Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Da
Siol.net (con questa traduzione, Martina Zuliani inizia la
collaborazione con Mahalla. BENVENUTA!)
Milena Tudija, presidentessa dell'associazione rom Romano Veseli
La cultura rom si perde in quella della popolazione maggioritaria
"Le romnia non cuciono e non indossano più gonne lunghe disegnate e grembiuli,
caratteristiche in passato, ma preferiscono le tute."
Questo è quello che si è sentito durante la prima serata musicale e letteraria
al Centro Culturale Janez Trdina, organizzata dall'associazione rom Romano Veseli,
dalla bocca di Šarenka Hudorovac di Kerinov Grm, presidentessa dell'associazone
rom Mosto e autrice di brevi documentari sui rom.
La vita di ogni giorno non è più rom
L'associazione rom Romano Veseli ha voluto avvertire, tramite le serate
letterarie, che la cultura rom si sta perdendo sempre più dentro quella
maggioritaria. La lingua romanes, secondo le parole della rappresentante rom di
Novo Mesto Dušica Balažek, si sta perdendo. "Già da qualche anno stiamo notando
che la cultura rom si impoverisce. I giovani d'oggi non vogliono più portare gli
abiti che indossavano i rom di un tempo. Penso che sia l'effetto ritardato della
socializzazione e dell'integrazione con la popolazione maggioritaria. Gli
influssi sono più forti perché l'abbigliamento e il modo di vivere di ogni
giorno non sono più rom come invece era anni fa. Vorrei che la lingua romanes si
conservasse in qualche modo."
La signora Balažek ha già proposto che in uno dei villaggi rom locali si
costruisca un paese rom organizzato che possa essere destinazione turistica dove
mostrare la vita dei rom.
La presidentessa dell'associazione rom Romano Mosto Šarenka Hudorovac, la rappresentante rom di Novo Mesto Dušica Balažek, la presidentessa dell'associazione rom Romano veseli Milena Tudija, la professoressa in pensione Ana M. Kozlevčar
Per i rom l'istruzione è importante
La presidentessa dell'associazione rom Romano Veseli Milena Tudija ha dichiarato
che la sua organizzazione ha redatto 18 articoli su questa tematica. Alla nostra
domanda e se i rom rimanessero come quando fumavano molto, bevevano molto caffè
e facevano molti figli, lei ha risposto che i tempi cambiano e che ora è
importante che i rom frequentino la scuola.
Insegnante pensionata per lezioni bilingui
L'insegnante in pensione Ana Marija Kozlevčar, conosciuta per aver redatto un
dizionario sloveno-romanes, ha detto che la cultura rom deve conservarsi e per
far ciò si deve conservare la lingua romanes. Ha affermato: "Penso che sia raccomandabile che
i bambini rom frequentino lezioni bilingui nei primi tre anni della scuola
primaria oppure altre integrazioni scolastiche che non siano a carico degli
insegnanti che non sanno il romanes."
La prima di cinque serate letterarie si è tenuta nel giorno internazionale della
lingua romanes, il 5 novembre. I presenti hanno recitato soprattutto poesie del
poeta rom Rajko Šajnovic e della poetessa rom Jelenka Kovačič.
Midi Libre La Roulotte, per creare dei legami con gli tzigani.
Sébastien Guerdner sa anche mostrare fermezza con gli tzigani. (D.R)
Sébastien Guerdner, proveniente da una famiglia di viaggianti, ha fondato
sette mesi fa, l'associazione "La Roulotte della solidarietà tzigana", la quale
è un legame tra viaggianti e amministrazioni, associazioni, assistenti sociali,
imprese, agenzie di credito...
Già "casco blu" in Bosnia, e una fedina penale pulita, a 37 anni, Sébastien
Guerdner non risponde all'immagine di "ladro di galline" incollata alla
comunità tzigana. Eppure, suo cugino altro non è che un uomo abbattuto da un
gendarme nel 2008, a Draguignan.
Sébastien Guerdner non nega la criminalità esistente tra gli tzigani. "E' il
caso in tutte le comunità, soprattutto quando le condizioni di vita diventano
difficili".
Vuole però fare arrivare alle collettività e alla popolazione, le parole di
coloro i quali tentano di vivere, a modo loro, ma nella legalità e nel rispetto
degli uomini e dei territori che attraversano.
A casa di Sébastien Guerdner, "nessun orgoglio malriposto dei Gitani"
Proveniente da viaggianti, da una famiglia rispettata, l'uomo suscita meno
diffidenza nei campi. Maggiormente abituato ad avere a che fare con le
amministrazioni, non si lascia trascinare dal "orgoglio mal riposto dei Gitani".
Sette mesi fa, ha quindi fondato a Béziers, l'associazione "La Roulotte della
solidarietà tzigana", in uno spirito di mediazione e tolleranza. Perché "il
timore è presente da tutti e due i lati", afferma Sébastien Guerdner.
Vuole essere un legame tra gli aiuti esistenti a traverso associazioni,
assistenti sociali, creazione d'imprese, persino l'accesso al credito.
In effetti, i due mondi non si costeggiano. "Eppure, la Francia è il paese che
offre maggiormente agli tzigani".
"Molti gitani vogliono votare, ma pensano che ciò è loro vietato"
Ultimamente, si è occupato di una signora anziana di 77 anni, in causa con il
comune di Pia. Ha venduto la sua roulotte per pagare il suo avocato, allorché
poteva accedere al gratuito patrocinio.
"Ex giostraia, è una vita intera di lavoro che ha perduto, perché non era in
grado di mettere insieme una serie di documenti amministrativi". In poche
parole, "molti zigani vogliono votare, ma spesso pensano che ciò è loro
vietato", afferma Sébastien Guerdner.
"Andare dall'assistente sociale, non fa parte della mentalità. Non credono di
averne diritto. E quando la famiglia ha fame, effettivamente, si farà di tutto
per mettere del latte nel frigo. Quindi rubare …"
Per esempio, se numerosi viaggianti guidano senza patente - suo cugino è stato
arrestato sette volte per questo motivo - è perché spesso, non sanno come
passare l'esame.
Questo può essere dovuto a un problema economico o difficoltà a leggere e
scrivere, il che non permette di avvicinarsi al codice della strada.
L'associazione incoraggia la scolarizzazione dei bambini
Queste lacune scolari preoccupano Sébastien Guerdner. Anche se lui preferisce
che i bambini siano educati nelle scuole pubbliche "per imparare a conoscersi",
l'associazione incoraggia la scolarizzazione permanente.
Perfino nei confronti della "tradizione del bambino re". Del resto, a Brignoles
nel Var, con il "Soccorso popolare di Béziers", la Roulotte ha offerto un
computer, libri e giochi per un campo d'accoglienza.
Hanno anche trovato dei professori volontari, i quali garantiranno delle lezioni
ai 40 alunni, troppo numerosi per essere ammessi a scuola.
L'associazione si occupa anche di prevenzione. "La pillola contraccettiva, le
malattie sessualmente trasmissibili o l'aiuto psicologico, sono tabù, quando
sappiamo che, secondo la tradizione, perfino un medico non può toccare una
donna". Del resto, è sua cugina che parla con le donne.
La Roulotte agisce anche con fermezza nei confronti dei tzigani. "Quando ci si
impegna presso delle collettività o dei proprietari, bisogna che i viaggianti
rispettino la parola data, i luoghi, e la gente".
Sébastien Guerdner porta avanti anche una lotta contro la discriminazione
nei confronti dei viaggianti.
"Non bisogna stigmatizzare le differenze tra rom, rumeni o altri. Non si può
pretendere di essere rispettati dalle persone all'esterno, se non ci rispettiamo
innanzitutto tra noi".
Di Sucar Drom (del 14/02/2013 @ 09:07:50, in blog, visitato 1250 volte)
Mantova, le borse di studio per studenti sinti e rom
L'Associazione Sucar Drom, organizzazione a tutela delle lingue sinte e rom e
delle culture sinte e romanés, ha ottenuto un finanziamento dalla Fondazione
Marcegaglia Onlus, dalla Fondazione Cariplo e dalla Caritas Diocesana di Mantova
pe...
Auschwitz, Il Giorno della Memoria 2013
Muj sukko' kia' kalé vust surdé; kwit. Jilo' cindo' bi dox, bi lav nikt rubvé
Faccia incavata occhi oscurati labbra fredde; silenzio. Cuore strappato senza
fiato, senza parole, nessun pianto.
Santino Spinelli poeta rom italiano...
Mantova, l'intervento sul Porrajmos di Ian Hancock
Il 27 gennaio 2013 era stato invitato a Mantova il prof. Ian Hancock
dell'Università del Texas che doveva tenere la prolusione ufficiale sul
Porrajmos durante il Consiglio comunale di Mantova e il Consiglio provinciale di
Mantova al Teatro Bibiena. Purtroppo il prof. Hancock non è potuto essere con
noi per un malore...
Ceija Stojka, scomparsa una delle ultime sopravvissute ad Auschwitz-Birkenau
E' venuta a mancare nella notte tra il 28 e il 29 gennaio Ceija Stojka,
scrittrice e artista rom sopravvissuta al Porrajmos (BBC, Indipendent, Adnkronos)...
Mantova, consegnate le borse di studio ai migliori studenti di lingua sinta e
romanés
Nove studenti di lingua sinta e romanès, alunni delle scuole elementari e medie
della provincia di Mantova, hanno ricevuto venerdì scorso, nell'ambito del
progetto Men sinti, altrettante borse di stud...
Togliamo la parola "razza" dalla Costituzione italiana
Hollande l'aveva promesso ai francesi in campagna elettorale e da qualche giorno
la Francia ha iniziato il percorso costituzionale che porterà all'eliminazione
della parola "razza"dalla Costituzione. Parlare di "razza" nel 2013 sembrerà
strano...
ONU, messaggio del Segretario Generale in Occasione della Giornata di
Commemorazione delle Vittime dell'Olocausto
Durante la Seconda Guerra Mondiale, milioni di persone che non corrispondevano
all'ideale propugnato dall'ideologia perversa di Adolf Hitler sulla perfezione
della razza ariana - ebrei, rom e sinti, omosessuali, comunisti, persone con
malattie mentali e altri - furono sistematicamente...
Di Fabrizio (del 15/02/2013 @ 09:04:00, in lavoro, visitato 2149 volte)
La Stampa Protesta dei "ferramiu" contro le nuove norme alla presentazione del Piano Città
- di PAOLO COCCORESE
Il "business" del riciclo:
Un'ottantina di persone hanno manifestato contro le nuove norme
del mercato del rottame che dà da mangiare a quasi 5 mila "ferramiu"
"Futuro" è stata la parola d'ordine dell'assemblea pubblica di presentazione del
Piano Città, la serie di interventi da 11 milioni di euro che, a partire dai
prossimi mesi, avvieranno il rilancio di Falchera.
La parola "futuro" l'ha pronunciata il sindaco Piero Fassino, ed è apparsa su
uno dei cartelli di protesta esposti dall'ottantina di persone, nella stragrande
maggioranza nomadi del quartiere, che durante la serata hanno manifestato contro
il blocco del mercato del recupero del rottame. Lavoro, che in tempo di crisi,
dà da mangiare a quasi 5 mila "ferramiu".
Il rilancio del quartiere
Futuro, come sinonimo del recupero della Falchera e Pietra Alta. A gennaio, la
Città si è aggiudicata i fondi statali per i progetti di riqualificazione
urbana. Denaro pubblico che diverrà volano per investimenti privati.
"Falchera è un quartiere che ha enormi potenzialità ambientali che si sono
trasformate in focolare di degrado - dice il presidente della Circoscrizione
Conticelli -. Con il Piano Città si potrà invertire la rotta". Non mancano le
critiche - "porterete solo cemento", la più diffusa -, ma il Piano si svilupperà
su due principi: "Un ridisegno complessivo della zona e un riqualificazione
basata sulla sostenibilità ambientale". Tra i progetti: la bonifica dei
laghetti, la ristrutturazione delle scuole e dei palazzi Atc, il nuovo
cavalcavia per il "secondo accesso" e la sistemazione di piazza Astengo.
La paura
Futuro, invece, inteso come incertezza per chi vive recuperando e vendendo
rottami di rame, acciaio o bronzo. Nelle ultime settimane il mercato si è quasi
fermato. Alle officine specializzate nell'acquisto del metallo di recupero,
centri simili a "compro oro", è stata recapitata una lettera della Provincia
dove si chiedono maggior controlli per arginare il riciclaggio del rame rubato.
Diktat che rischia di affamare migliaia di ferramiu di fortuna, raccoglitori
ambulanti che vivono riciclando rottami dei cantieri e svuotando le cantine.
"Da lunedì non possiamo più lavorare - dice Zajim Halilovic, ferramiu della
Falchera -. Pretendono l'iscrizione alla camere di commercio, autorizzazioni
Inal e Inps, omologare i furgoni. Guadagno 700 euro al mese e ne dovrei pagare
1500". Ma chi vive vendendo rottami? Sono in tanti: ditte specializzate, ma
anche tanti ambulanti. Chi svuota i cassonetti, i pensionati e, soprattutto, i
nomadi. In tanti hanno protestato davanti al sindaco Fassino.
Problema sociale
Il mercato del rottame è un limbo tra chi rispetta le regole e chi vive di furti
e mercato nero. Gli oggetti di metallo (dalle grondaie, ai cavi elettrici) sono
rifiuti e richiedono autorizzazioni particolari che il trasporto. "E' ingiusto
qualificarci come ditte - aggiunge un altro ferramiu, Ottavio Piramide -. Se ci
sequestrano il furgone siamo costretti ad andare a rubare". La lettera della
Provincia rischia di diventare un problema sociale. "La nostra intenzione è
limitare il fenomeno dei furto di rame - dicono dall'Assessorato all'Ambiente -.
La lettera era funzionale a questo scopo, non era nostra intenzione generare il
blocco della vendita".
I nomadi, dopo aver protestato davanti Fassino sono pronti per fare un sit-in
davanti alla sede di corso Inghilterra. "Nei prossimi giorni ci sarà un incontro
con la Regione per trovare una soluzione - aggiungono dalla Provincia -.
Pensiamo a direttive che permettano l'attività per tutti nel rispetto delle
regole".
Di Fabrizio (del 15/02/2013 @ 09:04:23, in Europa, visitato 1204 volte)
EXBERLINER "Posso dirlo perche' sono ebreo. Dei Rom e dei Sinti non
importa." by Ruth Schneider
(NdR. Una nascita tormentata:
gennaio 2008,
gennaio 2011,
agosto 2011)
Dani Karavan e la cancelliera Angela Merkel alla cerimonia di inaugurazione
del memoriale lo scorso 24 ottobre. Photo by Stephanie Drescher
Il 24 ottobre 2012, dopo 20 anni di controversie politiche e logistiche, il
Memoriale per i Rom ed i Sinti Uccisi è stato finalmente svelato nel Tiergarten
di fronte al Reichstag. Tra il pubblico, sopravvissuti ottuagenari,
rappresentanti romanì e membri del governo tra cui la stessa cancelliera Merkel.
Fine di ignoranza, pregiudizio e ostracismo?
Il Memoriale per i Rom ed i Sinti Uccisi, progettato da Dani Karavan. Photo by
Marta Domínguez
* Viene ancora discussa la vecchia cifra di
500.000 vittime. Mi chiedo se c'è un ordine del giorno. (Vedi la
precedente intervista a
Ian Hancock)
Mentre il 58% dei tedeschi, ancora nel XXI secolo rifiuta di avere "zingari"
come vicini - e la Germania è attualmente impegnata nella deportazione di 10.000
Sinti e Rom (inclusi quelli nati e cresciuti in Germania) verso il Kosovo che
lasciarono due decenni fa - il destino del popolo più perseguitato d'Europa non
sembra preoccupare la nazione che, 70 anni fa, cercò di sterminarli.
In aggiunta, si susseguono cifre e dibattiti raccapriccianti, mentre i romanì
lottano ancora per essere ascoltati come le "altre" vittime dell'Olocausto
nazista.
Abbiamo chiesto a Dani Karavan, progettista del memoriale, di condividere le sue
opinioni sull'argomento.
* "Gli ho detto che si fosse trattato di Ebrei, avrebbero
spostato la fermata del bus in una settimana. Ma di Sinti e Rom non si
preoccupano."
Allo scultore israeliano Dani Karavan fu commissionato il memoriale nel 1992, su
suggerimento personale di Germani Rose, capo del Consiglio Centrale Tedesco per
i Rom e Sinti. L'artista conosciuto in tutto il mondo era autore di molti
monumenti e memoriali simili in tutto il globo - da Israele al Giappone sino
alla Francia. Molti di questi sono collegati ai diritti umani e si mescolano con
gli elementi circostanti in un unico riflesso che interseca natura, storia e
spazio. A 82 anni, l'artista sempre in viaggio per il mondo non ha perso il suo
morso.
E' da parecchio che stavi lavorando a questo memoriale...
Ci sono abituato. Esistono i problemi politici, le elezioni... Ma, è vero,
stavolta c'è voluto molto tempo perché, prima c'è stata una discussione
durata otto anni tra l'amministrazione e il consiglio centrale dei Sinti e dei
Rom. L'argomentare era che i primi volevano adoperare la parola Zingari,
che i secondi trovavano denigratoria.
Davvero volevano usare quella parola?
Quello era il concetto del ministro alla cultura. Si diceva che nessun documento
storico del nazismo avesse mai menzionato di uccidere Rom e Sinti ma solo gli
Zigeneur. Questa era una discussione. L'altra riguardava quanti Rom e
Sinti fossero stati uccisi. Il governo voleva indicarne 100.000, mentre Sinti e
Rom dicevano che eraano almeno 500.000.
Ma 500.000 non è già una cifra al ribasso?
C'è chi pensa che sia una stima elevata, per motivi politici. Il comitato per i
diritti di Sinti e Rom al Parlamento Europeo mi disse che sarebbero stati circa
un milione. Così ho sostenuto l'idea che il memoriale dovesse assolutamente
menzionare almeno mezzo milione. E fui criticato da un professore
dell'università di Haifa in Israele, che diceva fossero molto meno! Durante
tutta la discussione con l'amministrazione tedesca, ho preso le parti dei Sinti
e Rom.
Qual è stata la tua relazione con l'amministrazione?
Sono stato obbligato a lavorare con gente del senato di Berlino, dipartimento
pianificazione cittadina, che non era professionale. Quando vedi cosa è
successo con l'aeroporto, con la Topografia del Terrore... sono cose fatte
miseramente. Hanno trattato il mio progetto in modo tale che iniziai a credere
che fosse una forma di razzismo. Non gli importava cosa veniva fatto, il
materiale da adoperare, l'impresa che doveva incaricarsi del lavoro. Hanno agito
come se fossi irrilevante, in maniera sgradevolmente aggressiva.
Come spieghi questa mancanza di professionalità?
Non so spiegarmelo. Ho fatto molti lavori nella mia vita. Mai avuto problemi
simili. Sono stati anni d'inferno, e non sono un giovanotto. Ho iniziato che
avevo 68 anni, ora ne ho 82. E' impossibile accettare cosa hanno fatto. Ho
raccontato l'intera storia e nessuno crede che questo sia successo in Germania.
I tedeschi dovrebbero chiedersi: chi ha sepeso questi soldi, perché c'è voluto
tutto questo tempo? Secondo me è gente che dovrebbe essere portata in tribunale.
Il tuo budget era abbastanza limitato, vero? 2,8 milioni di euro?
Anche di meno, ma poi hanno dovuto spendere di più perché non potevano fare
il lavoro correttamente. Hanno cambiato il concetto. L'ingresso doveva essere
sul lato del Reichstag, ma lì c'era una fermata d'autobus. Per questo hanno
cambiato la posizione dell'ingresso. Ti immagini, non poter spostare una fermata
d'autobus per l'ingresso principale al memoriale dei Sinti e Rom?! Gli ho detto
che se si fosse trattato di Ebrei, avrebbero spostato la fermata in una
settimana. Posso dirlo perché sono Ebreo. Ma di Sinti e Rom non gliene importa.
Finché non è intervenuto il governo federale...
Sì... anche Wim Wenders ha detto che se non fosse cambiato, sarebbe stato un
grande scandalo internazionale. Alla fine hanno passato la responsabilità dal
senato di Berlino al ministero federale delle Costruzioni, con gente molto
seria, che aveva rispetto per il progetto e per i Sinti e i Rom. Mi hanno
rispettato e commissionato il progetto ad uno studio di architettura di Berlino.
Dobbiamo ringraziare il ministro della cultura Bernd Naumann. Quando capì, tutto
cambiò. Altrimenti, il memoriale non sarebbe mai stato terminato.
Come ebreo israeliano, cosa è significato per te lavorare ad un
monumento per le vittime dimenticate dell'Olocausto?
Credo che dovrebbe esserci stato un solo memoriale dell'Olocausto per tutti.
Non divisi.
La comunità ebraica si è opposta...
Non mi importa. E' la mia opinione. Come Ebreo ho tutto il diritto di dir
loro che dovrebbe essere per tutti Li hanno uccisi tutti assieme. Per questo
sento che sono miei fratelli e sorelle. All'inaugurazione ho detto in ebraico
che sento come se la mia famiglia sia stata uccisa e cremata con i Sinti e i Rom
nelle medesime camere a gas e che le loro ceneri sono andate col vento nei
campi. Così siamo assieme. E' il nostro destino.
Personalmente, quanto sei soddisfatto del risultato di tutti questi
anni di infernale lavoro?
Sono stato colpito dalla reazione della gente. L'inaugurazione è stata
davvero imponente, grazie alla cancelliera e al ministro della cultura.
Storicamente, è stato un evento davvero importante. Tuttora ricevo commenti da
parte di chi si è sentito toccato. Davvero, la mia sofferenza è valsa la pena!
Nel suo discorso, la cancelliera Merkel ha detto di essersi dedicata
al benessere di Sinti e Rom. Nel contempo, la Germania sta deportando Romanì che
hanno vissuto in Germania per 20 anni. Non è ipocrita? Immagineresti se la
Germania deportasse oggi gli Ebrei?
Penso che tu abbia ragione. In un certo senso gli Ebrei sono privilegiati,
perché dopo la guerra l'Olocausto è entrato nella loro cultura. Talvolta, è una
mia opinione, alcuni ebrei lo adoperano in modo sbagliato. La loro influenza e
posizione sono forti. Per questa ragione è stato così importante per me, Ebreo
israeliano, fare meglio che potessi questo lavoro per i Sinti e i Rom.
Il memoriale nelle parole del suo creatore:
"Ho avuto l'idea che il memoriale dovesse essere solo un fiore, ma per
proteggere il fiore dovevo avere l'acqua. L'acqua è diventata parte integrale
del memoriale. I riflessi scuri nell'acqua la rendono simile ad un buco nella
terra. Riflette gli alberi e il Reichstag, e chi si avvicina all'acqua diviene
parte del memoriale. Per me è molto importante. Il visitatore non solo osserva,
ma ne è parte. Anche il fiore è molto importante, perché Sinti e Rom sono
sepolti in enormi cimiteri, senza tombe, senza targhe, solo fiori. Non sappiamo
dove. Forse solo le radici dei fiori lo sanno. Il fiore è un triangolo, che
rappresenta il triangolo che portavano sul loro corpo. Nel momento in cui
portavano quel segno, perdevano ogni diritto come esseri umani. Questo è il
concetto." Dani Karavan
Di Fabrizio (del 16/02/2013 @ 09:06:39, in lavoro, visitato 1392 volte)
CASTELLI today Polemiche a Frascati per l'assegnazione a una ragazza di
etnia rom di una borsa lavoro del comune - di Francesca Ragno - 13 febbraio
2013
Fa le pulizie al centro anziani del Comune di Frascati ed è assegnatrice di
una borsa lavoro comunale, fin qui non ci sarebbe nulla di male se non fosse che
la ragazza in questione è di etnia rom.
L'etnia della donna ha sollevato un vespaio politico di cui si è fatto paladino
il Popolo delle libertà di Frascati e così il gruppo consigliare pidiellino ha
chiesto un incontro immediato nella giornata del febbraio con il settore servizi
sociali del comune di Frascati: "Č nostro intendimento verificare che tutto si
sia svolto secondo legge", scrivono in una nota i consiglieri comunali.
Intanto sui social network il dibattito è acceso e duro, il consigliere Mirko
Fiasco da Facebook intende chiarire che il PDL non è razzista, ma intanto è
meglio non assumere una "zingara": "Non siamo razzisti, siamo per
l'integrazione, ma quanti padri di famiglia frascatani sono senza lavoro?Quanti
attendono un sussidio? Sindaco Di Tommaso l'unica via sono le dimissioni". Il
PDL è sicuro andrà "fino in fondo a questa storia".
La nouvelle Republique Viaggiatori: una nuova era "aiffricana"
09/02/2013 05:38
Il sito è stato inaugurato ieri a mezzogiorno da Geneviève Gaillard (al
centro) insieme a numerose personalità.
Una nuova era si apre ad Aiffres per la gens du voyage, con l'area di accoglienza
nuova fiammante di 20 posti, appena inaugurata.
Neanche un solo posto libero. "E' sempre pieno, afferma Serge Morin, Sindaco di
Aiffres. Abbiamo perfino dovuto stabilire delle prenotazioni anticipate ad
agosto, prima dell'apertura". A colpo sicuro, si tratta di un'era nuova che si
apre per le persone della comunità dela gens du voyage ad Aiffres.
Ieri è stata inaugurata una nuova area, aperta a settembre. Un'area che
comprende 10 zone (di 2 posti di 100mq ciascuno), ognuno equipaggiato con un
blocco sanitario con doccia, WC e tettoia semi-chiusa a uso lavanderia/cucina.
1,1 milioni di euro
Una realizzazione che sarà costata 1,1 milioni di euro, in gran parte (851.000
€) finanziata dalla CAN, con diversi aiuti (213.000 € dallo Stato, 20.000 €
dalla CAF e 15.000 € dal Dipartimento)
"Come tutti i cittadini della nostra città"
Gli eletti hanno l'uno dopo l'altro salutato questo progetto diventato realtà,
con un pensiero verso Alain Mathieu "il quale vi era molto legato".
"Possiamo
oramai accogliere la gens du voyage come tutti i cittadini della nostra città,
rispettando il loro stile di vita", si è rallegrato Serge Morin. La
presidentessa della CAN ha ricordato quanto questo fascicolo "non fosse facile".
E di spiegare: "Per alcuni concittadini, è sempre un problema, non vogliono
avere queste popolazioni nei pressi di casa loro". Il presidente del
Dipartimento Eric Gautier, così come il prefetto Pierre Lambert, hanno del resto
ricordato i soprannomi sentiti in altri tempi, come "zingari" e "gitani".
"Un
modo di mettere una distanza, che non mostrava altro che una mancanza di
conoscenza degli uni e degli altri". Questa area è la terza sul territorio della
CAN, con quelle della Mineraie e di Noron a Niort. Non resta altro che
realizzare quella di Chauray, per rispondere agli obblighi della legge Besson
del 2000, la quale impone una area in ogni comune di più di 5.000 abitanti.
"Spero che potremo realizzarla a breve scadenza", ha dichiarato la
presidentessa.
Di Fabrizio (del 18/02/2013 @ 09:09:35, in casa, visitato 1676 volte)
La frode immobiliare dietro lo scandalo degli alloggi
di accoglienza - Ustì nad Labem, 8.2.2013 9:58, (ROMEA)
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Denìkreferendum.cz.
-
Sasha Uhlova', translated by Gwendolyn Albert
Edificio nel quartiere di Predlice a Ustì nad Labem. Difficile da credere se
non lo si vede di persona. Le fotografie nell'articolo sono di Sasha Uhlovà del
news server Denìk referendum.
La stanza era illuminata dal fuoco attraverso un buco nel camino. In tutto
l'edificio non c'era acqua corrente, era stata staccata la corrente
elettrica e qualcuno aveva rimosso le impalcature d'acciaio, finite
probabilmente in qualche discarica. La donna sconsolata nel letto non sapeva se
l'edificio sarebbe potuto crollare, seppellendo lei e sua nipote tra le macerie.
Si era trasferita dal primo piano in un appartamento al pian terreno, perché i
piedi le facevano troppo male nel salire le scale. Nel momento che me ne sono
andata, hanno iniziato il saccheggio. Ogni notte c'è qualcuno. Non so chi sia, o
cosa facciano di preciso, ho paura a a lasciare il mio appartamento," diceva Gizela su
quelle condizioni. Il proprietario dell'edificio non si faceva vivo.
Non c'era nessuno a cui pagare l'affitto, a cui chiedere le riparazione, o di
proteggere la proprietà dai furti di metalli.
Nella stanza al buio ci raccontava della sua gioventù, quando lavorava in
fabbrica, prima a fare le pulizie e poi promossa come operatrice alle macchine:
"C'erano abbastanza soldi per mangiare, qualcuna ci cuciva i vestiti, non
c'erano privazioni." Dopo il 1989 perse il lavoro: "E' così che sono finita qui.
Campo con 3.400 corone [135 euro] al mese di assistenza. Non riesco a trovare
lavoro. Sono vecchia. Anche i giovani non trovano lavoro. Vivo come una
vagabonda. Ho 56 anni e non sono mai caduta così in basso in tutta la mia vita."
Proprio in fondo alla strada c'è la palestra dove la famiglia Chervenhàk dorme
su delle brandine. Era di sabato, il 10 novembre 2012, vivevano lì da una
settimana. Su una panchina c'era una piastra ed accanto un po' di polenta gialla
poco invitante. In sala i bambini giocavano - gli attivisti erano arrivati da
Praga per organizzare un giorno di divertimento. Gli adulti erano esausti e
impauriti di ciò che poteva succedere. I bambini correvano, dipinti, felici che
qualcuno fosse venuto a giocare con loro.
Gizela Karichkovà era rimasta nella sua stanza. Rifiutava di andare nella
palestra, nonostante il rischio che l'edificio potesse crollare. Continuava a
sperare di trovare un alloggio migliore e, alla fine forse ce l'ha fatta, perché
aveva un alto punteggio nella lista di attesa. Con l'aiuto degli assistenti
sociali, si è trasferita a metà dicembre in un nuovo appartamento. Era grata ai
giornalisti di aver portato attenzione sul suo caso: "Prima di allora, l'ufficio
assistenza non aveva mostrato alcun interesse, ma una volta che sono finita in
televisione, improvvisamente vollero aiutarmi."
E' cominciato molto tempo fa
Lo scorso settembre, in un edificio di via Hrbotickèho a Ustì nad Labem, era
crollato un soffitto seppellendo una giovane donna. Era madre di due bambini e
la nipote della signora
Karichkovà. Non era il primo edificio a colllassare nel quartiere Nové Predlice,
ma per la prima volta qualcuno aveva perso la vita in un incidente simile. Forse
a causa di ciò, l'Autorità sui Lavori Edili aveva accelerato le ispezioni in
altri edifici della zona.
Venne trovato pericoloso un edificio in via Beneshe Lounského, i cui soffitti
erano divorati dai tarli. Il proprietario non aveva agito e gli inquilini
avevano iniziato a ripararli per conto loro, ma i loro sforzi non erano stati
sufficienti. Per questo la famiglia Chervenhàk si era dovuta trasferire nella
palestra.
Casa loro si trovav in un quartiere devastato, risultato delle privatizzazioni
selvagge iniziate alla fine degli anni '90. Gli edifici, su cui per anni nessuno
ha investito, poco a poco hanno seguito lo stesso destino. Ma per comprendere la
situazione attuale, dobbiamo andare ancora indietro nel tempo.
La vicenda ha radici negli anni '80, quando la maggior parte degli originari
abitanti del quartiere si trasferirono in seguito all'assegnazione di nuovi
edifici residenziali. Fu allora che i primi occupanti romanì, oggi vengono
chiamati "i veterani", iniziarono a spostarsi negli appartamenti lasciati vuoti.
Un'altra ondata di romanì vi si insediò subito dopo il 1989. Un paio di famiglie
era della Slovacchia, ma la maggior parte erano famiglie cacciate da parte più
lucrose della città. Sono quelli indicati oggi come "i nuovi arrivati". I due
gruppi si vedevano di mal'occhio, prima che un terzo gruppo li riunificasse.
Il terzo gruppo era composto da famiglie romanì benestanti, originarie della
Moldavia, che avevano acquistate alcuni di questi edifici durante le
privatizzazioni tra il 1998 e il 2002, obbligando gli inquilini a firmare
contratti vessatori. Altri edifici vennero acquistati tempo dopo dalla Spobyt.
Spobyt era la cooperativa edificatrice dell'impresa Spolchemie. Dopo che
vendette alcuni degli edifici, si fuse la Investimenti Immobiliare Ceca (CPI).
Nel 2010 smise di esistere e la CPI rilevò tutto il suo patrimonio immobiliare.
Oggi CPI detiene più di 2.000 appartamenti nella sola Ustì nad Labem.
Jan Cherny' di People in Need (Chlovek v tìsni), che all'epoca dirigeva la sezione di Ustì,
ricorda la vendita: "Una società di Praga acquistò in blocco parte del
quartiere. Un'intera sezione. Era un tizio piccolino, con stivali rossi e sei
telefonini. Poi rivendette gli appartamenti dall'altra parte della
strada. La gente gli dava il denaro e firmavano il contratto appoggiati al
cofano della sua macchina. Alcuni appartamenti vennero acquistati da gente del
posto, altri da un gruppo organizzato di Dvur Kràlové. Si son fatti prestare
soldi usando dei prestanome utilizzando questi edifici e facendoli valutare in
modo fraudolento e fasullo. Ora la situazione è tale che tecnicamente non si può
più fare nulla a riguardo. Queste rovine sono in mano alle banche ed i
proprietari o sono sotto processo, oppure già in prigione."
Durante gli ultimi 15 anni, molti degli edifici più volte sono passati di mano
in mano. Alcun i di questi sono stati oggetto di frodi creditizie, in maniera
simile: L'edificio viene "venduto" per finta - senza alcuno scambio monetario -
ad un "proprietario", di solito un tossicodipendente o un senza dimora, per un
importo più volte superiore il suo valore reale. Il nuovo "proprietario" - che
di solito non capisce in cosa è stato coinvolto - prende in prestito una
somma giustificata dal falso prezzo dell'immobile. Dopo aver girato l'importo
del prestito agli organizzatori della frode, sparisce senza restituire la somma
del prestito. La banca potrebbe rivalersi pignorando l'immobile, che tuttavia ha
un valore parecchio inferiore alla somma erogata.
Spiega Jan Cherny': "Abbiamo avuto una cliente ad Ostrava. Era una
tossicodipendente appena uscita dalla riabilitazione. L'abbiamo trovata dalle
parti di Olomouc. Ripulita, con un nuovo taglio di capelli, le avevano dato un
nuovo documento d'identità e "venduto" un edificio a Predlice. Poi l'avevano
portata a Nàchod, dove aveva ottenuto un prestito di 2,5 milioni di corone
[99.000 euro], usando l'edificio come garanzia e consegnando la somma ai
truffatori. La ragazza si rivolse a noi chiedendo cosa poteva fare a questo
punto, perché aveva timore che la potessero uccidere. Se l'avessero accoltellata
e poi buttata nel fiume Morava, nessuno avrebbe fatto caso alla sua scomparsa."
Talvolta durante queste vendite i proprietari si sbarazzano dei loro inquilini,
perché gli edifici si svuotino per un dato periodo. Alcuni rimuovono persino
porte e finestre prima di rivenderli, lasciandoli completamente accessibili. Ciò
fornisce un'opportunità a chi tratta metalli usati, per prendersi parte degli
infissi.
Le strade su cui si affacciano questi edifici privatizzati, sembrano una zona di
guerra dopo un bombardamento. Palazzi appena ricostruiti stanno fianco a fianco
con altri in rovina o che sono diventati mucchi di rottame. Gli abitanti della
zona dicono che lo stato degli edifici cambia rapidamente. Dove si ergeva una
villa di lusso, ora resistono un paio di pareti semi smantellate.
Un rudere può essere momentaneamente ristrutturato - almeno esternamente, per
renderlo simile ad un posto abitabile. Durante i tre mesi in cui è stato scritto
il rapporto, molti edifici del circondario si sono trasformati. Alcuni sono
deteriorati ulteriormente, quelli ben conservati lo erano ancora, ma si poteva
notare che su qualcuno di questi erano state investite piccole somme per
riparazioni sommarie o dar loro una mano di intonaco colorato.
Nessuna soluzione se non demolire
Veronika Kamenickà, consulente locale dell'Agenzia Governativa per l'Inclusione
Sociale, attiva nel quartiere dalla fine del 2012, non vede molti spiragli di
speranza. Secondo il suo parere, la città non possiede quasi più edifici, perché
negli anni '90 privatizzò tutto il possibile: "Qui non esiste il concetto di
housing sociale. Presto altre 40 famiglie potrebbero finire per strada, e le
conseguenze sarebbero una crisi di nervi per qualche operatore di ostelli
residenziali. La città non ne possiede neanche uno sotto gestione propria."
Kamenickà spiegava che dato che i proprietari non si curano dei loro edifici, il
comune murava per ragioni di sicurezza gli ingressi al pian terreno, cercando di
recuperare i costi dai proprietari stessi. "Non solo non si prendono cura di
niente," diceva, "ma non vengono mai assicurati alla giustizia."
"L'intera via di Na Nivàch ospita 20 edifici vuoti, tutti dello stesso
proprietario, che quando li acquistò promise di fare qualcosa per risistemarli.
Poi è emigrato in Svizzera, da cui è scomparso questo febbraio. Se la città
dovesse demolirli, costerebbe circa 20 milioni di corone [792.000 euro]. Così si
preferisce appendere fuori un cartello che vieta l'ingresso," dice Kamenickà.
Alla domanda su cosa si dovrebbe fare del ghetto, da una risposta laconica: "Lo
demolirei. Non c'è altra soluzione."
Mi ucciderei se me li portassero via
Dopo essere stata 10 giorni nella palestra, la famiglia Chervenhàk si traserì in
un ostello nel quartiere Kràsné Brezno. Non volevano spostarsi nel primo posto
che capitava, perché avevano paura di rimanere bloccati lì. I lughi corridoi
scuri erano vuoti, eccetto che per gli scarafaggi.
Dice Iveta: "L'assistente sociale minacciò di sottrarci i bambini se non fossimo
andati lì. I miei figli sono la cosa più cara che ho. Mi ucciderei se me li
togliessero."
Un altro fatto spiacevole fu che i burocrati municipali li informarono
immediatamente dopo il trasferimento, del cambiamento del loro indirizzo di
residenza. Le stesse autorità che avevano minacciato di portar via loro i figli,
premevano perché sulle loro carte di identità venisse subito registrato che ora
risiedevano ed erano a carico del municipio di Ustì nad Labem. "Altrimenti
avremmo perso i benefici sociali," spiega Iveta, ovviamente esausta e prossima a
perdere la speranza.
Miroslav Brozh dell'associazione Konexe è stato spesso a fianco delle famiglie
dopo il loro trasferimento forzato nell'ostello, facendo del suo meglio per
svolgere lì il proprio lavoro comunitario. E' un'attività volontaria, che per il
momento non sembra essere altrimenti strutturata. Passa il suo tempo con la
gente dell'ostello, ascoltandoli e facendo del suo meglio per consigliarli.
E' fortemente critico verso People in Need, che accusa di inazione e di essere
collegata con le alte cariche cittadine. Zuzana
Kailovà, attuale vice sindaco di Ustì nad Labem, è una ex dipendente di People
in Need.
Raccomanda: "Fate due passi attraverso Predlice, dove hanno lavorato per 10
anni, e parlate con i Rom di lì. La loro immagine brillante e PR cadrà in 10'
come un castello di carte."
All'inizio di tutto questo scandalo, Brosh fece del suo meglio per attivare gli
altri residenti di Nové Predlice. Voleva fare pressione verso il municipio sui
problemi del quartiere. Sottolineava che erano diversi i palazzi che avrebbero
potuto collassare da un momento all'altro. Fece del suo meglio perché il
problema non fosse ridotto al solo edificio di via Beneshe Lounského.
Si chiede Brozh: "Questo è un problema strutturale. Le OnG sono obbligate ad
essere fedeli ai gruppi che hanno influenza sulle concessioni delle sovvenzioni;
sono dipendenti dall'appoggio politico. Ciò contraddice la loro lealtà a questi
clienti impoveriti, i cui diritti spesso vengono calpestati proprio dai medesimi
gruppi. Chi si assumerà la responsabilità della catastrofe di Predlice?"
Brozh ritiene che la situazione delle comunità romanì impoverite si stia
deteriorando giorno dopo giorno e, quel che è peggio, che il deterioramento stia
accelerando. Presumibilmente, a prescindere dall'applicazione delle politiche di
integrazione sociale o dagli sforzi delle associazioni civiche.
Nell'ufficio della sezione di Ustì di People in Need siedono due impiegati, Vìt Kuchera
and Jakub Michal, che mostrano abbastanza rassegnazione. Descrivono la
catastrofica situazione e spiegano che l'attuale maggioranza è meglio di quella
precedente. Difendono il classico approccio al lavoro sociale, criticato da
Brozh, in cui i soggetti, come modello di funzionamento, vengono trattati su
base individuale.
Inoltre considerano controproducente l'attività di Brosh. Pensano che "sollevi
inutilmente speranze esagerate" tra la gente. Considerano un successo che si
possa mantenere lo status quo. Spiegano: "Stiamo facendo del nostro meglio per
mantenere la riconciliazione sociale."
Non parlate coi giornalisti
Il comune di Ustì nad Labem è tristemente noto perché i suoi consiglieri ed
impiegati con comunicano coi media. Secondo i giornalisti del luogo, dipende da
tendenze municipali poco trasparenti, ma il metodo del silenzio è stato
applicato anche in questo caso, che il municipio vede solo come un piccolo
scandalo. Mentre la consigliera Zuzana Kailovà
(Partito Socialdemocratico Ceco - CSSD) mi rispondeva al telefono, subito mi
indirizzava verso l'addetta cittadina alla stampa, appena le chiedevo
dell'edificio in via Beneshe Lounského, riattaccando il telefono.
Il sindaco era indisponibile e anche gli altri dipendenti municipali rifiutavano
di parlare, mentre altri condizionavano il loro consenso ad un'intervista solo
su autorizzazione dall'alto. Tutti mi riferivano di rivolgermi all'addetta
stampa. Il direttore dell'Autorità sui Lavori Edili, che naturalmente non è
parte dell'amministrazione ma dipende dallo stato, mi disse apertamente: "Mi è
impedito comunicare coi media, chieda all'addetta stampa."
Romana Macovà, l'addetta stampa, per telefono si disse d'accordo ad incontrami,
ma richiamandomi un'ora dopo: "Ho parlato con la signora Kailovà," disse.
"Non è possibile che le mi faccia le domande, mi mandi una mail e vedremo."
Dopo che le domande furono inviate, arrivo la seguente risposta: "Le invieremo
una risposta appena possibile. Per cui, non c'è bisogno di incontrarci domani."
Le risposte arrivarono effettivamente qualche giorno dopo ma, naturalmente,
erano inutilizzabili perché troppo vaghe.
L'unica occasione in cui i cittadini di Ustì nad Labem possono farsi sentire, è
durante le sedute consiliari, accessibili al pubblico. Ovviamenti, gli
interessati devono sorbirsi diverse ore di dibattito prima che il punto "varie
ed eventuali" venga trattato e siano in grado di porre le loro domande.
Iveta Jaslovà ha preso parte alla riunione di dicembre, assieme a molti parenti
ed attivisti. Dopo aver cercato di ascoltare ore di interventi riguardo milioni
di corone, alla fine ha preso la parola con altri cittadini impegnati sulla
situazione di Predlice. La risposta suscitata dall'intervento, però ha mostrato
come i socialdemocratici siano sotto stretta supervisione dell'opposizione, che
li ha criticati per spendere soldi nello spostare gli occupanti nell'edificio
della palestra, per mandarli solo dopo nell'ostello.
"Ritengo che vadano aiutate le persone che lo meritano," ha insistito un
consigliere del partito Salute Sport e Prosperità (Strana Zdravì Sportu a Prosperity).
"La seconda cosa che vorrei chiedere è quanto questa azione costerà ai
contribuenti." Secondo lui, se altri si fossero trovati in una situazione
simile, nessuno se ne sarebbe curato.
"Il nostro compito era di aiutare questa gente," spiegava Kailovà, trovandosi
improvvisamente nella posizione di chi aveva fatto "troppo" per gli evacuati.
L'intera operazione non era costata che 200.000 corone [7.900 euro]. Il
municipio cercherà di recuperare il costo da Klement Buncìk, il proprietario
della villa di lusso che non parla coi giornalisti e non si cura delle sue
proprietà. Mentre lasciamo la seduta, qualcuno dice a bassa voce: "Qui si
occupano di milioni e stanno a lesinare quando si tratta di 200.000 corone."
Solo tre giorni per lasciare Kràsné Brezno
Lunedì 28 gennaio 2013, l'appena creata Alloggio per Tutti ha tenuto una
manifestazione di fronte al ministero del lavoro e degli affari sociali.
L'ostello di Kràsné Brezno sarebbe stato chiuso a fine mese, per i debiti
dell'operatore e l'incapacità di prendersene cura.
Diverse centinaia di persone hanno preso parte ad una dimostrazione pacifica.
Verso la fine, una quindicina di attivisti si sono diretti verso il palazzo
ministeriale per "parlare" col ministro, senza successo, e per sollevare
l'attenzione dei media, cosa che invece è riuscita.
Qual è la situazione del diritto alla casa? La Repubblica Ceca ha firmato la
"Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali.
Adottandola, lo stato ha riconosciuto il diritto di ognuno ad un etto sulla sua
testa. Il governo è responsabile verso la comunità internazionale per applicare
gli obblighi derivanti dalla Convenzione," ha detto nel comizio Anna Shabatovà,
presidente del Czech Helsinki Committee. Questo spiega perché una manifestazione
per il diritto all'alloggio si è tenuta di fronte al ministero del lavoro e
degli affari sociali.
Secondo l'art. 35 della legge sui comuni, un comune ha lo scopo di creare
condizioni per lo sviluppo dell'assistenza sociale e soddisfare i bisogni dei
propri cittadini. Quando il comune non adempie ai suoi obblighi, la
responsabilità di farlo ricade sullo stato. Lo stato garantisce che nessuno
dovrebbe finire in mezzo a una strada. Dice la legge: "Ciò riguarda
primariamente soddisfare le esigenze abitative, tutela e sviluppo della salute,
trasporti e comunicazioni, la necessità dell'informazione, l'educazione dei
figli, lo sviluppo culturale complessivo, la tutela dell'ordine pubblico."
Dove? Ovunque! Forse all'Hotel Freedom
Il 30 gennaio c'era tensione all'ostello. Si immaginava che il giorno dopo la
polizia venisse a sgomberare, e le famiglie avevano anche paura che gli
assistenti sociali avrebbero portato via loro i bambini. Quel mercoledì
arrivavano mano a mano anche gli attivisti, e la sera con gli occupanti avevano
concordato un comune atteggiamento. Veniva delineato uno scenario critico, se le
famiglie allargate fossero state divise.
Se fosse successo, ognuno dei nuclei familiari si sarebbe trasferito in
un appartamento differente. C'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò - uno non
aveva il riscaldamento, l'altro mancava di elettricità, altri avevano affitti
troppo alti. Una famiglia si trovava di fronte al rischio di capitare in un
malfamato ostello dal poetico nome di "Freedom Hotel".
A Ustì nad Labem ci sono diversi ostelli dedicati a clienti socialmente
svantaggiati. Non offrono grande confort anche se gli affitti sono abbastanza
cari. I loro operatori sono specializzati soprattutto nella raccolta degli
affitti, nient'altro. Freedom Hotel è uno di questi.
La mattina dopo la confusione nell'ostello era ancora maggiore. Tutti erano
nervosi. I bambini battevano sui tamburi portati dagli attivisti e le
percussioni risuonavano in tutto l'edificio. Alcuni degli occupanti che facevano
parte della famiglia Chervenhàk e ancora non sapevano dove sarebbero andati, o
che erano rischio di finire in appartamenti troppo cari e degradati, erano
parecchio stressati. Uno degli uomini commentava con rabbia ciò che
accadeva intorno a lui: "Sono venuti qui a suonare, ma non abbiamo un posto dove
vivere!"
Col passare delle ore l'atmosfera diventava ancora più opprimente. Tuttavia,
erano infondate le preoccupazione per un raid della polizia - che non intendeva
intervenire - il loro portavoce aveva anche elencato una lista di posti dove gli
occupanti avrebbero potuto trasferirsi.
All'inizio della settimana, People in Need aveva disdetto unilateralmente
l'accordo di collaborazione con le famiglie dell'ostello. In un comunicato
stampa emesso giovedì, diceva che le famiglie avevano rifiutato nove
appartamenti adeguati. Per quanti osservavano la situazione dall'esterno, il
comunicato era la conferma che le famiglie allargate fossero irriconoscenti, ed
il sentimento antizigano contro di loro veniva rafforzato da altre informazioni.
Il comunicato di People in Need veniva utilizzato anche dal vicesindaco Kailovà.
Dopo che gli attivisti avevano fatto del loro meglio per incontrarla venerdì
mattina, lei aveva convocato i giornalisti davanti al municipio, leggendo loro
una dichiarazione che accusava le famiglie di aver rifiutato dozzine di
appartamenti offerti loro, in quanto erano state manipolate dagli attivisti.
"E' una bugia," rispondeva Iveta, ma non c'era nessuna sala, riunione,
trattativa per dibattere. Dopo aver letto la sua dichiarazione, Kailovà
aggiungeva poche parole e se ne andava. Le porte del municipio si chiudevano con
l'inizio del fine settimana.
I Chervenhàk si difesero dalle accuse. "Mai sentito di nessuna lista e nessuno
ci ha offerto appartamenti. Abbiamo chiesto per telefono a People in Need di
cercarne e ne abbiamo trovati due. Uno era distrutto e l'altro era di un mafioso
(in italiano nel testo, ndr.)," spiegava Iveta Jaslovà.
La situazione peggiora tra venerdì 1 febbraio e sabato 2. Venerdì la CPI
scollegò elettricità, acqua e riscaldamento. Gli attivisti riuscirono a
recuperare una stufa a gas e una bombola per alimentarla. C'era preoccupazione
che il Dipartimento dell'Assistenza Sociale e la Protezione Infantile potesse
prendere in custodia i bambini. Sabato gli attivisti contattarono il Centro di
Consulenza per la Cittadinanza, perché non avevano un avvocato e la situazione
sembrava disperata.
Un avvocato del Centro di Consulenza si consultò con loro e altri impiegati del
centro coinvolti in una frenetica ricerca di appartamenti. Quella sera il
direttore di un edificio recentemente ristrutturato si presentò con sua moglie
all'ostello. Avevano seguito lo scandalo attraverso i media, e offrivano uno
spazio agli occupanti.
Un lieto fine per il momento, ma con altri episodi sulla strada
Lunedì 4 febbraio le ultime famiglie hanno lasciato l'ostello per la nuova
residenza. Nonostante la vittoria, alcuni degli attivisti sono tornati a casa
con sentimenti contrastanti.
"Non consideravamo che potesse anche finire male, che avrebbero potuto portare
loro via i bambini," confidava un attivista di Praga. Altre riflessioni
riguardavano la mancanza di preparazione durante tutto l'evento, il fatto che
non fossero presenti avvocati e che non ci fosse un progetto su cosa si voleva
fare.
Miroslav Brozh traccia un bilancio tutto sommato positivo di questa frenetica
esperienza: "Lentamente, stiamo iniziando a capire cosa sia successo a Kràsné Brezno.
Sinora eravamo stati da criticare per i vicoli ciechi e le proposte che non
portavano a niente, adesso sappiamo di essere capaci di risolvere queste
situazioni," conclude.
Un momento triste di tutta questa vicenda è stato l'incapacità delle
organizzazioni e delle iniziative civiche nell'unire le proprie forze per
risolvere la situazione. I comunicati stampa volavano violenti e veloci, e non
era facile per osservatori esterni orientarsi su chi effettivamente si desse da
fare e chi sfruttava il lavoro altrui.
La scena della sinistra radicale è all'inizio di un viaggio. Sinora, i suoi
attivisti non avevano dedicato molta attenzione ai problemi dei Rom impoveriti.
Sembra che qualcosa stia cambiando. Dalle conclusioni sul manifesto pubblicato
alla fine della vicenda, possiamo aspettarci sviluppi interessanti:
"Saremo stronzi, disturberemo e cattivi con chiunque neghi a chi è povero,
dignità e diritti. Comunicheremo quanto abbiamo imparato a Kràsné
Brezno. Torneremo nei posti dove meno i potenti si aspettano e dove la gente in
fondo al barile intende battersi per i propri diritti e una vita dignitosa, per
i diritti dei loro figli, per la casa e contro il razzismo. Poi torneremo
tranquilli, metteremo da parte le nostre bandane e nelle tenebre ci manterremo
vigili."
Di Fabrizio (del 18/02/2013 @ 09:10:14, in media, visitato 2206 volte)
Lunedì 25 febbraio, ore 18.00
Biblioteca Crescenzago via don Orione 19 - 20132 Milano
Introduce e modera: Paolo Melissi (associazione Pluriversi)
Fabrizio Casavola (autore di Vicini Distanti) con alcuni abitanti del campo
rom comunale di via Idro, tutti nei panni degli imputati, risponderanno alle
vostre domande su perché gli zingari siano colpevoli di ogni malefatta. Se
avanza tempo, si racconterà anche come si vive e cosa si fa in un campo rom, e
sul rapporto che si è creato col mondo intorno.
Vicini Distanti (edizioni Ligera - 2012) è la cronaca di 20 anni di vita di una
comunità rom da sempre presente a Milano. Attraverso interventi di mediatrici
culturali, insegnati, giornalisti, dei Rom stessi, scorrono i vari aspetti della
loro vita: infanzia, scuola, lavoro... con gli innumerevoli tentativi, alcuni
riusciti e altri meno, di instaurare un dialogo e un modo di convivere con la
città attorno.
Dello stesso autore:
-
Luoghi comuni, guida turistica semiseria ai segreti, le
bellezze, i monumenti del campo rom comunale di via Idro.
-
Cocci: viaggio nell'Italia del 2012
PluriVersi è una associazione di promozione sociale che dedica le sue attività
al benessere psicofisico delle persone, e alla qualità dell'abitare e del
fruire di un luogo. Si occupa di promozione della culture e di valorizzazione
del patrimonio, ma anche di servizi per il benessere della persona, organizzando
servizi di supporto. L'associazione opera utilizzando un approccio
pluridisciplinare e pluriculturale.
Di Fabrizio (del 19/02/2013 @ 09:07:44, in media, visitato 1383 volte)
La rabbia civile di Danis Tanovic' di
Nicola Falcinella | Berlino 15 febbraio 2013 -
Osservatorio Balcani & Caucaso
Un'immagine tratta dall'ultimo film di Danis Tanovic'
Si chiude domani la 63esima Berlinale. E tra i premiati potrebbe esserci il
bosniaco Danis Tanovic', con una storia che racconta il dramma di una famiglia
rom bosniaca. Lo abbiamo incontrato a Berlino
Tanovic' perché ha scelto di fare un film su questa storia?
Ero arrabbiato. E la rabbia mi ha fatto tornare a quando facevo i documentari
durante la guerra. Come può succedere che in un Paese dove durante la guerra si
rischiava la vita per salvare degli estranei, una donna rischi di morire e
nessuno la aiuta? Sono padre e marito e mi chiedo come possa succedere. Che
siano rom è casuale. Ci sono tante famiglie così in Bosnia. Là tanti sono
discriminati. Io non lo sono e sono fortunato. Ma in Bosnia non si può fare
niente, non ci sono strategie, non si pensa al futuro, non c'è un sistema
sanitario.
Come ha girato?
Ho avuto la folle idea di far recitare loro due. Avevo 10.000 euro e mi sono
detto: con un budget così piccolo, se funziona bene, se no pazienza. Ero
totalmente libero, non avevo produzione o limiti. Ho chiamato il mio direttore
della fotografia Erol Zubcevic', il suo assistente e pochi altri. Filmavo la
loro vita, li seguivo mentre mangiavano, gli dicevo di fare quel che dovevano
senza fare caso a me. Non c'è stata quasi messa in scena, quando dovevano
ricostruire l'episodio accaduto lo giravamo una o due volte, perché alla terza
avrebbero iniziato a recitare. Per il resto non c'erano luci, non c'era trucco,
non c'era catering: sul set solo con il direttore della fotografia e il fonico.
Il resto della piccola troupe stava in una stanza di fianco al freddo o fuori.
Purtroppo anche nel fare un film sono sempre i soldi a fare la differenza. Non
volevo aspettare due anni per mettere insieme una produzione, volevo girare
subito, così ho scelto questa soluzione. Ho fatto un film da boy-scout, il primo
sorpreso di essere in concorso a Berlino sono io. Zubcevic' [direttore della
fotografia di "Snijeg" e "Buon ano Sarajevo" e a Berlino anche con "A Stranger"
di Bobo Jelchic'] quando ha saputo che era presidente di giuria Wong Kar-Wai si
è arrabbiato perché lo ama e non voleva fargli vedere questo film.
I protagonisti del film sono tutti quelli reali?
Tutti tranne i dottori, per ovvi motivi, che ho preso tra i miei amici. Non ci
sono effetti, non c'è nulla, è tutto reale. Nazif aveva davvero fatto a pezzi la
sua auto per vendere i rottami così abbiamo dovuto comprare un'auto molto simile
per smontarla. Sono rimasto sbalordito quando l'ho visto. Non avevo mai assisto
alla scena di uno che taglia la sua auto con l'accetta.
Com'è lo stato d'animo dei bosniaci ora secondo lei? C'è ancora l'energia del
dopoguerra?
Il mood è sul depressivo, ma anche altrove non è che ci sia allegria. Però c'è
ancora una grande vitalità nella gente. Nazif mi piace perché combatte: i
protagonisti non sono per niente patetici perché lottano, ed è il motivo che me
li fa amare. Penso di essere una persona aperta, sono di sinistra, ma il mio
contatto con i rom era limitato agli incontri per strada quando mi lavavano il
vetro dell'auto o mi chiedevano soldi. Sono grato a questa famiglia per avermi
fatto entrare nel loro mondo: sono persone orgogliose, buone. Da noi le persone
sopravvivono perché si aiutano, ci sono ancora le relazioni familiari e di
vicinato. Un po' come accadeva in Italia prima che diventaste ricchi. Ma ora
state tornando indietro.
Aveva qualche modello di altri film mentre girava?
I miei film preferiti sono italiani, quelli vecchi, i classici. In questo caso
ho pensato a "Ladri di biciclette". Piango ogni volta che lo rivedo.
Il film uscirà in sala?
Č difficile distribuirlo, ne sono consapevole. Il pubblico chiede
intrattenimento, non vuole andare al cinema per vedere la vita reale, purtroppo.
Quanto aiuta vincere l'Oscar?
Aiuta molto se sei a Hollywood. A me al massimo danno un posto migliore in
aereo. Sono uno straniero, sono un regista bosniaco, uno si aspetta che sia
milionario e faccia film che costano milioni. Invece ogni volta è difficile e
bisogna ricominciare.
Su cosa sarà il prossimo film?
Non dico nulla, se non che sarà diverso. Già venerdì (oggi, ndr) inizio a girare
qui a Berlino per qualche giorno. Č una città molto affascinante, per me è come
New York, è bella, ha un'atmosfera impressionante, soprattutto la notte. Č
l'unico posto in cui mi sento a casa già prima di essere sceso dall'aereo.
E il suo impegno politico? Continuerà con il suo partito?
Mi sono dimesso dal Parlamento un mese fa perché dovevo fare il film. La
politica prende tempo, è un impegno grosso, richiede energie e io sono un
filmmaker. Ma la Bosnia è piccola, si è tutti vicini, per me la politica è
essere cittadino, far parte della comunità. E i miei amici e compagni di partito
continuano a lavorare per cambiare il paese, per estendere i diritti, anche ai
rom. Oggi se non sei musulmano o serbo o croato non hai rappresentanza e
dobbiamo cambiare.
Si sente ottimista o pessimista sulla Bosnia?
Sono profondamente ottimista e profondamente pessimista. Ho una relazione di
amore e odio con il mio paese, ci sono tornato a vivere da cinque anni, ho i
miei genitori, i miei amici. Anche i caffè sono importanti, a volte parliamo,
altre volte stiamo in silenzio e ciascuno legge il giornale per conto suo. Sono
un modo per stare insieme. Mia moglie è francese e si sorprende, ma noi stiamo
zitti senza che sia un problema puoi rimanere in silenzio solo con la gente con
cui stai bene.
Il festival e Tanovic
Danis Tanovic'
Una storia realmente accaduta, interpretata dagli stessi protagonisti della
vicenda reale. Č la soluzione adottata dal bosniaco Danis Tanovic' per
raccontare il dramma vissuto da una famiglia rom bosniaca. "Epizoda u dzivotu
beracha dzeljeza - An Episode in the Life of an Iron Picker" è il quinto
lungometraggio del regista di "No Man's Land" e "Cirkus Columbia" ed è in
concorso alle 63 Berlinale che si conclude domani sera. Al fianco di quello
Tanovic' vi è un altro film dei Balcani, il romeno "Poziţia Copilului - Child's
Pose" di Cialin Peter Netzer. Entrambe pellicole che hanno chance di premio, il
romeno soprattutto per l'interpretazione di Luminita Gheorghiu madre assillante
di un trentenne che ha causato un incidente stradale.
Tanovic' racconta invece di Senada e Nazif, che vivono con due figli piccoli nel
remoto villaggio di Polijce. Č inverno, fa freddo, c'è un po' di neve. In casa i
bambini guardano la televisione ma non c'è legna per la stufa. Il padre, che
lavora raccogliendo rottami di ferro con un parente, va nel bosco, taglia un
albero, lo fa a pezzi e ne porta alcuni per riscaldare la piccola abitazione.
Una scena semplice che dichiara tutto: la famiglia vive di pochissimo, non ha
nulla da parte, non può programmare, la coppia deve continuamente risolvere i
problemi quotidiani man mano che si presentano. Senada da parte sua prepara da
mangiare, accudisce i bambini, lava a mano i vestiti. Mentre stende il bucato,
la donna si sente male, cade, si rialza, è sola, raggiunge il divano e si mette
a riposo. A quel punto lo spettatore scopre che Senada è incinta per la terza
volta. I dolori non passano, il marito rientra, si interessa a lei, che resiste
stoicamente. Solo quando è troppo tardi salgono tutti sull'auto scassata per
raggiungere Tuzla.
Dall'ambulatorio la mandano all'ospedale, il bambino è perso, ma è necessario un
intervento chirurgico. Per chi non è coperto da assicurazione sanitaria
l'operazione costa 980 marchi (490 euro) e va pagata in anticipo. I medici sono
impermeabili alle richieste e alle preghiere dell'uomo, preoccupato per la
moglie. Ai due non resta che tornare mestamente a casa tra mille sofferenze di
lei. Nazif si mette a raccogliere ferro più che può, ma recupera pochi marchi.
Fanno un secondo tentativo in città ma va a vuoto, neppure l'intervento
dell'associazione che aiuta i rom può nulla. Non resta che chiedere a una
parente che ha la polizza e tentare all'ospedale di Doboj.
Č un film molto bello, molto intenso, che fa sentire allo spettatore,
fisicamente, la dedizione e l'affetto di lui, vero protagonista, e la sofferenza
di lei. Un film minimale e aderente ai personaggi, uno stile che sembra
documentaristico ma non lo è, Tanovic' si discosta molto dai precedenti per
cercare l'essenziale, il nocciolo del rapporto tra i due, fatto di piccoli
gesti, intese tacite, una relazione rafforzata dalla condivisione delle
sofferenze. E in più le discriminazioni e soprattutto l'esclusione sociale: i
soldi salvano la vita.
Un film che ha qualcosa del Vittorio De Sica di "Ladri di biciclette" e "Umberto
D", che ricorda "La morte del signor Lazarescu" di Cristi Puiu per l'odissea
sanitaria, il cinema del pedinamento dei fratelli Dardenne e la testardaggine
dei ragazzini dei film iraniani anni '90 di Abbas Kiarostami o Jafar Panahi.
Nazif chiede aiuto ma non pietà, ha una grande dignità, una caparbietà senza
pari. E il regista lo mostra tal quale, nella sua vita reale, senza orpelli e
senza ricatti morali. Non c'è commiserazione ma c'è compassione, nel senso che
l'ora e 20 scarsa di film è di sofferenze insieme ai protagonisti. E il finale è
un ricominciare nella sopravvivenza.
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