondo, con i Rom e i Sinti sempre vittime di politiche
di esclusione quando non di vera e propria persecuzione;
una relazione di carattere sociologico per far conoscere la struttura e
l'organizzazione delle etnie del popolo Rom e le politiche possibili tenuta il
21 febbraio dai Prof. A. Alietti e M. Pagani, e un momento
artistico rappresentato da artisti Rom, i Muzikanti, che si terrà al
Parco Trotter il 9 aprile.
La relazione di storia del Prof. Finzi verrà ripetuta a tutti gli studenti
delle classi V del Civico Liceo Linguistico A. Manzoni, in Via Rubattino,
proprio nel giorno della Memoria.
Di seguito i dettagli nella speranza di potervi avere tutti nostri graditi
ospiti
Titti Benvenuto
Zona 3 per la Costituzione
ROM e SINTI: un percorso di conoscenza per una convivenza possibile attraverso
LA STORIA: lunedì 24 gennaio - ore 21:15
presso la Casa della Sinistra - via Porpora 45, Milano Conferenza del prof. P. Finzi: giornalista, saggista e politologo "A FORZA DI ESSERE VENTO: lo sterminio nazista dei Rom e dei Sinti"
LA CULTURA: lunedì 21 febbraio - ore 21:15
presso la Casa della Sinistra - via Porpora 45, Milano Conferenza dei
Prof. A. Alietti: docente di Sociologia Urbana e di Comunità, Università di
Ferrara
Prof. M. Pagani: studioso e presidente dell'Opera Nomadi di Milano "Origine, organizzazione e politiche possibili delle società Rom e Sinti"
L'ARTE: sabato 9 aprile - ore 15:00
presso il parco Trotter, via Padova 69, Milano Concerto di musica rom con il gruppo "I MUZIKANTI"
MILANO -
Un campo rom alla periferia di una qualunque grande città degli anni Duemila. In
questo ambiente, il regista Mario Martone immagina il compiersi della tragedia
verista messa in musica da Ruggero Leoncavallo nei "Pagliacci", l'opera che
insieme a "Cavalleria rusticana" di Pietro Mascagni e con la direzione di Daniel
Harding avrebbe dovuto andare in scena oggi alla Scala ma che per lo sciopero
proclamato dalla Cgil slitterà a martedì prossimo (ma la tensione resta dopo che
il sovrintendente Stephane Lissner ha spiegato che solo a fine gennaio si saprà
se il governo ripristinerà i cinque milioni di fondi che ha tolto per il 2010 e
quindi se il teatro chiuderà il consuntivo di bilancio in pareggio potendo
pagare così l'integrativo ai lavoratori).
Una messa in scena, quella voluta da Martone, che ha già suscitato qualche
allarme fra i leghisti milanesi, tanto da far dire a Luciana Ruffinelli,
presidente della commissione Cultura in consiglio regionale: «Questa scelta è
una vera e propria provocazione visto che verrà proposta in una città come
Milano, che ha grandi problemi nella gestione dell'immigrazione rom». Venerdì
alla presentazione della prima scaligera, Martone non ha nemmeno voluto
rispondere direttamente, limitandosi a rilevare che "Pagliacci" «è un'opera
eccezionale», che «il nomadismo è una cosa che ha a che fare con la storia e i
circensi sono sono nomadi».
Poi c'è il "verismo" e la sua rappresentazione oggi: «Ma che senso avrebbe farne
un ritratto con una cornice d'epoca?». Martone ha avuto già numerose esperienze
con la lirica, ma è soprattutto regista cinematografico, tanto che l'autore
delle scene, Sergio Tramonti, ha detto di aver cercato di mettere in scena
«l'avventura cinematografica che Mario mi ha descritto, come l'inquadratura di
una qualsiasi periferia di una metropoli di oggi, con l'arrivo dei giostrai in
una piazza con una rampa autostradale sullo sfondo, che potesse fare da supporto
al coro». Un coro, quello della Scala, elogiato dal direttore Daniel Harding,
assieme all'orchestra scaligera che «pur a vent'anni dall'ultima
rappresentazione di "Cavalleria" e "Pagliacci"» (il dittico manca dal 1988), ha
mostrato di essere preparatissima.
Se tanto è stato anticipato su "Pagliacci", anche sull'onda delle polemiche
leghiste, pochissimo gli autori hanno voluto rivelare su "Cavalleria", facendo
presagire una scenografia minimalista, «spogliando molto la rappresentazione
scenica – ha detto Tramonti – per dare spazio alla musica, tanto da farla
diventare essa stessa scenografia, perché è Mascagni che ci restituisce gli
odori e i sapori della Sicilia, attraverso la sua musica».
Grande attesa per la prima, slittata a martedì, e per le compagnie di canto che
per "Cavalleria" puntano su Salvatore Licitra e per "Pagliacci" su Josè Cura.
Stoccolma - La giustizia svedese ha annunciato che Ikea, il gigante del mobile,
dovrà versare 60.000 corone (6.730
euro) per danni ed interessi a quattro clienti rom che uno dei suoi guardiani
aveva sorvegliato in maniera "discriminatoria dovuta alla loro appartenenza
etnica".
"Ikea ha esposto queste donne ad una discriminazione per la loro appartenenza
etnica", scrive nella decisione pubblicata sul suo sito l'ombudsman svedese
sulle discriminazioni (DO).
Le quattro donne, che riceveranno 15.000 corone a testa, si erano lamentato
di essere state seguite e osservate "in permanenza" da un guardiano durante la
loro visita in un magazzino Ikea alla periferia di Göteborg, nel sud-est della
Svezia.
"Altri clienti avevano constatato che la guardia le sorvegliava, cosa che le
donne avevano vissuto come un'offesa supplementare", sottolinea l'ombudsman,
signora Katri Linna.
La mediatrice della giustizia svedese indica di aver deciso di portare Ikea
davanti al tribunale, ma prima ha proposto al numero uno mondiale del mobile in
kit, un compromesso per regolare la controversia, cosa che Ikea ha accettato.
Il gruppo svedese, che si vuole un modello d'impresa socialmente ed
ecologicamente responsabile, "non si è pronunciato sul fatto che le donne siano
state (o meno) discriminate, ma rifiuta che si siano sentite discriminate e
s'impegna a prendere misure per evitare che questo genere di casi si ripeta",
indica l'ombudsman.
Laprovence.comUna non-Rom ed una Rom dicono Dosta! Foto di Noémie Michel
scattata ad Arles
Dosta in romanes vuol dire basta. Uno slogan che suona oggi come un
grido di rivolta. L'idea è partita da Arles e dovrebbe allargarsi nei prossimi
giorni a molte città francesi, tra cui Marsiglia. "Ci siamo resi conto
che le proteste e le petizioni non servivano a niente di fronte alla politica di
odio instillata dopo il triste discorso di Grenoble che ha stigmatizzato questa
popolazione", sottolinea Tieri Breit. E' da due anni editore ad Arles di
libri fotografici per bambini, ed utilizzerà le sue conoscenze per fare
resistenza alle molestie e all'esclusione sofferte da tutto un popolo.
Indignazione
L'idea è di mettere sotto il naso dei cittadini immagini, ben visibili nel
loro formato poster a grandezza naturale. Una foto rappresenta davanti ad una
porta una Rom ed una non-rom con un pannello che riporta la parola Dosta. "E'
simbolico, la porta marca la soglia, si entra o si resta fuori. Ed inoltre in
pochi conoscono la parola Dosta, che li interroga", prosegue Tieri Briet.
Queste foto saranno in un secondo tempo affisse sui muri delle città dove i Rom
sono perseguitati ed esclusi. "Queste presenze umane, solidali, affisse sui
muri di una città potranno formare poco a poco una popolazione che rifiuta in
silenzio una violenza fatta ad un popolo che non ha né frontiere, né esercito". Humaniatrium (sostenuta
da numerose associazioni tra cui quella della gens du voyage Samudaripen)
realizzerà 60 copie di personaggi in 4 regioni della Francia. Ed è già stata
contattata da cittadini inglesi, italiani o spagnoli che anche loro vogliono
mostrare la loro indignazione.
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