Alla fine degli anni '80 Danilo Dolci, educatore, poeta e attivista della
nonviolenza italiana, lanciò un'iniziativa per la costituzione di un manifesto
sulla comunicazione. Spaventato dal nuovo modo di comunicare dei media e del
potere da essi generato, Dolci propose di ridefinire il significato di
comunicazione, intesa come possibilità aperta a tutti di parlare e strumento di
crescita e creatività di una persona. Il manifesto sulla comunicazione non
violenta di Dolci ci guiderà nell'approfondimento di Terranave di questa
settimana, dedicato al comunicare e alle alternative alla comunicazione di
massa. In particolare parleremo di due scuole di pensiero: la comunicazione non
violenta e la comunicazione ecologica. In chiusura Lianka Trozzi nella sua
rubrica "A testa in giù" ci darà alcuni suggerimenti per realizzare regali di
natale sostenibili.
"Oggi più che mai saper distinguere trasmettere da comunicare è un'operazione
non solo mentalmente essenziale alla crescita democratica del mondo: la
creatività di ognuno, che si esplicita nel comunicare, se comunitariamente
valorizzata, acquista un enorme potere ora per grandissima parte sprecato".
Comunicare, legge della vita. Bozza di manifesto. Danilo Dolci
Quando nel 1988 Danilo Dolci lanciava l'idea della costituzione di un manifesto
sulla comunicazione, al suo appello risposero moltissimi personaggi della
cultura internazione, da Chomski a Freire, da Levi Montalcini a Don Ciotti. La
necessità di contrastare una comunicazione a senso unico, incapace di suscitare
partecipazione e creatività, era palese a tutti. Era più che mai indispensabile
fare qualcosa, prima che ci si abituasse del tutto a subire passivamente le
proposte del sistema. Insomma, per riprendere in mano le nostre vite bisognava
riniziare a comunicare, e non semplicemente a fare da ricettori di informazioni
veicolate dall'alto. "Senza comunicare non si può pianificare democraticamente,
organicamente, affrontando con
responsabilità, in modo salubre, i problemi" si legge nel Manifesto "non si
devono dare responsabilità civili, soprattutto nazionali e internazionali, a
persone non esperte nel vero comunicare".
Sono molti gli studiosi che oggi lavorano sulla comunicazione e
sull'interazione. Nei suoi viaggi per l'Italia Terranave è atterrata a Upacchi,
in provincia di Arezzo. Qui ha conosciuto Eva Lotz, facilitatrice in
comunicazione ecologica. Inventata dal terapeuta Jerome Liss, il fondatore della
scuola italiana di biosistemica scomparso solo poche settimane fa, questa
metodologia di basa sul presupposto che per raggiungere degli scopi collettivi è
necessario sapere gestire sia l'ascolto che il modo di mandare messaggi.
La comunicazione ecologia ha molti punti inc omune con la comunicazione non
violenta dello psicologo statunitense Marshall Rosenberg. Con questa definizione
Rosenberg intende il modo naturale di comunicare degli esseri umani. Secondo
questa teoria tutti gli esseri umani vengono al mondo comunicando in un modo
legato alla vita, ai propri bisogni, ai propri sentimenti, ma con il trascorrere
degli anni perdono questa capacità, confondendo sempre più l'osservare con
l'interpretare, il comunicare dal trasmettere.
Clicca qui per ascoltare la puntata di questa settimana di
"A testa in giù",
curata da Lianka Trozzi.
Di Fabrizio (del 31/12/2012 @ 09:04:08, in scuola, visitato 1694 volte)
ЕТНОСИBorsa di studio per Rom qualificato miglior studente in tre università
"Da bambina volevo diventare un medico e aiutare i malati. Sia perché mi
piace aiutare le persone, gli altri - ma anche perché questa professione è molto
redditizia", afferma Antonia Valentinova, che ha ricevuto un premio come
studente candidato di maggior successo medico.
E' stata adottata simultaneamente in tre facoltà di medicina - Sofia, Pleven
e Varna, con un punteggio molto alto. Ha scelto di studiare nella capitale. In
preparazione per gli esami, Antonia viene aiutata dal programma di borse di
studio per gli studenti di medicina e medici laureati rom - una iniziativa del
progetto "Rom Salute" - programma di borse di studio Roma Education Fund
e dell'Open Society Institute di Budapest, con i partner Amalipe
e Promedia. Il progetto mira a sostenere l'istruzione superiore degli
studenti rom, nelle specialità di medicina, farmacia, ostetricia, radiologia,
riabilitazione e gestione della salute.
[...] Oggi Antonia è convinta che il suo successo sia dovuto principalmente al
sostegno avuto dal programma. "Esplorando il mondo della medicina, da loro ho
imparato molto. Siamo stati e continuiamo ad essere una buona squadra con
insegnanti e colleghi, anche quelli in altre università," dice un'altra ragazza.
Sicuramente il sogno diventa più grande.
Antonia ha ricevuto una borsa di studio che copre costo di iscrizione, libri
di testo e articoli di cancelleria. Oltre a questo il supporto per gli studenti
delle
scuole superiori mediche e professionali e collegi e medici laureati, il
programma funge da mentore sul campo, per giovani accademici e professionali e la
loro formazione.
Sono stati premiati durante una cerimonia dei partecipanti al progetto il vice ministro della
sanità, Desislava Dimitrova, e il vice ambasciatore degli
Stati Uniti, Brian Dalton. Antonia si definisce una donna fortunata. Il suo
messaggio a colleghi ed amici è la sua frase preferita di Louis Pasteur: "La
felicità aiuta la mente ben preparata."
Il progetto ha ricevuto premi e studenti mentori - ". Yordanka Filaretova" Prof.
Ivaylo Tarnev coinvolti nel programma sin dal suo inizio, ostetrico-ginecologo
dottor Krassimir Kamburova Romanov e Galia, professore presso il Medical College
/ Salute
Di Fabrizio (del 01/01/2013 @ 09:01:35, in Italia, visitato 1564 volte)
Visto i tanti discorsi che si rincorrono, saprete cosa intendo per AGENDA.
Se non fosse così, intendo una serie di obiettivi su cui focalizzare lavoro
ed attenzione, scelti tra i tanti problemi che sono da affrontare.
Intendiamoci, la lista non è esaustiva (e può anche non essere condivisibile),
ma da un lato credo che vadano trovate delle priorità, e dall'altro soluzioni
che siano praticabili, possibilmente non vedano sprechi di fondi pubblici e
vadano in direzione della partecipazione degli interessati (che attualmente è
del tutto marginale). Che altro? Individuerei soluzioni che non siano
settoriali, o ghettizzanti, ma che possano essere condivisibili (e vedano il
contributo) anche della cosiddetta società maggioritaria, quei gagé con cui
bisognerà trovare un modo di convivere.
La parte piccante, in ogni ricetta, va servita a fine cottura: LA
PARTECIPAZIONE. In queste settimane c'è stato un rincorrersi di liste e
cartelli elettorali, candidati che fanno e disfano alleanze, programmi che
sembrano stati scritti 20 anni fa', e tutto ciò sta persino facendomi perdere la
voglia di votare. Più si adopera la retorica di sentire la GGENTE, più si dice
che siamo sull'orlo del burrone ed occorre lo sforzo di tutti, e più le
decisioni vengono prese in club ristretti ed inaccessibili per chi non ha in
tasca la tessera o la carta di credito giuste.
Non vorrei dire (ma lo dico lo stesso, perché a natale siamo tutti più
buoni, e natale è passato), ma... credo di aver già vissuto momenti simili:
i Rom e la loro situazione sempre più disastrosa, che diventano un trampolino di
lancio per le solite consorterie, chiuse nella loro inaccessibilità e vogliose
di rappresentare tutta la popolazione.
Da MAHALLA auguri di uno splendido 2013 (o che almeno sia meglio del
2012)!
Di Fabrizio (del 02/01/2013 @ 09:07:00, in Kumpanija, visitato 1475 volte)
Da ateo vorrei fare una domanda a chi ne capisce
più di me: esiste una differenza tra religione e credo? (i fondamentalisti
possono astenersi dal rispondere)
Ho un ricordo confuso di un missionario, una foto
che ritrae un giovane Gasparri (sì, proprio lui!) in un campo nomadi della
capitale. I missionari che ho conosciuto, credo fossero di una chiesa
concorrente, all'inizio in giacca e cravatta, poi hanno capito che l'abito da
lavoro andava cambiato. La testa no, quella era più difficile da cambiare.
Era difficile, perché c'è chi si avvicina ai Rom e
Sinti (o meglio, a quelli di loro che stanno oggettivamente male) pensando di:
avere di fronte una massa di
bambini troppo cresciuti da rieducare (esiste anche la versione
"missionario da combattimento": quello che vuole insegnare loro
come si deve comportare uno zingaro);
avere comunque a che fare con
gente che vuole assomigliare a loro, pensare come loro, parlare
come loro.
Senza calcolare che:
Zingaro non è sinonimo di
deficiente. Se qualcuno vuole assomigliare, pensare, parlare
come un missionario, è in grado di impararlo anche da solo;
ma si sa che al missionario piace
credersi indispensabile.
I Rom e i Sinti che stanno oggettivamente male,
chiedono una risposta IMMEDIATA ai loro bisogni. Il missionario offre per forza
soluzioni a lungo termine; e ce n'è bisogno, PER DIAMINE, ma occorre per forza
instaurare un DIALOGO, o un codice condiviso, altrimenti non si va da
nessuna parte.
Allarghiamo un momento il discorso: sento sempre
di più parlare di disaffezione alla politica: ecco... diciamo che io mi
fiderei poco di qualcuno che vedo una volta ogni uno-sei mesi, ma è talmente
innamorato della mia causa e della mia miseria da voler parlare e progettare
(progettare significa pensare) al posto mio. Un po' come essere soci: a
me la miseria e a lui i discorsi.
Ieri notte mentre in via Idro festeggiavamo
assieme un ennesimo san Silvestro, erano questi i pensieri che mi guastavano la
festa. Esattamente
un anno fa avevo scritto una cronaca piena di speranze ma, a parte abbracci,
bevute e scherzi, quest'anno si sentiva la differenza. Nessuna delle promesse
fatte si è realizzata in questo anno e la gente è stufa sino alla disperazione.
E' stufa e vede complotti e nemici ovunque. Non ci si fida dei vicini con cui si
è trascorsa una vita, ci sono genitori che di certe cose non parlano neanche coi
loro figli. Difatti quest'anno ognuno ha festeggiato per conto suo, mancava il
solito corteo di visite. Se questa è la situazione interna, che fiducia può
esserci verso chi è esterno?
Tutta la fatica di anni nel progettare ASSIEME è a
rischio, non tanto per il valore di quello che è stato raggiunto, ma perché le
due mentalità che non si sono incontrate potrebbero portare ad un risultato del
tipo:
i missionari insisteranno (fuori
campo) su quello che ora potrebbe diventare il LORO progetto;
e se pure questo si realizzasse
(in tempi biblici, suppongo) non ci sarà più nessuno degli
abitanti;
perché quello che attualmente è un
mantra (IL SUPERAMENTO DEI CAMPI) senza fondi a disposizione, si
sta realizzando gratuitamente rendendo i campi superstiti ancora
più invivibili del passato.
Poi, come in ogni credo, ci saranno (anzi, ci sono
già) guerre di religione: i Rom sfiduciati che tornano ai vecchi atteggiamenti,
associazioni che se la prendono col comune, comune che se la prende con qualcuno
dei due. Ecco, questo sì mi ricorda i bambini, quando in Idro facevo l'animatore
e non fare picchiare tra di loro le diverse fazioni era già un successo.
Ma sono passati vent'anni buoni, e nel mio doposbornia sto pensando di essere ancora allo stesso punto di allora. Non è neanche l'alcool: è da ottobre che ho cominciato a mandare affanculo a destra e sinistra. Adesso non saprei dove voltarmi, colpa dei vaffanculo, ma soprattutto di aver contribuito a mettere in moto tutto 'sto casino, senza sapere risolverlo. Servirebbero amici, dentro e fuori campo, ma amici veri. O che si mantenesse, ogni tanto, qualche impegno.
Di Fabrizio (del 03/01/2013 @ 09:09:34, in lavoro, visitato 1884 volte)
di Daniel Reichel e Giulio Taurisano
"Per trent'anni non ho mai lavorato. Niente. Ora che ho avuto la possibilità di
farlo, devo ammettere che mi manca. Molto". Giovanni (lo chiameremo così perché
ha chiesto di non mettere il suo nome vero) è un rom napoletano, con alle spalle
una vita in roulotte tra Napoli, Milano, Genova e Torino. Parla piano, con
lunghe e pensierose pause e l'inconfondibile accento partenopeo. La sua vita
nell'ultimo anno è cambiata radicalmente: ha trovato un lavoro, una casa e
guarda con velata fiducia al futuro.
Ma andiamo con ordine. Giovanni è arrivato a Torino con la moglie e le due
bambine piccole da oltre un anno. Vivono in camper e la situazione economica è,
usando un eufemismo, precaria. C'è la crisi e i soldi languono. "Vendevamo rose
in via Garibaldi ma poca roba. Oramai si fa attenzione ad ogni singolo euro".
Un aiuto, nella difficoltà, arriva dall'associazione Idea Rom Onlus. Costituita
nel 2009 da donne Rom delle comunità presenti nel torinese, Idea Rom lavora con
le diverse realtà per promuovere l'integrazione sociale. Tra le tante
iniziative, l'organizzazione ha dato il via nell'ottobre 2011 a "We Can", un
progetto realizzato per favorire l'inserimento nel mondo del lavoro per Rom
privi di occupazione (finanziato dalla Fondazione Compagnia di San Paolo).
Diciotto sono state le borse di lavoro attivate e quattro persone sono state
inserite in modo stabile nelle rispettive aziende o realtà lavorative. Un
successo vista anche la situazione italiana dove il precariato sembra quasi un
privilegio.
"Uno degli scogli da superare - mi spiegano le attiviste di Idea Rom - è la
diffidenza di uomini e donne verso un mondo che li ha abituati a non sentirsi
all'altezza. Talvolta la segregazione ha portato molte di queste persone a
immedesimarsi nella condizione di subumani, una condizione imposta dall'esterno,
dalla società". Questa svalutazione di sé nasce sia dalla crescente intolleranza
(si veda il pogrom della Continassa del dicembre 2011) sia, purtroppo, da un
atteggiamento eccessivamente paternalistico di alcune istituzioni. Per dare una
svolta a una situazione decisamente oltre il sostenibile, sembrerebbe
preferibile adottare un approccio che responsabilizzi i Rom di fronte ai loro
diritti e doveri. Dunque non offrire dei servizi emergenziali ad hoc ma spiegare
alle diverse comunità come usufruire dei servizi accessibili ad ogni cittadino,
senza differenziazioni.
Prigioniero di una sensazione di inadeguatezza, Giovanni in prima battuta
rifiuta la proposta di Idea Rom di lavorare come apprendista per una cooperativa
che lavora nei cimiteri. "Non avevo mai lavorato e non credevo di essere in
grado di alzarmi tutti i giorni e farmi otto ore consecutive. In un cimitero
poi!". Non sarebbe la prima volta che Giovanni rifiuta un lavoro. "Quando ero
ragazzino mi avevano offerto un lavoro da portinaio a Napoli ma non mi sembrava
una vita adatta a me". Vendere penne, raccogliere ferro, fare l'elemosina e
qualche furtarello sono le occupazioni principali di Giovanni. "Ora mi rendo
conto che quella non era vita. Tanti sacrifici pericolosi, torni a casa con la
paura degli sgomberi. Sei sempre in movimento". Nelle sue parole si legge il
rammarico per aver perso anni della sua vita, rincorrendo situazioni che oggi
gli sembrano insostenibili. Non c'è condanna né autocommiserazione, piuttosto la
consapevolezza di aver lasciato per strada delle possibilità che oggi invece
vuole cogliere. "Per fortuna ho cambiato idea sul lavoro al cimitero e ho
accettato. Mi sono detto, posso anche fallire ma almeno ci devo provare".
Non so quanti di noi non si farebbero remore nel decidere di lavorare in un
cimitero. O come direbbe il ministro Fornero, sarebbero choosy nel dover
affrontare un'esumazione. "Non volevo toccare i defunti all'inizio e ammetto che
stare al cimitero quando scendeva il buoi mi faceva paura", ricorda Giovanni.
Poi, gradualmente, tutto entra nella routine quotidiana, ci si abitua e anche un
luogo apparentemente poco ospitale per i vivi, diventa un normale posto di
lavoro. I datori di lavoro apprezzano la dedizione e l'impegno di Giovanni tanto
da nominarlo capo di una squadra. Gli affidano le chiavi del cimitero e si
fidano di lui. "La prima busta paga l'ho incorniciata - racconta sorridente
-
certo quando ho visto quanto trattengono di tasse, ho cominciato a capire perché
la gente si lamenta del fisco".
Non è solo il primo impiego a cambiare la quotidianità di Giovanni. Con l'aiuto
dell'associazione Idea Rom, con la moglie e le bambine riesce a sistemarsi in
una casa. Un'altra prima volta per lui. "I miei parenti hanno delle case giù a
Napoli ma io ho sempre vissuto in roulotte, con tutta la famiglia". All'inizio
le mura dell'appartamento, lo soffocano. "I primi giorni non riuscivo a dormire.
Mi mancava l'aria. Sapevo però che era la cosa migliore per la mia famiglia e
piano piano mi sono abituato". Quando gli chiedo cosa gli manca del suo passato,
risponde la famiglia. "Ero abituato ad avere attorno a me tutti i parenti e mi
piaceva questa sensazione di vivere tutti sempre a contatto. Comunque non
tornerei indietro. Questo è il futuro che voglio per le mie figlie".
Il suo contratto è finito a settembre e a dicembre dovrebbe rinnovarglielo.
Giovanni ha trovato una sua dimensione. "Sento sempre i miei colleghi, il mio
capo. Siamo rimasti in contatto e mi chiedono sempre quand'è che torno a
lavorare con loro". Lui aspetta fiducioso con la volontà di andare avanti sulla
nuova strada che si è costruito.
Enerida Isufi, 24 anni, vive Coriza. Una volta completati gli studi a Tirana in
due facoltà ha avviato la ricerca di un lavoro. Ha bussato a tante porte per
cercare lavoro nel suo profilo. E' laureata in relazioni pubbliche e
comunicazione, così come in diritto.
Enerida si è sacrificata molto per proseguire gli studi nelle due facoltà, ha
dovuto affrontare i pregiudizi e ha scavalcare muri, ma è riuscita. Però, a 24
anni, nessuno lo accetta. Io so perché: "Sono stati stabiliti stereotipi e pregiudizi in relazione a questa minoranza. Questa è una forma di discriminazione
dei casi più realistici, non capita solo a me, ma che è subita dalla maggior parte dei giovani
rom laureati", dice. Enerida è orgogliosa di appartenere alla
comunità rom. Mostra i casi specifici in cui si sono verificati rifiuti. La
ragazza si è assunta una grande responsabilità. Sta rompendo tabù e
stereotipi razziali creati per la comunità rom in Albania. Enerida ora vede la
vita come una doppia sfida di fronte ad un mercato del lavoro altamente
competitivo, ma anche per la sua origine. Non intende nascondersi o soprassedere,
vuole che essere rom sia per lei uno scudo e non una barriera.
Mentre si cammina sulla strada che è la stessa di tutti, ricorda che
tutti ignorano, e nemmeno prendono la briga di conoscere. Enerida è in realtà
una ragazza da ammirare. E 'orgogliosa della comunità di cui fa parte, vuole che
cadano i pregiudizi e non chi vi è sottoposto.
Di Fabrizio (del 05/01/2013 @ 09:01:24, in sport, visitato 1334 volte)
... ma soprattutto un BRAVO al Milan. Per due ragioni (le stesse che mi
hanno spinto a scrivere COCCI):
il razzismo non è un problema che riguarda solo chi ha una
pelle, una religione, diversa. Coinvolge tutti: neri e bianchi,
zingari e gagé;
una squadra, un collettivo, una società, non sono tali solo
quando c'è da dividere soldi e gloria, ma soprattutto nei
momenti difficili. Lo sono anche e soprattutto per difendere lo
stare assieme, che il bersaglio sia il fuoriclasse o un
raccattapalle. E si deve reagire ASSIEME.
E dato che non siamo ancora in par condicio, trovo che Renzo Ulivieri,
presidente dell'Assoallenatori,
centri perfettamente il punto: "E' stata una cosa importante, credo che
vada fatta anche nelle partite ufficiali. Credo che al di là della politica si
debba cercare di riappropriarsi del nostro 'mestiere' di cittadini. Purtroppo lo
abbiamo dimenticato, c'è una deriva ma tutti dovremmo chiederci: 'e io cosa ho
fatto per evitarla?'".
Basterà questo soprassalto di civiltà a contrastare secoli di malcostume?
Leggo:
Abbiamo ricevuto numerose mail di persone che confondono il sito del Pro
Patria Club con quello della società. L'oggetto delle mail è per tutti lo
stesso: come avere il rimborso per la gara interrotta.
In queste mail si coglie occasione per esprimere giudizi su quanto accaduto e
spesso ci si lascia un po' andare. Chiudiamo gli occhi, ma non su tutto, e
pubblichiamo quanto scritto da Milena T..... che scrive testuali parole:
[...]
La sottolineatura è mia. Le "testuali parole" le trovate sul sito del
Pro Patria Club.
Leggevo a Capodanno un articolo su MicroMega di
Barbara Befani: Quel che non si dice della Montalcini, in cui la tesi
grossomodo era che sulla stampa e sugli onnipresenti social network non ci si
dimentica mai di indicare se l'autore di una malefatta sia (a torto o
ragione) di etnia-religione ebraica, ma se si tratta della morte di un premio
Nobel da tutti osannato e rispettato (se escludiamo Grillo, Storace e gente di
solito poco politically correct), nessuno ricorda che questa premio Nobel,
scienziata, senatrice a vita e altro ancora era non solo di origine ebraica (per
quanto atea), ma in più riprese aveva pagato il suo essere ebrea.
Noto dai commenti (i commenti sono sempre indispensabili, anche quando si
ha niente da dire) che da una parte c'è la rimozione del fatto che IN
QUESTO CASO la sua origine sia scomparsa, dall'altra (i commentatori non
sono tenuti a rispondere nel merito, sono un po' come il sale nella minestra,
basta non abbondare) non sapendo che dire, si ritorni al vecchio argomento
(ho detto vecchio, non che sia giusto o meno) dei crimini israeliani.
Non prendete la mia chiusa come irriverenza verso un morto, ma mi
torna in mente un fatto di cronaca di un paio di mesi fa:
Audace colpo dei soliti ignoti - cioè quando c'è un furto spesso e sovente
appare la nota "si sospetta che il furto sia stato commesso da un gruppo di
zingari..." In quel caso dove forse i ladri sarebbero potuti risultare
simpatici, quella nota STRANAMENTE mancava.
Un deputato di Alba Dorata guida il secondo assalto in pochi mesi contro un
quartiere abitato da rom nel comune di Etolikon. La polizia arresta quattro
nazisti e ne ricerca altri nove.
Continuano gli attacchi degli squadristi di Alba Dorata contro gli immigrati e
le minoranze presenti in Grecia. L'ultimo assalto risale a venerdì, nella
località di Etolikon, nell'ovest del paese. Una settantina di persone, tra cui
alcuni abitante del piccolo comune, con il volto coperto da passamontagna o
comunque incappucciati, hanno attaccato un quartiere abitato in prevalenza da
rom, ed hanno incendiato sei case e quattro automobili. Non si ha notizia di
feriti nell'attacco, anche perché all'arrivo della squadraccia neofascista la
maggior parte degli abitanti del quartiere aveva abbandonato le proprie case.
A fornire la scusa ai neonazisti per il pogrom una lite, avvenuta poco prima,
tra due abitanti del paese e due rom, durante la quale un 24enne era rimasto
ferito. Poco dopo la Polizia aveva arrestato e portato in commissariato i due
cittadini di origine rom. Ma il tam tam aveva portato decine di persone davanti
al commissariato, e presto il presidio si è trasformato in spedizione punitiva.
Molti abitanti di Etolikon tendono a sminuire la gravità di quanto accaduto,
definendola una questione locale, una resa dei conti interna al piccolo centro.
Ma molti testimoni affermano che all'aggressione hanno partecipato parecchi
militanti di Alba Dorata, tra questi anche un deputato della formazione
neonazista al Parlamento di Atene, Konstantinos Barbarusis, da tempo attivo
contro i rom. Il che fa pensare che il pogrom fosse stato organizzato in
precedenza, in attesa di qualche occasione per poterlo mettere in pratica. Nel
mese di agosto, nello stesso comune di Etolikon, si era già verificata
un'aggressione di massa contro il quartiere abitato dai rom, e quella volta a
parteciparvi furono addirittura 200 persone, furono usate anche armi da fuoco e
ci furono 5 feriti tra gli aggrediti. Al deputato squadrista Barbarusis il
parlamento aveva già deciso di ritirare l'immunità parlamentare dopo che
nell'autunno era stato riconosciuto mentre partecipava ad una delle tante
aggressioni contro i venditori ambulanti di cui Alba Dorata si è resa
protagonista negli ultimi mesi.
Ed oggi la polizia greca ha arrestato quattro dei responsabile del pogrom anti
rom di venerdì a Etolikon, e ha avvertito che altri nove potrebbero essere
fermati nelle prossime ore.
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