Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 15/04/2010 @ 09:22:20, in lavoro, visitato 1602 volte)

Ricevo da Maurizio Pagani

Fare di una tradizione famigliare un lavoro: è la Sartoria Romanì, un progetto tutto al femminile che offre una via creativa all’integrazione di un gruppo di donne rom.

Il laboratorio, avviato tre anni fa dall’Opera Nomadi, oggi ha anche il sostegno della Fondazione Ismu.

Coinvolge una quindicina di donne dei campi alla periferia di Milano: si inizia con un corso per imparare i segreti di ago e forbici, quindi si avvia la produzione dei pezzi più semplici, come grembiuli e tessili per la casa. Ma oggi le più brave confezionano anche borse e abiti, che rivendono in fiere e negozi. Quale miglior tentativo di inserimento sociale in quella che, per eccellenza, è considerata la Città della Moda?!

guarda il servizio (00:04:15)

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Di Fabrizio (del 16/04/2010 @ 09:24:19, in Italia, visitato 1672 volte)

MilanoToday La mattina si erano abusivamente insediati in uno dei parcheggi dell'Idroscalo, a Peschiera Borromeo, ma i militari li hanno allontanati. Poi la carovana si è diretta in zona Rubattino, a Milano ma la polizia locale l'ha scortata sulla tangenziale di Redazione - 14/04/2010

Una carovana di 70 rom spagnoli, con una sessantina fra auto e roulottes, si è insediata ieri nel parcheggio sud dell'idroscalo di Peschiera Borromeo. Il campo abusivo, però, è stato subito smantellato dai carabinieri che, in un paio d'ore, hanno identificato i rom e li hanno scortati sulla tangenziale est, seguendoli fino al limite del territorio con il comune Milano.

Ma sulla tangenziale, i rom, erano destinati a tornarci dopo poche ore. Come secondo accampamento (anch'esso abusivo) avevano infatti scelto un'area abbandonata in zona Rubattino, in via Caduti di Marcinelle. La polizia locale di Milano, però, li ha fatti sloggiare, scortandoli fino alla tangenziale fuori Milano.

Un problema, quello dei campi rom abusivi che continua a gravare sulla città e che non ha mancato, nei mesi scorsi, di suscitare attriti a Palazzo Marino. Solo ieri, oltre al campo di Rubattino, sono stati smantellati altri due insediamenti: all'Alzaia Naviglio Grande e alla stazione San Cristoforo.

Il vicesindaco De Corato ringrazia gli agenti della polizia locale e anche i cittadini "che continuano a indicare insediamenti non autorizzati, baraccopoli o edifici dismessi usurpati. Le loro costanti segnalazioni - ha specificato De Corato - segnano la mappa che la Polizia Locale, su autorizzazione del Prefetto, sta seguendo per ripristinare legalità e decoro".

Ma "Senza politiche compensative adeguate gli sgomberi messi in atto da Palazzo Marino non portano a niente - aveva dichiarato il Consigliere comunale del Prc, Patrizia Quartieri, riferendosi allo sgombero di Chiaravalle, lo scorso febbraio. La polemica allora infuriò per i continui rimpalli dei rom sloggiati e intervenne anche la Caritas, per chiedere al Comune di sospendere gli sgomberi nei mesi invernali. Il sindaco Moratti rispose che le leggi "non si possono rispettare a seconda delle stagioni". Adesso è primavera, ancora in attesa di un piano sgomberi adeguato che possa arginare il problema.

Sul tema, recentemente, è intervenuta anche la Comunità di Sant'Egidio, che durante gli sgomberi fa da "ponte" fra i rom e le forze dell'ordine per garantire assistenza: "Le risorse economiche, che ci sono (a disposizione di Milano ben 13 milioni di euro), possono invece essere destinate a garantire una stabilità seria, a soluzioni abitative, percorsi di inserimento, sostegno alle positive esperienze scolastiche, insomma al rispetto della dignità della persona, di cui i rom, come chiunque, hanno diritto".

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Di Fabrizio (del 16/04/2010 @ 09:36:57, in musica e parole, visitato 1920 volte)

Da Roma_und_Sinti

Fondata nel 1985 in un Plattenbausiedlung (una sorta di unità abitativa collettiva ndr) di Berlino Est, Sinti Swing è unica nella storia della Germania Democratica: i suoi membri sono Sinti tedeschi i cui genitori sono in qualche maniera sopravissuti ai campi di concentramento nazisti. La banda suonava in jazz club e festival. Poi cadde il Muro e la banda dovette reinventarsi. Dopo un breve iato, si riformò con alcuni dei figli dei membri originari, incluso il trentatreenne Launenberg. Prima ci fu un nuovo CD, poi venne girato un film sulla band; ora il gruppo revitalizzato suona il suo mix inspirato a Django Reinhardt con grande successo nelle feste jazz d'Europa. Parlando dal loro appartamento a Lichtenberg, Launenberg e Huber discutono delle origini del Sinti swing, della crescita nella Germania Democratica e della loro esperienza  nella Wende (svolta ndr)

Come si sono messi insieme i Sinti Swing?

Janko Launenberg: Qui a Lichtenberg, era il 1985. Fu fondata da uno dei miei zii e mio padre. Lui portò i suoi due fratelli nella banda. E trovarono chi suonava il violino. Era Bernd. Così formarono la banda. Per iniziare, suonarono in molti club. Non per soldi, perché era la DDR. Dovevano avere un permesso ufficiale e per loro era molto difficile, perché uno solo dei componenti della banda era andato a scuola di musica. Erano autodidatti. Dovettero lottare a lungo per un permesso.

E che tipo di esibizioni potevate fare a Berlino Est?

JL: All'inizio, in piccoli club di jazz e ritrovi giovanili. Soprattutto swing. Django Reinhardt.

Ho sentito che c'era qualche difficoltà ad avere registrazioni di Django Reinhardt nella DDR.

JL: nella Germania Est c'era solo una registrazione di Django Reinhardt.

Bernd Huber: Due: una degli anni '60 e una dei '70.

Janko, voi sete Sinti. Quant'è grande la comunità sinti a Berlino Est?

JL: Ce ne sono pochi. Qui a Berlino Est, c'erano cinque o sei famiglie. Nel Magdeburgo, c'erano Sinti. E ad Halle ed Erfurt. Qui non erano in molti.

Com'era essere Sinti nella DDR? Il dogma comunista dell'eguaglianza e del rispetto per le minoranze era una realtà nel quotidiano?

JL: Lo stato non faceva distinzioni: Non importava se eri uno Zingaro: eri un cittadino della DDR. Ma c'erano pochissimi stranieri nella Germania dell'Est, e noi avevamo i capelli e la pelle scura. Non era proprio razzismo, ma la gente si comportava differentemente con chi appariva differente. Era piuttosto difficile: ho avuto problemi a scuola.

BH: Da una parte, tutti eravamo considerati uguali. Dall'altra, nessuno si occupava della storia unica dei Sinti. A scuola era sconosciuta. C'era un famoso libro d'infanzia, Edo und Uko, molto popolare nel Blocco dell'Est ed era su una famiglia sinti. Era una lettura richiesta nella DDR degli anni '70. Ma, nel contempo, la gente non sapeva realmente chi fossero i Sinti e che Janko lo fosse. Ho che avesse relazione con i personaggi del libro. Era un po' contradditorio.

Nel III Reich, mezzo milione di Sinti furono messi a morte. Janko, tu hai parenti morti nei campi di concentramento.

JL: E' vero. I genitori di mio padre furono uccisi. E da parte di mia madre, solo suo padre e sua nonna ne uscirono vivi. Perse otto tra fratelli e sorelle. La maggior parte della nostra famiglia andò dispersa. Saremmo in molti, ma molti di più se non fosse accaduto. Se non fosse stato per Adolf Hitler, qui ci sarebbero molti musicisti: ci sarebbero molti Sinti Swings.

BH: E' una cosa che la DDR non ha mai affrontato. A scuola si imparava del fascismo e dell'Olocausto, ma non di che cosa era successo agli Zingari.

La vostra famiglia ha ricevuto una compensazione dallo stato?

JL: Mio nonno ha dovuto combattere a lungo per la cosiddetta pensione VDN [Verfolgte des Naziregimes (Perseguitati dal Regime nazista, ndr)]. Alla fine l'ottenne, anche mia nonna. Ma ci furono molti Sinti che non ricevettero niente.

Come Tedeschi dell'Est, com'è stata per voi la caduta del Muro?

BH: Domanda difficile. Da una parte, si sapeva che non si poteva andare avanti. Le cose stagnavano. Quando cadde il Muro, naturalmente eravamo felici. Nel contempo, non sapevamo cosa stava per succedere.

Quali furono le vostre prime impressioni dell'Ovest?

BH: Ci andammo un paio di giorni dopo. Fu come fare all'improvviso un salto nel tempo. Quarant'anni nel corso di due minuti. Era attivo. Ogni cosa sembrava un po' differente. Le auto avevano un odore differente: questo divertente, dolce odore. I berlinesi dell'Ovest erano molto aperti.

JL: Appena sapemmo che il confino era stato aperto, l'attraversammo da Warschauer Straße. Avevamo dei parenti che ci incontrarono dall'altra parte. Fu una festa incredibile: non andammo a casa per tre giorni. Ogni notte si dormiva in un posto diverso. C'erano così tanti colori: tutte le pubblicità al neon. Non esistevano nell'Est. Lì ogni cosa era grigia.

Ma dopo tre giorni sul Ku'damm, si capiscono le differenze importanti. All'Est, avevi i soldi ma non potevi comperare niente. All'Ovest, non avevi niente, non avevi denaro per comprare. Dopo tre giorni, avevi la sensazione di aver visto il mondo, di aver visto tutto. Tutto. Tornammo a casa, pensando a noi, a come ottenere una montagna di denaro. Non funzionò. E poi ci accorgemmo che la banda non stava funzionando come nel passato. Prima, tutti ci chiamavano. Ora dovevamo chiamare noi, fare noi la pubblicità. Il nostro appeal esotico se ne era andato.

Così fu un periodo difficile per la banda?

JL: Nella DDR, suonavamo nei migliori locali di tutta la Germania Est. Quando si aprirono i confini, anche Sinti Swing suonò in molti locali superbi. Poi, per molto tempo fu come se la banda non esistesse. Suonammo in un paio di locali. Poi incidemmo un disco, e venne girato un documentario sulla nostra banda. Ora stiamo avendo un nuovo ritorno. Le cose vanno in una nuova direzione. Vediamo gli studenti dei vecchi appassionati di jazz ed i fan di Django Reinhardt.

La musica di Django Reinhardt è ancora valida oggi?

JL: Assolutamente. Naturalmente, ha molto a che fare con gli anni '30 e '40. Ma è senza tempo. Suoniamo di fronte ad un pubblico che non ha mai sentito questa musica prima d'ora. Non puoi spiegarlo - devi solo vedere come reagiscono. E' interessante il tipo di ritmo: le chitarre prendono il posto delle percussioni. Più il mondo diviene moderno, più è attuale Django Reinhardt.

Vi manca niente dei tempi della DDR?

JL: Per prima cosa, la natura semplice delle persone. Il contatto sociale era migliore, davvero. La gente era più amichevole. Oggi, tutto è più freddo ed è un mondo di cane-mangia-cane. "Cosa mi importa di te? Non mi interessi. Sono migliore di te." Tutto ciò non esisteva all'Est. Il sistema oggi non è migliore di quello della DDR. Quando eri ammalato, andavi dal dottore e non dovevi pagare milioni. Oggi quelle cose puoi solo sognarle. Avresti dovuto vedere un festival di strada all'Est negli anni '80. Come partecipava la gente. Era incredibile. La gente era felice. Avevano sicurezza. Erano bei tempi.

Ora ci sono molti Zingari a Berlino. Janko - tu, come Sinto, hai contatti con questi nuovi Rom immigrati dai Balcani?

JL: Non molto. Suoniamo con un paio di musicisti rom, ma abbiamo davvero pochi contatti con questo popolo. Vengono da altri posti. Non ci conoscono. I dialetti sono piuttosto differenti ed hanno uno stile di vita completamente differente dal nostro. Il contatto non viene da lì, pensando che abbiamo un linguaggio comune e che proveniamo dal medesimo posto. Le nostre vite sono troppo differenti.

Qual è la differenza tra Sinti e Rom? Non parlate tutti il romanés?

JL: Sì, ma gli Zingari cresciuti in Ungheria parlano una lingua differente da quelli cresciuti in Germania. Ha a che fare col tempo. Visto in termini di tempo, siamo più avanti di altri.

Gli Zingari dell'Europa orientale hanno portato la loro musica in occidente con grande successo. Vedi una sorta di rinascimento nel campo della musica rom e sinti?

JL: Attraverso questa musica che viene dall'est, la gente sta conoscendo i Rom ed i Sinti. Siamo uno degli ultimi popoli non esplorati. La gente è curiosa.

Voi vivete a Lichtenberg, attorno a Weitlingkiez, conosciuto per essere un posto malfamato e covo della destra...

JL: Era così nel passato, ma ora non più. Arrivano sempre più stranieri e tutti i neonazisti si devono nascondere. Non possono esprimersi apertamente perché ci sarebbero problemi. Ora sta arrivando molta gente da Friedrichshain. Non penso che sia necessariamente un bene. Ma qui c'è pace tra razzismo e multi-kulti.

Siete politicamente attivi?

JL: Non direi. Nelle interviste tentiamo di informare la gente su chi siamo. Non viviamo nelle roulotte e non pratichiamo più la magia.

Ci sono ancora dei pregiudizi?

JL: Naturalmente, ci sono pregiudizi dappertutto. Avevo una ragazza, mi disse "Cosa, sei uno Zingaro? Non può essere! Se solo lo sapesse mia nonna!" Pensava che gli zingari rapissero i bambini e rubassero. Rubare bambini: è il colmo. Ma non mi devo arrabbiare.

Se ti chiamo Zingaro, va bene?

JL: Dipende da come lo dici. Se dici, "swing e musica jazz dello Zigeneur", non è un insulto. Ma se qualcuno dice "Tu Zingaro!" ha tutto un altro tono. E' meglio se si sa distinguere tra Rom e Sinti, e se mi dici "Hey Sinto!"

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Di Fabrizio (del 17/04/2010 @ 09:16:55, in Europa, visitato 1723 volte)

di Piero Ignazi - 15 Aprile 2010

Tra le due guerre, fascismo e nazional-socialismo attecchirono vigorosi in Ungheria. I movimenti che si richiamavano a quelle esperienze ammontavano a un centinaio e solo la morte del leader del fascismo ungherese Julius Gömbös nel '36 impedì una piena fascistizzazione del regime autoritario instaurato nel '32 dall'ammiraglio Miklós Horthy. L'alleanza con la Germania portò poi nel '44 all'instaurazione di un regime nazional-socialista vero e proprio incentrato sul Partito delle Croci frecciate. E da quel momento iniziò la deportazione in massa dei 500mila ebrei ungheresi. L'Ungheria ha quindi una storia cupa alle spalle.

Non meno travagliati sono stati i primi dieci anni del dopoguerra, culminati con la rivolta del 1956. In seguito, il "comunismo al gulasch" aveva pacificato il paese. Anche la riabilitazione delle vittime delle repressioni staliniane degli anni bui come Laszló Rajk, o della rivolta del 1956, peraltro già avviata prima dell'89, indirizzava il paese su un binario solido di transizione e consolidamento democratico. Così è stato, finora, grazie a una serie di alternanze al governo tra socialisti e moderati. Anche la presenza di partiti di estrema destra non preoccupava più di tanto.

Diverso, invece, il quadro emerso dalle elezioni parlamentari di domenica scorsa. Il Movimento per una Ungheria migliore (Jobbik), che alle elezioni del 2006 aveva raccolto appena il 2%, ma che già alle europee del 2009 era schizzato al 14,8, a quelle parlamentari di domenica è arrivato al 16,7. Risultati che fanno di questo partito uno dei più significativi di tutta Europa.

Come nella Fpö austriaca degli anni 90, guidata da Jorg Haider, anche Jobbik alterna richiami più o meno mascherati ed eufemistizzati al passato delle Croci frecciate con interventi sui temi d'attualità. Da un lato, agisce sulla nostalgia animando un movimento paramilitare - la Guardia ungherese - con tanto di divise, bandiere e organizzazione gerarchica che richiama le Croci frecciate; riprende i toni antisemitici con espliciti attacchi a personalità ebraiche e allusioni alle "forze occulte della finanza internazionale" che dissanguano la nazione; difende criminali di guerra come Sandor Kepiro considerati dal Centro Wiesenthal come il principale ricercato del 2010; e invita alla "soluzione finale" (sic) del problema degli zingari.

Dall'altro si presenta come un partito nazionalista che vuole restaurare i fasti dell'antica nazione magiara, i mille anni della "Sacra Corona" di Santo Stefano, che predica di una politica aggressiva di law and order ma nulla più, e che si dichiara ferocemente antisocialista e anti-establishment.

Jobbik è un altro partito dell'estrema destra populista che mescola abilmente richiami alla storia nera ungherese con l'agitazione dei problemi attuali, reali e meno, dell'Ungheria. La campagna anti-zingari e contro le influenze straniere si sviluppa lungo due piani: nel primo si criminalizza la minoranza Rom (il 6% della popolazione); nel secondo si accusano la Banca centrale e il governo socialista di consentire con la nuova legge sulla proprietà agraria che la terra ungherese possa "finire in mano straniere", e d'impedire una tassazione più elevata sulle multinazionali. Dietro a tutto questo, ovviamente, c'è la responsabilità della Ue che impone norme contrarie ai "veri" interessi della nazione e del popolo.

Un tale armamentario ideologico si ritrova in molte parti d'Europa. Di fronte a movimenti di questo genere sono possibili due strategie: quella francese, dell'isolamento assoluto dell'estrema destra costi quel che costi in termini elettorali; quella austriaca e olandese dell'inclusione dei partiti estremisti al governo per ridimensionarli o modificarli. L'unica strada da non percorrere è quella di far finta di niente, di considerare irrilevanti o folkloristiche le posizioni xenofobe antisemite e nazionaliste. Perché hanno grande appeal in momenti di crisi e di trasformazione, soprattutto presso le componenti più spaventate e più esposte. E, quando si rompe la diga, queste posizioni possono dilagare.

15 Aprile 2010

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Di Fabrizio (del 18/04/2010 @ 09:48:20, in Europa, visitato 2004 volte)

Da Czech_Roma

La piccola Natálka, la bambina di due anni seriamente ustionata in un attacco doloso contro la sua casa a Vítkov, sta reimparando a camminare. Sua madre, Anna Siváková, ha detto all'Agenzia Stampa Ceca che la bambina non è più in grado di camminare se qualcuno non la tiene per mano. Presto seguirà la riabilitazione per i problemi col suo piede destro, che non vuole camminare. Poi affronterà un'altra operazione, alle dozzine che ha già subito. Il 19 aprile sarà passato esattamente un anno da quei tragici eventi che hanno cambiato le vite di così tante persone.

L'11 maggio andranno a processo gli accusati di aver causato la disgrazia della piccola bambina e dei suoi genitori, che pure furono feriti dalle fiamme. I genitori di Natálka si ritroveranno di fronte agli assalitori. "Non faccio previsioni. Non ho idea di come risponderò quando li vedrò," dice Siváková.

Recentemente la madre di Natálka ha ricevuto una copia delle accuse, circa 50 pagine, e ne ha letto i dettagli. "Dicono che Lukeš organizzò tutto. Chiamo gli altri e li aspettò ad Opava. E' anche accusato di aver scelto la nostra casa," dice, aggiungendo che gli accusati si rimpallano le loro responsabilità. Però, tutti si giustificano dicendo di non aver saputo che la casa fosse abitata. "La polizia ha interrogato la ragazza di Lukeš a Vítkov. Lei ha detto che avevano guidato diverse volte sino a casa nostra e di avervi visto giocare i bambini," dice Siváková.

Ha anche letto che un'altro accusato, Müller, si bruciò la mano lanciando le molotov. L'accusa dice che un'ora dopo cercò di curarsi a casa di un amico. Dice anche che il gruppo intendeva commettere l'attacco una settimana prima, ma che non trovarono una macchina per farlo.

Gli incendiari, tutti estremisti di destra di Bruntál e Opava, lanciarono tre molotov piene di benzina attraverso le finestre della casa. Natálka, che non aveva ancora due anni, soffrì di ustioni di secondo e terzo grado sull'80% del corpo. I genitori furono ustionati più lievemente.

L'attacco cambiò completamente la vita della famiglia. Anche dopo che Natálka tornò a casa dopo otto mesi di ricovero, niente era più lo stesso. "Pensavamo che sarebbe stato meglio dopo il ritorno a casa. Sbagliavamo. Era solo l'inizio," dice Siváková. La piccola Natálka ha subito dozzine di operazioni ed ora ha paura dei dottori. Urla disperatamente quando vede l'ospedale, e presto dovrà sottoporsi ad un'altra degenza. "Tra due settimane dobbiamo iniziare la riabilitazione. Poi sarà operata alle mani. Starà in ospedale per un mese. Non so come farà," dice la giovane madre.

David Vaculík, Jaromír Lukeš, Ivo Müller e Václav Cojocaru affronteranno il processo in mezzo a straordinarie misure di sicurezza. Sono accusati di aver commesso un tentato omicidio multiplo, tra cui una bambina, a sfondo razziale. Rischiano l'ergastolo. "Per me sarebbe giusto se ricevessero la pena più dura possibile. Ci hanno condannato ad una pena che durerà tutta la vita. Penso che debbano soffrire come sta soffrendo la nostra famiglia," dice Siváková.

Czech Press Agency, translated by Gwendolyn Albert

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Di Fabrizio (del 19/04/2010 @ 09:33:17, in casa, visitato 1752 volte)
Petizione contro la ghettizzazione rom a Cluj
Indirizzata al Consiglio Comunale e all'Ufficio del Sindaco di Cluj-Napoca

Alla fine di marzo 2010, il vice sindaco di Cluj-Napoca, Attila László, ha riferito alla stampa che per trovare una soluzione per i circa 1.500 Rom che vivono nelle vie Cantonului e Coastei e a Pata Rat, i leader del governo locale stanno valutando sul spostarli accanto alla discarica nei pressi di Pala Rat (http://www.citynews.ro/cluj/din-oras-10/primaria-muta-romii-de-la-pata-rat-cu-o-parcela-mai-incolo-77329/).

Con questa "soluzione" la città multiculturale di Cluj rimane molto indietro rispetto alle raccomandazioni della Commissione Europea riguardo alla desegregazione e le politiche inclusive, o a quelle che si riferiscono alla necessità di prendere decisioni col coinvolgimento delle comunità rom - idee ripetute questa settimana al secondo Summit Europeo dei Rom(http://www.nieuwsbank.nl/en/2010/04/09/H007.htm).

Secondo le dichiarazioni del vicesindaco, il Consiglio ha iniziato a considerare una risoluzione per identificare i proprietari a Pata Rat per espropriare i terreni dove sistemare i Rom delle vie Cantonului e Coastei e dintorni. Oltre al diniego totale del pericolo si segregazione etnica, non viene posta attenzione al problema fondamentale di queste persone: la mancanza di documenti di residenza e di documenti d'identità permanenti, che potrebbero assicurare loro la sicurezza nella vita di tutti i giorni.

Queste recenti decisioni e proposte sono state prese come d'abitudine per le autorità locali: ad es. senza consultare i rappresentanti delle comunità rom e senza nemmeno avvertire i diretti interessati. Per oltre dieci anni hanno subito improvvisi sgomberi e rimozioni forzate da un posto all'altro, diventando via via vittime di una crescente segregazione residenziale che riproduce ed aggrava tutti i loro problemi, dall'accesso all'istruzione di qualità, a quello ad un lavoro decente, sino alla discriminazione istituzionale. Né ora, né altrimenti, è mai stato offerto alle organizzazioni rom un quadro legale in cui discutere della questione, le autorità non si sono consultate con loro e quando è stato fatto un tentativo in questo senso da parte delle organizzazioni, le loro opinioni sono state ignorate. Inoltre, anche se ci sono persone di etnia rom nelle autorità locale, in Prefettura, nei Consigli Distrettuale e Comunale di Cluj, non hanno preso una posizione ufficiale contro la ghettizzazione dei Rom in città. Questo dimostra che le posizioni da loro occupate non sono sufficientemente indipendenti da servire gli interessi di quanti dovrebbero rappresentare, ma che sono subordinate alle decisioni di queste strutture di potere.

Chiediamo l'attenzione del Consiglio Cittadino e dell'Ufficio del Sindaco di Cluj perché il loro nuovo progetto è un progetto di ghettizzazione etnica, una manifestazione di discriminazione istituzionale e perciò una grave violazione dei diritti umani, con gravi conseguenze sulla cronica esclusione socio-economica e non-riconoscimento dei Rom come parte integrale della città. I firmatari di questa petizione chiedono urgentemente di fermare questo progetto e sviluppare strategie che assicurino effettivamente condizioni di vita durature e decenti per tutti i cittadini di Cluj.

Potete appoggiare la nostra richiesta firmando la petizione in lingua rumena a:
http://www.petitieonline.ro/petitie-p19395057.html (per chi non ha familiarità con la lingua, cliccare su Semneaza petitia, poi nella prima casella indicare nome e cognome, nella seconda la propria mail - confermare nella terza - e nell'ultima il codice di validazione, le altre caselle sono facoltative. ndr)

Cluj, 11.04.2010.

Pavel Doghi, president of Amare Phrala Association
Enikő Vincze, professor Babesc-Bolyai University, member of the Romani Criss board

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Di Sucar Drom (del 20/04/2010 @ 00:42:35, in blog, visitato 1739 volte)

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Di Fabrizio (del 20/04/2010 @ 16:13:58, in sport, visitato 1962 volte)

  Milano, 12:37

Sgomberati dai campi nomadi, protagonisti sul campo di San Siro per la semifinale di Champions League: una ventina di bimbi rom questa sera accompagneranno per mano, sul tappeto erboso del Meazza, i giocatori di Inter e Barcellona. I bambini, tra quelli che erano stati sgomberati con le loro famiglie dagli insediamenti di via San Dionigi e del cavalcavia Bacula, ora sono ospiti della Casa della caritĂ  di don Virginio Colmegna, coinvolto nell'iniziativa di questa sera dal presidente dell'Inter Massimo Moratti. Mentre i 20 ospiti del Meazza seguiranno la partita dalle tribune, gli altri assistiti della Casa della caritĂ  la vedranno tutti insieme, nel centro del parco Lambro, insieme al sacerdote.

(20/04/2010) (Spr)

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Di Fabrizio (del 21/04/2010 @ 09:55:08, in scuola, visitato 2273 volte)

Da blog.soros.org

Crescere Rom

9 aprile 2010 | by Violeta Naydenova

A nove anni capii di essere differente e non capivo perché. Ero sempre stata una bambina felice. A scuola avevo molti amici. Ma tutto questo cambiò in quinta.

In Bulgaria, come in molte parti dell'Europa dell'Est, i bambini rom non hanno accesso all'istruzione di qualità. I bambini rom nelle scuole segregate vengono promossi senza saper leggere o scrivere. Nella città dove son nata, abbiamo una scuola segregata sino alla quarta. La scuola è a soli 100 metri da casa mia, ma mia madre non voleva che andassi là. Sapeva che non avrei ricevuto una buona istruzione e mi iscrisse alla scuola pubblica per gli studenti bulgari.

La decisione non fu facile. Il percorso da e per la scuola era difficile. Anche mio padre ed i nonni non erano d'accordo con la sua decisione. Non capivano perché avrei dovuto andare a scuola così lontano da casa e separarmi dai miei cugini. Ma mia madre sapeva il perché. Sapeva quanto fosse importante l'istruzione. Mi protesse dall'essere presa in giro dai bambini della scuola. I miei genitori decisero di parlarmi soltanto in bulgaro così da non sviluppare accenti particolari. Ma non poterono proteggermi a lungo.

Quando fui in quinta, i bambini rom del mio quartiere iniziarono a frequentare la mia stessa scuola. Erano amici d'infanzia e così parlavo e giocavo con loro. Ma una alla volta le mie compagne di classe si allontanarono da me quando mi videro interagire con i nuovi compagni rom. Mi indicarono chiamandomi "zingara". Non sapevo perché. Era qualcosa di sbagliato? Perché pensavano che fossi differente? Mi sentivo colpevole, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato.

Da allora furono insulti, umiliazioni e comportamenti aggressivi da parte delle mie compagne e persino da qualche maestra. Non ho mai detto ai miei genitori o condiviso con qualcuno cosa succedeva a scuola. Mi sentivo in imbarazzo.

Nonostante quegli anni difficili ho sempre avuto mia madre ad incoraggiarmi nel continuare gli studi. Mi sono diplomata ed ho iniziato a studiare giornalismo nell'Università di Sofia. Ma persino all'università non ho potuto scappare dai pregiudizi della gente. Alla prima lezione gli studenti iniziarono a discutere di "zingari puzzolenti". Per un momento mi preoccupai che mi avessero riconosciuta. Ma non sapevano che fossi Rom. Non gli passava per la mente che potesse esserci una studentessa rom che frequentava il loro corso.

Fu all'università che iniziai ad interessarmi alla storia, alla lingua ed alla cultura del popolo rom. Lessi libri sulla sturia dei Rom, ed ebbi la possibilità di incontrare altri studenti, insegnanti, giornalisti ed intellettuali di origine rom. Dopo che mi laureai, iniziai a lavorare come reporter per il giornale rom Drom Dromendar. Capii presto che non avevo niente di cui vergognarmi. Sono una donna rom e ne sono orgogliosa.

 Violeta Naydenova nel video, "I'm a European Roma Woman." (per chi legge su Facebook, il link al video, ndr)

Molti dei miei simili non condividono questo punto di vista. Molti giovani rom oggi crescono senza mai sapere della loro storia e di chi sono realmente. Molti Rom di successo nascondono la loro vera identità. Si nascondono come facevo io. Molti stereotipi radicati nella nostra società ci fanno sentire come cittadini di seconda classe; come se non fossimo parte della società ed appartenessimo solo ai ghetti e alle mahalle.

I Rom sono il più grande gruppo minoritario in Europa. Soffrono di alti tassi di analfabetismo, disoccupazione e povertà. Ancora non abbiamo un approccio mirato e coordinato per affrontare questi problemi. L'Europa non può ancora ignorare i Rom.

L'Europa deve prevedere l'accesso all'istruzione di qualità per tutti i bambini. Nonostante le decisioni per una riforma in questo senso della Corte Europea dei Diritti Umani rivolte contro la Repubblica Ceca, la Grecia ed, appena un mese fa, la Croazia, ai Rom viene regolarmente negato un pari accesso all'istruzione. L'Europa deve iniziare a mettere in discussione le questioni di identità - assicurandosi che gli studenti imparino l'uno dall'altro, sulle loro differenze e sul fatto che la diversità non è un male. Al contrario, la diversità è qualcosa che arricchisce tutti.

La decisione di mia madre di mandarmi alla scuola pubblica mi ha cambiato la vita. Ora lavoro per aiutare a cambiare la vita di altri giovani rom. Presso l'Open Society Institute aiuto i Rom dell'Europa Centrale ed Orientale ad ottenere tirocini e formazione scolastica. Queste opportunità insegnano ai giovani rom come diventare i migliori avvocati di se stessi e migliorare la loro comunità.

Ma non possiamo farlo da soli. Assieme a noi l'Europa deve impegnarsi per assicurare che tutti Rom abbiano pari accesso all'istruzione di qualità - ed espandere e consolidare una nuova generazione di donne e uomini rom che guidino la loro comunità ad un cambiamento reale in tutte le sfere pubbliche delle loro vite.

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Di Fabrizio (del 22/04/2010 @ 09:24:04, in Italia, visitato 2149 volte)

Segnalazione di Gianluca Tarasconi

TU TAJ ME IO E TE
DIRITTI DEL POPOLO ROM E CONVIVENZA

LA SCUOLA LA CASA LA FAMIGLIA
I BAMBINI DI RUBATTINO E ALTRE STORIE
NOI NON CI STANCHIAMO.
SI STANCHERANNO PRIMA LORO.
Che cosa succede nel cuore di un bambino rom che si mette la cartella sulle spalle e, un giorno dopo l'altro, va a scuola, accolto, amato e rispettato?
Che cosa succede nel cuore di uomini e donne rom che vedono rispettati i loro diritti e la loro dignità?
E che cosa succede invece quando le ruspe cancellano i diritti e la dignità?

Milano 29 Aprile 2010
Camera del Lavoro Corso di Porta Vittoria 43 - Salone Di Vittorio
dalle ore 19.30

ore 19.30 - APERITIVO SOLIDALE
Installazioni video
Musica dal vivo con i Muzikanti di Balval
Mostra "Immagini e storie dei bambini di Rubattino"

ore 20.30 - VITA DA ROM

Intervengono:
Tommaso Vitale, professore di sociologia dell'Università di Milano-Bicocca
Stefano Pasta, volontario del servizio rom della comunità di S. Egidio
Assunta Vincenti, Marialuisa Amendola, mamme Rubattino
Jovica Jovic, musicista

Introduce
Paolo Limonta, maestro elementare

Modera
Patrizia Quartieri, Consigliere Comunale e Presidente della Commissione Pari Opportunità

Comitato Zona 3 per una Scuola di Qualità


Una nota di Ernesto Rossi

Una delle cose più belle in assoluto che sono successe (stanno succedendo) in questa città negli ultimi tempi riguarda, stranamente forse, e comunque in modo inedito, i bambini rom, ripetutamente cacciati e respinti dai luoghi di fortuna in cui vivono con le loro famiglie, e conseguentemente dalla scuola, che molti di loro frequentano con grande passione.

Riguarda la rivolta civile (raramente questo termine appare così appropriato) di alcune maestre ed anche di alcuni genitori degli altri bambini, i piccoli gagè loro compagni di classe, contro l'esclusione e il rifiuto.

I bambini appartengono a tutti, rappresentano un possibile futuro: meglio e più insieme crescono, e più c'è speranza che la diversità, come spesso si sente ripetere, venga riconosciuta quella ricchezza che è, anche in natura (ma noi umani, almeno in parte poco apparteniamo a questa ‘natura', cui ci siamo sottratti, promessa, condizione, speranza di un futuro diverso).

Questa storia verrà presentata e discussa nella serata del 29 aprile in Camera del Lavoro di Milano alle 19.30: l'esperienza di Rubattino, luogo geometrico della violenza insensata (ma c'è una violenza sensata?) contro gl'inermi, che nasce, come diceva Curzio Malaparte, da "Una misteriosa paura degli inermi"e induce il "furor d'abiezione".

Ci sono bambini, altrove, che a scuola vengono lasciati senza mensa, a pane e acqua; refezione non più usata, nell'Italia democratica, nemmeno per i carcerati. Milano, essendo città accogliente e civile – e ricca - non commette di queste brutalità; ma essendo anche pratica e concreta, risolve il problema alla radice: niente scuola, niente problemi. Sapete? è il decoro, che va tutelato; bisogna difendere, con le unghie, con i denti, con uomini in assetto antisommossa, la nostra sicurezza.

A questa vicenda milanese rimane tristemente (e vergognosamente) estranea l'amministrazione della città, sindaco, vicesindaco decorato al valor incivile, assessori, consiglieri comunali, zonali, cattivi consiglieri malconsigliati: loro sono i mandanti. Che, come l'assessora competente, durante uno sgombero, proprio a Rubattino, vanno a celebrare la Giornata Mondiale dell'Infanzia. E mentre lì parlano, nemmeno gli si strozza la voce in gola.

Quella che si presenta giovedì sera in Camera del Lavoro è dunque una storia che tutti dovrebbero conoscere, per capire, imparare, ragionare. Per tirare – poi - un mezzo sospiro di sollievo: non siamo ancora perduti.

Veniteci.

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