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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 13/09/2009 @ 08:34:17, in conflitti, visitato 1636 volte)

Marco Brazzoduro segnala un articolo che ha ripreso a circolare in diverse versioni, e che non avevo ripreso a suo tempo. Lo ricopio da Napoli.blogolandia.it, che è anche l'edizione che ha più rimandi

di Giuseppe Rondelli - Martedì, 2 Giugno 2009

Vi ricordate quella storia tremenda di due anni fa, quando furono prima dati alle fiamme, poi sgomberati, poi rasi al suolo gli insediamenti rom di Ponticelli, a Napoli? Vi ricordate quelle immagine tremende, delle baracche che bruciavano, e poi dei poveretti - bambini, anziani, donne e uomini - che fuggivano via, senza nessuna meta, coi furgoncini stracarichi di cianfrusaglie e col terrore negli occhi e nei volti?

Vi ricordate la dichiarazione di disgusto della commissaria europea Viktoria Mohacsi, che era venuta a capire cosa stava succedendo in Italia, e se ne andò dichiarando: «Vado via sconvolta»?

E vi ricordate come era nato tutto ciò? Con la storia - improbabilissima - di una ragazzina rom che avrebbe tentato di rapire una neonata. Al governo, all’epoca , non c’erano Berlusconi e la destra e la Lega xenofoba.

Al governo c’era il centrosinistra, e non fece niente per difendere i rom. Oggi si scopre perché successero quelle cose. Si scopre che gli assalti ai campi rom non furono spontanei, non furono determinati dalla rabbia della gente ma furono organizzati dalla malavita (diciamo dalla camorra) per conquistare i terreni occupati dai campi rom, e poi per destinarli alla speculazione edilizia. Probabilmente lì sorgerà un centro commerciale.

A circa un anno di distanza dai roghi di Ponticelli, grazie ai quali nel giro di poche ore vennero sgombrati ben sette campi rom, la distesa di desolazione di viale Argine è ancora intatta, solo recintata.

Nessuna casa dello sport e nessuna casa della musica. Nessun viale alberato. Nessun parcheggio. Il progetto di riqualificazione urbano previsto per la zona non è ancora partito.

E nemmeno è stata completata l’opera di bonifica sul territorio. Eppure la delibera del comune di Napoli con la quale si dispongono interventi sulla zona è datata 15 giugno 2007, approvata dopo pochi mesi dallo stesso organo del comune. Molte le zone destinate a centri commerciale ed edilizia privata, in disaccordo con il disegno iniziale che immaginava questi interventi come residuali rispetto a quelli pubblici.

Ma bandi così concepiti a Napoli rischiano sempre di andare deserti, come sperimentato anche per ben due volte dal progetto su Ponticelli. E si arriva agli 11.500 mq di spazi comunali contro i 44.600 mq di aree "destinate alla vendita". La conferenza dei servizi dà, poi, parere favorevole all’insediamento di un altro centro commerciale su un’area adiacente. Massiccio si fa l’ingresso delle imprese private così come massicci si profilano essere gli stanziamenti pubblici.

Le società che si dicono essere interessate all’affare hanno, intanto, la struttura della scatole cinesi, quella che, meglio di tutte, assicura l’irrintracciabilità. Come la Ponticelli srl, 2500 euro di capitale sociale per un affare di 140 milioni di euro. Circostanza che da sempre fanno da orizzonte ai movimenti della criminalità organizzata, presentissima su queste strade che, intanto, negli stessi mesi dei roghi sono coperte di immondizia. Rifiuti di ogni tipo, rifiuti speciali, rifiuti pericolosi, rifiuti nocivi.

E’in questo contesto che matura la "protesta" contro i rom, che si sviluppa con brutalità e violenza inaudita. "Me ne vado via dall’Italia sconvolta" dice Viktoria Mohacsi, osservatore mandato dall’Unione europea per capire cosa stesse succedendo a Ponticelli. Il copione che si cerca di far passare è quello di una popolazione esasperata, resa feroce dopo il tentativo di rapimento di una bambina da parte di una ragazza rom, Angelica. Sono tanti, tuttavia, quelli che credono a un andamento dei fatti diverso dal canovaccio "popolazione contro rom".

La disperazione della gente di Ponticelli, che pure è reale, sembra sia stata resa esasperata ad arte, per provvedere allo sgombero veloce di un’area divenuta troppo importante per altri e più alti interessi. La presenza dei rom avrebbe potuto determinare lungaggini, avrebbe potuto far naufragare il progetto per inidoneità dell’area. E i roghi, oltre ad assicurare il veloce smantellamento delle baracche, avrebbero anche potuto portare a una bonifica dell’area meno onerosa, garantendo al tempo stesso la scomparsa degli eventuali rifiuti pericolosi.

Intanto la sedicenne viene ritenuta colpevole di tentato sequestro anche in appello. "Come è possibile che in un quartiere comandato dalla camorra una rom decide di tentare un reato così grave? Come avrebbe fatto a portare via la bambina e dove? Quali le prove, oltre alla testimonianza della madre della bambina?", si domanda, tuttavia, Vincenzo Esposito dell’associazione Opera Nomadi, che parla di un clima da caccia alla streghe, montato ad arte per coprire altro. "La protesta – continua Esposito – di cui tutti hanno parlato è stata in verità opera di non più di una trentina di persone, che hanno appiccato fuoco a tantissime baracche.

Io c’ero. E ho visto personaggi noti alla giustizia per vicende legate al 416bis aggirarsi attorno ai campi rom, dare istruzioni". Solo l’inviato dell’autorevole quotidiano spagnolo El Pais, nei giorni dei roghi, parla senza mezzi termini di una regia criminale. In Italia le immagini agghiaccianti delle molotov contro le baracche si alternano a quelle della lacrime della giovane madre della bambina "quasi" sequestrata dalla rom, in un mosaico di fotogrammi che diventa anche spiegazione dell’accaduto.

La condanna da parte della politica è unanime, ma, con metodo bipartisan, professa anche comprensione per il disagio della popolazione. Dopo un anno, intanto, ancora si cerca un posto per quei rom. L’assessore al comune di Napoli ci dice che in autunno finalmente arriveranno i tre nuovi centri di accoglienza e sempre nello stesso periodo si metterà mano al progetto di un villaggio, "provvisto di fogne", che funga da modulo abitativo per le famiglie rom. Sulle zone "sgomberate" dovrebbero a breve iniziare dei lavori, visto che solo pochi mesi fa l’azienda che si occupa di installare i tubi del metano, la Napoletanagas, non ha potuto fare impianti nella zona recintata.

Una zona che rimane di dominio del clan Sarno, dove si incendiano materiali di tutti i tipi. E che l’assenza delle baracche non ha reso meno agghiacciante, col suo profilo di terra perduta per sempre, di terra in cui i disperati si muovono contro i più disperati, mentre la criminalità organizzata parla attraverso i rumori dei motorini truccati. Inutilmente ieri abbiamo chiesto all’assessore all’edilizia che cosa ne sarà di queste vie, a chi verranno affidati i lavori e quando inizieranno. Nessuna risposta, assessori introvabili.

Giovanna Ferrara - tratto da Altronline.it

leggi anche il nostro articolo del 30 Luglio 2008

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Di Fabrizio (del 14/09/2009 @ 09:35:05, in Italia, visitato 1896 volte)

Segnalazione di Tommaso Vitale, la fonte è Amnesty International

11 settembre 2009 AZIONE URGENTE - LA COMUNITA' ROM DI FRONTE AD UNO SGOMBERO FORZATO

Le autorità cittadine di Milano [...], si stanno preparando a sgomberare di forza una comunità di circa 200 Rom che vivono nella zona Rubattino ad est della città. Secondo i media e le OnG locali, è stato loro annunciato che lo sgombero avverrà entro il 21 settembre.

Secondo le informazioni ricevute da Amnesty International, non è chiaro quale sistemazione alternativa sarà offerta alla comunità dell'area Rubattino. Non sono stati consultati sull'imminente sgombero, e le autorità non hanno fatto nessun tentativo trovare con loro qualsiasi alternativa praticabile. Duranti gli sgomberi precedenti di comunità rom, le autorità hanno offerto una forma di rifugio a breve termine (settimane o pochi mesi), e soltanto a donne e bambini piccoli, nei dormitori cittadini per senza tetto.

Senza sistemazione alternativa, le famiglie vivranno dure condizioni in un altro campo improvvisato, o lasciati senza un riparo elementare, il che significa che dovrebbero vivere all'aperto anche con cattive condizioni di tempo. La comunità include circa 70 bambini, 40 dei quali frequentano le scuole nelle vicinanze. Lo sgombero minaccia di interrompere la loro scolarizzazione e la loro istruzione. Secondo la legge, le autorità dovrebbero notificare lo sgombero ad ognuno, a voce o per scritto, ma, secondo le informazioni disponibili ad Amnesty International, questo non è avvenuto. Dato che la comunicazione non è stata formalizzata in questa maniera, la comunità non può fare ricorso in tribunale, e fermare o posticipare lo sgombero.

La maggior parte di quanti vivono nel campo di Rubattino hanno sperimentato almeno uno sgombero forzato. I precedenti sgomberi forzati hanno comportato la distruzione dei ripari, vestiti, materassi, e talvolta medicine e documenti. Si ritiene che che tutti questi sgomberi siano attuati senza le procedure di sicurezza richieste dagli standard dei diritti umani regionali ed internazionali.

PER FAVORE SCRIVETE IMMEDIATAMENTE:

  • Per fare pressione sulle autorità di non sgomberare a forza le famiglie rom che attualmente vivono nell'area Rubattino;
  • Per ricordare alle autorità che gli sgomberi forzati, attuati senza protezione legale, sono proibiti dalle leggi internazionali, come flagrante violazione di una serie di diritti umani, in particolare, quello ad un alloggio adeguato;
  • Per far pressione sulle autorità perché gli sgomberi siano adoperati soltanto come ultima misura, e soltanto con tutte le garanzie richieste dagli standard dei diritti umani regionali ed internazionali, includano reali consultazioni coi residenti dell'area coinvolta ed esplorino alternative fattive; forniscano loro un adeguato e ragionevole periodo d'anticipo per la notifica; garantendo il diritto all'indennizzo legale, inclusa la possibilità di ricorso in tribunale con aiuto legale; forniscano una sistemazione alternativa adeguata ed un rimborso per tutte le perdite; assicurando nessun maltrattamento dei Rom.

INVIATE IL VOSTRO APPELLO PRIMA DEL 21 SETTEMBRE 2009, A:

Dott. Valerio Lombardi
Prefetto di Milano
Palazzo Diotti
Corso Monforte, 31- 20122 Milano
Italy
Email: prefettura.milano@interno.it

CON COPIA A:

Vice Sindaco Riccardo De Corato,
Piazza Scala, 2 – 20121 Milano
Italy
Email: vicesindaco.decorato@comune.milano.it

[...]

INFORMAZIONI AGGIUNTIVE:

Negli ultimi 10 anni, in Italia sono avvenuti numerosi sgomberi forzati di comunità rom. Gli sgomberi forzati sono diventati più frequenti dopo che accordi speciali (Patti per la Sicurezza) sono stati firmati dal governo nazionale con le autorità locali, incluse quelle di Milano, il 18 maggio 2007. Come risultato di questi accordi speciali, alcuni poteri sono stati trasferiti dal Ministro degli Interni alle autorità locali, con lo scopo di affrontare le minacce alla sicurezza percepita, incluse quelle che si suppone vengano poste dalla presenza di comunità rom in queste città.

A maggio 2008 un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DCPM 21 Maggio 2008) ha conferito poteri di emergenza ai Prefetti (che sono i rappresentanti permanenti del governo centrale sul territorio) per un anno, al fine di risolvere "l'emergenza nomade", adoperando una legge del 1992 promulgata per fornire poteri d'emergenza in caso di disastri naturali. Questo decreto (susseguentemente esteso dal DCPM 28 maggio 2009) ha dato ai Prefetti la possibilità di derogare da un certo numero di leggi. I poteri possono essere esercitati contro gente di qualsiasi nazionalità che si suppone essere "nomade". Risulta riguardare in maniera sproporzionata i Rom.

Per la legge internazionale gli sgomberi forzati - che sono sgomberi effettuati senza appropriate garanzie procedurali, inclusa la possibilità di richiedere indennizzo attraverso i tribunali, e senza l'assicurazione di una sistemazione alternativa adeguata - sono una evidente violazione di diversi diritti umani, incluso quello ad una sistemazione adeguata. Gli sgomberi possono avvenire soltanto come misura ultima, una volta che tutte le alternative siano stati esplorate e soltanto con le appropriate protezioni procedurali, in accordo con gli standard regionali ed internazionali dei diritti umani. L'Italia è finita sotto critiche severe di corpi dei diritti umani regionali ed internazionali, incluso il Comitato Europeo sui Diritti Sociali, che ha trovato l'Italia in violazione della Carta Sociale Europea. L'Italia ha comunque mancato di raccogliere queste raccomandazioni ed al contrario ha continuato ed in alcuni casi aumentato gli sgomberi forzati di comunità rom.

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Di Fabrizio (del 15/09/2009 @ 08:56:53, in Italia, visitato 1372 volte)

Red, 9:20
Sdegno in città per le numerose scritte xenofobe nei muri. L´allarme qualche giorno fa del Cantiere Sociale
Balaguer: "Basta Zingari"

ALGHERO - "Basta Zingari": è una delle tante scritte (nella foto) che da giorni ormai si possono leggere in molte zone della città. Le abominevoli frasi sono tutte "firmate" con vernice nera e impreziosite di simboli riconducibili ai periodi più bui della democrazia.



L'allarme sulla presenza delle vergognose scritte, è stato lanciato qualche giorno fa dal Cantiere Sociale l'Alguer. Scritte in diverse parti di Alghero: Sul colle Balaguer, al Calabona, nella Madonnina della strada campestre di Valverde, in via Carrabuffas, e non solo.

Sdegno e preoccupazione in molti cittadini. La comunità Rom presente in città, infatti, cerca con fatica un'integrazione difficile soprattutto per la mancanza di politiche d'integrazione adeguate. La sola situazione che sono costretti a vivere nel campo di Fertilia rasenta l'inciviltà più profonda. Condizioni igienico-sanitarie indecenti, che certo non facilitano un percorso d'inserimento nella società. Alle disdicevoli scritte, il resto.

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Di Fabrizio (del 15/09/2009 @ 09:18:38, in Regole, visitato 1612 volte)

Da Roma_Italia, leggi anche la notizia di riferimento

Egregio sig. Prefetto,

Nel settembre 2008 sono stato tra i 7 membri di una delegazione del Parlamento Europeo in visita in Italia per una missione investigativa. La ragione della nostra visita erano gli eventi nei "campi Nomadi", il censimento e i decreti d'emergenza.

L'idea dell'indagine nasceva a giugno 2008, quando il Parlamento Europeo accettava una Risoluzione contro la profilazione etnica dei Rom tramite raccolta di impronte digitali e di informazioni sulla religione.

L'interesse nella missione era alto: circa 30 Membri del Parlamento Europeo (MEPs) avevano visitato l'Italia, assieme al Presidente del comitato LIBE per la Giustizia. In Italia ci furono incontri col Senato, il Garante, il Ministro Maroni e altri. La nostra delegazione visitò anche campi come il Casilino 900 e Campo Salone.

Nella conferenza stampa della delegazione del Parlamento Europeo, le condizioni dei campi furono descritte come degradanti, dove i "Rom" sembravano essere nomadi che non si muovevano. Ma ad alcuni membri della delegazione era anche sembrato che l'Italia volesse tentare di rendere le proprie leggi nuovamente compatibili con la Legislazione Europea.

La preparazione delle autorità cittadine di Milano a sgomberare di forza circa 200 Rom che vivono nell'area Rubattino ad est della città, sembra la prova del contrario. Gli sgomberi forzati sono illegali. Ogni stato membro della UE e - come uno degli stati fondatori - l'Italia dovrebbe essere d'esempio agli altri, e notificare singole ingiunzioni ai futuri sgomberati, che così possono fare ricorso.

Mi appello urgentemente a lei per il rispetto del diritto dei nostri co-cittadini di opporsi in tribunale alle decisioni su basi individuali, come in ogni stato costituzionale.

In fede,

Els de Groen
MEP from 2004-2009
els.degroen@europarl.europa.eu

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Di Sucar Drom (del 16/09/2009 @ 09:11:01, in blog, visitato 1579 volte)

Bolzano, l'edizione 2009 de "il presente di un popolo antico"
Anche quest’anno l’associazione Nevo Drom assieme all’Unar, la Provincia e il Comune di Bolzano organizzano la manifestazione socio culturale “il presente di un popolo antico”, dove si vuole offrire occasioni per accrescere la consapevolezza dell’importanza di conoscenza reciproca t...

L'Altro Festival, il programma
L’Altro Festival come proposta di integrazione delle culture e dei nostri territori. Il festival vuole coinvolgere il maggior numero di persone (autoctoni ed immigrati) a partecipare, sia come organizzatori sia come “fruitori”, per iniziare a conoscerci a partire da noi nella speranza, come nella “pr...

Milano, il piano dell'Amministrazione comunale
Una media di 10mila euro a testa. Comune e ministero vogliono persuadere i Rom e i Sinti a trovare una sistemazione, e l’argomento è di quelli convincenti. Oltre 13 milioni di euro per il progetto di Palazzo Marino che punta a risolvere l’emergenza intervenendo sui 12 c...

Milano, le dichiarazioni razziste dell'assessore Boni e del ministro La Russa
A Milano è in atto una “gara”, nel centro destra, su chi fa la proposta più razzista nei confronti dei milanesi, appartenenti alle minoranze sinte e rom, che vivono nei cosiddetti “campi nomadi”. Le ultime proposte, in ordine di tempo, sono quelle di Davide Boni (in f...

Milano, il piano Rom commentato dal Gruppo EveryOne
Il Comune di Milano diffonde una notizia che dovrebbe destare soddisfazione da parte delle organizzazioni per i Diritti Umani: il ministro degli Interni ha stanziato 13 milioni di euro per i Rom. Cè in effetti chi esulta e si spertica in lodi verso l...

Ladra di Profumi. “Lettera aperta” a: Opera Nomadi, Federazione Rom e Sinti Insieme, Federazione Romanì, AIZO Onlus, U.N.I.R.S.I. ed Everyone Group
Ai Presidenti. Con la presente per segnalarvi alcune notizie apparse nella cronaca locale di Varese, ridente cittadina lombarda, consegnata alla “storia italica” per avere dato i natali al Ministro Roberto Maroni...

Reggio Calabria, Opera Nomadi: "colpevoli di essere rom"
Il presidente dell'Opera Nomadi, Antonino Giacomo Marino (in foto), ha inviato alla stampa un comunicato nel quale fa il punto della situazione sull'avvenimento di cronaca dei giorni scorsi, che ha visto coinvolti 3 minori rom. Riportiamo di seguito il comunicato...

Varese, i Sinti chiedono soluzioni per la loro situazione abitativa
I dimenticati di via Friuli dicono basta e chiedono all'Amministrazione varesina di trovargli una nuova sistemazione. Alzano la voce per ottenere una soluzione che sia, a livello igienico sanitario, più idonea per crescere i loro figli. La situazione attuale del campo, secondo loro, non è delle miglio...

Auschwitz, insieme per la pace e la riconciliazione
Hanno varcato insieme l'ingresso del campo di concentramento di Auschwitz, passando sotto la cinica scritta 'Arbeit macht frei' ('il lavoro rende liberi'), camminato fianco a fianco lungo i binari di morte di Birkenau, dove arrivavano i treni carichi di deportati ebrei, sinti e rom...

Pristina (Kosovo), fermare gli attacchi contro i Rom
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Bolzano, il presente di un popolo antico
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Di Daniele (del 16/09/2009 @ 09:31:47, in scuola, visitato 1904 volte)

Da Corriere.it

Vuoi un computer (usato) gratis? Chiedilo all'Agenzia delle Entrate
Inizia la dismissione di Pc non più idonei alla loro funzione ma ancora «in forma»

Volete un computer (usato) gratis? Rivolgetevi all'Agenzia delle Entrate. Non è uno scherzo. Un bando, pubblicato sul sito internet www.agenziaentrate.gov.it (Agenzia/Bandi di gara), (Procedura per la cessione a titolo gratuito di personal computer portatili dismessi) mette gratuitamente a disposizione un primo lotto di pc e spiega tempi e modalità per fare richiesta. Si tratta di «apparecchiature informatiche non più idonee per il proprio utilizzo istituzionale, ma che possono essere ancora utili a scuole ed enti di volontariato». La richiesta può essere al massimo di 10 PC portatili per ogni ente richiedente. Le richieste dovranno essere inviate alla casella di posta elettronica ufficiotlc@pce.agenziaentrate.it dell'Agenzia delle Entrate a partire dalle ore 11:00 del giorno 5 ottobre 2009 e non oltre le ore 11:00 del giorno 16 ottobre 2009 esclusivamente a mezzo Posta Elettronica Certificata, l'equivalente telematico della raccomandata con ricevuta di ritorno. Oltre al nome e al codice fiscale (o partita Iva) dell’ente, nella richiesta dovranno essere specificati anche l’indirizzo Pec per la comunicazione dell’esito da parte dell’Agenzia e il numero e il tipo di computer desiderati, sulla base dell’elenco dettagliato riportato sul bando.

CRITERI PER L'ASSEGNAZIONE - L’assegnazione dei pc avverrà dando priorità agli organismi di volontariato di protezione civile iscritti negli appositi registri, che operano in Italia e all’estero a fini umanitari, nonché agli istituti scolastici pubblici. A seguire avranno spazio gli altri enti pubblici, come ad esempio le strutture sanitarie o le forze dell’ordine. Infine, gli enti non-profit che rientrano nelle categorie delle associazioni, delle fondazioni e delle altre istituzioni pubbliche o private con personalità giuridica, senza scopo di lucro, delle associazioni non riconosciute dotate di un proprio statuto da cui emerga chiaramente l’assenza di finalità lucrative, degli altri enti e organismi che svolgono attività di pubblica utilità. A parità di condizioni, i pc verranno assegnati seguendo l’ordine cronologico di ricezione delle richieste. Ins0mma anche la rapidità ha la sua importanza, grazie al sistema Pec, che permette di certificare, oltre al mittente, anche l’ora dell’invio via e-mail della domanda.

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Di Fabrizio (del 17/09/2009 @ 09:34:56, in blog, visitato 1579 volte)

La seconda e ultima parte della storia delle famiglie di Rom kosovari del campo Casilino 900, sempre dal blog di Raffaele Coniglio

Nella soleggiata giornata di fine agosto, all'interno del Casilino 900 vengo accolto da Feta. Così dice di chiamarsi un giovane poco più che ventenne che mi fa conoscere i suoi parenti e alcuni connazionali. Erano le cinque in punto del pomeriggio. Lo ricordo perfettamente perché guardai l'orologio nel momento esatto in cui mi disse che aveva degli impegni a partire dalle sei: doveva rendersi disponibile per aiutare i suoi a preparare la cena del Ramadan, il mese di digiuno iniziato da poco.

I rom kosovari che vivono nel campo sono, a quanto sembra, di fede musulmana, anche se è altrettanto frequente trovare in Kosovo rom di fede ortodossa. In quella che era una regione serba i rom, infatti, erano abituati a vivere tra due fuochi -in mezzo all'aspro conflitto tra serbi ed albanesi- e, per la loro stessa sopravvivenza, avevano sempre cercato di adattarsi pur di non scontentare nessuno. E' anche per questa ragione che parlano sia serbo che albanese, e sono di fede musulmana o ortodossa.

Tutto ciò però non è bastato a risparmiarli dal conflitto degli anni '90. Rimanevano sempre rom schierati, consapevolmente o meno, con il nemico, albanese o serbo che fosse. E, per evitare l'odio nei loro confronti, molti di essi, come i parenti di Feta, sono dovuti scappare dal Kosovo, lasciare tutto ciò che avevano -casa, amici, famiglia, lavoro, progetti- nella speranza di trovare un posto in cui poter vivere in pace. Devo ringraziare proprio lui, Feta, o Farum, como poco prima mi aveva detto di chiamarsi, se riesco a superare i loro timori in questa mia giornata nel Campo, la paura e la diffidenza dei suoi abitanti verso tutto quello che viene dall'esterno. Feta era appena un bambino quando è giunto in Italia per la prima volta. A 11 anni è partito da Pristina con i genitori e i fratelli più grandi alla volta di Belgrado. Ricorda però poco di quel viaggio e cerca di ricostruirlo, tappa dopo tappa, con l'aiuto dei suoi genitori. Da Belgrado, dopo una breve sosta da alcuni conoscenti, prendono un altro autobus per una nuova meta. "Non sapevamo quale sarebbe stato il nostro viaggio intermedio" interviene la mamma di Feta nel racconto del figlio, "sapevamo soltanto che volevamo venire in Italia". Così, dopo due settimane di pellegrinaggio "quasi clandestino" riescono a superare la frontiera italiana e a lasciarsi alle spalle la città di Trieste ed il Kosovo, che in quei mesi stava letteralmente bruciando di odio. Sono proprio i genitori di Feta che, rivivendo tutta la fatica del viaggio, doloroso dal punto di vista economico ma anche, e soprattutto psicologico, ricordano date e luoghi, giorni e vie del loro lungo viaggio. Credo che quando un uomo si scontra con "l'assurdo" non può fare a meno di ricordare per filo e per segno ogni cosa di quella circostanza, persino l'odore del posto. E' proprio quello che fanno con me i coniugi Hamdi nel ricostruire la loro fuga.

Mi parlano di una Pristina a me sconosciuta, dove ogni cosa sembra diversa dalla città che ricordo io. Le vie solo con il nome serbo non mi dicono nulla. Riesco a capire il luogo dove vivevano prendendo come riferimento luoghi generali e piazze. Anche la Pristina che io presento è irriconoscibile ai loro occhi. In quel momento, mentre parlo dell'attuale capitale kosovara, la madre di Feta con rapido gesto tira fuori dal suo borsellino il biglietto dell'autobus che l'ha portata qui in Italia. Il biglietto integro e gelosamente custodito riporta, scritto in lingua serba: ore 11, 20 maggio 1999, Pristina. Come un fiume in piena, la signora Hamdi parla allora dei momenti impietosi vissuti alla Questura di via Genova a Roma. "Si, quella di via Genova, numero..." non lo ricorda la moglie di Ismail, ma tiene a precisare che proprio lì ha chiesto asilo politico per lei e i suoi figlioletti. E' da giugno del '99 che tutta la famiglia è rinchiusa, questo credo sia il verbo adatto, all'interno del Casilino 900.

A detta della famiglia Hamdi poco o nulla è cambiato da allora. E' aumentato sicuramente il numero dei rom kosovari. Non sono cambiate per nulla invece le promesse di miglioramento che di volta in volta si sono rinnovate negli anni, e che puntualmente sono state disattese. Le paure e le incertezze, sebbene oggi più di ieri si parli di clima razzista e xenofobo, sono sempre le stesse. Il freddo rapporto con i vicini italiani, idem. I circa 40 rom arrivati al Casilino 900 alla fine degli anni novanta sono diventati oggi oltre 110. Parliamo quindi di almeno 50 bambini nati sul territorio italiano, e quindi, cittadini italiani a tutti gli effetti. Il numero dei bambini è, in effetti, impressionante e balza subito agli occhi.

Tra loro anche qualche adolescente che, pulito e ordinato, mi saluta con pieno accento romano di Roma. Riesco a scambiare qualche parola con i cugini di Feta che frequentano le scuole medie; uno di loro, il figlio di Resat Prekuplja, frequenta invece il secondo anno dell'istituto alberghiero. Sono giovani rispettosi e istruiti che frequentano regolarmente le scuole ed hanno amici italiani. Guardano lontano loro, ma sembrano ancora poche eccezioni, non sufficienti a colmare il gap venutosi a creare con la società italiana al tempo dei loro genitori. Sicuramente, però, sono una testimonianza da considerarsi significativa, che andrebbe sostenuta e rafforzata, perché questi ragazzi dimostrano chiaramente che con l'istruzione le loro condizioni possono migliorare. Forse, quello che dicevo nella prima parte, quando mi riferivo alla pulizia degli spazi in comune per poter vivere bene loro stessi ed i loro bambini, ha radici che iniziano proprio da lì, l'istruzione.

Solo frequentando le scuole italiane i giovani rom hanno l'opportunità di imparare e confrontarsi con i loro coetanei, di superare finalmente quelle odiose barriere alzate dall'ottuso pregiudizio umano. Mentre rifletto su tutto ciò, Feta mi riporta con i piedi per terra, nella realtà che vive ogni giorno lui. Ventuno anni, sposato e con due figli, ha studiato con i salesiani e dopo la terza media ha deciso di trovare un lavoro. Si trova oggi impiegato con un'associazione italiana come intermediario della comunità rom. Ogni mattina, sul pulmino del comune, accompagna i bambini a scuola, si relaziona con gli insegnanti e informa i genitori di conseguenza. Ascolta, assorbe e riferisce. E' lui il primo a credere nell'importanza dell'istruzione, ma è altrettanto consapevole del difficile cammino che bisogna percorrere. I bambini rom frequentano la scuola abbastanza regolarmente, si trovano bene, ma la loro motivazione deve fare a pugni con tanti problemi. "Come puoi vedere", mi dice con fermezza e tristezza negli occhi, "nel campo non c'è elettricità, i servizi igienici e l'acqua non potabile si trovano solo fuori dalle case". Questo significa che "d'inverno, quando fa buio presto, i bambini, pur volendo, non possono studiare né leggere come si deve". In quel periodo dell'anno, "quando fa molto freddo i nostri bambini non riescono a lavarsi giornalmente e quando vado a scuola a volte le maestre sottolineano che i bambini puzzano".

Non fa giri di parole Feta, e con due frasi arriva al nocciolo del problema, che non può certo illustrare con facilità alle insegnanti, senza dubbio ignare, almeno in parte, delle condizioni di vita nel Casilino 900; lo presenta a me, che mi trovo, seppur momentaneamente, insieme a lui a condividere il suo inferno quotidiano. La questione sta qui. Solo se c'è un'intenzione reale da parte delle istituzioni locali e nazionali ad affrontare, seriamente, la questione immigrazione e non in maniera grossolana per pura strumentalizzazione politica, l'integrazione delle varie comunità potrà alla fine essere percepita come carta vincente che arricchisce il panorama italiano, linfa vitale di una società invecchiata. Solo con politiche serie, dove al rigore e alla determinazione seguono i diritti e le opportunità, le varie comunità, siano esse di etnia rom, curda, marocchina, peruviana o cinese che si voglia, potranno acquisire lo spessore e il ruolo che giustamente si meritano dentro una società democratica ed aperta al mondo, che pretende di essere competitiva per avanzare nel terzo millennio.

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Di Fabrizio (del 17/09/2009 @ 09:45:53, in Italia, visitato 2111 volte)

Ricevo da Marco Brazzoduro

Venerdì 18 settembre 2009 ore 16:30
"Casilino 900", via Casilina 900 - Roma

Presentazione del numero 19 di "Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale":

Stranieri ovunque
(a cura di Andrea Brazzoduro e Gino Candreva)

Gitanos, gypsies, kalé, manouches, rom, romanichels, sinti; ma anche caminanti, travellers e viaggiatori: popolazioni, gruppi e persone diverse che in Italia (a differenza della maggioranza degli altri paesi europei) sono comunemente designate come "nomadi", anche dalla stampa progressista che lo ritiene un gesto di particolare sensibilità umana e politica rispetto al più connotato "zingari" (che invece rivela solo quello che "nomadi" cerca maldestramente di nascondere).

A partire dalla questione del nome "Storie in movimento" ha aperto un cantiere di ricerca secondo le modalità di lavoro che lo contraddistinguono come laboratorio storiografico atipico. Tenendo insieme alto e basso, analisi delle fonti e registro divulgativo, attraversando entrambe i territori (spesso reciprocamente ostili) della storiografia universitaria e di pratiche di ricerca meno distanti dalla storia nel suo farsi, questo numero di "Zapruder" si propone come un’indagine – parziale, frammentaria e non sempre consensuale – di una realtà complessa quanto misconosciuta.

A fronte delle grida scomposte contro il "pericolo zingaro" e allarmati dal conseguente manifestarsi di una gamma di fenomeni che va dal micro-fascismo al pogrom (pensato, declamato, desiderato e in qualche caso agito), "Storie in movimento" si è sforzata di capire, di adoperare gli strumenti che le sono propri, quelli della critica storica, per cercare di vedere le cose più da vicino (ma anche più da lontano).

Discuteremo di questo percorso con gli abitanti di uno dei più grandi “campi rom” d’Europa, "Casilino 900", con lo scrittore Najo Adzovic, insieme al collettivo Stalker/Osservatorio nomade e agli autori.

A seguire musica e cucina romanì

Con la speciale partecipazione di Bianca Giovannini alla voce, Ludovica Valori alla fisarmonica.

Organizzano:
Storie in movimento
Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale
Najo Adzovic (“Casilino 900”)
Stalker/Osservatorio nomade

www.storieinmovimento.org
info@storieinmovimento.org
349.5014996

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Di Fabrizio (del 18/09/2009 @ 20:07:13, in Italia, visitato 1593 volte)

Dopo l'ordinanza di sgombero del Comune di Modugno nella scorsa settimana, Emiliano e Rana avrebbero trovato un terreno in zona Asi. Questa mattina le associazioni di volontariato hanno manifestato con un sit-in

Molto probabilmente si è arrivati a una soluzione dignitosa per la comunità di nomadi residente a Modugno in via dei Gelsomini. All’ordinanza di sgombero della scorsa settimana, con cui si obbligava i circa 50 ospiti (27 dei quali bambini) ad abbandonare l’appezzamento di terreno nella zona Asi, il presidente e vice presidente del consorzio Asi (rispettivamente Michele Emiliano e Pino Rana) hanno rimediato con una soluzione alternativa. Il sindaco di Bari e di Modugno hanno infatti trovato e promesso una nuova sistemazione, sempre in zona Asi, con tanto di servizi igienici e fognari essenziali, prima mancanti.

Ruolo fondamentale nella vicenda l’hanno svolto le associazioni di volontariato, uniche a essersi interessate da principio alla sorte della più antica comunità Rom in territorio barese. Dalle 9.00 di questa mattina molti dei volontari avevano cominciato una protesta organizzando un sit-in, interrotto dopo mezz’ora grazie all’arrivo di Emiliano e Rana. I due hanno infatti dato l'annuncio che ha evitato il protrarsi della manifestazione e, soprattutto, della condizione di incertezza circa il futuro degli abitanti del campo provenienti dalla Bosnia-Erzegovina.

Arrivarono in Puglia dopo un lungo peregrinare. E dopo che la loro gente era stata martoriata a causa della guerra nei Balcani. Mai davvero assistiti dalle istituzioni, si erano sistemati in via dei Gelsomini. Gli adulti, eccetto qualche piccolo episodio di criminalità, hanno sempre provveduto al sostentamento delle famiglie arrangiandosi come potevano. Il risultato più grande, ottenuto grazie all’impegno delle stesse associazioni di volontariato che si sono mobilitate dopo l’ordinanza di sgombero, è stata la scolarizzazione dei 27 bambini. Senza dubbio sarebbero stati proprio loro a subire le conseguenze più gravi se il campo fosse stato smantellato senza una soluzione alternativa.

Da questa mattina, però, sembra che le cose stiano viaggiando sui giusti binari.

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Di Fabrizio (del 19/09/2009 @ 08:58:29, in Europa, visitato 1716 volte)

Dell'abbattimento dello storico quartiere di Sulukule qui se n'è scritto parecchio. La motivazione addotta dalle autorità turche è il "piano di rinnovamento urbano" di Istanbul. Ma le recenti piogge che hanno inondato diversi quartieri della città, scoprono luci ed ombre su questo contestato piano e sugli appetiti immobiliari che sta sollevando

La terra e il cielo 18.09.2009 scrive Fazıla Mat Istanbul si risveglia dall'incubo delle inondazioni. Le autorità maledicono la pioggia, ma secondo gli esperti il disastro è stato causato dagli interventi edilizi sui letti dei fiumi all'interno della città. Sotto accusa il piano di trasformazione urbana voluto da Erdoğan

Le province di Istanbul e di Tekirdağ faranno fatica a riprendersi dalle inondazioni causate dalle piogge torrenziali dell’8 e 9 settembre scorsi. Le precipitazioni, che normalmente si sarebbero distribuite in un periodo di quattro mesi, hanno sommerso nel giro di due giorni numerose circoscrizioni delle due città. Il bilancio resta molto pesante. Sono morte 32 persone, diverse sono ancora disperse, e si stima una perdita in beni di circa 100 milioni di dollari.

L’alluvione ha avuto i suo effetti più devastanti laddove erano presenti dei torrenti sui cui letti e nei cui dintorni sorgono costruzioni e autostrade. A İkitelli, nei pressi del torrente Ayamama, il viale Basın Ekspres, una delle strade più trafficate e commercialmente attive di Istanbul, è stato letteralmente inghiottito dalle acque. Mentre molte persone hanno trovato rifugio sui tetti degli autobus, sette donne sono morte asfissiate dentro un furgone merci privo di finestre che veniva utilizzato da una nota società tessile come mezzo di trasporto per portarle al lavoro. Sei autisti di TIR, che dormivano a bordo dei mezzi nella stazione per TIR Osmanlı, sono morti annegati dopo essere stati travolti dalle acque. Tutte le fabbriche nei dintorni sono state allagate. Si sono aperte inoltre le chiuse della diga sull lago Büyükçekmece, causando l’allagamento della costa e dei centri di ricreazione sulle sponde.

La Municipalità di Istanbul è stata la prima a esser criticata dalla stampa, per l’incapacità di prevenire gli effetti dell’inondazione e di gestire la successiva situazione d’emergenza. Il servizio meteorologico aveva infatti lanciato, diversi giorni prima, l’allarme per l’alluvione, ma le autorità non avrebbero ritenuto di dover chiudere al traffico il viale Basın Ekspres, dove si era verificato un episodio analogo di inondazione anche nel 1995 a causa dello straripamento dello Ayamama.

Intanto continuano a venire alla luce dei particolari su come la Municipalità di Istanbul abbia gestito finora le aree circostanti i torrenti. La İSKİ (Direzione idrica di Istanbul) avrebbe ammesso di aver realizzato l’ultima bonifica del torrente Ayamama nel maggio scorso e di non aver più ripetuto l’operazione nonostante le piogge autunnali in arrivo. Inoltre un credito di 322 milioni di dollari preso in prestito dalla Banca mondiale, finalizzato alla realizzazione di infrastrutture per il risanamento di quindici torrenti, sarebbe fermo da due anni nelle casse del comune di Istanbul (İBB). Il vicesegretario generale del comune, Muzaffer Hacımustafaoğlu, ha affermato che l’attuazione dei progetti di risanamento “procede lentamente perché i torrenti sono delle proprietà private e i tempi previsti per renderli pubblici sono lunghi”.

Le autorità hanno cercato di spiegare l’inondazione nei termini di una “calamità naturale”, “inspiegabile” e “incontrastabile”. Una parte di “colpa” è stata però riservata anche ai “cittadini che costruiscono abitazioni fuori norma”. La prima reazione del sindaco di Istanbul, Kadir Topbaş, è stata infatti quella di attribuire la responsabilità dell’accaduto a “l'utilizzo selvaggio della natura e dell’ambiente”. Il premier Erdoğan ha commentato l’accaduto facendo allusioni alla forza della natura con un proverbio turco – “arriva il momento in cui il torrente si vendica” – mentre il presidente della regione Muammer Güler è arrivato a dare la responsabilità dell’accaduto “a tutta la società” e su una scala più ampia “al mondo intero” per “i danni causati dalle persone alla natura”.

Intanto Erdoğan, effettuando un giro d’ispezione aerea sulle località colpite dall’alluvione, ha affermato che fino a quel momento le autorità avevano incontrato “impedimenti legali ed alcune opposizioni” per risanare i torrenti, che “queste opposizioni devono essere superate” e che “i problemi più gravi sono sorti dal fatto che i letti dei torrenti sono stati modificati [dalle costruzioni]”. Erdoğan ha concluso dicendo che “dopo aver condotto dei contatti bilaterali si passerà a demolire le costruzioni qui presenti.”

Eyüp Muhçu, presidente dell’Ordine degli ingegneri e architetti (TMMOB) di Istanbul, lancia un monito rispetto a quello che ritiene essere il vero senso delle parole del premier. “La 'opposizione' di cui parla il Primo ministro è quella dimostrata dai cittadini che si ribellano ai progetti di decentramento della popolazione e di speculazione affaristica imposti sotto il nome di ‘trasformazione urbana’. Erdoğan vuole utilizzare gli effetti dell’alluvione proprio per rendere leciti i suoi progetti di trasformazione urbana”.

Il problema delle costruzioni sui letti dei torrenti non riguarda infatti solo le costruzioni abusive, ma anche quelle “legali”. “Una parte del torrente Ayamama, importante corridoio ecologico di Istanbul, area verde e di ricreazione, è stata aperta alla edificazione di palazzi ad alta concentrazione nel 1997, quando proprio Erdoğan era sindaco della città”, spiega Muhçu.

All’epoca il TMMOB avrebbe presentato a Erdoğan una valutazione sull’impatto ambientale di questo progetto. Nella sua valutazione, l’Ordine avrebbe specificato che con il nuovo progetto il torrente Ayamama avrebbe cessato di essere tale, e che si sarebbe rivolto un aperto invito alle catastrofi naturali. L’appello rimase però inascoltato, e il TMMOB portò il progetto in tribunale. La Corte emise una sentenza a favore dell’Ordine, sottolineando anche “che il progetto non aveva alcuna utilità sociale”. L’amministrazione comunale però non tenne conto del verdetto e accelerò le costruzioni, dando origine a tutta la zona adiacente all’aeroporto Atatürk.

“Erdoğan ha fatto ricorso”, continua Muhçu, “ma il tribunale ha nuovamente confermato la prima sentenza. Le costruzioni però non sono cessate nemmeno dopo questa seconda decisione. Gli edifici così realizzati contro il verdetto del tribunale hanno dato man forte alle costruzioni abusive nell’interno della valle, a nord. E dal 1997 in poi sono stati costruiti numerosi blocchi di edifici abusivi utilizzati quali officine. Questa zona, nel piano urbanistico del 1982, risultava invece essere sede di un cimitero cittadino, di un’area verde, di un’area di ricreazione e letto del torrente. Eppure hanno sempre chiuso un occhio nei confronti delle costruzioni abusive”.

Solo il mese scorso infatti, il sindaco Topbaş avrebbe presentato al consiglio comunale un piano per legalizzare nuove costruzioni abusive e per permettere l’edificazione di altri palazzi nelle ultime aree rimaste a disposizione nel letto dell’Ayamama. Senza un’alluvione di questa portata, il piano edilizio portato avanti dal comune di Istanbul probabilmente avrebbe proseguito indisturbato. E forse non basterà nemmeno l’alluvione a disturbarlo.

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