Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 27/08/2010 @ 09:36:21, in Italia, visitato 2204 volte)

Segnalazione di Sara Palli

PisaNotizie.it Le dichiarazioni del sindaco Filippeschi in visita al campo: "In città non esistono zone franche, ovunque devono valere le regole dello Stato". Africa Insieme: "Il Sindaco mostra di non conoscere la realtà di Via Maggiore. No ai proclami altisonanti sulla sicurezza"

Non c'è pace per i rom a Pisa, dopo gli sgomberi dei mesi scorsi, la chiusura del programma "Città Sottili" e le polemiche sollevate per un mancato disegno di assistenza alle famiglie rom coinvolte nelle diverse vicende che hanno scandito la cronaca cittadina. Nella giornata di ieri (mercoledì 25 agosto) il sindaco Filippeschi, accompagnato da volanti di Vigili Urbani, Polizia, e Carabinieri, si è recato in via Maggiore di Oratoio a Ospedaletto, nell'area fra via Ferraris e via Aldovrandi, alla periferia est di Pisa. Durante la visita è stata abbattuta una costruzione recente, espansione del campo.

"In città - ha spiegato il sindaco Marco Filippeschi in una nota - non ci sono zone franche, ma ovunque devono valere le regole dello Stato". Ha dunque spiegato Filippeschi: Siamo intervenuti, Comune e forze dell'ordine, anche in seguito a segnalazioni di cittadini, perché c'è una situazione intollerabile. La solita grande discarica abusiva, smontaggio di motori di auto e camion lungo la strada e, quello che più preoccupa, costruzione di nuovi edifici abusivi ai margini del grande campo anch’esso abusivo, una situazione da superare".

Nell'area di Ospedaletto, dove il Comune è intervenuto stamani, si trova l'insediamento Rom più consistente della città: circa 280 persone tutte di nazionalità macedone. "Ho chiesto - prosegue Filippeschi - che fossero identificati coloro che svolgono attività abusive e chi costruisce nuovi insediamenti non autorizzati, per poi procedere secondo le leggi e in applicazione delle ordinanze: siamo impegnati a ridurre le presenze sul nostro territorio, d'intesa con la Regione, e abbiamo già migliorato una situazione che ho trovato insostenibile, alleggerendo il peso sulla città e garantendo ausili sociali. Lo facciamo in modo scrupoloso, rispettando le persone e volendo superare degrado e pericoli quali quelli così evidenti in via Maggiore. Perciò dobbiamo e vogliamo essere rigorosi e coerenti. E lo saremo usando tutti i mezzi più utili a far valere le regole".

Oggi (giovedì 26 agosto) il Comune ha già predisposto la bonifica del tratto di via Maggiore di Oratoio che si trova davanti all’insediamento non autorizzato: una squadra di Avr provvederà alla pulizia delle piccole discariche abusive sorte lungo quel pezzo di strada e al taglio dell’erba.

Le reazioni alle dichiarazioni dell'amministrazione non sono tardate ad arrivare. "Ansioso di ripetere il solito ritornello della 'legalità' a senso unico - scrive l'Associazione Africa Insieme - il Sindaco mostra di non conoscere la realtà di Via Maggiore: come troppo spesso accade, gli slogan precedono e sostituiscono l'analisi concreta, puntuale dei fatti".

I volontari dell'associazione che da anni segue la situazione dei rom a Pisa, precisano alcuni passaggi di carattere amministrativo rispettto alla condizione del campo di Ospedaletto: "Il primo cittadino definisce 'abusivo' il campo di Oratoio: è la prima, grave deformazione. L'insediamento è nato una decina di anni fa, ed è nato effettivamente come campo non autorizzato. Ma fu inserito già nel 2002 nel 'censimento' del programma Città Sottili: nel corso degli anni, gran parte delle famiglie sono state seguite dai servizi sociali e dalle cooperative. Non solo: per esigenze transitorie legate a Città Sottili, intere famiglie provenienti da altri campi sono state trasferite dalla stessa amministrazione comunale in Via Maggiore. Di fatto, dunque, il Comune ha gestito il campo, regolandone le presenze come se fosse un insediamento regolare. Parlare oggi di 'abusivismo' è per lo meno improprio: a meno di non attribuire la qualifica di 'abusivo' ai provvedimenti della stessa amministrazione".

"Non basta - continua Africa Insieme - il Sindaco parla disinvoltamente di abbattimento di baracche, applicazione delle 'ordinanze' (quelle che vietano ogni forma di campo), riduzione delle presenze: tra le righe, si lascia trapelare persino un imminente sgombero. Dati della Fondazione Michelucci – un autorevole istituto di ricerca, consulente della Regione Toscana – ci dicono che quello di Oratoio è attualmente il campo più popolato dell'intero territorio regionale: circa 250 persone, tra uomini, donne e bambini, rilevate alla fine del 2009. Davvero si pensa di risolvere il 'problema' sgomberando 250 persone, trasformando una questione sociale in un'emergenza di ordine pubblico? E dove si pensa di mandare queste 250 persone, molte delle quali hanno in tasca un regolare permesso di soggiorno e abitano a Pisa da più di venti anni?".

In chiusura Africa Insieme rammenta uno degli eventi che ha maggiormente influito sulla condizione attuale degli abitanti del campo di Oratoio: "L'amministrazione dovrebbe ricordarsi che in Via Maggiore abitano le famiglie che a suo tempo furono escluse da 'Città Sottili' perché accusate di essere coinvolte in una rissa tra rom. Quei nuclei furono sfrattati dalle loro case, prima di una sentenza del giudice, e inviati dalla stessa amministrazione comunale in Via Maggiore: anche così sono aumentate le presenze in quel campo. Solo due mesi fa, il giudice ha assolto definitivamente tutti i macedoni accusati di aver preso parte alla rissa: oggi, invece di risarcirli per il clamoroso errore compiuto – un errore che si poteva evitare, se solo si fosse atteso l'esito giudiziario della vicenda – si pensa a nuovi provvedimenti di sgombero. Ancora una volta, l'operato di questa Giunta è segnato purtroppo da superficialità, scarsa conoscenza dei fatti e proclami altisonanti sulla sicurezza. Sarebbe gradito un minimo di serietà e capacità di governo dei fenomeni".

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Di Fabrizio (del 28/08/2010 @ 09:03:43, in musica e parole, visitato 2025 volte)

Da Roma_Daily_News

23/08/2010 - Kateri Combs, Romanì nata in Romania e cresciuta con la sua famiglia adottiva negli USA, è stata recentemente premiata con una borsa di studio con musicisti romanì in Romania.

Il Consiglio Artistico dell'Utah è rimasto così dal talento di Kateri Combs da averle conferito questo riconoscimento. Lei è molto orgogliosa delle sue origini ed è interessata nel saper descrivere la sua cultura attraverso la musica.

(il link per chi legge da Facebook)

Kateri fa spettacoli con i Klezbros, un gruppo che interpreta sia musica klezmer che zingara. Inoltre lavora col suo accompagnatore Steve Keen e con il gruppo Tango Project.

Spera di incontrare Nicolae e Nicoletta Guta, ed anche altri musicisti in Romania. Arriverà a Bucarest il 1 settembre e sarà in Romania per 3 settimana. Negli ultimi sei anni ha passato ogni estate un mese in Romania con la sua famiglia d'origine, ed è molto emozionata per l'opportunità di lavorare con altri musicisti romanì quest'anno.

Christine Glenn
CHRISTINE.Glenn@dhs.gov

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Di Fabrizio (del 28/08/2010 @ 09:31:08, in casa, visitato 2241 volte)

Da Roma_Daily_News (notizie precedenti QUI)

Hürriyet Daily News by SEVİM SONGÜN

Anche se casi giudiziari in merito al progetto di rinnovamento sono ancora in corso, le autorità hanno continuato il progetto di ristrutturazione nella zona di Sulukule a Istanbul. Foto DAILY NEWS, Hasan Altinisik

Istanbul, 20/08/2010 - La Corte Europea dei Diritti Umani ha accettato il ricorso dell'Associazione Rom contro il progetto di rinnovamento del comune di Fatih nell'area storica di Sulukule, [che prosegue] nonostante le cause tuttora in corso.

L'associazione ha fatto ricorso alla Corte Europea accusando il progetto di trasformazione urbana in corso a Sulukule di violare sei articoli, precisamente: "protezione della privacy e della vita familiare", "prevenzione della discriminazione", "protezione della proprietà", "diritto ad un processo equo", "rispetto dei diritti umani" e "diritto ad ottenere un'istanza efficiente".

Hilal Küey, avvocato dell'associazione, ha detto che questa ha fatto ricorso alla Corte Europea il 20 maggio, con un documento di 22 pagine ed altre 48 di allegati. "Di solito la Corte Europea non accetta ricorsi se i casi nei tribunali locali sono ancora aperti. Ma hanno accettato il nostro," dice Küey, aggiungendo che ci sono almeno tre casi in discussione nei tribunali in Turchia sul progetto di rinnovamento a Sulukule.

Küey ha detto che la corte ha accettato il ricorso perché il processo giudiziario in Turchia non ha dato frutti per tre anni e nel frattempo molta gente è stata mandata via dalla sua casa.

Viki Ciprut, della Piattaforma per Sulukule - organizzata per appoggiare i Rom a Sulukule, ha detto che i casi in tribunale sul progetto di rinnovamento stanno andando avanti, ma che le autorità continuano con il progetto, demolendo tutte le case di Sulukule e rimuovendo i Rom che vi abitavano da sempre. Dice: "In realtà, è finito tutto, ma i casi sono ancora discussi in tribunale. Penso sia per questo che la Corte Europea ha accettato il ricorso."

Mustafa Demir, sindaco di Fatih, rigetta l'accusa di "evacuare la gente dalle proprie case" e ha detto di essere sorpreso che la Corte Europea abbia accettato il ricorso.

Le associazioni e tre residenti hanno intentato una causa nel 2007, quando iniziarono le demolizioni a Sulukule, contro il progetto di rinnovamento, dicendo che si stava danneggiando la cultura rom ed il tessuto storico del quartiere, aggiunge Küey. Dice anche che c'è in corso un altro processo, dato che alcuni residenti non hanno accettato le somme per l'esproprio loro offerte dal comune di Fatih, che guida il progetto di rinnovamento.

"A nome di alcuni residenti, ho obiettato che le offerte per l'appropriazione erano troppo basse. Secondo la legge, il comune di Fatih ha aperto un caso per valutare il reale valore dell'esproprio di queste proprietà," dice Küey, aggiungendo che questo secondo caso è durato sino al 2008. La Camera dell'Unione Turca degli Ingegneri ed Architetti, TMMOB, ha a sua volta intentato una causa contro il progetto per Sulukule, che è ancora in corso.

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Di Fabrizio (del 29/08/2010 @ 09:07:24, in Italia, visitato 3002 volte)

Segnalazione di Valter Halilovic

La Stampa 26/08/2010 EMANUELA MINUCCI - TORINO

L'area del campo rom in Lungo Stura Lazio
"I nomadi aiuteranno nella raccolta rifiuti in Lungo Stura Lazio"

Chiamparino non sarà Sarkozy, ma intanto ieri in Comune si è decisa una radicale operazione-pulizia di lungo Stura Lazio. Un modo - attraverso il coinvolgimento della stessa popolazione Rom - per riportare la zona a standard più che decorosi, ma soprattutto per capire dove stanno i fragili e dove i soggetti più pericolosi. Un modo per separare il grano dal loglio e, in capo ad un mese, mettere a segno un'operazione mirata di polizia, tesa a colpire esclusivamente chi delinque. Tutta l'operazione, che si concluderà entro la fine di ottobre costerà al Comune fra i 50 e i 60 mila euro.

Al vertice in municipio hanno partecipato oltre all'assessore alla Polizia municipale Domenico Mangone e quello all'Ambiente Roberto Tricarico i vertici di Amiat e i presidenti delle circoscrizioni 5 e 6 Paola Bragantini e Vittorio Agliano. Una riunione durata oltre due ore al termine della quale Tricarico ha chiarito, fase per fase, come si realizzerà l'articolato intervento di bonifica ambientale. "Sono già in corso le operazioni di derattizzazione e sanificazione dell'area - ha detto -, la prima fase dei lavori terminerà il 15 settembre per poi dar corso successivamente alla pulizia sollecitata da più parti in queste settimane".

E ha aggiunto: "Per realizzare questa pulizia interverranno più squadre di giovani per un totale di venti persone, tutte appartenenti all'associazione “Terra del fuoco” individuata dalla Prefettura come soggetto attuatore di questo complesso intervento, ma soprattutto gli stessi Rom, che verranno coinvolti nelle operazioni di selezione dei rifiuti". "Le persone Rom che parteciperanno alla pulizia - spiega Michele Curto presidente dell'associazione “Terra del Fuoco” - dimostrando di volersi integrare riceveranno una tessera di riconoscimento che costituisce il primo passaggio per separare chi è intenzionato a far parte di una comunità e chi invece tende a vivere di espedienti a danno della collettività".

Tornando ai rifiuti, è interessante scoprire che verranno suddivisi in modo tale che quando passerà a ritirarli l'Amiat avranno già la loro precisa destinazione. Non dimentichiamo, infatti, che sul posto giacciono carcasse di automobili, televisori abbandonati e altri grandi rifiuti di ogni genere.

"Il 26 settembre - ha poi concluso Tricarico - entrerà in scena Legambiente che ha scelto questa zona per lanciare la tappa del 2010 di “Puliamo il mondo” che affiancherà “Terra del fuoco” e Rom". Sempre in quella data arriveranno sul posto, muniti di guanti, pale e carriole anche i giovani di "Libera", l'associazione di don Luigi Ciotti.

"Non facciamo la guerra ai Rom anche a Torino". A chiederlo è la capogruppo di Sel Monica Cerutti. "L'Unione Europea - spiega - ha richiamato la Francia e l'Italia perché attuino correttamente le regole europee sull'immigrazione. Prima si era già pronunciata con preoccupazione la Cei e lo stesso Papa, invitando a saper accogliere le legittime diversità umane. Ora il Comune si sta attrezzando sull'annosa situazione di Lungo Stura con un piano articolato su tre fronti: assistenza, igiene e legalità. Una comunità civile non può più tollerare che persone possano vivere in condizioni così precarie dal punto di vista igienico e contemporaneamente bisogna tenere conto dell'insofferenza dei residenti. Tuttavia, siamo preoccupati che il piano del Comune possa essere percepito come in linea con le dichiarazioni di Maroni e che si faccia prevalere il problema sicurezza rispetto a quello umanitario".

E conclude: "Da Chiamparino, come presidente dell'Anci, ci aspetteremmo una presa di posizione che ponga al Governo il problema delle risorse per l'accoglienza, da coniugare con il rispetto delle regole, invece di rincorrere la questione sul fronte della mera sicurezza".

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Di Fabrizio (del 29/08/2010 @ 09:11:38, in Italia, visitato 2329 volte)

Gad Lerner, il blog del bastardo giovedì, 26 agosto 2010 Rassegna Stampa

Questo articolo è uscito sul Diario di "Repubblica".
Il vicesindaco Riccardo De Corato, eterno secondo della politica milanese, contabilizza gli sgomberi di campi rom effettuati negli ultimi quattro anni con la meticolosità del cow-boy che incide una tacca dopo l'altra sulla pistola: 301 prestazioni da buttafuori, a suo dire.

Col risultato che ormai in città è divenuto vorticoso il viavai di questo materiale umano considerato scadente, così poco riciclabile da meritarsi un curriculum da veterani: gli ex del campo di San Dionigi provenienti dallo sgombero di via capo Rizzuto espulsi dal cavalcavia Bacula e parcheggiati in via Idro fino alla tacca prossima ventura di De Corato. Una massa di "ex", sempre gli stessi, non fosse per la natalità elevata che rifornisce continuamente la tragedia di altri bambini sballottati qui e là, dunque sottratti per via poliziesca alla frequenza scolastica.

I rom a Milano svolgono una funzione importante. Peccato che ce ne siano troppo pochi. Quando sperava ancora che l'imitazione del gergo leghista gli avrebbe conservato la presidenza della Provincia, Filippo Penati (Pd) si esibì in un gioco di parole davvero raffinato: "Altro che ripartire i rom fra i diversi comuni dell'hinterland, come chiede il governo Prodi. I rom se ne devono ripartire tutti quanti!". Cosa c'è di meglio, per un politico in difficoltà, che mettersi dalla parte del popolo, irridendo gli scrupoli dei soliti privilegiati?

E' così che ai rom milanesi è toccata la sorte poco evangelica di venir moltiplicati, proprio come i pani e i pesci sul lago di Tiberiade. Il succitato Penati giunse a contare 20 mila nomadi –ventimila!- disseminati pericolosamente tra le vie della metropoli. Una cifra insopportabile per la povera Milano. Non si ricordano ulteriori precisazioni del leader democratico allorché il censimento dei campi rom, promosso nel 2008 dal nuovo ministro cattivista Maroni, rivelò che bisognava togliere un zero: i rom che minacciano la pacifica Milano risultavano essere poco più di duemila. Troppo pochi, appunto, e infatti la politica bisognosa non ha smesso di moltiplicarli neppure dopo il censimento. E' dei giorni scorsi un'intervista di Letizia Moratti, bisognosissima di ricandidatura a sindaco, nella quale si legge questa mirabolante affermazione: i rom a Milano sarebbero stati ancora diecimila (bum!) nel 2008, dopo di che –forse per merito delle 301 tacche di De Corato?- il loro numero si sarebbe drasticamente ridotto. Un esodo di sette-ottomila "scarti umani", più tenaci da debellare che non gli stessi topi, come graziosamente dichiara il leghista Matteo Salvini, aspirante vicesindaco, realizzato dunque in un biennio, alla chetichella? Chi ha visto le carovane dei partenti, con i materassi sulle spalle e i bambini per mano? Dove sono andati, con quali mezzi di trasporto s'è conclusa la "derattizzazione"? E come mai, dall'alto dei suoi 301 sgomberi, il cow-boy De Corato può citare solo 32 casi di rom stranieri rimpatriati per motivi di sicurezza dal 2007, più altri 143 segnalati (pro forma) alla prefettura per cessazione dei diritti di soggiorno?

E' buffo a dirsi, ma a Milano sono certamente più numerosi i nomadi romeni allontanati dai campi e rimpatriati senza clamore da parte del volontariato sociale –magari con qualche centinaio di euro d'incoraggiamento in tasca- per tutelare i faticosi processi d'integrazione di chi vi risiede. Ora però c'è un'altra faccenda che i cacciatori cittadini dei rom vivono con imbarazzo. A furia di promettere la chiusura degli insediamenti abusivi, tra uno sgombero e l'altro toccherebbe loro impiegare nei campi autorizzati e/o in fornitura di alloggi popolari una parte almeno dei milioni di euro già da tempo messi a disposizione della Prefettura. Col risultato di mandare in bestia i leghisti più accesi, che si sentono traditi non solo da Maroni ma perfino da Salvini. Nel quartiere di via Padova, per protesta contro il campo autorizzato di via Idro, hanno da poco stracciato la tessera del Carroccio una decina di militanti. Contro i rom, trovi sempre qualcuno disposto a essere più cattivo di te. Peccato siano così pochi.

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Di Marylise Veillon (del 30/08/2010 @ 09:03:00, in Europa, visitato 2163 volte)

Da Roma_Benelux

Le Point.fr La vita di Bukurije e Lumturije, due giovani sorelle rom, è diventata un incubo da quando sono state costrette a lasciare la Germania, dove hanno passato tutta la loro vita, per installarsi in Kosovo, paese dei loro genitori, che non avevano mai visitato.

Pristina, 18/08/2010 - De Ismet HAJDARI (AFP)

"Mi sento come se fossi in prigione. Non esco dal cortile di casa", racconta Bukurije Berisha, 13 anni, in perfetto tedesco, mostrando le alte mura che circondano la sua casa in rovine.

"Ho sempre la speranza di svegliarmi e rendermi conto che non era altro che un brutto sogno" aggiunge.

Nel suo rapporto pubblicato a luglio, l’UNICEF indica che quasi la metà dei Rom che saranno espulsi dalla Germania al Kosovo, in virtù di un accordo firmato tra i due paesi, sono bambini la maggioranza dei quali nati e cresciuti in Germania.

"I bambini sono i più colpiti da questi rientri forzati. (…) In Kosovo devono fare fronte a una realtà totalmente nuova. Si sentono persi ed esclusi", ha affermato il commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio Europeo, Thomas Hammarberg, nella prefazione di questo rapporto.

Il Signor Hammarberg ha invitato martedì i paesi dell’Europa occidentale, a cessare di rimandare con la forza, i Rom in Kosovo.

Le sorelle Berisha sono arrivate a dicembre in Kosovo, con i loro genitori e altri cinque fratelli e sorelle. La famiglia si è rifugiata nella stradina stretta di un bidonville rom, nella periferia di Pec (ovest). Una casa lasciata da diciassette anni ha bruciato durante il conflitto in Kosovo (1998-1999) e il nuovo focolare, sprovvisto di acqua corrente, è stato prestato loro da un cugino.

Le due ragazzine sono nate in Germania dove i loro genitori hanno chiesto asilo nel 1993, fuggendo dalla repressione delle forze serbe di Slobodan Milosevic nel Kosovo. Non parlano albanese, lingua principale del Kosovo, e conoscono a malapena la lingua rom.

"Mi sento tedesca", assicura Lumuturije Berisha, 14 anni, gli occhi pieni di lacrime.

La famiglia Berisha fa parte di un gruppo di circa diecimila Rom che sono dovuti ritornare dalla Germania al Kosovo, ex provincia serba la quale ha proclamato la sua indipendenza nel 2008 malgrado una feroce opposizione di Belgrado.

Benché Pristina si sia messa d’accordo con Berlino per accogliere questi rifugiati rom, il ministro kosovaro degli affari sociali, Nenad Ristia, ha ammesso di recente che questo paese non possedeva risorse per accettarli tutti e per gestire la loro integrazione.

Quasi la metà dei due milioni di abitanti del Kosovo, paese più povero d’Europa, sono disoccupati o sono poveri, secondo i numeri ufficiali.

Esperti mettono in guardia contro l’incapacità delle autorità locali, di garantire i diritti dell’uomo fondamentali ai suoi cittadini, tali che l’accesso a un alloggio adeguato, alle cure mediche e all’educazione.

Florim Mulolli, padre di una ragazza gravemente ammalata, la famiglia del quale è stata ugualmente obbligata di ritornare in Kosovo, deplorano l’attitudine delle autorità tedesche, accusandoli di non fare eccezioni.

Sua figlia Selina soffre di una malattia congenita provocando apnee nel sonno. La sua respirazione deve essere controllata tramite un’attrezzatura molto costosa, la quale avverte i genitori, quando lei smette di respirare.

"Quest’apparecchio funziona con l’aiuto di diodi da sostituire, i quali sono molto costosi per noi e impossibili da pagare, i quali inoltre, non si trovano qui" si lamenta il Sig. Mulolli.

"La Germania ha condannato Selina a morte, ma non la lasceremo morire. Quando i diodi saranno consumati, io e mia moglie guarderemo Selina a turno" dice questo padre con amarezza, stringendo la figlia tra le sue braccia.

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Di Fabrizio (del 30/08/2010 @ 09:15:59, in Italia, visitato 2414 volte)

(clicca sull'immagine per andare alla pagina dell'intervista)

Wednesday 25 August 2010 - A Napoli le istituzioni hanno annunciato un piano da 24 milioni di euro per l'accoglienza di duemila rom presenti sul territorio.

L'obiettivo è quello di costruire campi in grado di accogliere la popolazione in modo adeguato e di abbattere le baraccopoli che occupano attualmente. Ma le associazioni sono scettiche. Per la costruzione dei nuovi insediamenti ancora non si è mosso niente, affermano, le costruzioni dovevano essere pronte in primavera, ma dei soldi stanziati ancora non c'è traccia. Analizziamo la questione con Barbara Pierro, responsabile dell'associazione "chi rom e...chi no" , intervistata dalla nostra Monica Mastroianni.

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Di Fabrizio (del 30/08/2010 @ 18:56:14, in Italia, visitato 2093 volte)

Sì, con moderazione... ; - ) Dopo quello che avevo scritto sulla convocazione di una manifestazione a Roma il 4 settembre, qualcuno ha partorito un testo più articolato (non ci voleva tanto). Lo trovate qui sotto e al link ufficiale c'è anche l'elenco di tutte le adesioni. Da parte mia sotterro l'ascia di guerra e ci troviamo comunque (chi vuole e chi può) a Parigi.

Il COORDINAMENTO NAZIONALE ANTIDISCRIMINAZIONE

Mobilita Rom e Sinti e tutti gli amici Sabato 4 settembre 2010 per una manifestazione civile in Piazza Farnese a Roma, di fronte all'Ambasciata Francese a partire dalle 14,30 per dire:

- STOP A RAZZISMO E DISCRIMINAZIONE CONTRO I ROM E SINTI!
- STOP AI CAMPI NOMADI!
- BASTA USARE ROM E SINTI COME CAPRI ESPIATORI E CARNE DA MACELLO PER FINI POLITICI
- STOP ALLE NUOVE FORME DI DEPORTAZIONE!!

Il Ministro Maroni con un intervento al Corriere della Sera ha ufficialmente aperto la campagna elettorale che verterà ancora una volta sul problema della sicurezza e i predestinati ad essere usati come carne da macello e agnelli sacrificali saranno i Rom e Sinti.

Il Corriere della Sera ha intervistato il Ministro senza dare alcuna possibilità ai Rom e Sinti di replicare.

I soliti articoli a senso unico!!

La comunicazione in Italia è pura propaganda e non informazione. Quando si tratta di Rom e Sinti non c'è mai contraddittorio!!

Ciò che sta accadendo in Francia ai Rom ci indigna come uomini prima che come cittadini italiani, europei e cittadini del mondo. Basta deportazioni!!

I Rom e Sinti hanno pagato un prezzo altissimo durante la Seconda guerra Mondiale: i 500 mila Rom e Sinti massacrati dai nazifascisti senza che questo evento si sia impresso nella memoria collettiva!!

I media asserviti al potere mettono in evidenza solo gli effetti devastanti della discriminazione senza rilevare le cause che li determinano di cui sono responsabili le stesse decisioni del governo.

Sarkozy e Maroni mostrano i muscoli contro bambini, donne e vecchi che non possono difendersi in nessun modo!!

Ai Rom e Sinti solo la cronaca, mentre gli eventi culturali sono oscurati!

La società civile deve essere informata e deve reagire!

L'integrazione passa attraverso i Fondi Europei e non dalle tasche degli italiani come invece si fa credere!

Ecco alcune miei suggerimenti in 10 punti per migliorare la situazione dei Rom in Italia

1) La sicurezza e la legalità vanno garantite a tutti. Rom e Sinti compresi. Lanciare molotov è reato e nessuno è stato perseguito per averlo fatto. Nessuna voce autorevole ha condannato realmente l'episodio. Solo all'estero si sono resi conto della gravità della situazione dei Rom e Sinti in Italia

2) Ristabilire la legalità riguardo la palese violazione dei più elementari diritti umani nei confronti delle diverse comunità romanès in Italia, costrette a vivere in condizioni disumane e fortemente discriminate in netto contrasto con la Costituzione Italiana, con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e con le normative europee ed internazionali.

3) Smantellare i campi nomadi che sono pattumiere sociali degradanti e frustranti, centri di segregazione razziale permanente ed emblema della discriminazione. I Rom e Sinti non sono nomadi per cultura. La mobilità è sempre coatta e mai una scelta. Chi vive oggi nei campi nomadi ieri aveva le case in Romania o nella ex-Jugoslavia. Il 70% della popolazione romanì in Italia ha cittadinanza italiana e vive nelle case (l'arrivo risale al XV secolo)

4) Facilitare l'accesso alle case popolari con pari opportunità o sviluppare insediamenti urbanistici non ghettizzanti facilitando anche l'utilizzo dei servizi pubblici. Favorire il più possibile l'accesso alla scolarizzazione, al lavoro e all'assistenza sanitaria alle famiglie di Rom e Sinti più disagiate.

5) Promuovere l'integrazione anche attraverso i Fondi Europei con programmi specifici riguardanti la popolazione Romanì per evitare la facile strumentalizzazione di far credere che l'integrazione dei Rom e Sinti in Italia passa attraverso le tasche degli italiani.

6) Arrestare il processo di demonizzazione e di criminalizzazione di un intero popolo. Sono i singoli che hanno un nome e cognome a sbagliare e che devono essere puniti e non l'etnia di appartenenza.

7) Promuovere la conoscenza della storia, della cultura, dell'arte e della lingua dei Rom e Sinti per combattere gli stereotipi negativi e favorire l'integrazione. Attualmente si dà in 99% di spazio mediatico alla cronaca e l'1% di spazio agli eventi culturali che pur si organizzano sull'intero territorio nazionale (Festivals, concerti, mostre, esposizioni, convegni, rassegne cinematografiche, concorsi letterari, etc). E'chiaro che questa disparità non può avere effetti positivi.

8) Prendere atto del palese fallimento dell'assistenzialismo delle associazioni di volontariato che si sono arrogate il diritto di rappresentare il popolo Rom. Si sperperano annualmente centinaia di migliaia di Euro per progetti di scarso o nessun valore per i Rom e Sinti.

9) Creare una consulta in Italia di intellettuali Rom e Sinti che abbiano una esperienza internazionale sulle problematiche concernenti la realtà delle comunità romanès che possa favorire la mediazione nella risoluzione dei problemi sociali e politici.

10) Favorire il più possibile il processo di integrazione a coloro i quali dimostrano una chiara volontà di partecipazione sociale evitando di porre sullo stesso piano chi merita e chi delinque. I modelli positivi devono essere esaltati per essere una valida attrattiva per combattere l'esclusione sociale e l'emarginazione culturale.

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Di Fabrizio (del 31/08/2010 @ 09:27:37, in Europa, visitato 3452 volte)

by Paul Polansky

[continua]

Saša Rašić

(foto da medijacentar.info)

IL PREMIO OFFUSCAMENTO: mette in discussione le intenzioni, l'apertura e la trasparenza di un ministro del governo kosovaro riguardo al salvare gli zingari dei campi di Mitrovica sotto la sua giurisdizione.

Saša Rašić, Ministro per le Comunità ed i Ritorni nel Governo del Kosovo, è nato il 18-07-1973, nel povero villaggio serbo di campagna di Dobrotin, comune di Lipljan. Prima di diventare ministro del governo kosovaro, questo Serbo è stato vice ministro agli Affari Interni. Prima ancora ha lavorato come avvocato, interprete della KFOR britannica a Lipljan, ed assistente e coordinatore della polizia UNMIK a Lipljan e Priština.

Uno dei suoi compiti dopo essere diventato Ministro per le Comunità ed i Ritorni era di supervisionare ed evacuare i campi zingari che si trovano su terreni contaminati, la cui gestione è stata passata nel 2008 dall'UNHCR al governo del Kosovo. Nonostante i ripetuti rapporti dei media mondiali (BBC, International Herald Tribune, Washington Times, Aljazeera, Bild Zeitung, ZDF, ARTE TV, The Sun, ecc.) che richiamavano l'attenzione su questi "campi di morte", né Rašić né nessun membro del suo ufficio hanno mai visitato i campi. A tutt'oggi, il Ministro Rašić non ha ancora rivelato un piano per evacuare medicalmente i campi, come richiesto dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e da innumerevoli altre OnG.

Da quando è diventato membro del gabinetto del Primo Ministro Thachi, Rašić ha rifiutato di incontrare i giornalisti stranieri che volevano discutere il tema dei campi contaminati dal piombo, o la costruzione dei 60 appartamenti per IDP (Persone Disperse Internamente), nel villaggio di Laplje Selo dove gli zingari dei campi fuori dalla città di Mitrovica (che non hanno mai vissuto nel quartiere Fabricka a Mitrovica sud) potrebbero essere trasferiti. Nonostante fosse programmato come uno sviluppo multietnico dal ministero di Rašić, i 60 appartamenti sono stati assegnati soltanto a Serbi, che non hanno sofferto una situazione di minaccia alla vita come gli zingari sui terreni contaminati.

Sebbene in loco ci siano forti sospetti che chi ha costruito i 60 appartamenti ha costruito nel contempo sull'altro lato della strada un palazzo per il Ministro Rašić, anche se la stupenda casa in effetti esiste (l'ho fotografata), non credo ci sia una prova scritta che provi questo gossip. Sono sicuro che il governo del Kosovo ha già investigato su questi rumori locali senza sostanza e li abbia trovati infondati. Nondimeno, sarebbe conveniente che il Ministro Rašić ed il governo kosovaro fossero più trasparenti con i giornalisti e con il pubblico e, naturalmente, per salvare i Rom/Askali assieme ai vicini serbi del Ministro Rašić.

sasa.rasic@ks-gov.net


Ambasciata Svizzera a Pristina
Agenzia Svizzera per lo Sviluppo e la Cooperazione (SDC)
Società per i Popoli Minacciati (GFBV - sezione Svizzera)

(immagine da img.webmd.com)

PREMIO "NON FATE NESSUN RUMORE": disonora i summenzionati partner che rifiutarono di "fare rumore" a favore dei bambini zingari che soffrivano di livelli di piombo mortali negli ex campi ONU ora gestiti dal governo del Kosovo.

Poco dopo la morte di Jenita Mehmeti, quattro anni, per avvelenamento da piombo nel campo ONU di Zitkovavc, mi precipitai nell'ufficio SDC di Pristina e li supplicai di aiutarmi. Per due anni SDC aveva generosamente finanziato le mie classi per insegnare l'inglese ai Rom nelle enclavi serbe vicino a Pristina, ed anche nei quartieri Gabeli/Egizi a Peja e Gjakova. SDC aveva anche finanziato i miei piccoli progetti lavorativi per gli zingari di tutto il Kosovo.

La morte di Jenita non era stata causata soltanto dal terreno contaminato dove l'ONU aveva piazzato la sua famiglia, ma anche dal fatto che suo padre riciclava batterie d'auto nella loro baracca ONU. L'attività era stata approvata dai gestori del campo. I Serbi che gli portavano le batterie avevano una licenza rilasciata dall'ufficio ONU di Zitkovac. ACT (Agenzia Svizzera di Soccorso) e NCA (Norwegian Church Agency) che assieme amministravano il campo ONU ammettevano che le batterie per auto, consegnate di solito a mezzogiorno in un camioncino aperto, venissero scaricate dai bambini zingari che non avevano altro da fare. L'atteggiamento di NCA era che gli zingari trovassero un lavoro (di qualsiasi tipo) invece di essere parassiti, dipendenti dagli aiuti umanitari.

La mia richiesta all'SDC era di farmi finanziare piccoli progetti lavorativi per i campi Rom/Askali, così che non dovessero smaltire le batterie delle macchine. Sfortunatamente, l'SDC aveva appena cambiato il proprio capo missione. Ero sicuro che il capo precedente avrebbe istantaneamente approvato il mio progetto che salvava delle vite, ma il nuovo, una donna svizzera di nome Barbara Burri, rifiutò.

Non ne fui sorpreso. Per diversi anni come vice capo missione, aveva rifiutato di assumere personale delle minoranze, solo Albanesi. Il capo precedente dell'SDC a Pristina era imbarazzato per questo atteggiamento, ma fece con me un accordo. Fintanto che non mi lamentavo del rifiuto dell'SDC di assumere minoranze, avrebbe finanziato i miei progetti zingari. Ma il nuovo capo missione non la pensava così. Ero andato troppo oltre nel tentare di coinvolgere la Svizzera. L'SDC intendeva ancora aiutare gli zingari onesti che vivevano nelle enclavi. Ma non gli zingari che morivano nei campi ONU. Sarebbe stato troppo politico per la loro "mentalità svizzera neutrale". Dopo tutto, dove aveva l'UNHCR (gli amministratori dei campi della morte) il proprio quartier generale? A Ginevra, Svizzera.

Con l'Ambasciata Svizzera non andò meglio. Anche loro si rifiutavano di assumere dalle minoranze, solo Albanesi. Quando feci appello all'ambasciatore in carica per aiutare questi bambini che morivano di avvelenamento da piombo, mi disse di cercare dei fondi altrove. Farsi coinvolgere in un progetto che avrebbe potuto imbarazzare l'ONU o gli Albanesi, non era nelle corde della Svizzera.

Il mio terzo tentativo di cercare aiuto dalla Svizzera avvenne cinque anni più tardi, quando contattai la Società per i Popoli Minacciati, a Berna. Sin dall'estate 1999 l'organizzazione madre in Germania era stata attiva nel denunciare l'avvelenamento da piombo nei campi e a chiederne l'evacuazione assieme all'OMS ed altre OnG. Infatti, la GFBV tedesca aiutò mandando una TV della Germania (ZDF) e la Bild Zeitung nei campi per dare più risonanza possibile sulla sofferenza di quei bambini. All'inizio GFBV (Svizzera) mostrò appoggio per un'azione diretta, proponendo persino di tenere assieme a noi una manifestazione presso il quartier generale UNHCR a Ginevra. Ma dopo una visita in Kosovo e dopo discussioni con l'Ambasciata Svizzera a Pristina (che disse loro di non creare rumori attorno ai campi), GFBV (Svizzera) non solo rifiutò di appoggiare la nostra campagna ma convinse anche GFBV in Germania ad unirsi a loro nel non dare più risalto alla questione dei campi.

Adottando la medesima mentalità della II guerra mondiale, la neutralità rimane il modus operandi della Svizzera. E proprio come agli Ebrei venne impedito di entrare in Svizzera durante la guerra, così pure ai nostri bambini Rom/Askali veniva proibito adesso di entrare nei cuori e nelle menti dell'Ambasciata Svizzera e dell'ufficio SDC a Pristina.

Ancora, non ne fui sorpreso. Assumendo solo Albanesi per lavorare nei loro uffici; essendo uno dei primi paesi a riconoscere il Kosovo come uno stato indipendente; perché ora gli Svizzeri avrebbero voluto "salvare gli zingari" e mettere in imbarazzo il governo del Kosovo? Probabilmente gli Svizzeri avevano paura che salvare dei "gypos" nei "campi della morte" ora gestiti dagli Albanesi poteva causare uno sciopero del loro staff albanese.

(immagine da pcr.ps/partners)

Fine undicesima puntata

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Di Fabrizio (del 31/08/2010 @ 09:57:20, in blog, visitato 2490 volte)

Premessa: Filippo Facci mi piace per come scrive, meno come persona (anche se devo ammettere di non conoscerlo personalmente); forte con i deboli e debole con i forti, sempre pronto a cambiare idea a secondo del vento che tira, è l'esempio classico del tipo di "intellettuali" (di destra e sinistra) che ci siamo sempre trovati in Italia. Comunque, conosce bene i suoi lettori, e quanto segue ne è un esempio

il Post (in una risposta ai commenti, Facci chiarisce che l'intervento è stato pubblicato su Libero)

28 AGOSTO 2010

Il punto di partenza è questo: che cosa uscirebbe da un sondaggio sui pregiudizi degli italiani sugli zingari? Ma non solo degli italiani. Azzardo una risposta. Uscirebbe che una percentuale quasi totale, da destra a sinistra, dall'alto in basso, pensa che si tratti di un popolo di ladri, di rapitori e se va bene di accattoni. Credo che si debba prenderne atto: nei loro confronti sopravvive l'unica forma di razzismo puro presente oggi in Italia, mentre tutto il resto è xenofobia. Esistono rom onestissimi, accampamenti stanziali che non hanno mai creato problemi: ma non gliene frega niente a nessuno, probabilmente neanche a me. Non c'è futuro per i rom, intesi come nomadi, come zingari, come volete: non c'è da nessuna parte. Dati alla mano, i rom corrispondono a un problema sociale e purtroppo criminale: è difficile fingere che buona parte di loro non tenda a compiere reati con regolarità, a non integrarsi nella comunità che li circonda, a non scegliere uno stile di vita alternativo per sé e soprattutto per i figli. L'allargamento della Ue e le nuove ondate migratorie non sono una causa, ma una conferma. Per via della loro astrazione e separatezza – espressione che ad alcuni ricorderà qualcosa – i rom sono perlopiù disinseriti da qualsiasi circuito culturale che non sia quello compassionevole o amante delle sottoculture: basti che l'Olocausto nazista dei rom resta l'unico, con quello ebraico, che i nazisti delegarono a motivazioni esclusivamente razziali. Ma pochi amano ricordarlo. I rom furono sterminati in quanto razza inferiore destinata non alla sudditanza, come altre, ma alla morte e basta. Furono imprigionati, seviziati, sterilizzati, utilizzati per esperimenti medici e infine gasati. Ad Auschwitz sopravvissero solo quattro zingari maschi, e il celebre dottor Mengele amava iniettare la malaria ai piccoli rom. L'Olocausto ebraico prende il nome di Shoah, quello degli zingari si chiama Porrajmos, che significa Distruzione. Ma questa è considerata, appunto, sottocultura, roba da preti, roba che adesso non c'entra niente. Può essere. Io, del resto, non sto facendo del pietismo: sto solo cercando di elencare dei fatti con sovrumana freddezza. Ed è un fatto, pure, che la maggior parte dei rom dipende dalla beneficenza statale e che i loro livelli di scolarità sono inesistenti, spesso vivono in caseggiati senza né acqua né elettricità, i loro mestieri tradizionali sono scomparsi, campano spesso di furti ed elemosina e in parte di economia marginale, tipo raccolta di ferro vecchio e cartoni, vendita per strada di fazzoletti e di fiori. Qualcuno fa ancora il giostraio, trascina piccoli circhi, le famiglie Togni e Orfei sono di origine sinti. La gente comunque non li sopporta, e anche i più tolleranti – a parole – girano al largo, se li incrociano, stringono i figli contro di sé e con essi i cordoni della borsa. E io non sono migliore di altri. Resta il fatto che non esiste un altro popolo per il quale siano state organizzate delle ronde mirate, per il quale sia stato appiccato il fuoco alle tendopoli. Non importa la differenza tra un romeno, un rumeno, un rom, un rom romeno, un rom non romeno, un rom polacco, uno zingaro, un sinti, un gitano, un semplice nomade. E' un razzismo che non fa discriminazioni.

Potete contestualizzarlo, spiegarlo, ma si chiama razzismo: credo l'unico – vero – che ci è rimasto. Da noi si tende a gridare al razzismo per ogni sciocchezza, a confondere con questo termine ogni intolleranza, distinguo, pregiudizio o anche solo giudizio. Ed è insopportabile. Ma ciò non toglie che questo sia razzismo e basta. E non è che i giornali, tutti i giornali, non ne tengano conto nell'inseguire gli umori popolari. Nel maggio 2008 tutti i maggiori quotidiani scrissero che al quartiere Ponticelli di Napoli avevano tentato di rapire una bambina: non era vero, ma per ritorsione – di un fatto falso – una ventina di giustizieri aggredirono un romeno che non c'entrava nulla, e pestarono e accoltellarono un operaio che aveva un lavoro regolare e che non viveva neppure in un campo nomadi. Poi, a Catania, due rom si fecero quattro mesi di galera per un altro rapimento farlocco: assolti, ma sui giornali neppure una riga. Ricordo che rilevai la cosa sulla prima pagina del Giornale e debbo dire che raramente, in lettere o mail di commento, mi era capitato di rilevare tanta freddezza o aggressività da parte dei lettori. Ricordo pure che menzionai che La Fondazione Migrantes (centro studi della Cei) aveva commissionato una ricerca all'università di Verona circa i tentati rapimenti addebitati ai rom dal 1986 al 2007, e che l'esito spiegava questo: «Non esiste alcun caso in cui viene commesso un rapimento, nessun esito corrisponde a una sottrazione dell'infante effettivamente avvenuta». La freddezza che ne ricavai fu anche maggiore.

Ora non mi aspetto niente di meglio, eppure io, ripeto, non sto difendendo i rom: a meno che il semplice parlarne in termini crudi, e cercar di chiamare le cose col loro nome, non sia reputata una difesa d'ufficio. Quindi non mi si dicano, ora, cose tipo «prenditeli a casa tua», o più spesso «se li prendano in Vaticano» – come ho letto in molti commenti sul web. Io non li voglio a casa mia, il Vaticano non so. Ma almeno si dica la verità, dopodiché ricominciamo a discuterne. Si può scegliere se abbinarvi un aggettivo (per esempio: giustificato, indotto, cercato, inevitabile, giusto) ma razzismo rimane. Anche il mio.


 

Prima di salutarvi, una citazione da un paragrafo di un articolo che parlava di sport:

[..] La tessera "ad personam" introdotta dal Viminale non piace ai fronti più irriducibili delle tifoserie italiane. "Ci vogliono schedare come gli zingari? – afferma un tifoso dell’Atalanta dopo gli incidenti dell’altro giorno a Bergamo in occasione della festa di Sant’Alessandro, "e noi facciamo casino".

con due rapide osservazioni: perché il primo paragone che viene in mente al tifoso è quello degli zingari? E' più impattante il casino che fanno i suoi amici, o quello degli zingari? Ci sarebbero molte altre cose da estrapolare da quella semplice frase. Le lascio a voi.

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