Mykawartha.comPresentazione della storia degli zingari del luogo.
L'istallazione sulle Storie Dimenticate dell'artista JoEllen Brydon: gli zingari
a Bethany nel 1909
[...]
(BETHANY) Grazie ad Hollywood, la maggior parte della gente vede gli zingari
come romantici lettori di sfere di cristallo o ladri criminali. La premiata
artista JoEllen Brydon sa che non è così.
L'arte della residente di Mount Pleasant racconta le storie delle persone che
incontra - amici, vicini, stranieri - delle radici dei suoi antenati a County Tyrone,
Irlanda del Nord, e della gente nelle amate Cavan hills.
Nei suoi lavori ha anche ritratto con uno sguardo unico gli zingari, che
verranno presentati durante l'incontro annuale della Manvers Township Historical
Society, sabato 21 aprile nella sala da tea di Laura a Bethany.
La presentazione mette in mostra la sua installazione su larga scala, Storie
Dimenticate: Gli zingari nel 1909, illustrata con immagini dei suoi dipinti e
con fotografie storiche.
[Alcuni zingari] presero parte ad una migrazione di massa in Nord America alla
fine del 1800 ma non ricevettero un caldo benvenuto, nota la signora Brydon.
Forestieri dalla strana lingua, spesso venivano cacciati dai negozi, anche
quando avevano i soldi. Molti furono costretti a rubare, aggravando la loro
"cattiva reputazione".
Un gruppo poi emigrato negli USA ed in Messico, si trovò a passare la frontiera
a Sault Ste. Marie, arrivando alle Kawarthas nelle 1909.
"Inizialmente finirono a Bobcaygeon," dice la signora Brydon, notando che
presto venne chiesto loro di andarsene, e allora presero la strada per Peterborough.
Le autorità li intercettarono a Fowlers Corners. Gli uomini vennero arrestati.
Donne e bambini si accamparono a Morrow Park mentre gli uomini andavano in
tribunale. In seguito il gruppo lasciò Peterborough, seguendo la ferrovia e la
linea del telegrafo verso
Pontypool, dove si sistemarono in un grande insediamento in quella che oggi è Telecom
Road. Brydon non saprebbe niente di tutto ciò, se non avesse trovato una foto
nell'archivio del museo di Peterborough. Volendo saperne di più, si rivolse ai
giornali. Alla fine contattò Ronald Lee, Rom di nascita, autorità sulla cultura
rom ed oggi professore in pensione dall'università di Toronto.
"C'è voluto un anno per mettere tutto assieme," dice Brydon, che ha molto
apprezzato il suo aiuto. "E' stato così interessante. C'è stata una grande
copertura mediatica. Raramente si vede qualcosa emergere in questa maniera."
Lee ha poi introdotto Brydon ad alcuni dei discendenti di quel gruppo
sotto assedio.
Lei poi sviluppò l'installazione su larga scala che include 22 dipinti.
Brydon spera che quanti parteciperanno all'evento possano ottenere una migliore
comprensione dei Rom.
"Ho imparato tutto. Prima del progetto non sapevo niente," dice. "Spero che la
gente possa avere una migliore comprensione del mio lavoro e della cultura rom."
ReutersBy Marton Dunai
Budapest, 24/04/2012 - Se pensate che le parti riproduttive del suino
non possano finire nel menu di un ristorante chic, ripensateci
Per un ristorante aperto di recente nella capitale, le tube di Fallopio, da
secoli consumate solo dalla minoranza rom del paese, sono davvero una
prelibatezza.
Il ristorante, nascosto in una zona gentrificata dell'area interna di Budapest,
in un edificio centenario e fatiscente, va sotto il nome di Romani Platni,
che in lingua romanì significa stufa rom.
Parte sede del ristorante e parte esperimento sociale, intende aprire la cucina
rom agli Ungheresi, ed aprire gli Ungheresi ad una migliore comprensione dei
Rom, che sono stati fraintesi e discriminati per generazioni.
Strano lavoro intestino che intende sfidare percezioni radicate, dice Sandor
Orsos, 36 anni, che guida il progetto.
"Abbiamo cercato con grande impegno di evitare gli stereotipi e cucinare come
faceva mia nonna," ha detto di recente, mentre cucinava per 16 coperti. "Si
pensa che la gente fugga urlando sentendo parlare di ovidotti (tube di Fallopio).
Ma un gruppo è tornato appositamente per quel piatto."
Così ce l'hanno fatta. Richieste ad un macellaio di fiducia e ripulite, le tube
sono state cucinate con aglio, poi tagliate a pezzetti e fritte con pancetta sin
quando non si arricciano.
"E' nutriente come il maiale, ed ha un sapore squisito," dice Orsos. "La
consistenza ricorda il pollo; io non sono un grande mangiatore di maiale, ma
questo piatto mi piace molto."
Il cibo è un modo come un altro di comprensione culturale, e mentre la gente
viaggia in paesi esotici e rinuncia ai propri costumi per avvicinarsi a cucine
poco conosciute, hanno conoscenza zero o quasi dei loro vicini, continua.
Romani Platni intendeva favorire ciò a livello locale. Ha aperto lo scorso
febbraio grazie ad un piccolo contributo dell'Open Society Institute, ad un
gruppo di volontari e ad una mezzo dozzina di romnià locali in cucina.
Tramite il suo recente blog, Orsos ha invitato un gruppo selezionato di amici e
amanti dell'eno-gastronomia per un primo pranzo, e per segnalare la cosa ai
media. Dice che avrebbe servito cena ogni sera che il posto, un centro giovanile
convertito con una piccola cucina, con pochi tavoli e una libreria, fosse stato
pieno.
L'idea è decollata più velocemente di quanto chiunque, organizzatori compresi,
avesse previsto.
Le cene settimanali di Romani Platni vengono prenotate con un mese d'anticipo, e
hanno avuto così successo che Orsos ha cominciato ad accarezzare l'idea di
tenere aperto tutti i giorni.
CAVOLO RIPIENO, MAIALE A PEZZI
"La gente è molto contenta di questi piatti," dice la capo-cuoca Malvin Nemeth,
o zia Malvina, una piccola romnì di 60 anni con un sorriso pieno di rughe ed una
voce arrocchita da decenni di sigarette a catena. "Prima abbiamo iniziato con
cavolo ripieno, braciole di maiale con pomodoro e peperoni, e patate hanuska
(gnocchetti)."
Hanuska è ancora in menu, e zia Malvina torna a bagnare le patate grattugiate e
le pepite di farina in grasso d'oca e cipolla fritta: uno stomaco pieno apre il
cuore, dice.
"I miei vicini avevano l'abitudine di venire a chiedermi, zia Malvina, cosa stai
friggendo?" dice. "Facevo assaggiare, ed eravamo amici. Eravamo buoni vicini...
Questi (gli ospiti), non conoscono la cucina zingara, ma sono (anche) curiosi su
cosa è."
Nel menu di sabato c'erano verdure al vapore con maiale affumicato, hanuska con
braciole di maiale all'aglio (Ganca), e pasta fritta nel burro e servita con
mollica di pane vanigliato e pesche al miele cristallizzato.
"Il cibo rom è molto semplice e pulito," dice Orson. "Oggi bio è sulla bocca di
tutti , ed il nostro menu lo è di sicuro. Per i rom è sempre stato così: uscire
per boschi, prendere qualcosa di selvatico, friggerlo e mangiarlo col pane.
"Roba semplice, nutriente, non troppo piccante. Le spezie sono costose ed i Rom
sono sempre stati troppo poveri per usarle."
Quando i clienti arrivano, Orsos mette musica rom dal suo smartphone, ed il
locale si riempie improvvisamente di allegria, calore e tranquilla curiosità.
Aspettavo un'iniziativa simile da tempo," dice Nora
Szabolcsi, 33 anni, esperta di finanza.
"Ho convinto i miei amici, che c'era qualcos'altro oltre alla musica di cui i
Rom potessero andare orgogliosi. Inoltre, mi piacciono le braciole di maiale. Le
verdure al vapore potrebbero essere un rischio, staremo a vedere.
A metà pasto, sorridente alza il pollice, e gli altri ospiti, alcuni dei quali
si erano portati il vino da casa, poco a poco si rilassano. Il chiacchiericcio
cresce. Qualcuno prende un assaggio delle sue braciole di maiale.
"Per la maggior parte del pasto li lasciamo da soli," dice Orsos. "Poi gli
ospiti vengono e spesso chiacchierano con le donne che hanno cucinato. Chiedono
le ricette e si complimentano, alla fine vanno a casa. Raramente è una faccenda
lunga."
Non è molto, aggiunge. Ma è un inizio.
(Reporting by Marton Dunai, editing by Paul Casciato)
Andrea Mochi Sismondi Confini diamanti Viaggio ai margini d'Europa, ospiti dei rom
pp. 254
€ 20,00
isbn 978-88-97522-21-8
il libro
Sutka, in Macedonia, è l'unica Municipalità al mondo in cui i rom sono in
maggioranza. Hanno un loro Sindaco e un loro canale televisivo. Una coppia di
italiani si imbatte nella comunità, si trovano a camminare per i suoi vicoli
dissestati con il fiato sospeso, si sentono ridicoli e fuori luogo spingendo a
fatica il loro passeggino Chicco con gli occhi sgranati. Eppure decidono di
tornare. Per viverci. Insieme al loro bimbo ribaltano il rapporto: come migranti
al contrario si fanno stranieri tra chi ovunque è straniero. Questa inversione
permette loro di partecipare alle lunghe discussioni tra i membri della
comunità, seguirne i rituali, confrontare i paradigmi, cercare di capire, fino a
essere sostanzialmente adottati da una famiglia rom. L'autore racconta in prima
persona l'evolversi di questo percorso, il progressivo svelarsi davanti ai suoi
occhi di quella human network che da Sutka si dirama in tutta Europa lungo le
strade dei familiari partiti. Incontro dopo incontro, i preconcetti portati
inconsapevolmente dall'Italia - buonisti o razzisti che siano - sbattono contro
la realtà, dimostrandosi insufficienti a comprendere la complessità di ciò che
si mostra. Ciò che traspare è un'opzione aperta: la possibilità di concepire
l'esistenza individuale, la pratica politica e la stessa Storia in un altro
modo. Un modo diverso, che non nasconde le sue contraddizioni e le sue miserie,
ma evoca potenzialità spesso inespresse o in molti modi tarpate.
l'autore
Andrea Mochi Sismondi (1977) lavora come attore e drammaturgo. Parallelamente
collabora allo sviluppo di forme innovative di comunicazione pubblica con il
Forum della Pubblica Amministrazione di Roma. Ha trattato il tema dei rom e
dell'identità europea negli spettacoli - scritti con Fiorenza Menni - Comune
Spazio Problematico e Hello Austria. Europa 2011.
Di Sucar Drom (del 02/05/2012 @ 09:53:54, in blog, visitato 1820 volte)
Mantova, teatro e musica contro il razzismo
Chitarra manouche, poesia e un buon bicchiere di vino rosso: l'atmosfera giusta
per musica e teatro, in occasione della European Action Week Against Racism, la
settimana europea contro il razzismo. L'Associazione Sucar Drom in
collaborazione con Arci Tom, presenta lunedì 26 marzo alle ore 21 una...
La fabbrica della paura. Media e immigrazione
E se la paura nascesse in redazione? Se alla base dei nostri timori ci fosse
proprio l’uso di parole come "vu cumprà" e "clandestino" o la scelta di
raccontare l’immigrazione in modo bellico, come "invasione" e "assedio"? E’ un
dubbio inquietante ma che vale la pena di affrontare come ha fatto Giulio Di
Luzio, giornalista e collaboratore...
8 aprile 2012, 41a Giornata Mondiale dei Sinti e dei Rom
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E’ ancora successo. E’ stranamente andato in fiamme l’insediamento rom di via
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Vicini e Distanti, cronache da via Idro
Questa mattina è arrivato all'Istituto di Cultura Sinta il libro "Vicini e
Distanti, cronache da via Idro" di Fabrizio Casavola, curatore di Mahalla. Il
libro è una cronistoria lucida ma appassionata della "vita pubblica" di alcune
famiglie italiane, appartenenti alla minoranza linguistica non riconosciuta dei
rom harvati, che vivono a Milano in via Idro, in zona nord-est praticamente al
termine di via Padova, non lontano dalla tan...
Svizzera, la copertina razzista del Weltwoche
La foto pubblicata sulla copertina del Weltwoche non ha alcuna relazione con la
Svizzera: venne scattata nel 2008 nella città di Đakovica (in albanese Gjakovë),
in Kosovo, dal fotografo italiano Livio Mancini. È stata venduta a Weltwoche da
un’agenzia che ha poi criticato l’uso fatto dal gio...
Alla scoperta dei rom d’Europa
"Siamo in Europa? Vorremmo sapere dove ci troviamo. Se siamo in Europa, perché
viviamo nel fango, perché non ci sono strade normali?" Il miglioramento delle
condizioni di vita dei rom, la loro inclusione sociale e la lotta alla
discriminazione incalzano nell’agenda dei Paesi europei...
5 aprile 2012 - I giudici hanno stabilito che lo sgombero dei Rom da un
insediamento a Sofia violerebbe i loro diritti umani.
Nella sentenza della Camera sul caso Yordanova e altri v. Bulgaria (ricorso
n. 25446/06), non definitiva, la Corte Europea per i Diritti Umani ha
stabilito, all'unanimità, che in caso di futura applicazione del
provvedimento di allontanamento nei confronti dei ricorrenti, ci sarebbe:
Una violazione dell'art. 8 (diritto alla vita privata e familiare) della
Convenzione Europea sui Diritti Umani.
Il caso riguardava il piano delle autorità di sgomberare i Rom da un
insediamento su un terreno comunale nell'area di Sofia chiamata Batalova
Vodenitsa. Il tribunale ha trovato che l'ordine di sgombero si basava su una
legge e relativa revisione in via di discussione, senza che fosse chiesto
all'autorità di bilanciare i diversi interessi coinvolti.
Fatti principali
I ricorrenti sono 23 cittadini bulgari che vivono nell'insediamento di Batalova Vodenitsa,
quartiere alla periferia di Sofia, che ospita circa 250 altri Rom. Arrivati e
qui insediatisi negli anni '60 e '70, spesso con le loro famiglie estese, gli
arrivi più recenti datano negli anni '90. Sono abitazioni improvvisate costruite
senza autorizzazione. Non ci sono fognature e acqua corrente. Chi vive lì
utilizza l'acqua di due fontane pubbliche.
Il terreno su cui si insediarono era inizialmente proprietà dello stato e dal
1996 è passato a far parte del comune di Sofia. I ricorrenti, come gli altri
abitanti dell'insediamento, non hanno mai cercato di mettere in regole le case
che hanno costruito. I ricorrenti lamentano di non poter richiedere la
regolarizzazione perché sono poveri ed isolati dal resto della società. Inoltre,
la legge in materia non consente loro di ottenere la proprietà delle loro case.
Non ci sono dubbi che quelle case non soddisfino i requisiti di base sulle
costruzioni e le norme di sicurezza, e non possono essere regolarizzate senza
una sostanziale ricostruzione.
Dall'inizio degli anni '90, in diversi quartieri di Sofia è cresciuta la
tensione tra i Rom degli insediamenti ed i loro vicini non-Rom. La questione è
stata ampliamente dibattuta e diversi politici si sono espressi per svuotare i
"ghetti rom" di Sofia. Sino al 2005, né lo stato né le autorità municipali hanno
cercato di traslocare i richiedenti e le loro famiglie.
Nel maggio 2006, il comune di Sofia trasferì la proprietà dei terreni
adiacenti a quelli occupati dai ricorrenti, a favore di un investitore privato.
Pochi mesi prima, il 17 settembre 2005, il sindaco distrettuale aveva imposto lo
sgombero forzato dei richiedenti, sospeso dai giudici in attesa della sentenza
d'appello. A gennaio 2006, il tribunale cittadino di Sofia dichiarò legittimo il
provvedimento di sgombero, in seguito confermato dalla suprema corte
amministrativa. I tribunali, ignorando l'argomento dei ricorrenti che uno
sgombero sarebbe stato sproporzionato, avendo loro vissuto nell'insediamento per
decenni, rilevarono che non avevano mostrato un motivo legale per occupare il
terreno e che il provvedimento di sgombero era legittimo.
A giugno 2006, il comune annunciò l'intenzione di sgomberare i residenti
illegali di Batalova Vodenitsa, ricorrenti inclusi, entro una settimana e di
demolire le loro case. Pressioni politiche, principalmente da componenti del
Parlamento Europeo, fecero sì che lo sgombero non avesse luogo. Tuttavia, il
sindaco dichiarò pubblicamente che non era possibile trovare una sistemazione
alternativa per gli abitanti dell'insediamento, dato che non erano registrate
tra i bisognosi di alloggio, ed il comune non poteva assegnare loro priorità
rispetto ad altri che erano in lista d'attesa da anni.
Il sindaco insisteva che il provvedimento di sgombero doveva essere eseguito,
ed il fatto che le famiglie rom non avessero dove andare fosse irrilevante.
Dopo un altro tentativo di rimuovere i richiedenti, a giugno 2008 il
tribunale indicò al governo che per il suo ruolo sulle misure ad interim, i
richiedenti non potevano essere sgomberati, fintanto che le autorità non
avessero assicurato al tribunale le misure da prendere per garantire l'alloggio
a bambini, anziani, disabili o persone comunque vulnerabili.
Il sindaco distrettuale informò il tribunale di aver sospeso l'ordine di
sgombero in attesa della risoluzione dei problemi abitativi dei residenti
nell'insediamento. Quindi la corte sollevò la misura cautelare. Nel contempo,
venne adottato un programma nazionale decennale per il miglioramento delle
condizioni abitative dei Rom in Bulgaria.
Un rapporto di monitoraggio del 2010 non registrava alcun progresso
nell'alloggio ai Rom. D'altra parte, i resoconti die media riportavano di
costruzioni per i Rom, in corso in diverse regioni della Bulgaria.
Decisione del tribunale
Art. 8 (diritto alla vita privata e familiare)
Il tribunale ha osservato che i richiedenti hanno vissuto per diversi anni
con le loro famiglie in case di fortuna, diventate la loro dimora, a prescindere
che essi le occupassero legalmente o meno. Se i richiedenti fossero espulsi dal
loro insediamento e dalla loro comunità, sarebbe quindi influenzata
negativamente la loro vita privata e familiare.
Il tribunale ha considerato legittimo che le autorità, ai fini dello sviluppo
urbano, cercassero di recuperare un terreno da chi lo occupava illegalmente. Non
c'è dubbio che le autorità avessero titolo in materia per rimuovere i
richiedenti che hanno occupato illegalmente terreno comunale. Tuttavia, per
decenni le autorità hanno tollerato gli insediamenti illegali rom a Batalova Vodenitsa.
Ciò aveva permesso ai richiedenti di sviluppare forti legami col luogo e
costruirsi lì una vita comunitaria.
Nonostante quanto sopra, ai sensi della Convenzione non c'era l'obbligo di
fornire alloggio ai ricorrenti. Tuttavia, in casi eccezionali l'articolo 8
prevede l'obbligo di garantire un riparo alle persone particolarmente
vulnerabili.
Il tribunale ha notato che a norma di legge, allora alle autorità municipali
non venne richiesto di considerare la sproporzione di un possibile sgombero di
quanti vivevano nell'insediamento, o dei vari interessi coinvolti. Il tribunale
ha rilevato un approccio di per sé problematico, dovuto alla mancanza di
rispetto del principio di proporzionalità.
In questo caso, non è in discussione che le loro case non incontrassero i
requisiti minimi sanitari e costruttivi, riguardo la sicurezza e la salute.
Nondimeno, il tribunale ha notato che il governo non ha mostrato metodi
alternativi per affrontare questi problemi, come legalizzare le costruzione ove
possibile, costruire fognature pubbliche ed impianti idrici, oltre a fornire
assistenza nel reperire un alloggio alternativo quando lo sgombero fosse reso
necessario [...].
Pertanto, l'affermazione del governo che lo sgombero dei ricorrenti fosse la
soluzione più appropriata, è stata indebolita.
Inoltre, prima di emettere il provvedimento di sgombero, le autorità non
avevano considerato il rischio che in questo caso i ricorrenti sarebbero rimasti
senza casa, dichiarando invece che si trattava di un rischio irrilevante.
Il tribunale ha inoltre sottolineato che,nel contesto dell'artt. 8, lq
specificità dei ricorrenti in quanto gruppo socialmente svantaggiato, come i
loro particolari bisogni, andavano considerati nella valutazione di
proporzionalità che le autorità nazionali erano obbligate a considerare, senza
averlo fatto.
Infine, per quanto riguarda l'argomento del governo secondo cui i vicini dei
ricorrenti si fossero lamentati di loro, il tribunale notava che alcune delle
lamentele, ad esempio quelle sui rischi sanitari ed i reati che sarebbero stai
commessi dai Rom, avrebbero potuto giustificare misure adeguate, se fosse stato
osservato il principio di proporzionalità. Le autorità non hanno indagato sulla
veridicità delle accuse. Tuttavia, parte delle lamentele contenevano richieste
illegittime.
Il tribunale ha concluso che l'ordine di sgombero del 2005 era basato su una
legge, e rivisto sotto procedura decisionale, nessuna delle quali richiedeva la
sproporzione rispetto allo scopo perseguito. Quindi ci sarebbe una violazione
dell'art.8 se venisse eseguito il provvedimento di sgombero.
Altri articoli
Il tribunale non ha trovato nessuna questione distinta riguardo all'art. 14,
e che non fosse necessario esaminare separatamente le altre obiezioni dei
ricorrenti.
Art. 46 (esecuzione del giudizio)
Il tribunale ha ritenuto che le misure generali che le autorità dovrebbero
adottare al fine dell'attuazione della sentenza, così da evitare violazioni
simili in futuro, debbano includere un cambiamento di legge e delle pratiche,
per essere certi che gli ordini di sgombero per terreni ed edifici pubblici,
anche in caso di occupazione abusiva, individuando chiaramente gli scopi
perseguiti dallo sgombero, dai diretti interessati e le relative misure che
garantiscano la proporzionalità.
Riguardo le singole misure necessarie a porre un termine alle violazioni e
per fornire una riparazione per qualsiasi danno causato ai ricorrenti, il
tribunale ha stabilito che l'ordine di sgombero del 2005 vada abrogato o
sospeso, in attesa di misure che garantiscano come le autorità si siano adeguate
ai requisiti della Convenzione, come chiarito nella sentenza.
Art. 41 (soddisfazione delle parti)
Il tribunale ha stabilito che la dichiarazione di violazione dell'art. 8
costituisce di per sé un'equa soddisfazione per qualsiasi danno non pecuniario
sostenuto dai ricorrenti. Per quanto riguarda costi e spese, ha dichiarato che
la Bulgaria dovrà versare 4.000 euro ai ricorrenti.
Di Fabrizio (del 03/05/2012 @ 09:49:44, in media, visitato 1375 volte)
Articolo di
Skinews (Tutte le notizie dal mondo della neve).
Cronaca da Argenta (che non mi risulta una
stazione sciistica, ma poco importa) con quattro capitoletti - oltre al
titolo e all'occhiello, 15 righe in totale - su una serie
di rapine nella cittadina.
In tutto questo spazio, furto da parte di zingari slavi viene
ripetuto 4 volte, 2 volte si aggiunge il
termine o albanesi, 3 volte si mette un forse
all'inizio.
Roma Buzz MonitorAutoemancipazione di una donna rom ungheresedi Laura Rahman
Non molti conoscono la differenza tra razza, nazionalità ed etnia. Molti di
noi considerano queste tre parole come similari. Sono nata e cresciuta
all'interno di un ghetto zingaro urbano in Ungheria. Nacqui che mia madre aveva
16 anni. Mio padre era un giovane delinquente. I suoi genitori erano scomparsi
ad Auschwitz e lui crebbe in affido. Non si è curato troppo della sua
origine etnica. Aveva adottato la vita dei Rom dove aveva famiglia e amici. In
Ungheria, parlavo ungherese e non avevo religione, causa il periodo comunista.
Ho frequentato le scuole ungheresi, imparato la letteratura e la storia degli
Ungheresi, ma vivevo nel ghetto zingaro di Budapest. Attorno a me c'erano
povertà e crimini, ma anche amore e molta arte in forma di musica e balli. A 20
anni, emigrai negli USA. All'inizio, ero persa. Non parlavo inglese, non avevo
famiglia, e neanche una religione che mi collegasse a qualche gruppo. Andai a
scuola per imparare l'inglese. Con me frequentava gente di tutti i tipi, ognuno
parlava la sua lingua e frequentava la propria gente. Mi chiedevano da dove
venissi. Dall'Ungheria, rispondevo. Poi mi chiedevano dov'è l'Ungheria.
Nell'Europa dell'Est. Volevano anche sapere che lingua parlavamo. Dicevo loro
che in Ungheria si parlava ungherese, e sentivo un orgoglio nazionale perché la
gente voleva conoscere il mio paese. Non mi è mai maturato di poter essere di
altra nazionalità che ungherese. Cinque anni dopo sono diventata cittadina
naturalizzata USA. Vivo a New York, sposata con un Indiano musulmano, con mio
marito ed i miei figli parliamo inglese, seguiamo l'Islam, vivendo come
qualsiasi ordinario cittadino USA. Americani medi, con una casa in periferia,
che guidano sempre per andare al negozio di alimentari, all'ufficio postale, a
fare la spesa settimanale nei grandi supermercati, che mangiano hamburger ed
inzuppano ciambelle. Mi sono pienamente adeguata alla nuova vita negli Stati
Uniti. Ora i bambini sono cresciuti e non richiedono più la mia totale
attenzione. La mia vita sociale ruotava attorno a loro. Andavo alle riunioni
scolastiche, li portavo alle attività extracurriculari come corsi artistici,
nuoto e tennis, incontrandomi e socializzando coi genitori dei loro amici. Ora
che ho tempo per me stessa, mi sto facendo domande sullo spirito. Mi sono
trovata in crisi d'identità. Così sono tornata al college, cercando di diventare
una persona importante, in grado di fare la differenza. E lì ho imparato alcune
cose importanti. Ho imparato che apparteniamo tutti ad un'unica razza umana, che
in qualche modo siamo tutti interconnessi, e che la nazionalità e l'etnia sono
fattori secondari della nostra identità umana.
Cosa significa essere zingaro? E' natura o educazione ("nature or nurture?"
nella versione originale ndr.)? Nasciamo per essere zingari o lo diventiamo
per fattori sociali ed ambientali? C'è molta speculazione sul patrimonio
ereditario zingaro. Non è di questo che voglio discutere. Il mio dilemma è cosa
sia essere uno zingaro nel mondo d'oggi. Sono necessari determinati requisiti?
Quali? E chi è l'autorità che ci dice se siamo zingari o no? Essere zingari per
fattori genetici non basta. Alcuni di noi hanno solo una percentuale di sangue
rom nelle vene, ma rimaniamo zingari. Noi popolo romanì siamo in viaggio da 1000
anni. Questo significa che abbiamo viaggiato nel mondo e ci siamo mischiati con
tutti i popoli incontrati per strada. Inoltre, un fatto impopolare è che in
Europa siamo stai schiavi per circa 500 anni. Significa, che le zingare erano
violentate, usate come schiave del sesso. Anche i bambini nati in quest'ambiente
diventavano schiavi. Se proveniamo dall'India, perché tra di noi ci sono Rom
biondi e con gli occhi azzurri?
Gli zingari sono una razza? La risposta è no. C'è soltanto una razza Umana,
cioè l'Homo sapiens. La razza è un trucco della genetica. La popolazione umana
mondiale condivide il 99,9% della genetica. La razza è natura e l'etnia è
educazione; cioè, caratteristiche di nascita contro patrimonio culturale. Lo
0,1% di variazione genetica è responsabilità delle differenti caratteristiche
umane, come il colore dei capelli e la struttura del corpo, il colore degli
occhi e della pelle. Ma lo stesso colore della pelle è fortemente influenzato da
fattori ambientali, quali la somma delle radiazioni solari. Ci sono tre distinte
razze umane e trenta sottorazze. I Rom appartengono alla categoria degli Ariani,
perché discendono dagli Indiani e parlano una lingua indo-europea.
Razze caucasiche; Ariani che parlano lingue indo-europee
Camiti, discendenti dalla progenia di Noè
Semiti-Ebrei, Arabi
Queste razze hanno sviluppato considerevoli variazioni fisiche tra una
popolazione e l'altra. Le caratteristiche fisiche di popolazioni ed individui
sono un prodotto dell'interazione tra geni ed ambiente. Per esempio: i propri
geni predispongono ad un particolare tono di pelle, ma il colore della pelle di
ognuno è fortemente influenzato da fattori ambientali quali la quantità di
radiazioni solari. La razza definisce anche le relazioni sociali. Tutti gli
esseri umani possono accoppiarsi tra di loro e mischiarsi, quindi siamo una sola
razza. Ho sentire dire degli zingari che vivono in mezzo a chi non lo è, che è
come mettere un asino in una mandria di zebre, all'asino no cresceranno le
strisce. Certo che no! Un giorno morirà, nessuna zebra si prenderà cura di lui,
sarà preso a calci e cacciato. Sarà respinto dal branco di zebre, perché l'asino
non è uno di loro. L'asino è di una razza differente dalla zebra.
L'etnia si riferisce all'identificazione sociale degli individui basata sul
loro patrimonio culturale e su caratteristiche comuni. I gruppi etnici possono
condividere antenati, lingua, cultura, nazionalità o religioni comuni, o un
misto di questi fattori. Per esempio, ci sono due tribù in Ruanda - gli Hutu e i
Tutsi. I componenti di entrambe le tribù si assomigliano, parlano lo stesso
gergo... Ma il governo belga etichettò i Tutsi (che allevavano bovini) come
superiori agli Hutu (che erano agricoltori), e questo ha portato a scontri
sanguinosi. Il punto è che gente della stessa razza ma con differenzi culturali
può dirsi appartenente a differenti etnie. Ecco un altro esempio: quando gli
Indiani migrano negli USA per studio o lavoro, sono etichettati tutti come
"Indiani", anche se provengono da parti differenti dell'India, con tutte le
differenze culturali e fisiche (per esempio: i nati nell'India del Nord hanno
caratteristiche fisiche differenti dai nati nell'India del Sud - e anche se sono
di etnie differenti, negli USA sono tutti etichettati semplicemente come
"Indiani"). Lo stesso succede al popolo romanì, anche se sembrano, agiscono,
parlano differentemente, anche se vengono da retroterra etnico diverso, sono
tutti etichettati solo come "zingari". La razza non si può cambiare. Ma l'etnia,
sì. Inoltre, l'etnia è influenzata da fattori culturali ed anche dalla
geografia. Abbiamo visto sopra come gli Indiani, che in India sono
differenziati etnicamente, siano considerati un popolo della medesima etnia in
un altro paese. Lo stesso nel caso degli zingari. Un gruppo etnico ha una sua
propria cultura separata. Chi appartiene ad una razza, lo è indipendentemente da
quali possano essere le sue differenze culturali. L'etnia è principalmente per
"cultura similare", mentre la razza è tutto quanto va riferito a caratteristiche
fisiche/biologiche.
Nazioni e Stati-Nazione
La nazionalità si riferisce semplicemente al paese dove sei nato. La nazioni
sono gruppi di persone culturalmente omogenee, più grandi di una sola tribù o
comunità. Condividono lingua, istituzioni, religione ed esperienze storiche.
Quando una nazione di persone ha uno stato o un paese proprio, viene chiamato
stato-nazione. Francia, Egitto, Germania, Giappone sono eccellenti esempi di
stati-nazione. Ci sono alcuni stati che hanno due nazioni, come il Canada e il
Belgio. Anche una società multiculturale come gli Stati Uniti sono uno
stato-nazione.
Stati e paesi indipendenti
Iniziamo col definire uno stato o un paese indipendente. Uno stato
indipendente:
Ha spazio o territorio i cui confini sono internazionalmente
riconosciuti (possono esserci controversi e di confini).
Ha popolazione che ci vive su base continuativa.
Ha attività economica ed un'economia organizzata. Commercio
nazionale regolato, sia interno che estero. Emette moneta.
Gestisce l'ingegneria sociale, come l'istruzione.
Ha un sistema di trasporti per trasferire merci e persone.
Ha un governo che fornisce servizi e ordine pubblico.
Ha sovranità. Nessun altro stato può esercitare l'autorità
sul territorio del paese.
Ha riconoscimento esterno. Un paese "votato nel club" dagli
altri paesi.
Nel mondo ci sono attualmente 196 stati indipendenti. Territori all'interno
di un paese o parti individuali di un paese, non sono paesi a sé stanti. Ci sono
nazioni senza stato come i Curdi. Per i Rom essere una nazione non è proprio
possibile a causa della loro dispersione nel mondo. I Rom non sono un popolo
omogeneo come i Curdi. I Rom non condividono le stessa storia, lingua, costumi,
cultura. Ogni suo gruppo etnico ha la propria identità culturale, di ciò che
chiamano la loro cultura.
Altre temi caldi tra Rom e non-rom sono l'assimilazione e l'integrazione.
Assimilazione significa assorbire le minoranze, che devono adottare lingua,
costumi e "valori" della maggioranza.
L'integrazione, invece, richiede l'accettazione delle leggi di un paese, dei
diritti umani come la libertà di parola, e dei diritti democratici fondamentali,
ma non richiede lo sradicamento di tutte le differenze culturali o identità di
gruppo: si concepisce come un processo a due vie, in cui si influenzano e si
modificano l'un l'altra tanto la maggioranza che la minoranza, ed in cui le
differenze possono convivere pacificamente fintanto esiste un comune impegno a
vivere assieme. La maggior parte dei Rom è già assimilata, molti i Rom integrati
persino nei loro paesi d'origine. Per molti, assimilazione ed integrazione sono
ancora una lotta. Una manciata di leader rom si oppongono ad entrambe. Se i Rom
vogliono sopravvivere nel prossimo millennio, assimilazione ed integrazione sono
un dovere. I Rom devono prendere un posto nella loro comunità, essere parte del
tessuto vitale del paese ospitante. Senza, saranno sempre vulnerabili ai
conflitti tra paesi ospitanti e stati confinanti.
Io, Laura Rahman, nata in Ungheria, cittadina naturalizzata degli Stati
Uniti, dichiaro che, io, appartengo alla razza Umana e sono di etnia Rom. La
conoscenza mi ha emancipato dall'avere qualsiasi dubbio sulla mia identità. Dopo
questa ricerca, chiaramente vedo le differenze tra nazionalità, etnia e razza.
Di Fabrizio (del 05/05/2012 @ 09:23:54, in conflitti, visitato 1620 volte)
Se ultimamente vi è capitato di leggere i giornali,
saprete che a in questi giorni la situazione per la comunità rom di Pescara è di una tensione estrema. Non so come
si possa uscirne. Un invito alla riflessione, grazie a NO(b)LOGO,
partendo da distante
Scrive Guadagnucci, e l'articolo è tutto da leggere, che: "emerge una certa
insofferenza per critiche e suggerimenti sulle pratiche di una corretta
informazione non razzista da parte di chi lavora sul campo".
Ed appunto l'insofferenza alle regole deontologiche dettate dalla
Carta di Roma
quello che fa scrivere a Giustiniani:
Tra le molte e utili raccomandazioni (non riprendere con la telecamera un
rifugiato o una vittima della tratta e non pubblicarne le generalità; nelle
notizie di cronaca nera assegnare lo stesso spazio e rilievo ai fatti in cui
autori e vittime del reato siano di origine straniera piuttosto che italiani) ve
ne sono però altre che personalmente mi lasciano perplesso. La 7.2 ad esempio:
"Si raccomanda di evitare l'utilizzo di termini stigmatizzanti, quali ad
esempio: badante, clandestino, zingaro, vu cumprà". Stigmatizzare vuol dire
disapprovare con "energica e indignata fermezza" (Devoto Oli), biasimare. Dunque
stigmatizzante significa, in buona sostanza, offensivo: lo spiego a me stesso,
perché non ho mai usato questo participio presente.
Ma quali sono i termini alternativi che il giornalista dovrebbe usare?
Non sono un professore come Giustiniani ("Phd in Humanities at Il Messaggero")
ma vi viene assai semplice rispondergli che nel 99,99% non andrebbe usato alcun
termine atto ad identificare etnia o nazionalità o religione o stato sociale.
Non è una questione linguistica ma è l'uso della stigmatizzazione etnica,
nazionale, religiosa che è da condannare.
Quasi mai si giustifica la caratterizzazione etnica nel titolare un articolo di
cronaca.
Ad esempio oggi "il Messagero" titola (adottando una doppia stigmatizzazione,
oltre quella etnica quella sugli ultrà) Giallo a Pescara, irruzione di rom in casa
Ucciso un ultrà biancazzurro di 24 anni
Solo nella Germania nazista qualcuno si sarebbe sognato di titolare "irruzione
di ebrei" o "giustiziato in casa dai giudei" in un episodio che vede
protagonisti personaggi della microcriminalità di religione o di origine
ebraica.
Invece per il giornalismo italiano è lecito titolare in questo modo ogni qual
volta ci sia uno "zingaro" coinvolto in un episodio di cronaca (ed anche quando
lo zingaro non c'è,
come nel caso del calcio scommesse), e l'effetto diretto è
il
vaso di pandora di commenti razzisti che si accumulano sotto all'articolo.
Ancora peggio è soffiare sul fuoco su una situazione come quella di Pescara dove
il circolo vizioso dell'intolleranza e dell'emarginazione sta diventando
esplosivo.
Segnalo un ulteriore esempio di sensazionalismo razzista, utilizzo sempre come
esempio un articolo de il Messaggero per ricollegarmi al commento di Giustiniani
ma anche in questo caso praticamente tutta la stampa cade negli stessi errori:
Quello che resta nell'opinione pubblica è solo quello che sommariamente si
evince dal titolo: gli zingari hanno centinaia (qualcuno ha scritto 5000) auto
di lusso nei campi e le usano per fare rapine.
Nella realtà nei campi Rom la finanza ha trovato solo alcune decine di
emarginati, sfruttati dalla criminalità organizzata, che non avendo niente da
perdere si sono venduti anche il nome fungendo da prestanome per il giro di auto
illegalmente intestate e che dai campi non sono mai passate.
Quando i giornalisti capiranno che la differenza da fare non è tra le parole
"zingaro" e "rom" ma quella ben più significativa tra delinquenza ed
emarginazione (che sono stati sociali tra loro correlati ma del tutto
indipendenti da etnia e nazionalità) sarà sempre troppo tardi.
Di seguito da Pescara parla Nazzareno Guarnieri,
del Comitato scientifico Centro studi e ricercAzioni Ciliclò. Intervista
realizzata da Radio Radicale, licenza Creative Commons attribuzione 2.5.
Comunicazione importante, sempre da Nazzareno Guarnieri:
Vi chiedo un favore, la situazione è molto grave. Non prendete iniziative
pubbliche in questa fase. Avremo bisogno del vs. aiuto nei prossimi giorni e ve
lo chiederemo, ma ora fateci lavorare in silenzio per cercare di raggiungere
alcuni obiettivi per l'incolumità fisica delle persone. Abbiamo già fatto molte
richieste alle istituzioni locali e nazionali che non possiamo rendere pubbliche
per far sì che vengano effettivamente accolte al momento giusto.
Deutsche WelleLa deportazione in Kosovo significa una vita di
miseria
La deportazione in Kosovo dalla Germania spesso minaccia la salute fisica
e mentale dei giovani, recita un nuovo rapporto UNICEF. Ardian Canaj è stato
rimpatriato contro la sua volontà e, dice, ora vive in miseria.
17/04/2012 - Peja nel Kosovo occidentale è una miserabile baraccopoli che
affoga nell'immondizia, cumuli di spazzatura vengono bruciati senza cura per
le strade. Qui è dove
Ardian Canaj dovrebbe sentirsi a casa. Il ventenne è nato e cresciuto in
Germania, ma sette mesi fa è stato deportato nel paese natale dei suoi genitori.
"Sono andato a scuola in Germania, ma ora è finita. Devo lavorare per pagare
l'affitto," spiega Canaj. Guadagna appena 100 euro al mese - un affitto ne costa
120. "Qui mi sento terribilmente. Non ho una famiglia, nessuno vicino. Non vedo
un futuro per me," dice.
Un adolescente su quattro vorrebbe uccidersi
Nel 2009 la Germania ha ottenuto il permesso di deportare i Kosovari. Il
Kosovo era considerato sicuro a sufficienza per il ritorno. Così, nel 2010, il
ministro tedesco degli interni
Thomas de Maizière firmò un accordo di rimpatrio con la repubblica del Kosovo,
che prevedeva il ritorno di circa 12.000 membri di gruppi di minoranza nei
Balcani - tra cui 6.000 bambini e ragazzi. L'UNICEF, l'organizzazione dell'ONU
per la protezione dell'infanzia, afferma che la deportazione dei giovani va
fermata se si minaccia la loro salute fisica e mentale.
E' quasi sempre questo il caso, secondo il rapporto UNICEF "Male silenzioso",
uscito a Berlino a marzo di quest'anno. "Molti adolescenti soffrono di
depressione," dice Verena Knaus, sociologa dell'UNICEF. "Ci sono bambini che
sono in stati d'ansia e che addirittura contemplano il suicidio. Un adolescente
su quattro vorrebbe uccidersi."
I problemi sono visibili
Shkëlzen Rama si chiede cosa può offrire il Kosovo a quanti sono stati
rimpatriati
Shkëlzen Rama, 52 anni, proviene dalla zona dove ora vive Canaj ed è stato
spesso testimone delle sofferenze dei bambini deportati. "Difficilmente possono
integrarsi nella società. Se sei nato e cresciuto in Germania, semplicemente non
parli albanese." E poi ci sono le differenze degli standard di vita, dice. "I
nostri figli non chiedono che una fetta di pane e peperoni dolci, ma cosa
possiamo offrire ai giovani cresciuti in occidente, abituati a pizza e gelato?"
Povertà e discriminazione
Il Kosovo è il paese più povero d'Europa, con un tasso di disoccupazione del
40%. Ma non è soltanto la povertà a rendere difficile la vita di Canaj - la sua
situazione è resa più grave dal fatto di essere un Egizio kosovaro. Serbi ed
Albanesi li chiamano zingari - un termine adoperato anche per le comunità Rom e
Askali. Gli Egizi kosovari ritengono di essere originari dell'Egitto, mentre gli
Askali dicono di essere venuti dalla Persia. Poco dopo la guerra tra Serbia e
Kosovo, i membri di tutti e tre i gruppi furono espulsi dagli Albanesi, che li
accusavano di aver collaborato con i Serbi. Oggi, Rom, Askali ed Egizi kosovari
sono ancora oggetto di discriminazioni nella loro vita quotidiana.
La deportazione distrugge le famiglie
Faruk Kelmendi ora vive senza la sua famiglia
Si aggiunga che molti di quanti sono stati deporatti, come il ventottenne Faruk Kelmendi,
trovano difficile affrontare la separazione dalle loro famiglie. Arrivò nin
Germania che aveva otto anni, assieme ai suoi genitori.
"Da quando sono dovuto tornare in Kosovo, semplicemente non ho potuto fare
niente. Non avevo lavoro o un tetto e ho dovuto dormire ogni volta nei posti più
strani," dice. "All'inizio, mia moglie mi ha aiutato finanziariamente, ma alla
fine ci siamo lasciati. Lei è ancora in Germania con nostra figlia e io sono qui
- la distanza era semplicemente troppa per mantenere il nostro rapporto." Ora
Kelmendi è completamente solo.
Povertà e solitudine - questi sentimenti dominano le vite di molti che sono
stati deportati dalla Germania. Anche Canaj le conosce bene. "Darei qualsiasi
cosa per poter tornare in Germania," dice. "Là ho lasciato dietro tutta la mia
vita."
Author: Ajete Beqiraj / nh Editor: Andreas Illmer / mll
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