Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
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May Bittel e Daniel Huber si battono per i diritti dei nomadi svizzeri (swissinfo) |
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Il presidente della Commissione federale contro il razzismo chiede alle autorità elvetiche di riconoscere appieno la cultura e i bisogni dei nomadi.
Facendosi portavoce del disappunto della comunità jenisch, Georg Kreis chiede più spazi di transito e soggiorno per l'unica minoranza nomade di nazionalità svizzera.
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ALTRI SVILUPPI |
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«Siamo ancora molto lontani da un incoraggiamento attivo del modo di vita scelto dagli jenisch, che pure sono parte integrante della realtà svizzera», ha affermato senza mezzi termini George Kreis, presidente della Commissione federale contro il razzismo (CFR).
Davanti al Club svizzero della stampa, Kreis ha sottolineato che «mancano delle aree di transito e di soggiorno in numero sufficiente, manca un vero e proprio riconoscimento della cultura jenisch, una promozione della lingua, un sostegno alle donne e ai giovani».
«Abbiamo il diritto di viaggiare, ma non abbiamo più il diritto di fermarci», commenta dal canto suo May Bittel, fondatore del Forum dei Rom e dei nomadi.
L'esempio dei Grigioni
Per Bittel, pastore protestante di Ginevra che è tra i leader della comunità zingara svizzera, i nomadi sono confrontati con delle difficoltà in tutto il paese.
Solo un cantone, quello dei Grigioni, sembra aver trovato un terreno di dialogo con i nomadi. Secondo Daniel Huber, presidente della Radgenossenschaft, l'Associazione svizzera degli jenisch, nei Grigioni sono state attrezzate delle aree per i nomadi locali ed è stato messo a disposizione dello spazio per i nomadi in transito.
In altre parti della Svizzera, il dialogo è più difficile. «Quando ci fermiamo, spesso è l'inizio di una lotta», fa notare May Bittel.
Stando a Bittel, i problemi dei nomadi non sono affatto cambiati dagli anni Settanta, quando la Svizzera abbandonò la sua politica volta a "fermare" la comunità jenisch.
L'ombra del passato
Tra il 1926 e il 1973, seicento bambini jenisch sono stati strappati alle loro famiglie per essere affidati a chi li poteva allevare secondo uno stile di vita "più consono" alla Svizzera. Non si trattava solo di altre famiglie, ma anche di orfanotrofi e di asili psichiatrici. A spingere in questa direzione è stata la fondazione svizzera Pro Juventute.
Scosso dallo scandalo, il governo svizzero ha presentato le sue scuse nel 1986 per aver contribuito finanziariamente a questo tipo di operazioni.
Oggi, i circa 35'000 jenisch, di cui solo un decimo è ancora nomade, chiedono alle autorità svizzere di impegnarsi maggiormente per la loro causa.
Si aspettano dal governo elvetico un ripensamento del rifiuto di aderire alla convenzione 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro relativa ai popoli indigeni. Si tratta di una decisione che deve ancora essere confermata dal parlamento.
Difficoltà
Berna ritiene di non essere in grado di rispettare appieno alcune disposizioni contenute nella convenzione, come l'accesso alla scuola o la protezione della lingua jenisch.
«Per gli jenisch», sottolinea il loro avvocato Henri-Philippe Sambuc, «questa convenzione è il solo modo per ottenere un modello d'azione collettivo sul piano giuridico».
In attesa di un sostegno da parte delle autorità, gli jenisch non perdono la speranza. Tra i giovani della comunità, conclude May Bittel, si riscontra un rinnovato interesse nei confronti della vita nomade.
swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra (traduzione e adattamento, Doris Lucini)
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Di Fabrizio (del 11/02/2006 @ 13:24:58, in Europa, visitato 2596 volte)
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TRANSITIONS ONLINE: Latvia: Walled Up by
Maija
Pukite 6 February 2006
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Cautela delle autorità lettoni nel finanziare le
organizzazioni romani.
“Ci fosse una Zingarolandia da qualche parte, molti di noi
probabilmente ci andrebbero. Ma non c'è,” racconta Vanda
Zamicka, l'unica avvocata rom della Lettonia. Per 500 anni questa terra
è stata la madrepatria dei Rom lettoni. Qui la loro cultura ha
messo radici, lo stesso per la lingua e lo stile di vita, conservando
molte virtù che i Lettoni invece hanno perso. I Rom nella
Lettonia oggi libera, spesso si sentono messi ai margini della
società e tendono a rinchiudersi in se stessi. La maggior
parte della gente ha conoscenza di questo popolo, peraltro fiero,
solo tramite i rapporti della polizia o l'attenzione dei media sul
disadattamento dei Rom.
Durante l'intervista, Vanda Zamicka fornisce prova dei suoi studi
mentre il suo sguardo rimane fermo e penetrante. Ha 26 anni, si è
laureata in legge e attualmente frequenta un master internazionale.
Nel suo parlare, mischia parole russe, inglese e romanì. Parla
quattro lingue e sta imparandone altre due: norvegese e francese.
Demolisce gli stereotipi sui Rom nella società lettone, anche
quelli dei suo colleghi, che rimangono di sasso apprendendo la sua
origine.
E' riuscita a combattere la sua battaglia contro un cordone di
preconcetti.
I PREGIUDIZI PROMUOVONO IL CRIMINE
“Gli stereotipi
sono forti,” ammette Zamicka. “Quelli che vogliono
mostrare di loro un lato migliore, sovente vanno a sbattere contro un
muro.”
Non è passato molto tempo da quando una romnì
scolarizzata e di buona famiglia non superò il colloquio di
lavoro a causa della sua origine. Dopo essersi diplomata aveva anche
frequentato con successo un corso professionale di decorazione
floreale a Mosca. Come molte romnià, ha un senso artistico
particolare. L'impiegato si era mostrato soddisfatto della prima
intervista telefonica e del CV, ma quando la segretaria del
principale se l'è trovata di fronte, ha improvvisamente
addotto motivi per cui il suo capo non poteva incontrarla, neanche
per un saluto di cortesia. Non è stato un caso isolato. Alla
fine la giovane per dar da mangiare ai suoi figli, ha ripreso a
spacciare droga.
Gli stessi Rom stanno iniziando a prendere le distanze dalla
società. [Pensano] stiamo tra di noi, non abbiamo bisogno di
integrarci,” aggiunge Zamicka . Anche i Rom che sono andati a
scuola hanno difficoltà a superare i preconcetti, mentre
quanti sono illetterati si trovano in una situazione insormontabile.
“La società che sta correndo il rischio di
marginalizzare questa nazionalità, spingendo i Rom al
margine,” spiega Irina Vinnik, direttrice dell'ufficio
minoranze presso il Ministero per l'Integrazione Sociale. Eppure i
sondaggi mostrano che i Lettoni sono tra i più tolleranti
verso i Rom rispetto ai popoli dell'Europa [Centrale ed Orientale]:
solo il 27% eviterebbe di aver un Rom come vicinodi casa, confrontato
col 77% in Slovacchia, il 63% in Lituania e il 69% in Ungheria.
Però, anche in Lettonia la situazione può
peggiorare.
LA LOTTA CONTRO L'INTOLLERANZA
“E' compito dello
stato combattere l'intolleranza ed è priorità del
nostro dipartimento, ma d'altra parte, gli stessi Rom devono curare
la loro immagine.” dice Vinnik. Il suo ufficio sta elaqborando
un piano nazionale sulla tolleranza e sta collaborando con la
comunità romanì in questo difficile compito. “Vorremmo
promuovere la discussione nella società e mostrare che [i Rom
sono] una nazione incredibile e da ammirare.”
Sicuramente, la comunità romanì necessita di
riguadagnare la fiducia presso una società più vasta.
Cinque anni fa, Normunds Rudevics aveva la possibilità di
farlo. “Possedeva autorità, notorietà e denaro.
Cosa si voleva di più? Ma ha perso tutto.” dice Irina
Vinnik. [nota di TOL: Normunds Rudevics (*)
era il più noto attivista tra i Rom di Lettonia. Nel
Parlamento dal 1998 al 2002, eletto nel partito di centro Via
Lettone. Non venne ricandidato e fu espulso dal partito con le
elezioni del 2002, accusato di abuso di privilegi parlamentari e di
malversazione personale di fondi destinati all'organizzazione che
dirigeva, la Società Socio-Culturale Rom.]
Sino a poco tempo fa, grazie ad una ritrovata unità,
sembrava che i Rom lettoni potessero raggiungere un certo livello di
autorappresentazione e di governance. Rudevics era il numero 8 della
lista elettorale di Via Lettone. Lui stesso ricorda: “Davanti a
me avevo solo l'ex primo ministro e i membri del governo”.
Eletto con 20.000 voti – cifra di tutto rispetto in un paese
con meno di 3 milioni d'abitanti – allora era pieno di
speranze, e pensava che persino i Rom potevano vivere felicemente.
Le stesse autorità avevano preso coscienza del numero di
problemi affrontati dai Rom e preso la decisione di destinare somme
ingenti per affrontare la questione, dedicando l'intera
responsabilità a Normunds Rudevics. Buone le idee e le
premesse, ma Rudevics tuttora non ha dato conto dei 95000 lats ($.
160.000) stanziati in cinque anni.
Irina Vinnik afferma di non conoscere ancora come Rudevics ha
impiegato i fondi destinati alla comunità romanì,
perché a differenza dei rappresentanti di altre minoranze
nazionali, non è arrivato alcun conto ufficiale sulle spese.
Rudevics insiste nel dire che ha inviato un resoconto alla ragioneria
di stato, ma Vinnik replica che se si fosse dimostrati che quei fondi
fossero stati spesi, l'organizzazione avrebbe potuto richiedere nuovi
finanziamenti.
DIVISIONE DELLA LEADERSHIP
“Sì, Rudevics ha amplificato l'immagine della
Lettonia quando fu eletto in parlamento. Eravamo fieri di avere un
deputato romanì ... ma è arduo rintracciare cosa ha
speso,” ancora Vinnik.
Da quando Ravenics è caduto in disgrazia, non è
emerso nessun altro leader nella comunità, anche se [...]
esistono diversi leader potenziali nelle organizzazioni.
Anatolijs Berezovskis, a capo della locale associazione romanì
di Tukums, infaticabile attivista che ha costruito collegamenti
tangibili tra i Rom e diverse autorità municipali. Sotto la
sua leadership, tutti i bambini rom di Tukums ora frequentano la
scuola. Onesto, rispettato nella comunità. Da alcuni viene
descritto come naif, ma è ritenuto una persona che sui diritti
umani potrebbe fare molto.
Savina Kolomenska, insegnante alle superiori di Bene, l'unica
accademica di storia in Lettonia di origine romanì, rispettata
ed intelligente. Eccezionali qualità di leadership, ma non
disposta a farsi carico del peso di diventare una leader
comunitaria.
Vanda Zamicka [Zamicka-Bergendale], presidente di
Ame Roma: giovane e talentuosa avvocato, con esperienza in diversi
progetti educativi, culturali e sociali. Ritiene che i Rom non
abbiano bisogno di un singolo leader, piuttosto debbano consolidare
una leadership più amplia attraverso la partecipazione ai
gruppi organizzati della società civile.
Leons Gindra, presidente di Gloss Romani: avrebbe l'ambizione del
leader, ma si mormora che non sia affidabile sui temi economici. Si
dice anche che non abbia la fiducia di molti Rom, per non aver
protetto la sua famiglua dal disonore di essere associata al traffico
di droga.
La parola allo stato, per bocca di Irina Vinnik: “Appoggeremo
i progetti di differenti organizzazioni romani se saranno fattibili e
se i conti [della Società
Socio-Culturale Rom] saranno disponibili”.
This
article originally appeared in the Riga weekly Kas Notiek, no.
17, 2005. The magazine has since ceased publication.
Translated
by Aris Jansons.
Per il suo terzo appuntamento la Stagione Concertistica Comunale di Senigallia ospita un violinista gitano d’eccezione: Roby Lakatos. Domenica 12 Febbraio Auditorium San Rocco, ore 18,15 Gipsy.
Il violinista gitano Roby Lakatos non è solo un sorprendente virtuoso, ma anche un musicista di straordinaria versatilità stilistica. Ugualmente a suo agio nel suonare musica classica, musica jazz, musica pop o musica folkloristica ungherese Lakatos, violinista gitano definito “l’archetto del diavolo”, è anche, insieme, un virtuoso classico, un improvvisatore jazz, un compositore e un arrangiatore.
In questo concerto Roby Lakatos ci propone materiali originali, se pure adattati al complesso, certamente collocabili nel genere della “musica ungherese” (ungheresi sono infatti autori Balogh, Csàmpai, Hubay, Weiner). Ma attraverso la magia della vitalità gitana ungherese, ci presenta rielaborazioni di materiali che parrebbero estranei a questa cultura e, persino, refrattari ad una rilettura così identificata (M. Legrand, J. Lewis, C. Corea, C. Trenet). Viene quasi automatico fare paragoni con Liszt e Brahms e la loro ‘musica ungherese’. Oppure anche con Bartok e il suo rapporto con la musica popolare. Ebbene, il cammino di Lakatos è molto diverso e, in alcuni casi, speculare a quelli. Liszt e Brahms nell’Ottocento hanno fatto conoscere al pubblico dei concerti di tutta Europa una tradizione considerata genericamente ‘ungherese’ e che invece era tzigana, cioè tipica delle popolazioni nomadi. Ma hanno compiuto questa operazione (raccogliendo, il primo le melodie che aveva ascoltato in gioventù e il secondo le melodie eseguite dai complessi popolari che lungo il Danubio erano giunti da Budapest a Vienna) adattando le musiche attraverso strumenti e linguaggi della cultura musicale occidentale europea.
Anche Bartok cerca e ripropone la musica ungherese (quella magiara, questa volta), ma la sua è un’operazione ancora diversa. Egli infatti utilizza le vere musiche popolari, quelle che adoperano modelli melodici, ritmici e armonici differenti da quelli della musica occidentale, per cambiare il linguaggio della musica colta del Novecento. Lakatos e il suo ensemble compiono invece due operazioni differenti: la prima è quella di attingere ad autori ungheresi, di presentare la musica zingara, quella vera, quella senza mediazioni ‘commerciali’, proporre pagine originali della tradizione o riscritte sull’onda di quella tradizione e per gli organici di un’orchestra tzigana. La seconda coinvolge direttamente il profondo spirito gitano di Lakatos e del suo gruppo che rileggono con un nuovo spirito pagine celeberrime di Trenet e di Corea, compiendo attraverso i modi di una tradizione popolare la rilettura di un patrimonio musicale ad essa estraneo.
ROBY LAKATOS Nato nel 1965 nella leggendaria famiglia di musicisti gitani discendente da Janos Bihari, ha debuttato a nove anni come primo violino in una band gitana. Non ha però trascurato gli studi classici, diplomandosi nel 1984 in violino (conseguendo anche un premio) al Béla Bartók Conservatory di Budapest. Tra il 1986 e il 1996, lui e il suo ensemble si sono esibiti al "Les Atéliers de la grande Ile" di Bruxelles collaborando anche con Vadim Repin e Stéphane Grappelli e ottenendo l’approvazione incondizionata di Sir Yehudi Menuhin. Nel marzo del 2004, Lakatos è apparso con grande successo insieme alla London Symphony Orchestra al festival per orchestre “Genius of the Violin” accanto a Maxim Vengerov. Si è esibito nelle più grandi sale concertistiche in America, in Europa e in Asia e incide in esclusiva per la Deutsche Grammophon..
ROBY LAKATOS ENSEMBLE Kálman Cséki, pianista, nato nel 1962, inizialmente suonava il violoncello ma presto ha cambiato il suo strumento studiando piano classico con Lilly Wiedener e piano jazz con Attila Garay. Ha studiato al Béla Bartók Conservatory e ha passato otto anni girando il mondo con le pop band prima di tornate a Budapest ed insegnare alla Special Academy of Music.
Lászlo Bóni, secondo violino del gruppo, nato a Budapest nel 1968, ha studiato con il padre di Roby Lakatos, suonando nella sua orchestra e prendendo un diploma di violinista gitano nel 1987. Successivamente ha passato sei mesi in Giappone suonando con un trio gitano facendo anche un tour in tutta Europa. Dal 1991 al 1994 ha lavorato ad Anversa.
Ernest Bangó, nato nel 1968, è il figlio di un famoso esecutore di cimbalo. Prima che gli fosse permesso di studiare quello strumento, all’età di sette anni, suo padre ha insistito perché studiasse il violino e il pianoforte. Dopo gli studi classici al Béla Bartók Conservatory, dove tra i sui insegnanti c’era anche Ferenc Gerencsir, è passato alla musica gitana prendendo il diploma di solista nel 1986. Č apparso a Ginevra, Dusseldorf e Montréal.
Oszkár Németh, nato nel 1968 nella città ungherese di Eger aveva solo sei anni quando ha preso parte come violinista alla famosa Rajko Gypsy Orchestra. Č rimasto con il gruppo fino alla fine degli anni ’80 suonando per la Regina Elisabetta II, tra altre importanti personalità. Nel 1984 si è dedicato al contrabbasso prendendo un diploma nel 1987 e per i numerosi impegni lavorativi è rimasto a Budapest fino al 1992. è membro del Roby Lakatos's Ensemble dal 1991.
Attila Rontó, chitarrista, è nato nel 1969 a Miskolc in Ungheria e ha cominciato a studiare all’Accademia di musica all’età di nove anni. Contemporaneamente si è avvicinato alla musica gitana ed ad altri tipi di musica grazie al padre e al nonno e, dall’età di undici anni, ha suonato regolarmente in vari ensemble. Successivamente si è interessato alla musica jazz studiano per quattro anni al conservatorio e formando il suo gruppo specializzato in latin jazz e flamenco. Č apparso in numerosi festival e in televisione e ha al suo attivo numerose registrazioni. Fa parte del Roby Lakatos's Ensemble dal 1991.
Biglietto intero € 8, ridotto € 5 (meno di 25 anni e più di 65). I biglietti saranno posti in vendita al botteghino dell’Auditorium con inizio alle ore 17.
Prossimo appuntamento della Stagione: Domenica 26 Febbraio Auditorium San Rocco ore 18,15 Quartetto d’Archi della Scala Musiche di Mozart, Beethoven, Debussy
E' allestita fino al 17 febbraio la mostra fotografica di Vittorio Dotti, alla Libreria Ponchielli di Cremona.
Alcune suggestioni dell'autore
Notre nature est dans le mouvement. (Pascal)
Tutte le nostre attività sono legate all’idea di viaggio. E a me piace pensare che il nostro cervello abbia un sistema informativo che ci dà ordini per il cammino, e che qui stia l...
Di Fabrizio (del 12/02/2006 @ 13:19:10, in Italia, visitato 2390 volte)
Dall'archivio di Pirori, un articolo di un anno fa che può tornare ancora utile: Giovedi 17 Marzo 2005 ore 00:47:17 i signori lettori mi scuseranno se parlerò di politica e non del signor B.
Sfido chiunque non sia lombardo a parlare bene di Milano. So già cosa ne salta fuori: è una città grigia, è la tana della Lega, è pure la capitale politica del Berluska. Lo so, ci sono nato e ci vivo, e mi pare inutile ricordare che Milano ne ha per tutti i gusti: c'è la Lega e il Leonkavallo; qui hanno mosso i primi passi tanto il Berluska che quel Cofferati che sino a qualche tempo fa sembrava l'unico politico di sinistra capace di fare qualcosa di nuovo, qui c'è la città triste e qui lavorò Leonardo progettando soluzioni urbanistiche che sarebbero ancora oggi all'avanguardia...
Bisogna essere milanesi per conoscere gli spazi a misura d'uomo di questa città. Ad esempio, sino a una decina di anni fa, frequentavo a Monza, il giovedì mattina, la fiera del bestiame. Raggiungibile facilmente dalla tangenziale est e non lontana dalla stazione ferroviaria. Immaginate, in mezzo alla città, un grande recinto con tettoie metalliche, dove trovare cavalli, asini, pecore, capre, mucche, galline. Dove si potevano acquistare calessi, birocci e selle (di tipo inglese o americano). Con il mercatino nelle strade adiacenti, per chi cercasse coltelli, anfibi, giubbe militari, frustini, sottosella. Un residuato di campagna dove era bello andarci con i figli, che abituati alla città e alla televisione giravano con la bocca aperta (ma lo sappiamo che si divertono anche i genitori). L'avevo scoperto (naturalmente) grazie ai Rom di Milano, eredi di una tradizione di allevatori di cavalli. Era la classica fiera dove potevi incrociare l'allevatore che parlava in Bresciano, il nobile che aveva la sua scuderia, e il Rom. Miscuglio di lingue e dialetti, ma i nomadi (rigorosamente maschi) ne facevano parte e ne erano fieri, perché non solo lavoravano, ma erano consci della loro arte. I ragazzi cominciavano a frequentarlo attorno ai dieci anni. Lì vicino, una piccola trattoria di quelle di una volta, dove concludere gli affari con vino e salamella.
Quel posto, l'ho conosciuto che era già in declino. Si sa, il progresso. Vorrei invitarvi ad andarci prima che sia troppo tardi e sparisca o si snaturi del tutto: è in via Mentana angolo Procaccini, a Monza. Ora, capitemi bene, la mia non è nostalgia ma curiosità. Il progresso avanza anche fuori Italia, ma perché da noi queste "distrazioni" dal panorama urbano sono destinate a perdersi e in Francia ogni schifosa cantina di campagna diventa un museo? Perché negli Stati Uniti, in Inghilterra, Germania (per non parlare della Scandinavia) tengono alla loro storia e la valorizzano, mentre da noi la difesa delle tradizioni è sinomino di movimenti razzisti? Non sarebbe più interessante (anche economicamente, intendo) una grande città che oltre alle fiere, coltivasse il turismo anche per i suoi abitanti?
C'è una risposta logica: il declino di certe attività, tra cui l'allevamento e il commercio di cavalli. Qualche riga fa, accennavo a quello che vedo quando sono fuori Italia. Anche voi amereste viaggiare, se foste nati come me tra la Pirelli, la Falck e la Marelli. Di quelle fabbriche, oggi non c'è rimasto niente. Al loro posto, altrettanto squallido, il nuovo polo universitario della Bicocca che, anche se firmato Renzo Piano, è solo una gettata di cemento con vari parallelepipedi. E Tronchetti Provera graziato dal Comune, che si ritrova tra le mani un capitale immobiliare favoloso. Oppure, capannoni industriali in disuso, a perdita d'occhio. Capannoni che finché restano in disuso, saranno il rifugio di Ucraini, Moldavi, Rumeni e Rom arrivati qua con mezzi di fortuna. Per carità, non ce l'ho con loro! In 10 anni, quei capannoni ne han visto di tutte le razze, ma mentre si protesta perché dei poveri cercano un rifugio, nessuno trova niente da dire a chi li lascia lì inutilizzati. Non occorre grande fantasia per capire che chi si rifugia lì non troverà un domani diverso, se non si è capaci di risolvere i problemi di chi è Rom, ma abita in questa città da 40 anni ed è alle prese con un'altrettanto grave crisi politica ed occupazionale epocale. In quei fabbricati si lavorava il ferro e attorno c'era campagna. Non occorrerebbe neanche tanto spazio o tanta spesa, per riadattarne qualcuno a terreno di allevamento o piccola officina tradizionale, perché no, con scuola annessa. Con una convenzione regionale, riqualificando l'occupazione tradizionale di un popolo in crisi. E cominciando, nel contempo, ad operare positivamente contro l'abusivismo, degli occupanti e dei proprietari.
Eppure, scorro TUTTI i programmi elettorali, e quelle cose che ho così chiare in testa sembrano UTOPIA. Ma chi, se non gli amministratori pubblici, dovrebbe interessarsene?. ...ma, se non si trattasse di Rom, ma di confrontare gli appetiti immobiliari in Italia e le prassi che all'estero funzionano da 30 anni, mi capireste?
PS ad un certo punto, aggiungevo tra i commenti: Era da un po' che volevo scriverne di quel posto a Monza, sapevo che non era in buone acque. Stamattina ci son tornato per parlare con gli espositori e i negozianti. Troppo tardi. La Fiera ha chiuso. Eppure, oltre alle salamelle, si mangiava anche la trippa! Ma era chiusa anche la trattoria. Comunque, per il mese prossimo ho in mente altre idee, sempre su questo argomento. Farò sapere.
PPS le altre idee ce le ho ancora... un po' di pazienza e le rimetto in ordine.
(segnalazione precedente ndr.)Il 5 gennaio 2006 Francesco Rutelli, dalle pagine di Europa, ha fatto il suo esordio elettorale su una problematica vissuta dai Sinti e dai Rom. O meglio ha espresso il suo personale pensiero, purtroppo condiviso da molti leader politici italiani, sui problemi dei minori rom che partecipano all'economia familiare. Naturalmente, come aveva già fatto in passato da Sindaco di Roma, ha affrontato la questione nel peggiore dei modi o come molti commentatori hanno affermato si è allineato e ha sorpassato le più becere posizioni dei leghisti alla Borghenzio.
Ma cosa ha detto il Presidente della Margherita? Si è chiesto, "con una nota politicamente scorretta”, “perché ammettiamo aree di esclusione dei diritti umani universali?” Fino qui tutto bene e anzi abbiamo esultato: finalmente un politico italiano si accorge che in Italia alle Minoranze Etniche Linguistiche Sinte e Rom non vengono riconosciuti i diritti sanciti dall’ONU.
Ma è stato solo un momento perché Rutelli ha immediatamente preso la tangenziale leghista.
Il ragionamento di Rutelli segue questo percorso: “conosco un giustificazionismo sociale che invece non si può giustificare: è la loro cultura, fatta anche di espedienti. Costringere centinaia di bimbi ad andare per strada a rubare sarebbe un espediente? Quei ragazzini hanno gli stessi diritti dei nostri figli.” E continua imperioso: “Devono andare a scuola.”
Ma bene Rutelli, peccato che l’Italia nega l’applicazione della Raccomandazione n. R (2000) 4 del Consiglio d’Europa sulla scolarizzazione dei fanciulli sinti e rom. E questa condizione porta a pratiche di tentata assimilazione e continuata segregazione sulle Minoranze Etniche e Linguistiche Sinte e Rom (Raccomandazione n. 1557/2002 del Consiglio d’Europa, ripresa dall’ultima Risoluzione dell’Unione Europea).
Il Presidente della Margherita, crogiolandosi nella sua ignoranza, continua: “E se è comprovato che vengono schiavizzati e sfruttati, vanno sottratti ai loro padroni”.
Naturalmente la notizia ha fatto il giro d’Italia, ripresa da tutti i giornali nazionali, offrendo ottime uscite soprattutto ai giornali più schierati. Il messaggio lanciato in Italia che capeggiava su tutte le testate nazionali era: “basta ipocrisia, liberiamo i bambini rom”.
Anche un bambino capirebbe che il messaggio lanciato da Rutelli è: i rom sfruttano i bambini, liberiamoli.
Ma Rutelli è un fiume in piena e non si fa attendere una nota di compiacimento: “Avevo varato [da Sindaco di Roma] delle ordinanze con cui assicuravamo servizi prima inesistenti alle comunità rom”.
È tutto da ridere o meglio da piangere. Ricordiamo a tutti i lettori che la Giunta Rutelli ha creato quel mostro che prendeva il nome di Casilino 700, dove ha ammassato più di un migliaio di Rom Europei (ex Yugoslavia e Romania) lasciandoli senz’acqua, senza luce e con ben diciotto bagni chimici. Non contento ha osteggiato per mesi, nel 1997, l’organizzazione Medici Senza Frontiere che aveva il progetto di portare l’acqua potabile a centinaia e centinaia di bambini rom. Veramente da non credere… Invitiamo tutti i nostri lettori, quando sono a Roma, di farsi un giro al Casilino 900 che ha fatto inorridire il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa, Alvaro Gil-Robles. Ma gli esempi sono molteplici.
Torniamo alla problematica sollevata da Rutelli: la partecipazione dei minori rom all’economia familiare.
Se siamo d’accordo con il Presidente della Margherita che lo sfruttamento dei minori deve essere combattuto siamo però consapevoli che tale odiosa pratica riguarda per fortuna un’esigua minoranza di bambini rom e che nella maggior parte dei casi sono le stesse comunità rom che mettono fine a tale pratica.
Diversa è la questione della partecipazione dei minori rom europei all’economia familiare. Parliamo di minori rom europei perché per quanto riguarda i minori sinti e rom italiani è da diversi decenni che non partecipano più all’economia familiare. Il fenomeno, secondo la nostra esperienza, può essere semplificato con una parola: povertà. Aggiungendo che la povertà è accompagnata da gravi negligenze dello stato e delle amministrazioni locali.
I Rom Europei che arrivano in Italia subiscono oltremodo politiche discriminatorie, emarginanti e segreganti che già sono applicate con metodo scientifico verso i Sinti e i Rom Italiani.
Famiglie intere scappano dai loro paesi d’origine per i conflitti etnici e le guerre civili e l’Italia nega a loro i più elementari diritti.
Segregati nei “campi nomadi” delle grandi città italiane, e non solo, i Rom Europei vivono situazioni inumane senza acqua, luce, servizi igienici e sono costretti a mendicare per le strade il sostentamento giornaliero.
Esplicativa è la situazione dei Rom provenienti dalla regione di Craiova in Romania, ultimi arrivati in Italia (per inciso, tutti i Rom Romeni in Italia arrivano dalla zona di Craiova).
In quella regione sono continue azioni di pulizia etnica, supportate sia dalle amministrazioni locali sia dagli organi di polizia (fonte, Dipartimento di Stato Americano) che hanno portato ad una situazione drammatica le popolazioni rom presenti. Il Sindaco di Craiova, Solomon, in un’intervista rilasciata il 4 maggio al giornale rumeno Gardianul ha dichiarato: "Io ci piscio su questi figli di puttana, zingari vagabondi …". Solomon, nel suo discorso di trecento parole, esprime il suo giudizio sui Rom così: "merde" "idioti" "imbroglioni" "puzzolenti". Si consideri che i Rom sono l’otto per cento della popolazione. È naturale che intere famiglie scappino da questa situazione ma arrivano in Italia e la situazione anche se migliore è pur sempre molto drammatica. Anche grazie alla Legge Bossi-Fini. Il risultato è il vedere i bambini che insieme ai genitori cercano di sbarcare il lunario ogni giorno, nella maggioranza dei casi suonando per le nostre strade o nelle metropolitane.
Come intervenire per i Rom Romeni?
1) Riconoscendo a loro il diritto di asilo e lo status di profughi.
2) Offrendo una casa e facendoli uscire dalle logiche ghettizzanti dei “campi nomadi”.
3) Facendoli partecipare alle decisioni sul loro futuro, alla stesura e realizzazione dei progetti e a tutte quelle iniziative che li vedano coinvolti.
4) Imporre alla Romania, tramite l’Unione Europea, il riconoscimento dello status di Minoranze Etniche Linguistiche alle diverse Comunità presenti e l’attuazione di programmi contro la xenofobia, la discriminazione e la segregazione razziale.
Il tutto lo possiamo riassumere con tre parole chiave: interazione, partecipazione, mediazione culturale.
In ultimo, chiediamo al Presidente della Margherita, Francesco Rutelli, di informarsi e di approfondire i problemi, smettendola di gareggiare con i leghisti su chi la spara più grossa contro le ventinove Minoranze Etniche Linguistiche Nazionali ed Europee Sinte e Rom.
Di Fabrizio (del 13/02/2006 @ 01:47:11, in Europa, visitato 1774 volte)
Budapest, 10 febbraio (MTI) - Secondo quanto pubblicato venerdì
scorso dal quotidiano Nepszabadsag, i sentimenti anti-immigrati
rimangono sostanzialmente invariati in Ungheria, tendendo anzi a
diminuire rispetto all'anno precedente, ma cresce l'attitudine più
propriamente razzista.
Il 25% degli Ungheresi rifiuta del tutto che il paese accolga i
richiedenti-asilo, il 70% considererebbe ogni caso singolarmente e il
6% non opporrebbe alcun problema. Questi i dati emersi da un
sondaggio della società Tarki.
Nel merito di quanti valuterebbero singolarmente ogni richiesta,
l'83% non accetterebbe “Arabi”. Il 75% non accetterebbe
Cinesi, Zingari e Russi e due terzi non gradirebbe Rumeni.
La maggior parte degli intervistati ritiene sbagliato rifiutare
l'asilo, ma nella pratica rifiuterebbe qualsiasi richiesta
dall'estero – esclusi quanti di etnia ungherese, in altre
parole, dice la ricerca, la xenofobia aperta viene mascherata..
Le precedenti inchieste di Tarki, condotte annualmente, mostrano
che il sentimento anti-immigrati raggiunse il picco nel 1990,
decrescendo poi gradualmente sino al 2003.
Fonte: Hungarian_Roma
Invitamo tutti giovedì 23 febbraio 2006, alle ore 17.30 al Palazzo del Plenipotenziario in piazza Sordello n.43 a Mantova alla presentazione del libro Porrajmos, altre tracce sul sentiero di Auschwitz Istituto di Cultura Sinta, Mantova, 2006
Intervengono: Bernardino Torsi, Presidente Associazione Sucar Drom; Fausto Banzi, Assessore Provinciale alle Politiche Sociali; Albino Portini, Presidente del Consiglio Comunale a Mantova; Yuri Del Bar, Consigliere Comunale a Mantova; Barbara Nardi, Istituto di Cultura Sinta.
Per informazioni, ics@sucardrom.191.it
Il Porrajmos fu messo in atto in un periodo in cui la civiltà occidentale era al culmine del suo sviluppo culturale ed economico. Č stato generato dalla stessa Europa cristiana e cattolica in cui viviamo oggi. Ecco perché ci appartiene intimamente. Negare questo evento equivale a legittimare un’oltraggiosa indifferenza segno di una cecità pericolosa e potenzialmente suicida per l'Europa.
In Italia le popolazioni sinte e rom non hanno ancora ricevuto nessun riconoscimento ufficiale per le persecuzioni su base razziale subite durante la dittatura fascista. La Legge n. 211 del 20 luglio 2000 che istituisce il Giorno della Memoria non ricorda lo sterminio subito dalle popolazioni sinte e rom. Nel 2005, per la prima volta dopo sessanta anni, un’amministrazione statale, il Comune di Mantova, chiede ufficialmente perdono a tre sinte sopravvissute al Porrajmos, riconoscendo la persecuzione razziale subita. I fondi destinati alla ricerca storiografica sono inesistenti. La raccolta dei documenti e delle testimonianze nella maggioranza dei casi sono addirittura ostacolati. Pochissime sono le risorse offerte per le pubblicazioni frutto di lavori supportati in modo volontario da ricercatori e studiosi.
Fare educazione significa non accettare più nessuna manifestazione di razzismo, discriminazione e segregazione.
Questo libro intende essere strumento per le scuole, rivolto sia agli insegnanti sia agli studenti, per conoscere un pezzo della nostra storia italiana ed europea, ascoltando la voce dei testimoni diretti.
Ciò che accade oggi in Italia alle popolazioni Sinte e Rom è anche il risultato di questo oblio, di questa ipocrita indulgenza nei confronti della memoria storica. I Rom e i Sinti sono scacciati, mal tollerati e rinchiusi nei “campi nomadi”. A queste popolazioni, italiane da generazioni, viene ancora negato il diritto di essere parte integrante e interagente del nostro Paese.
(testo tratto dall'introduzione del libro)
I testi del volume sono tratti dal lavoro dello storico Luca Bravi.
La pubblicazione del volume è stata curata da: Barbara Nardi, Stefano Liuzzo, Davide Gabrieli, Luca Dotti e Carlo Berini.
Un ringraziamento a: Denis Gabrieli, Ilaria Ferretti, Giorgio Bezzecchi, Maurizio Pagani, Tiziana Gavilli, Maika Ecezzimbergher, Rita Scapinelli, Fabio Norsa e Maria Bacchi.
Di Fabrizio (del 13/02/2006 @ 11:06:56, in Italia, visitato 1943 volte)
Su Romanolil alcuni interventi e riflessioni prese dal convegno di Padova di sabato scorso. Intanto frego due foto, gli articoli li leggete QUI & QUI
Di Fabrizio (del 14/02/2006 @ 00:41:16, in Regole, visitato 1825 volte)
Vi ricordate di Alessandra Genovesi-Bogicevic? Dovreste!(scusate, di solito ho un approccio + soft) Comunque ha scritto:
Ciao, volevo segnalarti questa importante sentenza: Con una sentenza del 6 febbraio 2006 il tribunale di Sabac (Serbia) ha condannato un dipendente del centro ricreativo "Krsmanovaca" di Sabac colpevole di aver impedito nel 2000 l'accesso al centro suddetto a tre giovani rom proprio a causa della loro appartenenza etnica. La sentenza è importante perchè si tratta della prima condanna comminata per atti di razzismo nel territorio di Serbia e Montenegro. Saluti Alessandra
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