Un nuovo ed esaltante progetto artistico è attualmente in corso a Bódvalenke,
Ungheria del nord.
Agli artisti è stato chiesto di affrescare le pareti delle case, in
quella che è un'area socialmente svantaggiata, dove di 210 abitanti il 90% è
Rom. Il budget annuale a Bódvalenke è di 30 milioni di fiorini (circa 100.000
euro), utilizzato principalmente per il funzionamento dell'ufficio del sindaco,
assegni sociali e progetti di lavori pubblici, senza lasciare soldi per lo
sviluppo del villaggio.
I pittori rom ungheresi hanno già completato 13 stupendi disegni sulle
pareti.
Artisti rom di tutta Europa ora sono stati invitati a Bódvalenke per
partecipare al progetto.
Gli elaborati verranno prima giudicati da una giuria selezionata. A quei
pittori le cui opere verranno scelte, verranno forniti vernici, pennelli, vitto
e alloggio e verranno coperte le spese di viaggio. In aggiunta, verrà fornita
una borsa di studio, a seconda delle dimensioni del lavoro, della media di 1.000
euro.
Qualsiasi aiuto sarà grandemente apprezzato. Quanti siano interessati,
dovrebbero inviare le loro proposte (meglio in formato PDF) a Eszter Pásztor at
epasztor@enternet.hu
Di Fabrizio (del 17/02/2011 @ 09:20:14, in Italia, visitato 1411 volte)
La tesi dello scrittore Luca Cefisi autore di un'inchiesta sui minorenni
zingari. "O risolviamo il problema oppure tra vent'anni quarta e quinta
generazione cresciuta nell'illegalità e nella segregazione".
I bambini rom si salvano solo insieme alle loro famiglie. E i campi nomadi sono
uno spreco di denaro pubblico. Anzi, peggio. Rappresentano un modello di
segregazione. E tra vent'anni il problema si ripresenterà. Allora, che fare?
Semplice: dare a questa gente un'opportunità, trovargli un lavoro e lanciare un
piano di edilizia sociale che riguardi tutti i "poveri", italiani e non.
Insomma, rendere autonome le famiglie zingare. Luca Cefisi, che ha appena
pubblicato per la Newton Compton il libro-inchiesta "Bambini ladri" e ha
collaborato alla stesura delle legge sull'immigrazione della Regione Lazio,
sfata i luoghi comuni e invoca iniziative politiche coraggiose per risolvere
definitivamente la "questione rom".
Lei non crede negli affidamenti dei minori che vivono in baracche? "I bambini si salvano con le famiglie. Č un'ipocrisia sostenere che la mamma
ventenne è cattiva e il figlio di tre anni è buono. E la pressione sugli affidi
non è sincera, rappresenta una sorta di genocidio mascherato".
Ma se vivono in condizioni di degrado? "Allora anche gli scugnizzi che vivevano nei bassi napoletani andavano tolti
alle madri...".
E se rifiutano l'assistenza? "Che assistenza? Dare un alloggio a mamme e bimbi ed escludere i padri è un
meccanismo ricattatorio. Č chiaro che non l'accettano".
Gli sgomberi sono una soluzione? "Prendiamo molti rom fuggiti dall'ex Jugoslavia nei primi Anni '90. Con il
regime comunista avevano almeno una casa. Qui si sono ritrovati alle periferie
della grandi città senza accoglienza e assistenza. I loro figli sono cresciuti
senza patria, status sociale, residenza. Vogliamo illuderci che se li
tormentiamo con gli sgomberi se ne andranno? E poi sia Amato che Mantovano,
sinistra e destra insomma, hanno ammesso che non sono rimpatriabili. Sarebbe
solo un criminale spreco di risorse e di speranze".
Parliamo di risorse. Molti
pensano che i soldi per i rom siano sprecati...
"Alemanno chiede 30 milioni per
i campi, un errore condiviso dalle giunte di centrosinistra, perché costano
molto e spingono alla segregazione. Si spende denaro non per risolvere il
problema, ma per perpetuarlo".
E allora? "Bisogna farli uscire dai campi, non concentrarli là dentro. Occorrono politiche
che rendano autonome le famiglie per uscire dal bivio tra furti e accattonaggio.
Ci vogliono case e occupazione. Ma se vivi in un campo nessuno ti dà un lavoro".
Però anche molti italiani non hanno casa e lavoro. Č giusto privilegiare i rom?
"Se sono italiani sono uguali agli altri. Se non lo sono, bisogna decidere se
devono diventarlo o no. Il problema si risolve aiutando tutte le persone in
stato d'indigenza. Da quanto tempo a Roma non si fa un piano di edilizia
sociale? Non ci sono risorse e poi chiedi 30 milioni per i campi? Si potrebbe
spendere meno e dare a queste famiglie un assegno di povertà e un alloggio,
evitando così furti e accattonaggio. Altrimenti tra vent'anni avremo la quarta o
quinta generazione di rom cresciuti nell'illegalità e nella segregazione".
Maurizio Gallo - 12/02/2011
PS: So benissimo che tipo di giornale sia IL TEMPO, l'ho ripubblicato
apposta
Una volta che allacci un bottone sul tuo giubbotto in modo sbagliato, allora
tutto il tuo giubbotto è ovviamente abbottonato sbagliato, ha detto Rudolf Chmel,
il Vice Primo Ministro per i diritti umani e le minoranze nazionali, descrivendo
le tensioni che hanno circondato la Legge sulla Lingua dello stato della
Slovacchia. Il suo ufficio ha iniziato ufficialmente a lavorare con più forti
poteri il 1° novembre e tra le sue prime iniziative legislative c'è un
emendamento alla legge sulle lingue minoritarie che è stato presentato per la
discussione pubblica poco prima della fine del 2010. Il diritto di usare la
propria lingua madre, nonché i conflitti che scoppiano regolarmente tra
slovacchi e ungheresi e i problemi della situazione di esclusione sociale delle
comunità rom sono stati tra i temi che Chmel ha discusso con il pubblico
slovacco poco prima della vacanze di Natale.
The Slovak Spektator (TSS): La legge statale sulla lingua, che ha provocato
molta tensione tra ungheresi e slovacchi, è stata recentemente modificata. Come
ha fatto a percepire l'emergere del problema?
Rudolf Chmel (RCH): La legge statale sulla lingua è emersa come problema quando
è stata approvata dal governo di Vladimir Meciar nel 1995, perché ha un evidente
tono contro le minoranze, e soprattutto anti-ungherese, ivi comprese le
sanzioni. Ma il periodo precedente della situazione risale agli inizi degli anni
'90 quando una certa parte di nazionalisti si avvicinò con l'idea di protezione
della lingua di Stato, come se qualcuno stava ancora cercando di portarla via da
noi. In generale gli slovacchi sembrano che vivano ancora nel XIX secolo, nel
Romanticismo, quando il linguaggio doveva essere combattuto, o più tardi, quando
la magiarizzazione era parte delle politiche statali. Ma oggi la lingua slovacca
è una parte naturale dell'identità degli slovacchi e come tale non ha bisogno di
meccanismi repressivi giuridici per la sua tutela. E' fondamentalmente una
controversia tra chi vuole proteggere e lottare per la lingua e coloro che
vogliono prendersi cura di essa e coltivarla. Se c'è una minaccia per la lingua
slovacca, è a causa di ignoranti slovacchi e non degli ungheresi o altre
minoranze.
Il governo di Mikuláš Dzurinda ha liberalizzato la legge nel 1999 ed ha
approvato una legge sulle lingue minoritarie, così formalmente questi due
problemi sono stati modificati, ma la verità è che entrambe le leggi sono
imperfette - e quindi hanno bisogno e avranno bisogno di essere migliorate. Nel
2009 il governo di Robert Fico ha rinforzato nuovamente la legge, e praticamente
l'ha riportata di nuovo ai tempi di Meciar. La coalizione di governo attuale sta
cercando sia di armonizzarle che liberalizzarle - ossia, moderare la protezione
ed incrementare l'attenzione per entrambe le lingue, quella di stato e quella
delle minoranze.
TSS: Come ha visto la tensione che è emersa fra gli ungheresi e gli slovacchi
per la Legge statale sulla lingua?
RCH: La minoranza ungherese si occupa della questione della lingua in modo
diverso rispetto alle altre minoranze, come gli ungheresi, simili agli
slovacchi, vivono ancora con la convinzione che la lingua sia l'attributo più
importante della loro identità nazionale. E' vero, ce ne solo accorgiamo meno
quando si parla di minoranze. Quando si tratta della lingua, una minoranza è
naturalmente più vulnerabile ed in pericolo perché vive in un ambiente della
lingua in maggioranza ed è nel maggiore dei casi la lingua minoritaria piuttosto
che la lingua di maggioranza che è assimilata. Nel 2009, la legge statale sulla
lingua è stata reintrodotta nell'agenda nazionale inter statale
slovacca-ungherese, dal momento che le caratteristiche repressive della modifica
erano rivolte soprattutto contro la minoranza ungherese. Il governo ungherese ha
interferito e la bolla è cresciuta. In quel momento ho creduto che fosse
inutile, in quanto faceva parte della carta ungherese che il governo guidato da
Fico ha giocato nelle relazioni bilaterali con l'Ungheria. Ecco perché abbiamo
creduto che le misure restrittive dovrebbero essere eliminate. Dopo tutto,
c'erano pertinenti raccomandazioni internazionali che supportavano la nostra
posizione.
TSS: Ma le sanzioni che lei ha criticato in passato rimangono nella legge, anche
se in modo limitato. E' soddisfatto della soluzione che il parlamento ha
recentemente approvato?
RCH: Siamo venuti con le richiesta di rimuovere le misure restrittive sia sulla
legge statale sulla lingua, e nella legge sulla lingua delle minoranze, in
quanto le due leggi in realtà sono due facce di una stessa medaglia e, pertanto,
devono essere compatibili. L'emendamento alla legge statale sulla lingua è stato
proposto dal ministro della cultura perché compete al suo dipartimento. C'è
anche un dipartimento di lingua di stato presso il ministero della cultura che
supervisiona sul corretto uso dello slovacco. Questo è quello che ho cancellato
quando ero ministro della cultura (nel 2002-2005) perché mi sembrava troppo per
i funzionari ministeriali dire cosa è giusto e cosa è sbagliato nella lingua.
Per tutto questo abbiamo un'autorità accademica, L'istituto di linguistica
Ludovit Stur presso l'accademia slovacca delle scienze, come pure diversi
dipartimenti universitari. Non è dato agli ufficiali ed hai politici il
codificare il linguaggio. A parte questo, credo che la legge statale sulla
lingua, dovrebbe essere una legge di solo valore simbolico e non dovrebbe essere
utilizzata per qualsiasi repressione o minaccia.
Così è stato necessario emendare la legge, ma è più facile a dirsi che a farsi,
come i vecchi pregiudizi nazionalisti e i traumi che hanno lavorato nelle
relazioni fra slovacchi ed ungheresi per decenni, permangono nella coscienza
politica slovacca sia nazionalistica che democratica, quella che attualmente
governa il paese.
Ora i nazionalisti da Smer e dal Partito Nazionale Slovacco (SNS) dicono che la
legge è servile a Budapest, dall'altro lato i nazionalisti ungheresi criticano
il governo slovacco dicendo che la legge continua a perseguitare le minoranze.
Quindi di solito i nazionalisti partono dalle stesse piattaforme, rimanendo
solamente uno contro l'altro. Ma credo che se le sanzioni sono state eliminate,
la legge sarebbe piuttosto buona. Usando il termine "sanzione" o "ammenda" in
relazione al linguaggio, è un intervento drastico nella società, come la lingua
è un affare molto intimo, molto personale dell'identità umana come dell'identità
di una comunità più grande. Qualsiasi repressione in quella zona interferisce
con l'identità umana. Dopo la nostra ultima modifica, le repressioni verranno
utilizzate solo in campo ufficiale, molto formalmente, ma penso che siano
completamente ridondanti. C'è stato un sollievo significativo in diversi settori
della comunicazione pubblica, per esempio in uffici di auto-governo o negli
uffici di polizia. Il rilievo è ancora più grande nel settore della cultura. Ma
la legge ancora non contiene tutti i provvedimenti che potrebbero essere
necessari.
TSS: Ora tenterà anche di modificare la legge sulle lingue minoritarie, che
dovrebbe per molti aspetti allargare il diritto delle minoranze ad usare la loro
lingua madre – una misura che spesso incontra resistenze da parte dei politici
in Slovacchia. Perché c'è una mancanza di volontà tra i politici della
Slovacchia per questo?
RCH: E' necessario modificare la legge sulle lingue minoritarie da quando
abbiamo modificato la legge statale sulla lingua e queste due leggi devono
essere compatibili. Abbiamo inoltre stabilito come uno dei nostri obbiettivi sia
un concetto più ampio della politica per le minoranze in termini giuridici.
Vogliamo farla finita con la discordia tra le due lingue, come la legga statale
sulla lingua ha interferito negli usi delle lingue minoritarie, in particolare
dopo che il governo di Fico l'ha modificata. Ciò doveva essere rimosso perché
l'uso delle lingue minoritarie è disciplinato dalla legge sulle lingue
minoritarie e non dalla legge statale sulla lingua. Le raccomandazioni
internazionali hanno parlato con la stessa voce che questa discordia dev'essere
rimossa.
Per rendere compatibili le due leggi, ora ci sono le sanzioni introdotte nel
progetto di modifica della legge sulle lingue minoritarie perché ci sono già
delle sanzioni nella legge statale sulla lingua. Se un membro della minoranza
non è in grado di far valere il suo diritto di parlare una lingua minoritaria,
possono lamentare l'istituzione in questione. Ma io personalmente credo che non
ci dovrebbero essere sanzioni in nessuna delle due leggi.
Ovviamente, per qualcuno dei miei colleghi questo suonava come un reato contro
la maggioranza slovacca, che le istituzioni slovacche potrebbero essere
sanzionate se un ungherese, un ruteno, un ucraino od un rom non possano ottenere
un'informazione nella loro rispettiva lingua. La mentalità slovacca, non pensa
se accadesse al contrario, ma quando è la maggioranza che deve essere punita,
tutto ad un tratto non ci piace.
TSS: Uno dei principali cambiamenti che lei sta introducendo nel progetto di
modifica della legge sulle lingue minoritarie, è abbassare il quorum per chi
parla la lingua minoritaria, dall'attuale 20% al 10%.
RCH: Tutte le raccomandazioni internazionali dicono che il quorum dev'essere
abbassato. Nel 1999, quando la legge è stata redatta per la prima volta, anche
il 20% sembrava troppo alto. Ma l'esperienza ha dimostrato che non è un buon
quorum, in quanto permette ancora di assimilare le minoranze. Le raccomandazioni
internazionali che abbiamo ricevuto parlano del 10%, sostenendo che le lingue
minoritarie richiedono maggiore protezione in quanto la loro posizione statale
non è uguale a quella della lingua nazionale. Ho il sospetto che non sarebbe
accettato facilmente da molti cittadini e politici ma il quorum proposto non è
così basso. Nota bene, non riguarda la minoranza ungherese, bensì le altre
minoranze. Attualmente, sotto il quorum del 20%, sono circa 520 municipalità con
lingua ungherese e, con il quorum abbassato al 10%, sarebbero altre 30, meno del
1% in più. Ma è interessante considerare che la minoranza tedesca, che è molto
più piccola. Attualmente, vi è un solo comune di lingua tedesca, Krahule nella
Slovacchia centrale, ma con il quorum del 10%, salirebbe da 10 ad 11
municipalità. Con la minoranza croata, si potrebbero influire due parti della
municipalità di Bratislava, Jarovce e Cunovo. Considerando la minoranza rutena,
proponiamo il conteggio insieme alla minoranza ucraina per finalità di utilizzo
delle minoranze linguistiche, il che significherebbe che persino la città di
Humenné diventerebbe ufficialmente bilingue.
Il problema con la minoranza rom, a questo riguardo, è che un'infrastruttura
completamente nuova per la loro lingua, avrebbe bisogno di essere stabilita. In
questo caso, dovremmo prendere in considerazione un modo per rinviare
l'implicazione pratica della legge per creare spazio per l'educazione
dell'intelligenza rom che sarebbe in grado di saturare questa infrastruttura.
Non è una cosa facile, che richiede anche un più alto budget per le municipalità
interessate.
TSS: Il suo ufficio si occupa anche di alcuni problemi legati alla minoranza
rom. Quali di questi consideri più seri?
RCH: L'agenda dei rom è attualmente distribuita tra diversi uffici e penso che
sia necessario un approccio più globale. Negli ultimi 21 anni lo stato ha
fallito nelle politiche sociali. Vi è una sorta di egoismo economico tra i
non-rom e le problematiche per ridurre la povertà dei rom. E da quando
nascondiamo le problematiche economiche ed i fallimenti dello stato, le
soluzioni che vengono proposte sono spesso razziste, ideologiche e dirette verso
i cittadini più poveri di questo paese.
"Le comunità socialmente escluse" è solo un bel nome per le baraccopoli, dove le
persone non hanno una possibilità di prendere una via d'uscita dal circolo
vizioso in cui vivono. E poiché non esiste un approccio globale per risolvere i
loro problemi, ma ogni ufficio lo risolve nel suo piccolo dipartimento – nella
sanità, nella scuola, negli affari sociali, nella giustizia – le soluzioni sono
sempre e solo parziali. Secondo me, non solo non abbiamo mosso il problema della
socializzazione reale delle comunità rom in avanti negli ultimi 20 anni, ma
abbiamo raggiunto persino "numeri rossi".
Attualmente sono soprattutto le associazioni civiche che si interessano di
questi problemi, sulla base della volontà di alcuni appassionati che operano
all'interno delle comunità rom, ma non c'è stato alcun approccio sistemico. Il
problema della minoranza rom non può essere risolto dal mercato, che alcuni
ritengono che sia in grado di risolvere tutto. Oltre a questo, tutti i programmi
per i rom che sono stati eseguiti fino ad ora, erano programmi a breve termine.
E questo problema deve essere risolto nel lungo periodo ed in modo esaustivo.
D'altra parte, la povertà estreme che non si vuol vedere in questo ambiente,
continuerà a generare costi sempre più elevati. Ma il denaro non è il problema
più grande. Il problema è che c'è una mancanza di un concetto a lungo termine ed
una mancanza di esperti di politica che proponga soluzioni.
TSS: I problemi delle minoranze rom non sono solo slovacchi e sempre più
influenzano l'intera Europa. Pensi che la cooperazione europea una soluzione
completa ed a lungo termine?
RCH: Se c'era qualche senso nella "soluzione" francese del problema, poi si
sarebbe attirata l'attenzione al carattere europeo del problema rom, dimostrando
che non è un problema di un paio di stati dei Balcani e dell'Europa centrale, ma
un problema che l'Unione Europea deve rifletter e risolvere. Se ignoriamo i
problemi dei rom in Romania ed in Bulgaria, questi si apriranno come una
questione irrisolta in Francia o in Italia e continuerà a crescere. Non possiamo
tenere gli occhi chiusi su questo. La UE attualmente ha attualmente molto più
gravi problemi economici e finanziari e non può quindi concentrarsi interamente
sulla questione rom, ma forse dovremmo essere uno di quelli che avrebbe spinto
l'agenda, soprattutto una volta che abbiamo un'idea. Uno dei problemi principali
che il governo sta affrontando adesso, è quello di trovare soluzioni chiave
all'agenda rom e di non far finta che questo problema non esiste o che non lo
possiamo vedere. Il problema è qui, ed è grave.
TSS: I suoi predecessori sono stati criticati per la cattiva gestione
dell'agenda rom. Saranno i poteri forti del suo ufficio a cambiare la percezione
critica del pubblico del vostro ufficio?
RCH: Questo ufficio porta sempre una certa sfida in esso – è in un certo senso
un ufficio virtuale, perché i suoi poteri non sono realmente tangibili, come i
diritti umani che sono ancora violati anche nelle democrazie, anche in
Slovacchia. Questo ufficio vuole servire come coordinatore dell'agenda dei
diritti umani, che di fatto rientra nella responsabilità di tutti i dipartimenti
governativi. Siamo come un custode, ma senza la possibilità di punire. Possiamo
solo consigliare e cercare di migliorare la normativa. Il secondo pilastro di
questo ufficio, sono le minoranze nazionali, che comprendono anche la minoranza
rom, e ci sono alcuni problemi molto seri lì. Ho intenzione di avere incontri
con il ministro dell'istruzione per cercare per cercare insieme di risolvere i
problemi di educazione delle minoranze. Ci sono ancora molte cose controverse
che succedono e che devono essere indagate e guardate – come figli di famiglie
rom che vengono spesso inviati alle scuole speciali anche se non li
appartengono. Vedo molto lavoro da fare per noi insieme con l'istruzione e ed i
servizi sociali in materia di istruzione dei bambini rom. Alcuni passi decisivi
bisogna finalmente prenderli.
Di Fabrizio (del 18/02/2011 @ 09:14:27, in Italia, visitato 1992 volte)
Venerdì 25 febbraio dalle ore 16.30
La neo cooperativa Aquila è lieta di annunciare la riapertura del BAR RIGHI,
sito in fondo al parco Talvera, in mezzo ai campi sportivi. Vi aspettiamo tutti
per brindare insieme all'inaugurazione con la NUOVA GESTIONE dove troverete un
buonissimo buffet con delle buonissime bibite.
Dorina, 32 anni e Daniel, 3 anni, 25 dicembre 2008, morti bruciati nella pineta di Castelfusano Andreia, 18 anni, 27 dicembre 2009, morta bruciata in via Ardeatina 630 Mario, anni 3, (nato in Italia) 26 agosto 2010, morto bruciato in via Morselli, (il fratellino di
4 mesi al momento dell'incendio è ancora in terapia per le ustioni) Raul 4 anni, Fernando 5, Sebastian 11 e Patrizia 8
anni, (i tre più piccoli nati a Roma) 6 febbraio 2011, morti bruciati su via Appia Nuova a due passi
dall'esclusivo circolo del Golf dell'Acquasanta.
L'attenzione sull'emergenza umanitaria per coloro che ci si ostina a chiamare
nomadi (e nomadi non sono) si accende con la tragica ricorrenza dei roghi.
L'emarginazione uccide.
A Roma tutta la comunità Rom e Sinti conta poco più di settemila mila presenze.
Otto tragiche morti su una popolazione così piccola sono uno sterminio vero e
proprio.
Come provocazione si possono mettere a confronto le morti del Piano Nomadi di
Alemanno con quelle dell'operazione Piombo Fuso.
Il numero di morti, rapportato alla popolazione, è paragonabile a Gaza ed a
Roma, ma a Roma è assai più alta l'incidenza delle morte tra i bambini Rom.
Striscia di Gaza
Roma, presenza Rom
Popolazione
400.000
7.200
Piombo Fuso
Piano Nomadi
Morti
455
8
ogni 1.000 abitanti
1,1
1,1
di cui minori
87
6
ogni 1.000 abitanti
0,2
0,8
Giovedì 9 febbraio a piazza del Campidoglio Rifondazione ha
partecipato alla manifestazione indetta da varie realtà dell'associazionismo,
della politica e soprattutto dai comitati auto organizzate delle comunità dei
Rom romani. In particolare hanno fatto sentire la loro voce i Rom che, dopo lo
sgombero del Casilino 900, si sono trovati di fronte alla realtà delle false
promesse della giunta Alemanno. (vedi il comunicato).
Essere contro il Piano Nomadi di Alemanno significa anche fare i conti con le
responsabilità passate delle fallimentari gestioni delle giunte Rutelli e
Veltroni.
Superare le politiche segregazioniste, operare per un generale diritto
all'abitare.
Intanto la giunta parla di un ennesimo campo... a Malagrotta... nei pressi
della discarica... ci si appresta a costruire una nuova discarica umana. Ed i
fascisti tracciano i loro orrendi slogan sui muri.
Di Fabrizio (del 18/02/2011 @ 09:27:19, in Italia, visitato 2391 volte)
AgoraVox - Rom a Milano: oltre la diffidenza, tante voci per l'integrazione
Vivono ai confini della città, spesso in condizioni difficili,
tra sgomberi forzati, carenze di servizi indispensabili e pregiudizi diffusi.
Per "dare cittadinanza" a queste persone sono attivi però gruppi e associazioni
di volontari che lavorano in più direzioni: se ne è parlato venerdì sera in un
incontro al quartiere Adriano, a pochi metri dal campo di via Idro che ospita
numerose famiglie di rom italiani.
Si fa presto a dire nomadi. Si fa presto a dire campi. Termini, questi, che
trasmettono un'idea di precarietà e passaggio; a Milano ci sono però
insediamenti rom regolarmente autorizzati dall'amministrazione comunale, con
famiglie che ci abitano da più di vent'anni, che hanno trovato un lavoro e
mandano i figli a scuola nel quartiere. E' il caso della comunità di via Idro
62, all'estrema periferia nord-est, della quale fanno parte circa 130 persone.
"Siamo a tutti gli effetti cittadini italiani, solo che viviamo in modo
diverso": a parlare è Marina che, in rappresentanza dei rom di via Idro, ha
aperto con il suo intervento il dibattito pubblico - venerdì sera al quartiere
Adriano - organizzato da gruppi della zona 2 impegnati sul territorio con molte
iniziative concrete; tra questi, le associazioni Villa Pallavicini ed
elementare.russo, il Comitato Forlanini, l'Osservatorio sui razzismi e la
Fondazione Casa della Carità.
Rispetto alle situazioni dei campi dislocati in altre aree metropolitane, quella
di via Idro potrebbe sembrare relativamente tranquilla, perlomeno un po' più
"stabile". In realtà il destino di chi vi risiede è tutt'altro che sicuro,
soprattutto da quando grava sui suoi abitanti la minaccia di allontanamento che,
in base a recenti disposizioni, potrebbe scattare per chiunque abbia alle spalle
sentenze passate in giudicato, pur risalenti a tanti anni fa. Inoltre, se ci
sono cittadini disposti a investire tempo ed energie per favorire convivenza e
integrazione, c'è anche chi i rom sotto casa proprio non li vuole e raccoglie
firme per smantellare il campo.
Le testimonianze presentate durante l'incontro hanno esteso il discorso ad altre
realtà, ancora più drammatiche. Come quella di via Forlanini dove, in un
minicampo che ospita circa 25 rom, sono stati effettuati 15 sgomberi in due
anni, nonostante l'impegno quotidiano di un attivissimo gruppo di sostegno. Un
provvedimento risolutivo brutale e traumatico, quello degli sgomberi, diventato
ormai prassi comune: ne fanno le spese soprattutto i bambini che sono in molti
casi costretti ad abbandonare la classe dopo un faticoso inserimento, annullando
i progressi compiuti, anche per quanto riguarda l'avvicinamento ai coetanei e
alla collettività. In via Rubattino, non lontano da Lambrate, è capitato che
alcune famiglie rom venissero allontanate anche cinque volte in un solo giorno.
Lo racconta un gruppo di mamme che, insieme alle maestre, svolgono un lavoro
continuativo e intenso per aiutare i piccoli rom a frequentare la scuola,
nonostante la mancanza di mezzi.
Una storia a parte è quella di via Triboniano, il campo più popoloso di Milano e
anche il più carente dal punto di vista di spazi e servizi. Avrebbe dovuto
essere chiuso definitivamente già alcuni mesi fa, perché si trova proprio sulla
strada dell'Expo 2015, cioè sulla via di accesso all'area su cui questo dovrebbe
sorgere. Nel preventivare la chiusura della struttura non è stato preso però in
considerazione, nella sua globalità, il futuro di chi vi abita. Ai rom erano
state inizialmente destinate venti case Aler, da ristrutturare e assegnare
attraverso la mediazione della Casa della Carità (contratto stipulato con tanto
di firma da parte del Comune e della Prefettura). Il progetto si è però
interrotto a metà strada e le famiglie che sono rimaste escluse
dall'assegnazione hanno iniziato un procedimento legale che ha dato loro
ragione. A parte quelle dell'Aler, ci sono comunque a Milano migliaia di
abitazioni sfitte: perché non includerle in un piano che favorisca anche chi è
stato sgomberato?
Da una periferia all'altra, il problema rimane complesso, le esperienze portate
avanti con successo (come quella del Comune di Buccinasco, dove è stato
organizzato un campo molto ben tenuto) si scontrano con l'eterna paura del
diverso, la più dura da sconfiggere. E non va neppure dimenticato che i rom
stessi, pur se disponibili alla collaborazione, trovano spesso difficoltà nel
riconoscere le regole della società; anzi, la loro cultura li ha portati per
secoli a crearne una parallela rispetto a quella dello Stato che li ospita. Oggi
in Italia, contando le diverse etnie, ne sono presenti circa 140.000, non tutti
in insediamenti legali: e c'è sempre chi li guarda con sospetto e si domanda "
ma è vero che i rom rubano?". Generalizzazioni, luoghi comuni e pregiudizi
allontanano le soluzioni; tragedie come quella recente di Roma - la morte di
quattro bambini - riportano invece alla realtà, fanno vedere queste persone come
una fascia debole della popolazione che l'amministrazione di una grande città ha
il dovere di tutelare. Non demandando ancora una volta il grosso del carico
all'infaticabile universo del volontariato.
Di Fabrizio (del 19/02/2011 @ 09:06:39, in scuola, visitato 1702 volte)
Segnalazione di Stefano Nutini
Buongiorno a tutte/i,
il progetto del
vino ROM prosegue con il finanziamento della quarta borsa di studio.
Dopo Marian, Ovidiu e Belmondo, abbiamo deciso di sostenere negli studi Geanina, una ragazza rom di tredici anni che attualmente frequenta, con ottimi
risultati, la terza media nel Comune di Segrate.
Siamo particolarmente contente di sostenere Geanina: è una ragazza solare,
coraggiosa e determinata che potrà essere di grande esempio alle coetanee.
Geanina vive in un capannone; sua sorella frequenta la scuola elementare, il
papà fa lavori saltuari e la mamma, che sa leggere e scrivere, si occupa della
famiglia.
Geanina a settembre, dopo aver preso la licenza media, si iscriverà ad un
corso ENAIP a Pioltello, dove tra le altre cose imparerà il mestiere di
parrucchiera ed estetista.
Come per gli altri tre ragazzi, la borsa di studio copre il costo dei
trasporti e prevede un contributo mensile di 100€ come sostegno agli studi, a
partire dal mese di febbraio.
Di nuovo grazie a tutte/i Le mamme e le maestre di Rubattino
Durante la guerra della ex Iugoslavia, negli anni ’90, un gruppo di donne
romane si impegna nel sostegno ai bambini bosniaci e alle loro madri, sfollati
nei campi profughi della Slovenia: un impegno che oltre al contributo economico
creò dei legami di affetto e di amicizia molto forti. Con la fine della guerra i
profughi rientrarono nei loro paesi ma l'impegno nel cercare la relazione di
quel gruppo di donne non si è fermato. Nasce così, nel 1998, 'Insieme Zajedno',
un'associazione dedicata all’infanzia e alle donne più deboli per offrire un
aiuto concreto, dignità, giustizia sociale e diritti umani. L’esperienza di
Insieme Zajedno, iniziata in Bosnia Erzegovina, e poi consolidata attraverso
progetti in Macedonia, in Kossovo, in Moldavia, in Iraq, dal 2006 si è
trasferita a Roma dove, nel cuore di San Lorenzo è nato il 'Laboratorio
Manufatti delle Donne Rom', progetto di microcredito per l’auto-impiego di donne
rom attraverso la realizzazione di accessori originali per l’abbigliamento e la
casa. Un luogo che offre ad un gruppo di rom bosniache la possibilità di
lavorare ma non solo. In uno spazio che colpisce per il suo tocco tipicamente
femminile, ogni mattina Cristina, Renata, Francesca e Dzanuma, tirano su la
serranda e si dedicano al cucito, antica arte che ci riporta all'intreccio di
legami, al mettere insieme, alla creazione.
Nei locali, arredati a misura di
donna, si lavora, si mangia, si studia, si crescono i bambini - i due figli di Dzanuma - ci si scambia l'esperienza e si fanno progetti. Il luogo, nato come
posto di formazione, è presto diventato qualcos'altro: spazio di aggregazione
interculturale dove il lavoro insieme ai formatori ha dato la possibilità di
affrontare e condividere le problematiche lavorative, di decidere insieme le
strategie economiche, stimolando la socialità e l’integrazione in modo naturale
e rendendo più facile anche l’apprendimento della lingua italiana. Il
'Laboratorio Manufatti Donne Rom' si prefigge di diventare un luogo dove 'dal
basso' si annulli la discriminazione socio-lavorativa legata al popolo Rom, alle
donne Rom in particolare: Renata ha preso la patente e adesso ha una piccola
automobile che la rende indipendente, le ragazze stanno cercando una casa, hanno
ripreso a studiare, non hanno più come orizzonte unico un marito e i figli e la
vita nel campo, Dzanuma ha un lavoro con un contratto a tempo indeterminato.
"Č
stata dura - racconta Cristina Rosselli Del Turco che dell’associazione 'Insieme Zajedno' è colei che vive ogni giorno gomito a gomito con le donne rom - ma i
risultati che abbiamo ottenuto sono una grande soddisfazione. Il nostro è un
lavoro fatto nella quotidianità e nella condivisione di vita e proprio in
questo, credo, risieda il nostro successo. Crediamo nella relazione e negli
affetti. Č un progetto piccolo che però ha cambiato radicalmente la vita delle
persone coinvolte e questo era quello che a noi interessava". E il successo
dell'iniziativa si legge anche nei progetti portati avanti dal gruppo: le stesse
donne rom sono diventate formatrici e stanno insegnando il mestiere ad un gruppo
di donne somale rifugiate. La sfida per il futuro è l'indipendenza; la creazione
di una propria impresa e il confronto con il mercato del lavoro.
Il Laboratorio si trova a Roma in via dei Bruzi n. 11/c, è aperto dal lunedì al
sabato dalle ore 9:00 alle 14:00 - tel. 3471580818
DOMENICA 20 FEBBRAIO 2011 - Dalle ore 19 concerto e jam session:
Via Bellezza 16A, Milano
MUZIKANTI DI BALVAL di JOVICA JOVIC
RAFFAELE KOHLER e la sua tromba
MALAPIZZICA
Ciao carissimi, vi scriviamo per invitarvi tutti, e speriamo sarete in
molti, ad una serata speciale che si terrà domenica prossima, 20 febbraio
all'Arci Bellezza di Milano. Lì i MUZIKANTI di Balval, RAFFAELE KOHLER e i
MALAPIZZICA daranno luogo ad un grande concerto solidale pensato per
autofinanziare il viaggio che porterà il maestro Jovica Jovic ed alcuni
componenti del gruppo, alla Fiera InMensa che si terrà a Cosenza dal 15 al 20
marzo (vedi allegato), dove potranno sostenere i valori dell'integrazione, dello
scambio socio culturale fra le variegate etnie che popolano, arricchendolo, il
nostro Paese. Tutto questo grazie a quel meraviglioso veicolo che è la loro
musica e che rappresenterà virtualmente il nostro abbraccio amichevole ai
fratelli immigrati.
La serata avrà inizio verso le 19 con un simpatico aperitivo etnico,
proseguirà con una breve presentazione del progetto, per poi esplodere in un
turbinio di danze ed emozioni dai Balcani fino al nostro profondo Sud!
L'ingresso sarà libero previo possesso della tessera Arci che si potrà
acquistare anche sul luogo. Sarà chiesto un gentile e libero contributo per il
buffet e il sostenimento delle spese.
Sperando che vinciate la pigrizia della domenica sera, vi aspettiamo numerosi
e confidiamo nella vostra disponibilità per diffondere la notizia dell'evento.
Di Fabrizio (del 20/02/2011 @ 09:14:43, in media, visitato 1591 volte)
15-02-2011
Negli ultimi cinque anni sulle principali reti televisive italiane si è
assistito al dilagare delle notizie relative alla cronaca nera, cronaca
giudiziaria e criminalità organizzata, nei telegiornali come nelle trasmissioni.
Mentre nel periodo 2003-2005 la rappresentazione di eventi criminosi si era
mantenuta costante, a partire dal 2006 si è rilevato un sensibile incremento del
tempo dedicato a questa tipologia di notizie, con un ulteriore aumento nel corso
del 2007.
Infatti, se nel 2003 le edizioni principali dei telegiornali di tutte le
emittenti nazionali trattavano questi temi per il 10% del loro tempo, nel 2007
la percentuale di tali argomenti saliva al 24% con punte, su alcune testate
televisive, del 30%. Tale sovraesposizione mediatica si rivelava poi del tutto
ingiustificata se confrontata con i dati ufficiali del Ministero dell'Interno
che evidenziavano un calo di oltre il 10 per cento dei reati nel 2007 con un
ulteriore conferma nei primi sei mesi del 2008.
E' in particolare l'"emergenza rom" a spiccare tra le notizie di cronaca dei
telegiornali quando, nell'aprile del 2007 ad Appignano, in provincia di Ascoli
Piceno, un giovane rom alla guida di un furgone travolge e uccide quattro
ragazzi. Qualche giorno dopo il campo nomadi del paese viene dato alle fiamme e
le cronache dell'incidente proseguono per i successivi cinque mesi fino al
processo, nel settembre dello stesso anno.
Ma il culmine della sovraesposizione delle notizie di cronaca nera, con
particolare riferimento alla popolazione rom e rumena si raggiunge a partire
dall'ottobre del 2007 quando Giovanna Reggiani, aggredita e rapinata alla
stazione ferroviaria di Tor di Quinto, muore due giorni dopo.
L'aggressione viene segnalata da una donna rom, che indica l'autore del delitto
in un giovane, anche lui rom rumeno.
Nei primi giorni i media non danno molto risalto alla notizia credendo la
Signora Reggiani appartenente alla comunità rom, quindi di rilevanza marginale.
Non appena si apprende che la vittima aveva nazionalità italiana scoppia il
"caso Reggiani": il processo viene trattato frammentariamente dalla stampa e
strumentalizzato politicamente.
Di lì a pochi mesi (aprile 2008) si terranno le elezioni politiche e le
amministrative per l'elezione del Sindaco di Roma e il tema emergenza sicurezza,
con particolare riferimento alla comunità rom e ai cittadini di origine rumena,
è l'argomento principale dei media e della campagna elettorale del centrodestra.
In questo periodo, con cadenza quotidiana, hanno particolare rilevanza
nell'agenda dei telegiornali le notizie relative agli sgomberi dei campi nomadi
in tutta Italia.
Si giunge addirittura ad un decreto legge (181/2007) sollecitato dall'allora
sindaco di Roma Walter Veltroni che prevede l'attribuzione ai prefetti del
potere di espulsione dei cittadini comunitari per ragioni di pubblica sicurezza.
Il decreto non verrà mai convertito in legge poiché in netto contrasto con la
direttiva 2004/38/CE.
Come dimostrano diversi studi, media, opinione pubblica e realtà hanno
alimentato l'insicurezza percepita, facendo raggiungere livelli elevatissimi
alla preoccupazione sociale e all'allarme per i crimini contro la persona e la
proprietà privata nei confronti degli immigrati, percepiti come vera e propria
minaccia, mai come risorsa.
Sono rari i casi in cui il tema dell'immigrazione è trattato al di fuori di un
contesto di cronaca o comunque svincolato dalla criminalità.
In un campione di notizie delle edizioni principali dei telegiornali di tutte le
emittenti dei primi sei mesi del 2008, su 5.684 notizie analizzate, solo lo
0,45% di queste affrontano l'immigrazione senza legarla, al contempo,a un fatto
di cronaca o al tema della sicurezza.
Non solo il singolo fatto di cronaca viene ricondotto all'immigrazione in quanto
tale, ma tutto il recente interesse al tema sicurezza sembra ruotare intorno
alla presenza – vista sempre in termini emergenziali e straordinari – di persone
provenienti da luoghi diversi.
Su 163 servizi televisivi che trattano fatti di cronaca con protagonisti
migranti, 65 contengono
informazioni/immagini che possono portare all'identificazione di persone
(adulte) colpevoli di atti di violenza (39,9%). Un dato di dieci punti superiore
rispetto ai servizi di cronaca che non riguardano solo migranti e che si
attestano, infatti, al 29,7%.
Su tutto domina l'etichetta di clandestinità che, prima di ogni altro termine,
definisce l'immigrazione in quanto tale. Rom e rumeni sono il gruppo etnico e la
nazionalità più frequentemente citati nei titoli di tg.
Le parole, dunque, contribuiscono a tematizzare la presenza degli immigrati in
Italia con un riferimento forte alla minaccia costituita dagli stranieri alla
sicurezza degli italiani.
Si assiste inoltre alla tendenza di diffondere informazioni e immagini lesive
della dignità delle persone coinvolte, direttamente o meno, in fatti di cronaca
soprattutto quando i protagonisti sono migranti.
Nel febbraio del 2009, per più di un mese, telegiornali e trasmissioni
"processano" Karol Racz, un cittadino rumeno arrestato all'indomani dello stupro
di una ragazza in un parco di Roma, indicandolo come "faccia da pugile", il
mostro della Caffarella.
Il suo volto è mostrato per settimane, nonostante le indagini stessero
proseguendo e non si avessero prove della sua colpevolezza.
Durante le indagini sono ripetute le accuse alla comunità rumena, mentre la
situazione sociale esplode in una serie di vere e proprie spedizioni punitive ai
loro danni, quasi legittimato dai ripetuti sgomberi effettuati in quei mesi in
tutta Italia.
Nessuno dei due fermati ricalca le descrizioni fornite dalle vittime, le prove a
loro carico decadono dopo pochissimi giorni, ma per loro le porte del carcere
non si aprono comunque.
Così un cittadino comunitario incensurato proveniente dalla Romania è
trasformato in "faccia da pugile" dai media e usato come prova dell'idoneità
delle misure di sicurezza adottate dal Governo.
Un mese e mezzo dopo l'arresto Racz è ospite di Porta a porta, una delle
principali trasmissioni televisive, nel giorno della sua scarcerazione. E' il
conduttore a porre le scuse.
La stampa e la televisione italiana sembrano le uniche in Europa a descrivere un
crimine mettendo in evidenza la nazionalità del criminale, quasi a sollecitare
la creazione di un capro espiatorio nel quale far confluire tutti i malcontenti
possibili.
I media, attraverso la scelta del linguaggio e della trattazione "criminale" del
tema immigrazione predispongono un terreno fertile su cui poi lavorare durante i
casi di cronaca più eclatanti.
L'enfatizzazione di alcuni aspetti di questi episodi (ad esempio la nazionalità
dell'aggressore) in un clima così ansioso finisce per agevolare l'insorgere del
panico morale.
Queste ondate emotive, rivolte contro un capro espiatorio che viene identificato
come minaccia per la conservazione della società, sono teoricamente destinate a
risolversi in poche settimane.
Se è la cronaca l'unico argomento utilizzato dai media per descrivere la
presenza straniera e i fenomeni migratori è possibile chiedersi quale sia il
ritratto delle persone di origine straniera nei mass media.
In generale, più del 70% delle notizie di cronaca presentate da tg e quotidiani
descrive un atto criminoso, l'attività delle forze dell'ordine o un procedimento
giudiziario o penale. Per oltre i tre quarti delle volte (76,2%), persone
straniere sono presenti nei telegiornali come autrici o vittime di reati. Le
persone straniere compaiono nei telegiornali, quando protagonisti di fatti
criminali, più facilmente degli italiani (59,7% contro il 46,3%).
Al contrario, le notizie di cronaca giudiziaria che riguardano stranieri sono il
16,5% del totale.
Questo risultato, oltre a essere un primo segnale di un diverso trattamento
informativo sulla base della nazionalità dei protagonisti, può avere qualche
conseguenza più profonda sulla rappresentazione dei migranti.
Gli stranieri sono ritratti nel momento dell'atto criminale, sovraesposti nella
dimensione inquietante e drammatica della cronaca nera, tendono invece a sparire
nel momento processuale, cioè nel momento in cui non solo possono essere
evidenziate le effettive responsabilità penali, ma anche in cui ne possono
emergere le caratteristiche umane, la personalità, le difficoltà, la voce.
I delitti compiuti da stranieri presenti sul suolo italiano diventano allora
delitti senza movente né conseguenze, rimangono ritratti spesso da senza storia,
umanità o ripercussioni penali.
Episodi di cui l'unica conoscenza certa può essere la loro brutalità e la loro
residua matrice comune: l'immigrazione.
Non è mai presentata l'immagine reale dell'immigrato che vive e lavora in
Italia.
Negli ultimi trent'anni l'immagine dell'immigrazione fornita dai mezzi di
informazione appare come congelata, immobile.
Ancorata alle stesse modalità, alle stesse notizie, agli stessi stili narrativi
e in qualche caso agli stessi tic e stereotipi. I risultati delle ricerche
avviate sullo stesso tema a partire dalla fine del 1980, con molti elementi
comuni con il passato di altri paesi europei, appaiono straordinariamente
simili.
Da una parte, c'è una rappresentazione dominata da una visione "naturalmente"
problematica del fenomeno: l'immigrazione è, in sostanza, un problema da
risolvere. Dall'altra parte, il tipo di notizie evidenziate: la cronaca appare
l'elemento ancora dominante della trattazione riducendo la complessità della
realtà alla sua eventualità criminale.
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