Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 06/10/2008 @ 08:53:09, in Europa, visitato 1722 volte)

Una segnalazione di Tom Welschen

Settembre 7, 2008 di Sergio Bontempelli

Tutti sanno che, accanto al flusso migratorio di rumeni verso l’Italia, ne esiste uno opposto, di italiani che vanno in Romania: si tratta però di un’immigrazione diversa, fatta prevalentemente di imprenditori che delocalizzano le loro attività produttive in città come Timisoara. Sono in pochi a sapere invece che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, molti italiani sono emigrati in Romania, nello stesso modo in cui oggi i rumeni arrivano nel nostro paese: come lavoratori edili, operai di fabbrica e umili salariati.

Quello proveniente dalla Romania è divenuto il principale flusso migratorio diretto verso l’Italia: questo lo sanno tutti. Ma quanti sanno che nella storia - tra l’altro in tempi relativamente recenti - è esistito il fenomeno inverso, di italiani che andavano in Romania? E non si parla qui dell’emigrazione attuale, fatta di imprenditori del Nord-Est che trasferiscono le proprie attività in città come Timisoara, non a caso ribattezzata “Trevisoara”: si parla di un vero e proprio flusso di manodopera salariata - operai, minatori, edili - che dall’Italia partiva per la Romania. A far luce su questa storia «dimenticata» è un recente volume sulle migrazioni rumene curato dalla Caritas [Caritas Italiana, Immigrazioni e lavoro in Italia. Statistiche, problemi e prospettive, IDOS, Roma 2008].

I primi flussi verso la Romania cominciano nel XIX secolo: si tratta di lavoratori dell’odierno Triveneto, diretti per lo più in Transilvania. «L’Austria Ungheria», scrive Antonio Ricci, curatore del saggio sulle migrazioni italiane pubblicato nel volume della Caritas, «tende a favorire le migrazioni interne tra le regioni più povere e di confine» [Caritas, cit., pag. 59]. Le prime partenze risalgono - pare - al 1821, quando alcune famiglie della Val di Fassa e della Val di Fiemme (nel Trentino) vengono condotte nei monti Apuseni, in Transilvania, a lavorare come tagliaboschi e lavoratori del legno per conto di un commerciante austriaco di legname [Ibid., pag. 61].

L’emigrazione - in Transilvania, ma non solo - prosegue anche dopo l’unità d’Italia: tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, anzi, la Romania diventa una meta secondaria ma tutt’altro che irrilevante per l’emigrazione italiana. Si è calcolato ad esempio che alla fine del XIX secolo circa il 10-15% degli emigranti partiti dal Veneto si sia diretto in Romania [Ibid., pag. 59]. Si è trattato, spesso, di migrazioni stagionali: una sorta di pendolarismo transnazionale che ha trovato sbocco nell’edilizia, nella costruzione delle ferrovie, in attività boschive o nelle miniere [Ibid., pag. 61]. Stando ai censimenti del Ministero degli Affari Esteri, il numero di emigranti italiani in Romania è quasi decuplicato nell’arco di tre decenni, passando dagli 830 del 1871 ai più di 8.000 del 1901 [Ibid., pag. 64].

Un «manuale» per l’emigrante italiano nei Balcani e in Romania, pubblicato nel 1910, si sofferma sulle procedure burocratiche necessarie per raggiungere il paese: e qui le analogie con la situazione attuale - ma, ovviamente, a parti rovesciate - sono impressionanti. Il Regio Commissariato dell’Emigrazione, curatore del volumetto, raccomanda infatti di richiedere il passaporto - opportunamente vistato da un consolato rumeno - e di stipulate un contratto di lavoro prima della partenza: il datore di lavoro in Romania, d’altra parte, deve munirsi dell’apposita autorizzazione all’ingresso per il proprio lavoratore, da richiedere al Ministero dell’Interno. Si tratta di formalità burocratiche - avverte il Regio Commissariato - senza le quali si rischia di venir respinti alla frontiera dalle solerti autorità rumene di polizia [Ibid., pag. 60]. Sono le stesse procedure burocratiche che l’Italia ha chiesto agli immigrati rumeni, fino all’ingresso del loro paese nell’Unione Europea.

Proseguita nel periodo tra le due guerre mondiali (alcune stime hanno calcolato la presenza in Romania, negli anni Trenta, di circa 60.000 italiani), l’emigrazione è andata man mano esaurendosi negli anni Quaranta. Sono rimasti, nelle città rumene, quegli emigranti che nel frattempo avevano rinunciato alla cittadinanza italiana: a queste piccole comunità lo Stato rumeno ha riconosciuto, all’indomani della caduta del regime comunista, lo status di minoranza linguistica e il diritto ad essere rappresentate alla Camera dei Deputati da un proprio parlamentare [Ibid., pag. 68]. «Trascorsi ormai un secolo-un secolo e mezzo dalla partenza», conclude il saggio pubblicato dalla Caritas, «la vicenda degli italiani di Romania mantiene un carattere esemplare, ancor più oggi che in Italia si assiste a un malumore diffuso nei confronti dei rumeni».

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Di Fabrizio (del 06/10/2008 @ 09:33:29, in Europa, visitato 1387 volte)

Da Roma_Francais

Gourdon. La gens du voyage pregata di traslocare
Controversia. Marie Odile Delcamp ha depositato una procedura per direttissima presso il tribunale amministrativo.

L'area "ufficiosa" della gens du voyage è chiusa da sabato 20 settembre alle 11.00. Là installati da metà agosto, la gens du voyage ha rispettato la richiesta della sindaca di liberare l'area [...]. Problema: altri ne hanno preso il posto e si sono installati da qualche giorno nel terreno municipale accanto allo stadio. Incontro con Marie Odile Delcamp, sindaca del comune:

Come intende reagire la municipalità riguardo l'area nuovamente occupata?
Questi nuovi arrivi di carovane sottolineano, se ce ne fosse ancora bisogno, la "debolezza" della legge. Dato che l'area regolamentare è totalmente occupata e che la legge esonera Gourdon ed i comuni della comunità ad accogliere ed occuparsi delle famiglie; spetta ancora alla municipalità regolare il problema. Nessuno si assume le proprie responsabilità. Ho richiesto una procedura per direttissima al Tribunale Amministrativo ingiungendo alla gens de voyage di lasciare il territorio del comune entro otto giorni.

Di che si tratta precisamente?
La chiusura dell'area ufficiale, gestita per un mese dalla Comunità dei comuni, ha sollevato diverse difficoltà nella gestione. Forse insufficientemente recepite in occasione della messa in atto dello schema dipartimentale della gens du voyage. Ricordo che Gourdon e la Comunità dei comuni del Quercy Bouriane sono stati i primi nel dipartimento ad avere installato un posto a norma. In questo senso, occorre far chiarezza. Il regolamento interno da l'autorizzazione ai gestori di chiudere l'area per un mese all'anno, generalmente ad agosto. Il problema è che la maggior parte delle famiglie della gens du voyage sono semi-sedentarizzate e non "di passaggio". In origine, l'area prevedeva posti per quelle famiglie più integrate. In mancanza di mezzi sufficienti da parte dei finanziatori, quest'aspetto non è stato realizzato. le famiglie si sono dunque installate provvisoriamente allo stadio des Hermissens. Soluzione inaccettabile a due titoli. Il primo per una questione di sanità: non ci sono ne acqua ne elettricità. Il secondo per una questione di vicinanza: le associazioni sportive di Gourdon utilizzano l'impianto per scambi e manifestazioni in quest'epoca dell'anno.

Allora, come si può affrontare il problema?
Si tratta di affrontare tutti questi problemi con umanità e pragmatismo nell'interesse generale. In diverse riprese, ho dialogato con le donne ed i capi del campo, ricordando la legislazione in vigore, la responsabilità o meno del sindaco, ed i i diritti e doveri di tutti. La polizia municipale e la gendarmeria hanno assicurato i loro compiti, se necessario, come li svolgono in qualsiasi altro posto del comune. Ho ascoltato le osservazioni dei residenti e sono intervenuta quando non erano rispettati i diritti e i doveri di tutti. Oggi, il problema è regolato a metà. L'area è completa. Chiedo quindi a tutti i partner coinvolti, Stato, CCQB, Consiglio generale, una nuova concertazione perché le lacune apparse nell'applicazione della legge sul nostro territorio non siano supportate esclusivamente dal comune di Gourdon.

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Di Fabrizio (del 07/10/2008 @ 09:10:20, in Europa, visitato 1514 volte)

Da Roma_Daily_News

La commissione contro il razzismo del Consiglio d'Europa ha trovato che i Rom sono la minoranza maggiormente oppressa in Russia, lo scrive il giornale nazionale "Vremya Novostey" nell'edizione del 24 settembre. "Gli Zingari, come pure i Caucasici, sono fermati 20 volte di più dalla polizia, rispetto alla gente dall'apparenza Slava," dice il capo deputato della commissione, Michael Head, in una conclusione condivisa dall'ombudsman sui diritti umani, Vladimir Lukin.

Ma Galina Kozhevnikova del Centro Sova ha osservato che per i provenienti dall'Asia Centrale è più facile cadere vittima della violenza neonazista.

La commissione ha anche trovato che il governo russo non ha preso le misure necessarie contro i neonazisti e che le leggi sull'immigrazione contribuiscono a discriminare i migranti. Sia la commissione europea che Kozhevnikova trovano che la polizia russa ha aumentato il numero di arresti di neonazisti, anche se le leggi contro i crimini razziali sono raramente applicate.

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Di Fabrizio (del 07/10/2008 @ 09:22:26, in Italia, visitato 2049 volte)

Ricevo da Roberto Malini

Perché non interrompiamo la persecuzione dei Rom di Pesaro e iniziamo finalmente ad aiutarli?

Pesaro, 5 ottobre 2008 - Nella mattina venerdì 3 ottobre la polizia e i vigili urbani di Pesaro, con un notevole spiegamento di forze e di mezzi mobili, hanno effettuato un vero e proprio "blitz", alle sei e mezza del mattino, nell'edificio rurale in via Solferino n° 121, dove da alcuni mesi si sono rifugiate alcune famiglie Rom in gravissime condizioni di indigenza e sanitarie.

Presso la minuscola comunità Rom, come è noto, ci sono persone che soffrono di patologie oncologiche incurabili, cardiopatie, handicap di entità assai importante, gravi malattie da precarietà. Si tratta di pazienti di cui si è preso cura l'Ospedale San Salvatore e che hanno urgente bisogno di un alloggio dignitoso, assistenza sociale e possibilità di curarsi regolarmente. il Gruppo EveryOne desidera precisare alcuni aspetti, a proposito del "blitz" delle forze dell'ordine. Innanzitutto, che le famiglie Rom si trovavano, al momento dei controlli per identificazione e della comunicazione di ipotesi di reato (occupazione di stabile rurale), all'interno della casa fatiscente per una ragione ben precisa e conosciuta dalle autorità cittadine. Non avendo altro possibile riparo, le famiglie sono rimaste, come comunicato alla proprietà - Campus s.r.l. - all'interno dello stabile, in attesa dei primi giorni di settembre. In quei giorni, lasciati trascorrere irresponsabilmente dai politici cittadini, avrebbe dovuto iniziare il programma di assistenza e integrazione dei Rom che vivono a Pesaro, come promesso dal sindaco e dagli assessori alla salute e ai servizi sociali, in linea con le disposizioni previste dalle norme internazionali, norme da noi consegnate al Comune e dal Comune protocollate) e dalla Costituzione italiana.

Il piano di inclusione avrebbe dovuto mettere in atto con urgenza assoluta un'azione di sostegno socio-sanitario, inserimento professionale e soprattutto la concessione di un alloggio dignitoso, necessario per l'urgenza umanitari. Disattese le promesse, le persone Rom all'interno della casa (fredda, umida, fatiscente, senza alcun servizio né acqua né corrente elettrica) non avevano alternativa a quella di permanere nell'edificio. Accusarli di un reato o perseguitarli ancora vuol dire affermare ufficialmente che i malati, le donne, i bambini, le persone in difficoltà di etnia Rom avrebbero dovuto e dovrebbero, per essere "a norma di Legge", incamminarsi in una tragica marcia della morte verso il nulla, al freddo, senza cibo né farmaci, senza riparo né aiuti sociali. Come topi usciti da un luogo disinfestato. E' importante che sia chiara questa realtà, perché una diversa spiegazione sarebbe solo un'indegna ipocrisia. Il Gruppo EveryOne ha inviato alla Procura della Repubblica un documento in cui è spiegata chiaramente la contraddizione - una tragica contraddizione - secondo cui le famiglie Rom avrebbero commesso un reato rimanendo sotto l'unico tetto che hanno, dopo che gli impegni del Comune, impegni noti a tutti anche grazie ai giornali, sono stati traditi.

Basta digitare in un motore di ricerca internet le parole "Pesaro" e "Rom" per avere una rassegna stampa degli episodi di intolleranza e persecuzione che hanno colpito e funestato la comunità Rom locale, negli ultimi mesi. Riteniamo che la costante repressione, i trattamenti inumani e l'abbandono in cui sono sottoposti i Rom di Pesaro siano inconcepibili e inaccettabili persino nell'attuale clima di intolleranza e odio razziale che imperversa in Italia. Nessuna città, nessun paese, finora - a quanto ci risulta, salvo le recenti esternazioni del vicesindaco di Treviso - aveva posto famiglie indigenti nella condizione di scegliere fra lasciarsi morire di stenti o andare incontro a procedimenti giudiziari e polizieschi. Atroce. Ci aspettiamo quantomeno, da parte del sindaco e delle altre autorità pesaresi, a partire dalle forze dell'ordine che avrebbero il dovere di difendere i deboli e gli oppressi, che ci concedano il tempo per mettere al sicuro le famiglie Rom che vivono a Pesaro.

Siamo già riusciti ad ottenere protezione umanitaria da parte di una cittadina del Sud presso Potenza per la famiglia Jivan Petrici, salvando la vita alla piccola Annamaria, malata di polmonite e costretta a vivere, qui a Pesaro, al freddo, senza sostegno sociale, nell'indifferenza più gelida, mentre la tosse la scuoteva e la febbre la indeboliva ogni giorno. Ora Annamaria sta meglio, perché vive in una casa, al caldo, con persone di buona volontà che la assistono e un lavoro per il papà. Vi sono in Italia altre località, altre autorità comunali, altre persone solidali che, indignate e addolorate per il calvario che i Rom di Pesaro stanno attraversando, manifestano solidarietà nei loro confronti. Siamo in contatto con loro e presto saremo in grado di assicurare un riparo al caldo, una situazione protetta e programmi di inclusione ad altre famiglie. La "caccia al Rom" scatenata dalle Istituzioni locali, la terribile oppressione, la furiosa intenzione di rendere rapidamente la città di Pesaroi "zigeunerfrei", libera da "zingari", ostacola gravemente la lotta per la vita che il nostro Gruppo conduce, fra mille difficoltà, insieme a cittadini di Pesaro che non seguono la corrente razzista. Dopo il "blitz" delle forze dell'ordine, con le procedure di identificazione, la comunicazione di ipotesi di reato (il "reato" di non lasciarsi morire, di tentare disperatamente di tenere unite e in vita le famiglie), alcune donne di via Solferino 121 si sono sentite male; tutti, bambini, malati, genitori si sentono affranti.

Avvertiti da un agente, affinché se ne andassero subito, pena finire in carcere, privati dei bambini, avevano già radunato le loro povere cose e il nostro Gruppo ha dovuto attuare una difficile opera di persuasione per impedire che si allontanassero al freddo e senza niente, in una "marcia della morte" che solo in un Paese imbarbarito, senza più traccia di civiltà e umanità sarebbe pensabile. Mentre li controllavano e compilavano schede e denuncia, gli agenti non mostravano alcun sentimento di compassione per l'umanità dolente che avevano di fronte. Non si è sentita una parola di solidarietà. Non si è visto un sorriso. Solo gelo e frasi impersonali. "Lunedì torneranno e ci porteranno in prigione," ripeteva un ragazzo fra le lacrime. "Ci hanno detto che abbiamo commesso un reato grave, rifugiandoci in questa casa e che se non ce ne andiamo, sarà peggio per noi". Alcuni di noi, eredi dei Testimoni dell'Olocausto, lottano ogni giorno perché i fantasmi più oscuri siano ricacciati nel buio della Storia. Eppure, quegli spettri ritornano, i loro riecheggiano ancora ai confini della "civiltà", dove un'umanità martoriata è costretta a vivere nel dolore, nell'esclusione, senza alcun diritto. Che cosa siamo diventati?

Contatti:
Gruppo EveryOne
www.everyonegroup.com :: info@everyonegroup.com

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Di Fabrizio (del 07/10/2008 @ 15:09:50, in Italia, visitato 1339 volte)

Da CittàPerTutti

Esattamente 70 anni fa, il 6 ottobre del 1938, il Gran Consiglio (cioè il vertice massimo del fascismo, presieduto da Mussolini) varava un testo nel quale indicava nel dettaglio le linee della persecuzione razziale antisemita decisa dal regime. Leggete questo testo, è istruttivo. E non crediate che lo pubblichiamo solo perché è il settantesimo anniversario. Non ci chiedete perché lo pubblichiamo, non ci chiedete se lo riteniamo attuale. Cercate di darvi da soli una spiegazione...

Il Gran Consiglio del Fascismo, in seguito alla conquista dell'Impero, dichiara l'attualità urgente dei problemi razziali e la necessità di una coscienza razziale. Ricorda che il Fascismo ha svolto da sedici anni e svolge un'attività positiva, diretta al miglioramento quantitativo e qualitativo della razza italiana, miglioramento che potrebbe essere gravemente compromesso, con conseguenze politiche incalcolabili, da incroci e imbastardimenti.
Il problema ebraico non è che l'aspetto metropolitano di un problema di carattere generale.
Il Gran Consiglio del Fascismo stabilisce:
a) il divieto di matrimoni di italiani e italiane con elementi appartenenti alle razze camita, semita e altre razze non ariane;
b) il divieto per i dipendenti dello Stato e da Enti pubblici - personale civile e militare - di contrarre matrimonio con donne straniere di qualsiasi razza;
c) il matrimonio di italiani e italiane con stranieri, anche di razze ariane, dovrà avere il preventivo consenso del Ministero dell'Interno;
d) dovranno essere rafforzate le misure contro chi attenta al prestigio della razza nei territori dell'Impero.

Ebrei ed ebraismo
Il Gran Consiglio del Fascismo ricorda che l'ebraismo mondiale - specie dopo l'abolizione della massoneria - è stato l'animatore dell'antifascismo in tutti i campi e che l'ebraismo estero o italiano fuoruscito è stato - in taluni periodi culminanti come nel 1924-25 e durante la guerra etiopica unanimemente ostile al Fascismo.
L'immigrazione di elementi stranieri - accentuatasi fortemente dal 1933 in poi - ha peggiorato lo stato d'animo degli ebrei italiani, nei confronti del Regime, non accettato sinceramente, poiché antitetico a quella che è la psicologia, la politica, l'internazionalismo d'Israele. Tutte le forze antifasciste fanno capo ad elementi ebrei; l'ebraismo mondiale è, in Spagna, dalla parte dei bolscevici di Barcellona.

Il divieto d'entrata e l'espulsione degli ebrei stranieri
Il Gran Consiglio del Fascismo ritiene che la legge concernente il divieto d'ingresso nel Regno, degli ebrei stranieri, non poteva più oltre essere ritardata, e che l'espulsione degli indesiderabili - secondo il termine messo in voga e applicato dalle grandi democrazie - è indispensabile.
Il Gran Consiglio del Fascismo decide che oltre ai casi singolarmente controversi che saranno sottoposti all'esame dell'apposita commissione del Ministero dell'Interno, non sia applicata l'espulsione nei riguardi degli ebrei stranieri i quali:
a) abbiano un'età superiore agli anni 65;
b) abbiamo contratto un matrimonio misto italiano prima del 1° ottobre XVI.

Ebrei di cittadinanza italiana
Il Gran Consiglio del Fascismo, circa l'appartenenza o meno alla razza ebraica, stabilisce quanto segue:
a) è di razza ebraica colui che nasce da genitori entrambi ebrei;
b) è considerato di razza ebraica colui che nasce da padre ebreo e da madre di nazionalità straniera;
c) è considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da un matrimonio misto, professa la religione ebraica;
d) non è considerato di razza ebraica colui che è nato da un matrimonio misto, qualora professi altra religione all'infuori della ebraica, alla data del 1° ottobre XVI.

Discriminazione fra gli ebrei di cittadinanza italiana
Nessuna discriminazione sarà applicata - escluso in ogni caso l'insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado - nei confronti di ebrei di cittadinanza italiana - quando non abbiano per altri motivi demeritato - i quali appartengono a:
1) famiglie di Caduti nelle quattro guerre sostenute dall'Italia in questo secolo; libica, mondiale, etiopica, spagnola;
2) famiglie dei volontari di guerra nelle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola;
3) famiglie di combattenti delle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola, insigniti della croce al merito di guerra;
4) famiglie dei Caduti per la Causa fascista;
5) famiglie dei mutilati, invalidi, feriti della Causa fascista;
6) famiglie di Fascisti iscritti al Partito negli anni 19- 20- 21- 22 e nel secondo semestre del 24 e famiglie di legionari fiumani.
7) famiglie aventi eccezionali benemerenze che saranno accertate da apposita commissione.

Gli altri ebrei
I cittadini italiani di razza ebraica, non appartenenti alle suddette categorie, nell'attesa di una nuova legge concernente l'acquisto della cittadinanza italiana, non potranno:
a) essere iscritti al Partito Nazionale Fascista;
b) essere possessori o dirigenti di aziende di qualsiasi natura che impieghino cento o più persone;
c) essere possessori di oltre cinquanta ettari di terreno;
d) prestare servizio militare in pace e in guerra. L'esercizio delle professioni sarà oggetto di ulteriori provvedimenti.

Il Gran Consiglio del Fascismo decide inoltre:
1) che agli ebrei allontanati dagli impieghi pubblici sia riconosciuto il normale diritto di pensione;
2) che ogni forma di pressione sugli ebrei, per ottenere abiure, sia rigorosamente repressa;
3) che nulla si innovi per quanto riguarda il libero esercizio del culto e l'attività delle comunità ebraiche secondo le leggi vigenti;
4) che, insieme alle scuole elementari, si consenta l'istituzione di scuole medie per ebrei.

Immigrazione di ebrei in Etiopia
Il Gran Consiglio del Fascismo non esclude la possibilità di concedere, anche per deviare la immigrazione ebraica dalla Palestina, una controllata immigrazione di ebrei europei in qualche zona dell'Etiopia.
Questa eventuale e le altre condizioni fatte agli ebrei, potranno essere annullate o aggravate a seconda dell'atteggiamento che l'ebraismo assumerà nei riguardi dell'Italia fascista.

Cattedre di razzismo
Il Gran Consiglio del Fascismo prende atto con soddisfazione che il Ministro dell'Educazione Nazionale ha istituito cattedre di studi sulla razza nelle principali Università del Regno.

Alle camicie nere
Il Gran Consiglio del Fascismo, mentre nota che il complesso dei problemi razziali ha suscitato un interesse eccezionale nel popolo italiano, annuncia ai Fascisti che le direttive del Partito in materia sono da considerarsi fondamentali e impegnative per tutti e che alle direttive del Gran Consiglio devono ispirarsi le leggi che saranno sollecitamente preparate dai singoli Ministri.

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Di Fabrizio (del 07/10/2008 @ 21:46:36, in Regole, visitato 7792 volte)

Ricevo da Agostino Rota Martir (qui i fatti a cui si riferisce), con preghiera di fare circolare

All’Ill.mo Sig. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di ______
ATTO DI DENUNCIA E QUERELA

Il sottoscritto ______, nato a ____ (_____), il _______, residente in ____, via _____, in qualità di legale rappresentante dell’Associazione _____, [iscritta al registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni (art. 6 del D. Lgs.215/03) con il numero __] assistito e rappresentato, giusta delega in calce al presente atto, dall’avv. _______ del Foro di _______, con studio in ______, via _______ n. __, espone quanto segue:

- in occasione del raduno politico organizzato dal partito politico "Lega Nord" a Venezia in data 14.09.2008, GENTILINI Giancarlo, vicesindaco di Treviso ed esponente politico di rilievo del partito"Lega Nord", nel corso di un pubblico comizio innanzi ad una pluralità di astanti si rendeva autore di numerose affermazioni di carattere indiscutibilmente razzista;
Di seguito si dà nota di alcune delle frasi pronunciate dal Gentilini:

( L’intervento nella sua interezza è reperibile sia al
sito: http://it.youtube.com/watch?v=_WCZNQJkV3E
sia a : http://bontempelli.altervista.org/gentilini.flv)

"Io voglio la rivoluzione contro gli extracomunitari clandestini!"; "voglio la pulizia dalle strade di tutte queste etnie che distruggono il nostro paese!"; "voglio la rivoluzione nei confronti di nomadi! Dei zingari!"; "ho distrutto due campi di nomadi e di zingari a Treviso!"; "voglio eliminare tutti i bambini dei zingari che vanno a rubare dagli anziani!"; "voglio tolleranza a doppio zero!"; "voglio la rivoluzione contro coloro che vogliono aprire le moschee e i centri islamici!"; "no! Vadano a pregare nei deserti!"; "basta islamici! Che tornino ai loro paesi!"; "che vadano a pisciare nelle loro moschee!" (a proposito degli avventori dei locali etnici); "voglio la rivoluzione nei confronti (di coloro) che tollerano i veli e i burqua!"; "io non so chi si nasconda sotto il velo o col burqua, ci potrebbe essere uno coi coglioni o col mitra tra le gambe!"; "non voglio vedere consigliere neri, gialli, marroni, grigi, insegnare ai nostri giovani! Cosa insegnano? La civiltà del deserto? La civiltà di coloro che scappano dietro ai leoni o quelli che corrono dietro alle gazzelle per mangiarle?".

- Il contenuto delle parole pronunciate pubblicamente da Gentilini è incontestabilmente razzista e connotato in modo tale da assumere una autonoma rilevanza penale ai sensi della normativa in tema di discriminazione;
- tali affermazioni possono essere considerate come fattispecie di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, come vera e propria istigazione alla commissione di atti discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e, infine, come istigazione alla violenza o ad atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Tali comportamenti sono condannati dalla Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il del 21 dicembre 1965, ratificata in Italia con legge 13 ottobre 1975, n. 654;

- la legge 13.10.1975, n. 654, così come modificata dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, punisce da un lato la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, dall’altro l’istigazione alla commissione di atti discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e, come figura di reato più grave l’istigazione alla violenza o ad atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;
- l’art. 3 della legge 654/75, così come sostituito dall’art. 13, l. 85/2006, prevede che:

"1) Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione della disposizione dell’art. 4 della convenzione, è punito:
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;";


- E’ del tutto incontrovertibile che le affermazioni pubbliche del Gentilini assumano rilevanza penale ai sensi delle norme di cui sopra sotto la plurima valenza della propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, dell’istigazione alla commissione di atti discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e sotto quella, più grave ancora, dell’istigazione alla commissione di atti di violenza o di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

a) La nozione di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, utilizzabile ai fini dell’applicazione delle norme contro le manifestazioni verbali di discriminazione, si riferisce alla diffusione di idee razziste che inducono, in capo ai destinatari, la formazione di un giudizio che giustifichi o incoraggi forme di odio e di discriminazione razziale;

- Si ritiene che il reato si perfezioni nel momento in cui il pensiero di matrice razzista, oltre ad essere esternato, venga "divulgato", pervenendo a conoscenza di una pluralità di altre persone. In altri termini, il reato si considera consumato a prescindere dall’effettivo "credito" riscontrato presso "l’altro", bastando bensì la mera ricezione. La propaganda razzista si può pertanto definire come reato di mera condotta, che assume cioè rilevanza penale senza necessariamente comportare una modificazione nell’ambiente esterno. In tal senso, si dà nota di quanto afferma la giurisprudenza in materia: "La condotta di diffusione di idee fondate sull’odio razziale presuppone che il "diffusore" si rivolga a molti interlocutori o comunque svolga un’opera di proselitismo e di istigazione indiretta" (Trib. Treviso, sent. 6.6.2000, n. 492);

b) La condotta tenuta da Gentilini può inoltre ben configurare un’ipotesi di reato di istigazione alla commissione di atti di discriminazione per motivi razziali o etnici, essendo ravvisabile nel discorso da lui pronunciato un vis istigativa alla formazione di propositi razzisti e un sotteso plauso verso atti di discriminazione fondati sulla superiorità etnica (si veda a tal proposito Trib. Verona, sent. 2.12.2004/24.2.2005, n. 2203);

- basti dire che per la sussistenza del reato in parola, non rileva che l’incitamento sia stato effettivamente accolto da coloro a cui è rivolto, essendo bensì sufficiente che questo sia potenzialmente idoneo ad influire sul pensiero altrui. D'altronde non si può non tenere conto della circostanza della carica istituzionale ricoperta da Gentilini e della credibilità che gli uditori del comizio indubbiamente riconoscono a quanto da lui affermato;

- è importante peraltro sottolineare che gli atti di discriminazione oggetto di istigazione non devono essere per forza illegittimi, al contrario quindi di quelli presi in considerazione dalla normativa civilistica. Una differenza importante tra l’ambito della tutela civile e quello della normativa penale è infatti costituta, per la prima, dal requisito della illegittimità, che deve essere propria della condotta perché sia considerata discriminatoria ai sensi dell’art. 43 d.lgs. 286/98, mentre la norma penale, nel vietare l’istigazione alla commissione di atti discriminatori, comprende anche quelle condotte che ai sensi della norma civile non sarebbero vietate, ma bensì considerate legittime.

c) Infine, non si può non evidenziare come il discorso tenuto da Gentilini sia connotato da un grado di violenza tale da configurare un’autonoma imputazione per istigazione alla commissione di atti di violenza o di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Affermazioni del tipo "voglio la pulizia dalle strade di tutte queste etnie che distruggono il nostro paese!"; "voglio la rivoluzione nei confronti di nomadi! Dei zingari!"; "ho distrutto due campi di nomadi e di zingari a Treviso!"; "voglio eliminare tutti i bambini dei zingari che vanno a rubare dagli anziani!" mostrano un’intenzione non solo ostile, ma caratterizzata da un ulteriore grado di violenza ancora più estremo.

E’ del tutto manifesto quanta violenza vi sia in chi inneggia pubblicamente alla "pulizia" nei confronti di altri esseri umani, alla "distruzione" totale delle abitazioni di Rom e Sinti o, infine, addirittura ad una vera e propria "eliminazione" di bambini. Tali parole non possono che riportare alla mente immagini inquietanti di pulizie etniche e di stermini di massa.

- Nessuna giustificazione ha peraltro la circostanza che Gentilini abbia pronunciato tali parole all’interno di una manifestazione politica giacchè si ritiene che, in un ambito "sensibile" qual è la tutela contro il razzismo, ci si debba nondimeno attenere ai principi della giurisprudenza in materia di reati di opinione, secondo i quali "il diritto alla libera manifestazione del pensiero, tutelato dall’art. 21 Cost., non può essere esteso fino alla giustificazione di atti o comportamenti che, pur estrinsecandosi in una esternazione delle proprie convinzioni, ledono tuttavia altri principi di rilevanza costituzionale ed i valori tutelati dall’ordinamento giuridico interno e internazionale" (Corte Cass., sez. I, sent. 28.2.2001, n. 341);
- il bene tutelato dalla normativa in tema di antidiscriminazione è la stessa dignità umana, intesa come il diritto umano fondamentale, pieno ed assoluto di ogni uomo ad essere differente per razza, etnia, religione, nazionalità, senza che tale diversità diventi ragione per alcuna diminuzione nel rispetto, nella comprensione e nella tolleranza ricevuti;
- infine: "Non è illecito avere pregiudizi in sé, nemmeno se tali pregiudizi sono di tipo razziale, etnico, nazionale o religioso. E’ illecito se, e solo se, il pregiudizio (…) si trasforma da pensiero intimo del singolo uomo a pensiero che l’uomo (singolo o in gruppo) diffonde in qualunque modo argomentando la superiorità della propria razza, etnia o nazione o compiendo o incitando a compiere atti di discriminazione per ragioni di razza, etnia, nazione, religione." (Trib. Verona, sent. 2.12.2004/24.2.2005, n. 2203).

* * * * *

Per tutti i suesposti motivi, poiché negli episodi sopra descritti paiono ravvisarsi gli estremi:

  1. del reato di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, di cui all’art. 3, c. 1, lett. a) legge 654/1975,
  2. del reato di istigazione alla commissione di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi di cui all’art. 3, c. 1, lett. a) legge 654/1975,
  3. del reato di istigazione alla commissione di atti di violenza o di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi di cui all’art. 3, c. 1, lett. b) legge 654/1975,

lo scrivente sporge formale

DENUNCIA-QUERELA

affinché si proceda nei termini di legge nei confronti del sig. GENTILINI Giancarlo e delle persone che la S.V. individuerà come autori o responsabili, anche per omissione, dei fatti, e per tutti i reati che comunque saranno ravvisati nelle fattispecie descritte, anche ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 3 della legge 654/1975.

Riservandosi la costituzione di parte civile in prosieguo di causa, nomina suo difensore di fiducia ex art. 96, 101 c.p.p., l’avv. _____ del Foro di ______, con studio in ____, via ______ n. __.

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 408, co. 2, c.p.p., chiede di essere informato di eventuali richieste di archiviazione.

Dichiara altresì, ai sensi e per gli effetti dell’art. 459, comma 1, c.p.p. di opporsi all’eventuale emissione di decreto penale di condanna, nei confronti dei responsabili dei fatti di cui in narrativa perseguibili a querela di parte.

Con osservanza.

Luogo e data


Nome cognome legale rappresentante associazione


E’ autentica

(avv. ________)

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Di Fabrizio (del 08/10/2008 @ 00:46:14, in Italia, visitato 2574 volte)

Avevo chiesto ad Ernesto Rossi come fosse andato il convegno su Carlo Cuomo, a cui (seppure a malincuore) non avevo potuto partecipare. Mi scrive di un convegno caldo e partecipato, con circa 150 presenze. Se qualcuno vi ha partecipato, mi faccia sapere le sue impressioni, anche commentando qui. Intanto, ecco il testo del lungo intervento svolto da Ernesto Rossi, che partendo dai ricordi, affronta molti temi di attualità.

4 ottobre 2008 - C'è un libro straordinario di Gianni Rodari, uno dei più grandi scrittori del Novecento italiano: C'era due volte il Barone Lamberto. Sembra un libro per bambini, categoria letteraria del sussiego. Vi si racconta la ventura di un ricco signore che può ricomprarsi la vita, perché scopre che "L'uomo il cui nome è pronunciato resta in vita".

Carlo, Carlo, Carlo…ecco cosa stiamo facendo, qui, oggi, adesso: ripetiamo il suo nome per raccogliere la nostra memoria e per continuare a tenerlo vivo fra di noi.

Perché in effetti non è vero che Carlo non ci sia più, né quando ci si occupa di Zingari, né per altre questioni, nelle quali ha lasciato segni forti e inconfondibili. È solo che, purtroppo per noi, facciamo fatica, nel mutare dei tempi, delle sensibilità, delle politiche, ad incontrarlo.

Ho avuto la fortuna di un'amicizia fraterna troppo breve con Carlo. Venne nel '68, giovane consigliere comunale, a vedere e a capire cosa succedeva nella biblioteca che dirigevo: un esperimento di gestione partecipata che sembrava anticipare nuove forme di decentramento.

Così adesso per questa amicizia e per il fatto d'aver cercato di proseguire il suo impegno con i Rom e i Sinti, mi tocca un compito difficile: parlare di Carlo coi verbi al passato, parlare di Carlo e del suo impegno per gli Zingari. Per molti anni –una quindicina- Carlo e questo impegno sono stati strettamente legati. Certo, si occupava dei destini della sinistra a Milano e lavorava come presidente della FILEF Lombardia, l'associazione internazionale fondata da un altro Carlo, lo scrittore e pittore Levi, per la quale aveva coniato, allargando e in parte rovesciando il primo impegno a favore dei nostri emigranti, uno slogan che era un vero sintetico programma: chiediamo per i nuovi immigrati gli stessi diritti che abbiamo chiesto per i nostri emigranti.

Ma occuparsi di zingari è impresa d'imparagonabile diversità: essi sono la minoranza delle minoranze. Il minimo possibile dell'altrui conoscenza, della considerazione, del rispetto dei diritti. Non esiste paese di riferimento, in cui siano una maggioranza. Non esiste paese, quale più, quale meno, in cui i loro diritti siano veramente rispettati e garantiti.

Carlo ha disseminato idee e proposte innovative dovunque è stato presente.

Per poter fare questo, ci vuole indubbiamente intelligenza e cultura, sapersi porre domande, ma lui aveva di più: aveva una capacità non comune di passare dal ragionamento alle ipotesi, alle proposte concrete; dal pensare al fare, impastando teoria, discussione, suggerimenti, finché non diventavano un progetto visibile agli occhi della mente, per divenire poi un'iniziativa.

Lo ha scritto con felice sintesi, il giorno dopo la sua morte, Manuela Cartosio sul Manifesto: aveva la capacità di tenere insieme la rilettura di Marx con la fontanella in un campo di Zingari. Insieme. Non una cosa accanto all'altra, ma nella successione stessa del ragionamento e del progetto.

Era, non solo come lasciò detto di sé, una brava persona, ma slow, lento. Questa definizione è associata attualmente al contrasto della frenesia, del consumo, del cattivo gusto, che sarebbe uno splendido programma politico, ed è riferita soprattutto ad un campo, quello enogastronomico; e a Carlo, uomo di gusto, che sapeva apprezzare cibi e vini, non sarebbe dunque certamente dispiaciuta.

Ma il senso in cui gliela attribuisco riguarda il suo atteggiamento nei confronti dell'altro: il sorriso, dolce e aperto, il rispetto, l'ascolto, l'attenzione, il ragionare pacato e coinvolgente; una serie insomma di qualità maieutiche. Una cosa nata dalle sue parti. Era lento perché si prendeva il tempo e il piacere di ascoltare e ragionare, di gustare e di far gustare il ragionamento nel suo articolarsi e procedere dalle premesse alle conclusioni. Questa era la sua qualità essenziale, strutturale, quella che gli conquistava simpatia, attenzione, stima, affetto.

Sono stato adescato da Carlo ad occuparmi di Rom e Sinti, quelli che col sommario disprezzo della non conoscenza chiamiamo Zingari.

Come nasce un'idea così nella testa d'una persona, di occuparsi di un problema marginale di poche persone marginali, 150-160 mila in tutta Italia? Quante volte l'hanno chiesto anche a me, ed ora che mi tocca parlare di Carlo, mi accorgo che a lui non l'ho mai domandato. Eppure si tratta di una questione importante, fondamentale. Forse tra di noi era scontata la risposta: per indignazione. Ma è una risposta troppo morale, adulta. Forse quella precedente nasce nei giochi da bambino, tra cowboy e indiani, o davanti alle porte Scee leggendo i poemi omerici.

Ma credo che qualunque sia il caso che apre l'impegno, questo arriva su un terreno già predisposto, incontri, esperienze, che rimangono a giacere in un angolo della memoria, pronti a crescere, ad affermarsi, se si formano circostanze favorevoli. Come una rosa di Gerico, che verdeggia nuovamente quando la bagnate.

Ho un ricordo preciso di una situazione che Carlo raccontava, riferita forse anche ai suoi anni giovanili in Grecia, quando nel villaggio o nel quartiere, durante la riunione per organizzare una festa di matrimonio o di battesimo, qualcuno, inevitabilmente, diceva Carlo, saltava su con un ma i 'nostri' zingari qualcuno li ha avvertiti?

Questa frase, che sicuramente si pronuncia ancora oggi in molte lingue nei Balcani, dice di una presenza e di una continuità di costume: una tradizione.

I Rom nei Balcani, la regione d'Europa che per prima hanno raggiunto nel loro lungo viaggio, e dove tuttora vivono più numerosi che in qualunque altra, con la sola eccezione della Spagna, sono portatori di una cultura musicale propria, ma anche custodi di quelle locali, che hanno saputo raccogliere e reinterpretare e tramandare, traendone una musica nuova senza confini.

Il caso che muove Carlo è l'incarico di assessore, oltre che al decentramento, al lavoro, che comporta anche la responsabilità dell'Ufficio Stranieri e Nomadi. Così si chiamavano e credo tuttora si chiamino gli uffici di molte città italiane, cui compete di occuparsi di stranieri. E di nomadi, che così definiti e percepiti, anche se italiani da secoli, finiscono col parere stranieri, persino a se stessi. È qui che Carlo si trova a dover affrontare il problema. Come assessore delle giunte di sinistra negli anni dal 1975 all'85, ha dovuto gestire temi diversi e per lui talvolta inediti. E ogni volta, magari dimenticando le vacanze, ha macinato libri e documenti per prepararsi.

Ma per questa materia, credo che lo sforzo sia stato minore. C'è una strada già tracciata nella sua memoria e nella sua pratica politica, un marxismo usato come chiave, non come binario: il senso della dignità umana, come valore fondante di ogni politica; della diversità e ricchezza delle storie e delle culture come ricchezza unica di tutta l'unica razza umana. Non è un caso dunque che quando imposta e in parte redige, per incarico dell'amico e compagno editore Nicola Teti, un numero speciale del Calendario del Popolo, dedicato agli Zingari, il richiamo costante è alla Costituzione antifascista della Repubblica italiana.

"Un patto di amicizia e fraternità", furono le parole usate da Umberto Terracini, che con De Gasperi e De Nicola firmò quel testo, nel presentarlo nel 1947 al popolo italiano.

Parole straordinarie se le pensiamo rivolte a Rom e Sinti, in quegli anni quasi esclusivamente cittadini di questo paese, essendovi giunti fin dagli inizi del Quattrocento. Un popolo che le statistiche rappresentano come un popolo di bambini (oltre il 50% minori di diciott'anni).

Una piccola società sparpagliata in quella più grande, con le sue tradizioni e le sue regole, reciprocamente incomunicante con la nostra, con effetti devastanti per loro, contro qualche fastidio per noi. Con la quale un patto bisogna dunque stabilirlo, un patto sociale, non regole speciali, una strada chiara, lineare, aperta, che per condurre tutti nella stessa unica società, deve nascere dal rispetto, dall'attenzione, dalla comprensione, da regole nuove. A partire dai diritti. I doveri, come ognuno sa, vengono, magari quasi subito ma comunque dopo. È su questa mancanza che si esercita la capacità d'indignarsi, se sei riuscito a salvarla dal tuo diventare adulto e beneducato.

Ma quanti sono? è il nostro tormentone. Le contiamo e ricontiamo, queste pecorelle, quasi sperando, poco evangelicamente, che siano ogni volta di meno. Ma di affrontare i problemi sociali poco se ne parla, quasi nulla si fa.

Negli anni di Carlo, da buon comunista vicepresidente dell'Opera Nomadi, da lui fondata a Milano nei primi anni Ottanta, nascono i primi campi. Una scelta che, senza l'intervento sociale connesso, previsto e mai attuato, gli anni dimostreranno inadeguata ad affrontare i problemi dell'abitare.

I campi, soluzione quasi solo italiana, sono dei ghetti da cui non si esce che a fatica verso altre soluzioni abitative, mentre per non trovare lavoro... basta l'indirizzo.

Sono questi i percorsi generosi e accidentati di chi cercava una strada giusta.

Adesso, chi cerca una strada?

In quegli stessi anni troviamo, inattesa, una soluzione per una famiglia di Sinti lombardi ben conosciuta nel suo quartiere, ma non per questo meno sgomberata: non pare vero, ma si fece una raccolta di firme a loro favore, un'offesa alla logica, come l'uomo che morde il cane; e con Carlo indicemmo nelle loro roulotte una conferenza stampa, cui intervennero quotidiani e televisioni, che stroncò l'insensata persecuzione di vigili e multe. Quel tratto di via abbandonata che tuttora abitano serenamente da 12 anni, lo ebbero in base alla prima convenzione del genere sottoscritta con il Comune di Milano. E ci parve allora che da lì avremmo potuto avviare a soluzione almeno il problema delle poche famiglie sinte milanesi.

Nel frattempo erano nate le prime cooperative rom, si era formato, sotto la direzione del professor Angelo Arlati, e con la partecipazione di Giovanna Lodolo, il Centro Documentazione Zingari, che raccoglieva libri, dischi, video, documenti; e studenti e assistenti sociali venivano a prendere confidenza con gli Zingari. E si avviavano i progetti per la mediazione sanitaria, che in parte ripeteranno l'esperienza di quella scolastica: cosa può essere meglio di questa per un popolo di bambini?

Mediazione ha il suono d'un termine filosofico, tecnico, professionale. In realtà è tutte queste cose, ma molto di più. Non posso non ricordare questa straordinaria invenzione di Carlo, ma non entrerò nella storia delle vicende che portarono alla nascita di un gruppo di giovani romnià, donne rom, preparate ad intervenire nelle scuole frequentate da bambini zingari per aiutare la reciproca comprensione, la reciproca integrazione. Nella sostanza queste ragazze, conseguita la licenza media, proseguirono con un corso impostato con la collaborazione di Susanna Mantovani, preside della Facoltà di Magistero, con un diploma finale abilitante.

Mi limito a ricordare l'essenza, il nucleo creativo di questa tormentata e sottovalutata –o combattuta?- storia. Le maestrine zingare avrebbero affiancato le titolari, aiutandole a comprendere i problemi dei bambini rom, sarebbero intervenute per facilitare il rapporto fra loro e i bambini non-rom –e perché no? le rispettive famiglie. Ma, soprattutto, sarebbero state un ponte tra i bambini. E i piccoli rom avrebbero visto per la prima volta una di loro in una posizione autorevole, non solo per loro stessi, ma anche per gli altri bambini. E questi per la prima volta si sarebbero trovati davanti una zingara che era un'autorità. Uno sconvolgimento. Di quelli da cui può cominciare un nuovo mondo.

Se, e quanto, così sia stato lo lascio ad altri approfondimenti: il ponte era lanciato, costruito; i ponti son fatti per essere attraversati, per unire rive diverse. Non è detto che vengano utilizzati. Spesso ci vuol tempo, circostanze, volontà per compiere la traversata. Da una parte e dall'altra. Ovviamente di più, per chi è più debole e indifeso, per il quale un ponte potrebbe costituire anche una minaccia d'invasione, un pericolo, non d'integrazione, di assimilazione.

Progetti grandi e piccoli, dunque (questo della mediazione trovò interesse presso altre città italiane e anche all'estero), ma che rimanevano quasi sempre rinchiusi fra pochi addetti e un manipolo di funzionari e operatori. Bisognava puntare di più sulla cultura come messaggio, trovare Rom e Sinti che fossero immagine positiva, ambasciatori del loro popolo, raccontare storia e vicende umane.

"Per occuparsi di zingari, bisogna essere matti", mi disse Carlo una sera prima di cena."Tu e io, aggiunse ridendo, ci siamo".

Mancava Fredi Drugman, che aveva un approccio alla realtà dei problemi diametralmente opposto a quello di Carlo, metodico e preciso, quanto Fredi era estroso e inventivo. Ma questo divertiva Carlo, che diceva di lui ridendo compiaciuto, 'è matto come un cavallo'. Con questo matto abbiamo dunque organizzato la prima uscita pubblica per parlare di Zingari, nientemeno che in un'aula della Facoltà di Architettura del Politecnico. Fu quel giorno, credo, una delle prime volte che risuonarono a Milano le musiche sfrenate e dolenti della tradizione zingara davanti a un pubblico d'una settantina di studenti, stupiti e attentissimi per quasi quattro ore, nell'ambito del corso di museografia, di cui Fredi era docente, insieme a storia, lingua, tradizioni, musica, sotto le ipotetiche specie della creazione d'un Museo degli Zingari.

Un modello che avremmo poi esportato, presi dal successo, in un corso presso l'Unitre, in piazza Vetra, che il primo anno, per un solo trimestre (non ci eravamo fidati ad andare oltre), beneficiò anche dei suoi interventi. Facevamo una lezione, e la volta dopo la proiezione d'un film.

Il giorno della prima lezione arrivammo davanti all'aula assegnata: piena. Ci guardammo interdetti, concludendo che avevamo sbagliato porta e lui propose di andarci a bere qualcosa, tanto era ancora presto. Avremmo trovato poi l'aula giusta, con i nostri quattro ascoltatori.

Ma proprio lì ritornammo.

Andammo poi avanti con tre fine settimana di musiche, balli e ragionamenti presso il Barrio's di don Gino Rigoldi, appena inaugurato, e con altre iniziative, per far conoscere i grandi Rom e Sinti, e il contributo d'arte e cultura che questo popolo ha dato al mondo: Django Reinhardt, inventore del jazz europeo, Esma Redžepova, candidata al Nobel, scrittori, poeti, pittori come Antonio Solaro e Otto Müller, calciatori, naturalmente, uomini politici. Come succede in tutti i popoli.

Una di queste iniziative vive ancora. Rom e Sinti hanno attraversato negli anni del nazifascismo uno dei periodi più feroci della loro storia. 600.000 vittime è una stima al ribasso, perché non sarà mai possibile ricostruire il numero delle famiglie sterminate sul posto in tutti i territori occupati, come in quelli degli stati fantoccio o alleati del Reich.

Ma Rom e Sinti non furono vittime inerti. In tutti i paesi in cui operò una Resistenza organizzata essi ne fecero parte, combattendo e morendo per una libertà che ancora non li ha raggiunti.

Dopo averne parlato con Carlo, come sempre facevamo, avevo cominciato a indagare su questo capitolo storico , che non veniva citato in nessuna pubblicazione. Con le prime scarne notizie raccolte, unite a quelle sullo sterminio, confezionai il primo volantino, meticolosamente corretto da Carlo, che venne diffuso al corteo del 25 Aprile 1998, come tuttora succede ogni anno a cura dell'Associazione Aven Amentza, che prosegue in quell'azione, oltre che nella ricerca sulla partecipazione di Rom e Sinti alla Resistenza.

Debout les damnès de la terre, dice un canto che abbiamo insieme tante volte intonato: in piedi, dannati della terra, il cui titolo lo indica come adatto a tutti i popoli, insomma internazionale. E infatti uno zingaro disse: seppellitemi in piedi, perché tutta la vita sono stato in ginocchio. Ma con gli Zingari in genere è difficile: seicento anni di persecuzioni li hanno convinti che la ribellione non paga.

Eppure qualcosa si muove finalmente anche in Italia. Dopo il periodo delle piccole associazioni autoreferenziali o familiari, ecco che queste finalmente si uniscono in una federazione, che ha come valore aggiunto un Rom e Sinti insieme. E a Milano è attivo un tavolo di associazioni, in Camera del Lavoro.

Nei suoi ultimi mesi, Carlo affronta instancabile, respingendo la resa al male che ormai lo consuma, ancora una battaglia, quella fondamentale, per il diritto. La commissione Affari costituzionali del Senato, nel testo predisposto per la discussione in aula, ha sgomberato Rom e Sinti dall'elenco delle minoranze, peraltro malamente tutelate. La legge uscirà così, pretestuosamente monca, l'anno dopo (L.482/99). Ma lui diffonde subito un appello per il loro reinserimento, in cui si chiede con lungimiranza di valutare anche le nuove minoranze, quelle degli immigrati, la cui presenza diventerà stabile nel paese.

E mentre tratta per la sistemazione dei Rom di Palizzi-Fattori, trasferiti in blocco dall'altra parte della città, lancia un nuovo progetto: una Casa dei popoli e delle culture, che ne sia il luogo d'incontro, di valorizzazione e di conoscenza.

Ma la nuova vecchia politica è quella degli sgomberi, intervento feroce e stupido, che serve solo a spostare persone e problemi, senza risolvere nulla: solo nel 2007 a Milano ne sono stati attuati una quarantina. Il campo di Triboniano viene positivamente sistemato, ma ne viene distrutta l'organizzazione sociale tradizionale. Per abitare questa terra promessa e recintata bisogna sottoscrivere un regolamento speciale, che vale solo lì. È un bantustan. Si parlerà imprudentemente d'un intervento epocale.

Ciò che sta accadendo è sotto gli occhi di tutti, forse segna davvero una nuova epoca: quella della tolleranza che non ce n'è mai stata ed ora mostra il suo vero aspetto: sotto lo zero.

Ora è il tempo della sicurezza, anzi della sua percezione.

Ma non si tratta di morti sul lavoro, di violenze su donne e bambini fra le mura di casa dolce casa, di arrivare alla quarta o terza settimana, di pezzi d'Italia in mano alla criminalità. Il pericolo additato per distrarre sono quattro gatti di Zingari: ricontiamoli, anche se poi le cifre deludono, dov'è l'invasione? ci son solo problemi trascurati a lungo, cioè le emergenze, che nascono dal malgoverno.

È stato avviato in questo periodo un processo di degenerazione della società e della democrazia.

Si è cercato di lasciare nella storia impronte di bambini, non con l'inchiostro della scuola, con quello della polizia, cui vengono affidate parti delle politiche sociali. Un inizio subito maldestramente ringoiato, che è bastato a promuovere il nostro paese da barzelletta a preoccupazione internazionale. Aspettiamo ancora di vedere qualche sussulto in più d'indignazione. E invece la prossima primavera rischia di portare nuove tempeste.

È vero, la storia non si ripete, ormai forse lo imparano anche a scuola. Ma risuona. Oggi in modo orribile: Berlin ohne Zigeuner, dicevano i manifesti diffusi nella capitale germanica per le Olimpiadi del 1936, Berlino senza Zingari. Non sarà in preparazione, insieme a molti affari, una Mailand ohne Zigeuner per l'Expo 2015?

Perché il problema è sempre lo stesso, immutabile, eterno: non sono gli Zingari che disturbano –loro sono utili. Non ci piacciono i poveri. E di questi è pieno il mondo. Sempre di più, sempre più poveri, premono fuori dalle mura della fortezza di Schengen, come tanti gengiscan disarmati, sbarcano sugli scogli, sulle spiagge, di cui è ricco, ancora, il nostro paese. Quando ci arrivano. Di baracche è pieno il mondo. Tempeste e terremoti le distruggono, le guerre e la fame ne creano altre.

E noi siamo quando va bene solidali. Purché i loro disperati abitanti restino là dove sono.

Non so cosa avrebbe fatto Carlo davanti a quello che sta succedendo. Ma non è difficile immaginarlo, perché noi tutti sappiamo che non si sarebbe arreso. Per questo è importante che oggi siamo qui con lui, perché si continui a rimanere insieme.

Avete sentito quante volte ho pronunciato il suo nome?

Ernesto Rossi

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Di Fabrizio (del 08/10/2008 @ 09:06:37, in Italia, visitato 1891 volte)

Segnalazione da Clochard

Di Vittorio Bonanni su Liberazione del 5 ottobre Intervista a Sandro Portelli, scrittore e saggista, ripubblicata su Bellaciao.org

Sandro Portelli non ha bisogno di presentazioni. Scrittore, docente di letteratura angloamericana all’Università La Sapienza di Roma, già delegato del sindaco di Roma per la memoria, è uno degli intellettuali più autorevoli per commentare quello che sta succedendo in Italia nei confronti dei migranti. Da Parma a Roma, da Milano a Castelvolturno fino agli stadi dove i calciatori di colore vengono insultati è un susseguirsi di avvenimenti che stanno trasformando il nostro paese in una vera e propria patria del razzismo.

A lui abbiamo chiesto innanzitutto dove vanno cercate le radici di questi comportamenti così preoccupanti. "Il razzismo in Italia ha una storia molto lunga - dice Portelli - abbiamo secoli di antisemitismo che sono culminati nelle leggi razziali del ’38, e una vergognosa storia di colonialismo particolarmente becero soprattutto in Etiopia. Proprio da quella avventura coloniale nacquero le prime leggi razziali che furono alla base della persecuzione degli ebrei".

Come si sviluppa questo sentimento nell’Italia del dopoguerra?
Ricordo che all’inizio degli anni 60 un gruppo di studiosi tra cui Alfonso Di Nola scrissero un libro in cui parlavano di un razzismo latente nel nostro paese. Cioè di un razzismo che stava sotto traccia, pronto ad esplodere ma che non esplodeva per mancanza di un oggetto contro cui scatenarsi. E anche la coscienza o la falsa coscienza della forze politiche italiane, dal Partito comunista alla Democrazia cristiana, rendevano indicibili queste cose. Insomma questi discorsi non li permettevano. Che sotto sotto serpeggiassero al loro interno è possibile ma erano stigmatizzati.

Lo scenario oggi è mutato radicalmente...
E in peggio. Abbiamo forze politiche che o promuovono attivamente il razzismo come è il caso della Lega, o, come succede negli altri casi, lo coccolano negando che esista. Ed è questa la cosa straordinaria. Ogni volta che succede qualche cosa si sente dire sempre "è grave ma il razzismo non c’entra". Dunque non c’è più un tappo che renda indicibili certe cose e contemporaneamente ora c’è anche l’oggetto contro cui scatenarsi, cioè l’immigrazione.

Veniamo ora alle responsabilità della sinistra moderata. All’indomani della morte della signora Reggiani anche Veltroni e il Partito democratico hanno cavalcato la pericolosissima tigre del razzismo, additando praticamente tutta la comunità dei rumeni come un potenziale covo di assassini. Ora le cose stanno cambiando ma intanto il danno è stato fatto. Che cosa ne pensa?
Io non so ancora se è stato un calcolo ipocrita a fini elettorali o se veramente se ne sono usciti con naturalezza. Quello che so è che tatticamente e a fini elettorali è stato un errore enorme. Perché ogni volta che tu vai incontro ai temi della destra non fai altro che dire: "La destra ha ragione". E siccome la destra su queste cose è sempre più avanti e più credibile di noi non fai altro che portare consenso e voti a loro. Se Veltroni sostiene che bisogna cacciare i rumeni e vigilare su di loro in quanto tali o portare i rom fuori dal raccordo anulare, fa un regalo assoluto all’avversario. La sinistra deve avere dei modi propri di affrontare un bisogno di sicurezza, peraltro in parte indotto. In passato da noi sono venute molte idee. Penso ad un’altra emergenza più reale, come quella degli anni 70, e alla risposta data con l’Estate romana. Oggi nel deserto di idee a sinistra, le uniche proposte sul campo sono quelle della destra. La quale è sempre più credibile.

Come si può legare questa deriva con la crisi della pregiudiziale antifascista?
Innanzitutto un antifascismo che non sia antirazzista non esiste. E dunque dobbiamo chiederci quali sono i principi e i valori che ci ha lasciati l’antifascismo, come l’uguaglianza, la partecipazione dei cittadini, il rifiuto della guerra, la libertà di parola e appunto il rifiuto del razzismo. Insomma i valori che troviamo nella Costituzione. E ora che questi valori sono tutti sotto attacco, l’antifascismo non si può ridurre alle polemiche, peraltro necessarie, su quello che è successo negli anni 30 o negli anni 40. Si deve, al contrario, tradurre in qualcosa di positivo. Quando Fini dice che qualsiasi democratico deve essere antifascista bisogna rispondere che chiunque sia democratico dovrebbe rifiutare la schedatura dei rom o il lodo Alfano che viola l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, difendere la libertà di stampa e rifiutare di far entrare l’Italia nelle guerre di Bush. Non è un caso che nel documento programmatico del Pd l’antifascismo se lo fossero scordato.

Fuori tema, ma non troppo, un commento sul film di Spike Lee su Sant’Anna di Stazzema e le polemiche che sono scoppiate...
Intanto dico che il film non l’ho ancora visto. E comunque voglio sottolineare due cose: mi ha molto colpito la lettera che Spike Lee ha indirizzato a Bocca, uscita su Repubblica , dove dice "immagino che le ferite del fascismo in Italia non si siano ancora rimarginate". Ma come può dire "immagino"? Ma non doveva informarsi prima? Questa è un’arroganza tipica di tanta cultura americana per cui tu arrivi e metti le mani su una realtà che non conosci veramente. Voglio poi dire un’altra cosa: se uno realizzasse una versione fiction della strage delle bambine ammazzate da una bomba razzista a Birminghan nel ’63 e questo film dice, inventandoselo, che è vero che sono stati i razzisti ma il fatto è partito da un tradimento di un attivista per i diritti civili; oppure che le bambine sono state ammazzate perché Martin Luther King ha fatto incazzare i razzisti e poi non le ha protette io credo che Spike Lee direbbe che questo è un film razzista. Ora nel suo caso il film non è certamente razzista come intenzione perché rivaluta il ruolo dei soldati afro-americani nella Seconda guerra mondiale.

Però lui non si rende conto che facendo una cosa, peraltro inventata completamente, che può essere strumentalizzata dalla destra razzista in questo paese dà armi dialogiche ed ideologiche a coloro che fomentano il razzismo nei confronti dei suoi fratelli africani e immigrati in Italia. E l’intenzione antirazzista sui soldati americani rischia di tradursi indirettamente e paradossalmente in un argomento in più dato alle forze razziste in questo paese. Per finire ripeto ancora: il film andrebbe visto prima di esprimere un giudizio. Ma se nella pellicola c’è questo tema per cui i partigiani erano irresponsabili perché ponevano le comunità al rischio di rappresaglie e l’invenzione per cui la strage a Sant’Anna è avvenuta perché un partigiano ha tradito, tutto questo è molto grave ed è il frutto dell’ignoranza di chi si sente onnipotente.

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Di Fabrizio (del 08/10/2008 @ 09:29:51, in Europa, visitato 1582 volte)

Segnalazione di Roberto Malini

Da EL PAIS.com MIGUEL MORA - Roma - 06/10/2008

Circa 50.000 persone, immigrati e cittadini italiani, hanno manifestato assieme questo fine settimana contro la xenofobia e il razzismo. A Caserta, Roma, Milano, Parma e Ancona, convocati da piccoli partiti della sinistra extraparlamentare, c'era gente di tutti i colori, grida contro la Camorra, appelli al Governo perché freni il clima di intolleranza.

Però la grande novità delle ultime ore è che il montare xenofobo che vive il paese inizia a preoccupare anche una parte della destra. E' stato Gianfranco Fini, leader della postfascista Alleanza Nazionale e presidente della Camera dei Deputati, il primo tra le fila del Popolo delle Libertà nel riconoscere che i recenti attacchi agli immigrati mostrano che l'Italia vive "un pericolo di razzismo e xenofobia che sarebbe sbagliato negare".

Secondo Fini, la politica italiana deve tenere la "guardia alta" perché "il tema del razzismo segnerà il nostro impegno incluso durante i prossimi anni". Fini ha lanciato l'idea di creare un Osservatorio contro il Razzismo nel Parlamento, però ha chiesto che si agisca "con tutte le cautele" in casi come quelli della donna somala, sposata con un italiano, che venerdì ha denunciato di essere stata denudata e umiliata da diversi poliziotti nell'aeroporto di Ciampino.

La prudenza di Fini contrasta con lo stile impetuoso della Lega Nord, sua compagna di coalizione nel Governo. Il Ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha negato che l'Italia viva un'emergenza razzista, e ha considerato che gli episodi delle ultime settimane siano solo episodi, appunto, e non un fenomeno generalizzato di cui preoccuparsi. "Ci sono episodi, che devono essere puniti e lo saranno, come ci sono dei montaggi, per esempio il caso della donna somala, che saranno puniti nello stesso modo", ha detto Maroni, che ha annunciato che chiederà i danni alla somala denunciante. Secondo il ministro, "la polizia si è limitata ad applicare la legge con rigore".

E' entrato nel dibattito anche il presidente del Senato, Renato Schifani, che in un curioso esercizio ha accusato il Partito Democratico di avvelenare il clima politico, ha negato che in Italia ci sia razzismo - "non può esistere, non è nel nostro DNA" - , ed ha riconosciuto che "una parte massimalista" del paese ha reagito "in maniera xenofoba" contro fatti come l'omicidio della signora Reggiani, che la polizia ha attribuito ad un gitano rumeno. Schifani, in qualsiasi caso, si appella all'unità per affrontare il tema. "Contro la mafia la politica non si divise, non deve farlo nemmeno col razzismo".

Prima di questo incrociarsi di opinioni, sabato, il presidente, Giorgio Napolitano, ed il papa Benedetto XVI hanno chiesto, durante un incontro celebrato nel Quirinale, che la solidarietà ed i rispetto della dignità umana presiedano la relazione con gli immigranti.

L'OnG EveryOne, nel frattempo, ha inviato ieri a diverse autorità spagnole ed al Parlamento Europeo una petizione di protezione umanitaria urgente per diverse famiglie rumene di etnia gitana che risiedono a Pesaro EveryOne afferma che le autorità italiane da mesi continuano a perseguire e negare l'accesso alla sanità e ad una vita degna per questa piccola comunità in cui diverse persone soffrono di gravi infermità.

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Di Fabrizio (del 08/10/2008 @ 23:23:21, in blog, visitato 1998 volte)

Un osservatorio sul razzismo
Gad Lerner mette in fila con preoccupazione quelli che chiama "scricchiolii della pacifica convivenza" e invita i Presidenti delle Camere a promuovere un osservatorio parlamentare sul razzismo...

L’incubatrice del razzismo
Colonia, 20 settembre: divieto di una manifestazione razzista. Venezia, 15 settembre, esempi di oratoria all’annuale raduno della Lega: "Macché moschee, gli immigrati vadano a pregare e pisciare nel deserto" (Giancarlo Gentilini, che rivendica la primogenitura come "sindaco-sceriffo" d’Italia);...

Il razzismo nelle "sfumature" di chi guida l'Italia
Il razzismo è un tema grave e delicato che va affrontato senza divisioni o contrapposizioni politiche. Lo ha sostenuto il presidente del Senato, Renato Schifani, intervistato nel salotto politico di "Domenica in", condotto da Monica Setta su Raiuno...

Roma, grande successo per il volume «Romanó Drom»
Grande successo per la presentazione in prima assoluta della raccolta di partiture musicali per orchestra sinfonica del musicista compositore Alexian Santino Spinelli dal titolo «Romanó Drom» (Carovana Romaní), svoltasi a Roma presso la...

L'Italia è razzista
Da alcuni giorni tutti i media nazionali discutono sul tema del razzismo. Gli eventi delle ultime settimane hanno scalfito quell’invisibile muro che permea la società italiana. In molti stanno cercando di chiudere questa scalfittura con le solite considerazioni: sono fatti isolati, sono...

Slovacchia, la xenofobia è un problema irrisolto nell'Unione europea
"Nell’Unione Europea le frontiere nazionali diventeranno virtuali: vedrete che questo risolverà anche i problemi delle minoranze etniche come quella ungherese vivente in Slovacchia." – queste erano le profezie ricorrenti di politici, esperti e intellettuali alla vigilia dell’ampliamento dell’UE del 2004...

Ferrara, ma i Rom non fanno paura
Una questione spinosa quella dei rom di cui «si è troppo scritto e parlato male», come ha detto introducendo gli ospiti il direttore di Internazionale Giovanni De Mauro. Ospiti guidati, più che moderati, da Gad Lerner che con interesse e consapevolezza ha affrontato un tema difficile...

Reggio Calabria, l'Opera Nomadi interviene sulla proposta di legge sulla casa
Oggi la questione della casa, a causa dell’aumento degli affitti e della crisi dei salari, rappresenta uno dei problemi sociali più importanti che interessa una larga fascia della popolazione non abbiente...

Roma, nuova udienza del processo Reggiani
«Il volto insanguinato, le mani piene di graffi». Così nell'udienza di lunedì 6 ottobre del processo per l'omicidio di Giovanna Reggiani, aggredita e uccisa il 30 ottobre scorso nei pressi della stagione ferroviaria Tor di Quinto a Ro...

Genova, una compagnia teatrale di Sinti e di Rom
Il suo nome è Sejad, ma tutti lo chiamano Sergio. Molto teso su una sedia, racconta una favola capovolta sull’ultima “zingara” di Auschwitz, dove i cattivi hanno gli occhi azzurri e le mani pulite, mentre i buoni hanno gli oc...

Cattolici, dalla delega in bianco ai "peccati di omissione"
Scrive padre Sorge: «La destra ha avuto buon gioco nel presentarsi come garante dell'ordine pubblico, promettendo "pugno di ferro" e "tolleranza zero". Se è stato...

Previsioni del tempo
Le borse non la smettono di crollare, il che fa tanto previsioni del tempo [pessime]. A Vicenza la gente va a votare, più di quanto ha fatto in molte occasioni passate, per un referendum non ufficiale [proibito dallo Stato italiano], e anche questo fa...

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Come per la patente, la Lega propone il permesso di soggiorno a punti per gli immigrati, con revoca in caso di violazioni della legge. E inoltre gli emendamenti del Carroccio al ddl sicurezza, assegnato alle commissioni Affari costituziona...

Chiari (BS), i cinque bambini fantasma
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Razzismo, FaceBook smentisce Maroni
«Basta poltrire davanti al computer tutto il santo giorno! Basta con la scuse, non ci sono più né “se” né “ma”, il bene della comunità non può più aspettare!!! BRUCIAMO TUTTI QUEI MERDOSI UNTERMENSCHEN ZINGARI!!!», «ovunque c’è uno zingaro ci deve essere una molotov!!!...

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