Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 12/12/2009 @ 09:03:04, in Italia, visitato 1800 volte)

Segnalazione di Marco Brazzoduro

Di “Rivoluzione Copernicana” aveva parlato lo scorso agosto il Sindaco Alemanno, preannunciando un nuovo approccio della Giunta Capitolina alla questione nomadi. Un approccio “all’insegna della stretta identità tra legalità e solidarietà, tra sicurezza ed integrazione” furono le parole del Primo Cittadino. In attesa dell’imminente chiusura di oltre 80 campi abusivi e di altri 9 definiti “tollerati”, la condizione del campo autorizzato della Cesarina è, questo sì, intollerabile. Nonostante il Comune paghi profumatamente l’affitto del fazzoletto di terra, oltre ad una quota per ogni abitante, l’erogazione di servizi e utenze basilari per delle roulotte che ospitano famiglie sono demandate alla discrezionalità del proprietario del campo. L’impianto elettrico consente il funzionamento delle sole lampadine: basta un asciugacapelli per far saltare il contatore. Nella malaugurata ipotesi in cui ciò avvenga, il proprietario del campo priva gli abitanti della luce per ben tre giorni, a scopo punitivo. Facilmente comprensibili le difficoltà a gestire una quotidianità che prevede l’accudimento di neonati disponendo di acqua calda (anche per le docce) per sole 3 ore al giorno, in assenza di elettrodomestici e frigoriferi, usufruendo di bagni predisposti in un unico spazio aperto, riscaldando le fatiscenti roulotte con precarie stufe a gas (con il rischio di sovraccarico e di conseguante stacco della luce per i successivi 3 giorni). Il tutto, si ribadisce, dietro lauto compenso. Riteniamo doveroso informare che ogni nucleo familiare (sono meno di 50 quelli oggi ospitati nel campo della Cesarina) paga una sorta di pizzo al proprietario pari a 50 euro mensili, ovviamente senza ricevuta, senza specificare a che titolo vengano pretesi questi soldi. Per le utenze?! Gli abitanti del campo non possono ricevere visite di familiari ed amici senza l’autorizzazione del proprietario. In assenza di un regolamento scritto, l’ingresso di visitatori esterni è concesso a sua discrezione e solo in rarissimi casi. Fino a poco tempo fa due pulmini accompagnavano i bambini del campo a scuola (sono quasi tutti scolarizzati). Attualmente il servizio è stato ridotto ad un solo pulmino, che sembra destinato a scomparire con il prossimo anno scolastico, in barba alla tanto citata aggregazione.

In fiduciosa attesa della promessa “Rivoluzione Copernicana”,
SI CHIEDE
AL SINDACO DI ROMA
Di consentire agli abitanti del campo nomadi della Cesarina di mantenere intatta la precaria rete sociale tessuta con la città circostante. Tra mille difficoltà, adulti in cerca di lavoro e bambini in una scuola che insegna un mondo nuovo sfidano ogni giorno l’ignoranza ed il pregiudizio, conquistando una dignità che qualcuno si arroga il diritto di negare. Spostare il campo Nomadi della Cesarina significa vanificare questi sforzi, creando solo disagi e sofferenza.

di farsi carico responsabilmente delle condizioni di vita di coloro che ospitano un campo riconosciuto dal Piano Nomadi. Che alla fermezza della Giunta, che con la sua scure taglia gli insediamenti “non tollerati”, corrisponda la giustezza di alloggi dignitosi e atti ad ospitare donne, bambini ed anziani.

firma la petizione

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Di Fabrizio (del 12/12/2009 @ 00:48:46, in musica e parole, visitato 1830 volte)

Mi scuso per il ritardo della segnalazione, il concerto è stasera alle 20.00



Porrajmos nel linguaggio Rom significa “divoramento” e indica la persecuzione e lo sterminio che il Terzo Reich attuò durante la Seconda Guerra Mondiale uccidendo oltre 500 mila esseri umani. Nel 1936, alla vigilia dei giochi olimpici di Berlino, Hitler decide che la città deve essere ripulita. La politica razzista dei nazisti porta alla costruzione di un campo di concentramento a Marzahn, dove vengono internati centinaia di Rom e Sinti.

La persecuzione di Rom e Sinti è l’unica, unitamente a quella ebraica, a essere dettata da motivazioni pseudo-razziali, ma la tragedia delle popolazioni sinte e rom non si conclude con la fine della Guerra: la Repubblica Federale Tedesca infatti, riconoscerà la loro persecuzione molto tempo dopo, concedendo i risarcimenti con grandissimo ritardo.

Francesco Lotoro ha cercato di ricostruire un importante tassello della letteratura concentrazionaria aggiungendo all’opera da lui curata, l’Enciclopedia discografica KZ Musik pubblicata dalla Musikstrasse di Roma giunta al dodicesimo CD-volume, l’intero corpus musicale creato da Sinti e Rom nei campi di sterminio durante il Secondo Conflitto Mondiale. Il risultato di questa prestigiosa opera di ricostruzione sarà presentato sabato 12 dicembre all’Auditorium dell’Assunta a Trinitapoli alle ore 20. ‘Prendi un violino e suona’ è il titolo dato alla conferenza concerto alla quale prenderanno parte oltre allo stesso Lotoro, l’assessore al Mediterraneo della Regione Puglia, Silvia Godelli, il Sindaco di Trinitapoli Ruggero Di Gennaro, il Commissario straordinario di Margherita di Savoia Rachele Gandolfo, il Dirigente scolastico della Scuola Media Giuseppe Garibaldi di Trinitapoli Anna Maria Trufini, il musicista Rom slovacco Milan Godla.

Il programma del concerto comprende canti creati a Belzec, Auschwitz, Chelmno e nei campi di lavoro forzati aperti dai nazisti in Slovacchia.

“Il lavoro di recupero della musica creata dal popolo Romanì nei Lager è stato molto più complesso di altre parallele produzioni concentrazionarie. Ciò perché trattasi prevalentemente di musica trasmessa oralmente e conservata pressoché intatta nella loro vita quotidiana e nella memoria collettiva.” Spiega il professor Lotoro. “Molti di questi canti arrivano a noi attraverso diversi modi di esecuzione che variano (a volte anche in modo significativo) da villaggio a villaggio. Per esempio, Andr’oda taboris cantato a Dhlè Stràze ha piccole differenze rispetto a quello cantato a Zehra, anche se il testo coincide”.

Da quanto tempo lavora a questo progetto di recupero della musica dei Rom e dei Sinti nei lager?
Lavoro a questo particolare filone delle mie ricerche da circa 10 anni; ho dovuto attendere la pubblicazione del dodicesimo volume dell’Enciclopedia KZ Musik per dedicarmi con particolare attenzione negli ultimi 12 mesi alla musica di Rom e Sinti nei lager nazisti, convogliando qui in Puglia alcuni tra i più validi strumentisti del repertorio Rom come Milan Godla, Marian Serba e Ion Stanescu, noleggiare ottimi strumenti musicali adatti a tale repertorio come un grande cimbalom, il tarogato (un particolare clarinetto a forma conica) e una gamma enorme di flauti e recorders.

Quale è la particolarità di questa musica?
Trovo questa musica molto più “permeabile” della situazione umana nei campo. Mi spiego; tenendo sempre presente la diversa tipologia dei campi (internamento, transito, concentramento) e lo stato di cattività più o meno flessibile (ebrei, detenuti politici, polacchi, civili o militari), la produzione musicale degli Ebrei a Theresienstadt, dei polacchi ad Auschwitz e Mauthausen, dei frati benedettini e francescani a Dachau (giusto per fare alcuni esempi) è sempre “filtrata” dal gusto mitteleuropeo dell’epoca, dall’attenzione alla partitura, scritta meticolosamente anche su supporti fragili (carta-musica sporca, carta igienica incollata a strati), dalla giusta strumentazione. .Nella produzione Romanì, invece, il campo “entra tutto” nella musica, il dolore si fa musicalmente più intenso senza mediazione; la musica sembra essere l’espressione più autentica dello stato di abbandono che hanno particolarmente sofferto i Rom nei campi.

Come dire, la musica di Sinti, Roma, Kalè e di altre famiglie del popolo romanes è immediata, colpisce di primo acchito, non si fa andare a cercare; e va suonata lasciando il musicista e il cantante, in un certo senso, liberi di esprimersi, ricavare l’improvvisazione del momento. Non possiamo neanche immaginare quanta musica dei Rom abbia respirato, fianco a fianco, con quella ebraica.

Nei giorni più tristi non solo per l’Europa ma per l’intera civiltà umana, Ebrei e Rom hanno cantato e suonato l’ultima musica prima che la peggior sorte si accanisse su questi due popoli dando origine alla catastrofe (la Shoah) e al divoramento (il Porrajmos).

Lucilla Efrati

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Di Fabrizio (del 11/12/2009 @ 09:40:40, in Europa, visitato 1686 volte)

Dear all,

My name is Ela Veresiu. I am PhD student at Witten/Herdecke University in Witten Germany. I am studying city-life in large/global cities and how different people from different ethnicities live together. This study was my idea and is independent from the university. The starting point for my work is the Roma community in Italy and in Europe. I am very interested in hearing stories about every day life of members of the Roma community. If it is not too much trouble, I was wondering if you would be interested in talking with me or if you could put me in contact with anyone associated with the http://www.sivola.net/dblog/ who would be interested in sharing their stories with me. I am really interested in talking about everyday activities, such as cooking, working, shopping. If you have time and are interested, a conversation over skype or the telephone would be very much appreciated.

This is a link to my website for more information on my work: http://www.roma-consumers.com/ .

Thank you very much in advance for your help.

Sincerely,

Ela Veresiu

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Di Fabrizio (del 11/12/2009 @ 08:55:00, in Regole, visitato 2013 volte)

Il caso aveva avuto tutt'altra conclusione due anni fa. Per chi non lo ricordasse, QUI

Oggi è un gran giorno per tutti i gitani europei: Il Tribunale Europeo dei Diritti Umani sentenzia che il matrimonio celebrato con il rito gitano ha piena validità

09-12-2009 - Da un paio d'anni, Unión Romaní si è aggiunta all'iniziativa della Fondazione Secretariado Gitano in difesa dei legittimi interessi di "La Nena", dividendoci le carte. Entrambe le organizzazioni sono apparse davanti al Tribunale Europeo dei Diritti Umani per coprire ampliamente i differenti lati che la difesa di María Dolores necessitava. La Fondazione, tramite i suoi avvocati, Magdalena Queipo de Llano López-Cózar e Sebastián Sánchez Lorente, ha posto le ragioni giuridiche formali che avallavano la petizione di María Luisa Muñoz Díaz di ottenere la pensione di vedova negatale dalla Sicurezza Sociale spagnola. Senza alcun dubbio il successo ottenuto da questa azione permetterà a questa brava gitana di ottenere, anche con gli arretrati, quello che il governo spagnolo ha negato per tanto tempo.

Unión Romaní, rappresentata dal suo presidente e avvocato, Juan de Dios Ramírez-Heredia, ha centrato fondamentalmente la sua difesa nel dimostrare che l'unione realizzatasi tra María Luisa ed il suo defunto marito tramite il rito gitano, quando entrambe erano giovani, costituì un vero matrimonio. Qui stava il controverso punto nevralgico della questione. Il Governo ed i giudici spagnoli non intendevano ammettere la validità delle nozze gitane e di conseguenza, non esistendo matrimonio, non riconoscevano il diritto alla pensione di vedovanza. Ai gitani spagnoli ha causato speciale tristezza la sentenza sfavorevole del Tribunale Costituzionale spagnolo quando non seppe, o non volle, accettare i ragionamenti che che gli furono presentati con assoluta precisione. L'eccezione venne costituita dal magistrato Jorge Rodríguez-Zapata Pérez, che Dio doni a lui e a tutta la sua famiglia salute e libertà, che da allora occupa un posto di affetto e rispetto nel cuore di tutti i gitani spagnoli e nel mondo per essere l'unicoche ci ha dato la ragione, ratificata dal Tribunale Europeo dei Diritti Umani.

Crediamo che oggi sia un grande giorno non solo per i gitani spagnoli ma anche per quelli europei. Così abbiamo manifestato davanti all'Alto Tribunale di Strasburgo. Quel giorno memorabile sapevamo che quanto era in gioco non era esclusivamente che "La Nena" ottenesse la sua pensione, ma che quei giudici avevano deciso che María Luisa avesse diritto alla sua pensione di vedovanza perché lei e suo marito, sposati col rito gitano, costituivano un vero matrimonio. Il Tribunale di Strasburgo ha ascoltato la nostra voce gitana ed emesso la sentenza. Una sentenza che riporta la dignità negata a tutto un popolo e che renderà possibile, perché questo giudizio costituisce giurisprudenza, che qualsiasi coppia gitana, unita col nostro vecchio rituale, in qualsiasi parte del vecchio Continente, debba venir riconosciuta dai poteri pubblici come un vero matrimonio.

Che Dio abbia uno sguardo per i membri del Tribunale Europeo dei Diritti Umani di Strasburgo e per il magistrato Rodríguez-Zapata, che da oggi occupano un posto imperituro nel nostro cuore.

UNION ROMANI
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Di Fabrizio (del 10/12/2009 @ 18:35:16, in Italia, visitato 1739 volte)

Pubblicato da Federazione romanì su 10 Dicembre 2009

Oggi alle ore 12,00 a Pescara presso il centro servizi alla persona URBAN l’associazione RomSinti@ Politica e la Coop. Pralipè aderenti alla Federazione romanì hanno convocato una CONFERENZA STAMPA. Buona la presenza di una rappresentanza della comunità rom, di alcune agenzie di stampa, alcune testate giornalistiche, televisioni locali . Dopo aver presentato il seguente comunicato stampa, i promotori hanno risposto alle domande della stampa.

COMUNICATO STAMPA

I conflitti con la minoranza rom presente nella città di Pescara e Provincia, ma anche in tante altre città Abruzzesi, stanno raggiungendo livelli ingiustificabili ed eccessivamente pericolosi per il futuro, tali da imporre una denuncia pubblica forte verso la politica priva di ogni volontà a svolgere il proprio dovere istituzionale e costituzionale, a coniugare la legalità e l’integrazione culturale nel rispetto delle norme e dei principi.

Da troppo tempo, per dare soluzione alla questione rom, mancano i doveri della politica e le dichiarazioni spregevoli contraddistinte dalla fierezza dell’ignoranza e dall’arroganza del potere, fanno pensare ad una politica alla ricerca dell’utilizzo strumentale della problematica posta della minoranza rom per proprio tornaconto personale, indifferente al fatto che il disagio si riversi irrimediabilmente sulla quotidianità di tutti i cittadini.

La legalità è un valore irrinunciabile, valida per tutti e per ciascuno, che non può giustificare la negazione dei diritti alla persona.

E’ necessaria una riflessione politica ed istituzionale per una sequenza di “deficit” che impediscono una integrazione della minoranza Rom; una sequenza di “deficit” che da troppo tempo non trovano risposte coerenti alle norme ed ai principi costituzionali ed istituzionali.

Una sequenza di “deficit”, mediatico – culturale – politico – istituzionale – di partecipazione attiva e di conoscenza, che hanno “categorizzato” i pregiudizi contro la popolazione rom e “banalizzato” la cultura romanì, che hanno “ostacolato” i processi di scambio culturale, di acculturazione e inculturazione ed hanno impedito una “canalizzazione politico/istituzionale” alla cultura romanì.

“Deficit” che hanno portato a generalizzare in tutta la popolazione rom e sinta la responsabilità del singolo.

Deficit che mal utilizza le risorse comunitarie che la Commissione Europea destina per la minoranza rom “… per rimuovere gli ostacoli, ……… che impediscono la piena realizzazione della persona umana …..

Una sequenza di deficit che richiedono una risposta urgente e chiara, capace di abbandonare l’utilizzo strumentale dei rom e avviare processi e percorsi di integrazione culturale per ricostruire le relazioni umane e lo scambio culturale con la popolazione romanì, condizioni reali per la garanzia della legalità, della sicurezza, dei diritti.

Alla luce di ciò, chiediamo con urgenza la costituzione di un tavolo politico interistituzionale aperto alle organizzazioni rom per poter definire un programma di integrazione sul territorio.

Pescara, 10/12/2009.

Nazzareno Guarnieri – Federazione romanì
Giulia Prestia – Coop. Pralipè
Guarnieri Franco – RomSinti@ Politica

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Di Fabrizio (del 10/12/2009 @ 09:39:58, in Italia, visitato 1837 volte)

Ricevo da Roberto Malini

Nella foto di Stefano Montesi: Sher Khan nel 1990 a Roma, all'epoca dell'Ex Pantanella

Roma, 9 dicembre 2009. Ci avviciniamo a un Natale di disumanità e morte. Ci si chiede che fine farebbero la Madonna e Giuseppe, se vivessero ai nostri giorni, nella città del Papa, alla ricerca di un posto dove edificare una baracchina per non morire di freddo e consentire al bambinello di nascere. Mentre poche organizzazioni umanitarie si impegnano quotidianamente insieme a cittadini solidali per evitare la morte di gruppi sociali emarginati e indigenti - perseguitati da Istituzioni e autorità, che sono il funesto motore di un'atroce tragedia umanitaria che colpisce Rom, migranti e senzatetto - il freddo colpisce ancora, spietato come gli aguzzini. Il Gruppo EveryOne ha ricevuto segnalazioni di interruzioni di gravidanza che hanno colpito giovani donne di etnia Rom, causate dal rigore del clima e dalla precarietà della vita all'addiaccio. Sono notizie di cui i media non si occupano, per non turbare gli acquisti di fine anno: oggetti futili e cibi ipercalorici per le brave famiglie bianche e italiche; ninnoli superflui per i loro bambini piagnucolosi, viziatissimi e infagottati di panni da capo a piedi, come se vivessero al Polo Nord. Stamattina il rifugiato Mohammad Muzaffar Alì, detto Sher Khan, è morto di freddo a Roma, in piazza Vittorio. Sher Khan, travolto dall'intolleranza e ridotto in miseria, era stato uno dei leader della comunità pachistana a Roma fin dagli inizi degli anni 1990. Senza tetto, senza mezzi di sopravvivenza, viveva all’ex museo della Carta sulla via Salaria, fino a quando il comune, nello scorso settembre, ha fatto sgomberare l'edificio. E' l'ennesima vittima dell'esclusione sociale e delle politiche razziali perpetrate da Istituzioni centrali e locali in Italia, politiche che si abbattono anche contro gli attivisti per i Diritti Umani. Solite frasi di circostanza da parte del sindaco Gianni Alemanno: "Il piano freddo partirà come ogni anno e darà un ricovero a tutti coloro che non hanno un luogo dove andare a dormire per proteggersi dal freddo". E' una menzogna, perché i "clandestini" sono costretti a vivere e morire nascosti, per evitare gli effetti della legge razziale nota come "pacchetto sicurezza", mentre nessun ricovero è stato previsto dal comune (come del resto dagli altri comuni italiani) per le famiglie Rom sgomberate da insediamenti e ripari di fortuna.

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Di Fabrizio (del 10/12/2009 @ 09:02:10, in Italia, visitato 2181 volte)

«Ogni sgombero è una devastazione, ma questo... questo è stato l’apoteosi». Domenica 22 novembre, ore 16. Saveria, volontaria dell’associazione Naga, parla sul sagrato della chiesa di Sant’Ignazio, nel quartiere Feltre di Milano, palazzoni di mattoni rossi che corrono fino al parco Lambro e all’Ortica, l’antico borgo popolare cantato da Iannacci. Saveria assiste gli ultimi rom che hanno trovato rifugio nella notte sotto le volte della chiesa mentre raccolgono i loro stracci e si dissolvono nel pomeriggio piovigginoso. Lo sgombero è al numero 166, quello di via Rubattino, periferia est, un campo nomadi sorto in mezzo alle cattedrali gigantesche e spettrali delle vecchie fabbriche dismesse della Milano degli anni ’70: la ex Maserati, l’Innse (già Innocenti), la ex Enel. Proprio in quest’ultima area 250 rom vivevano tra cemento, immondizia e topi, senza luce e acqua. La metà erano minori.

Di questi però, 36 erano inseriti nelle scuole medie ed elementari della zona grazie al lavoro di accompagnamento iniziato dalla Comunità di Sant’Egidio. Un progetto che aveva dato risultati straordinari. Praticamente l’intera comunità scolastica si era affezionata a quei bambini. Dieci avevano frequentato con ottimi risultati già lo scorso anno, sempre assistiti dai volontari della comunità fondata da Andrea Riccardi.

Lo sgombero 166 era stato largamente annunciato. Nelle scuole genitori e maestre avevano organizzato raccolte di firme, c’era stata una fiaccolata per auspicare una soluzione. Il Consiglio di zona aveva approvato una mozione per assicurare ai bambini la continuità didattica. Via Rubattino era una specie di gorgo metropolitano di cemento e immondizia dove finivano i rom cacciati dagli altri campi. Ci vivevano uomini e topi e andava smantellato. Ma il problema dello sgombero è che funziona come lo scoperchiamento di un formicaio: se non hanno alternative i rom scappano, vagano senza meta per le periferie, poi magari finiscono in un altro campo fino al prossimo sgombero.

Quel giovedì 19 novembre alle 7.30 del mattino arriva la colonna con le ruspe del Comune, le auto dei vigili e i blindati dei poliziotti in assetto antisommossa. I nomadi hanno mezz’ora per raccogliere le loro cose. Poi li radunano, mentre le baracche vengono rase al suolo. I cingoli passano sugli zainetti, i quaderni, le bambole di pezza.

A scuola ci si rende conto che il momento è arrivato. Alcune maestre si precipitano in via Rubattino, pigliano per mano i bambini, raccolgono quel che resta di zainetti e quaderni e se li portano in classe. Altri scolari, troppo impauriti, restano con i genitori. Giuseppe, un pensionato volontario che accompagnava a scuola come un nonno ogni giorno due di quei bambini, è impietrito, livido dalla rabbia e dal dolore.

Forse in Romania, o sotto un ponte

Quella mattina, nella classe di Marina, la V B, c’è un banco vuoto. A scuola regna una strana atmosfera di curiosità e nervosismo. Nelle varie classi ci sono solo 10 dei 36 bambini rom che non perdevano un solo giorno di scuola. Ecco quello che ha scritto Marina in un tema: «Oggi, 19 novembre, siamo arrivati in classe e la maestra era triste, poi ci ha spiegato che questa mattina è stato raso al suolo il campo dove viveva una nostra compagna di nome Roberta».

Marina non la rivedrà più, scomparsa per sempre, forse in Romania, forse sotto un ponte, forse a chiedere la carità in metropolitana. «Abbiamo pianto per molto tempo», scrive Carlo. Quei temi, proposti dalle maestre per allentare la tensione che si è impadronita dei bambini, oggi sono atti d’accusa: «Voi il problema l’avete solo spostato ma non l’avete risolto perché invece che dirgli "arrangiatevi" avreste dovuto offrirgli un altro posto dove andare», ha scritto Fulvio. Dice Francesca, mamma di Matteo: «Mio figlio, dopo un’iniziale diffidenza, si era molto legato alla sua compagna rom. Lei era anche venuta alla sua festa di compleanno. Andava pazza per i cavalli. Giocavano molto insieme. Ora è scomparsa nel nulla e io non riesco a dare risposte a mio figlio».

Una grande rete di solidarietà

Il Comune di Milano, come da prassi, offre letti nel dormitorio pubblico solo per madri e figli. Gli uomini se ne devono andare e basta. Ma stavolta c’è un "salto di qualità" agghiacciante. I funzionari dell’assessorato comunale alle Politiche sociali, guidato da Mariolina Moioli, fanno sapere alle famiglie e ai volontari che il posto c’è, se vogliono, ma solo per le donne con bambini fino a sette anni. E quelli più grandi? «Possono andare in "comunità"». Vuol dire in vari orfanotrofi della Lombardia, soli, divisi da padre e madre. La proposta viene fatta in coincidenza della Giornata per i diritti dell’infanzia. Milano l’ha festeggiata così.

Le maestre e le mamme si mobilitano per ospitare almeno i bambini garantendogli la continuità scolastica. Con loro, oltre al Naga, a Sant’Egidio e ai Fratelli di San Francesco di padre Clemente, ci sono i padri Somaschi, l’associazione "Bruno Munari", la Casa della carità di don Colmegna. Si prenderanno cura di molta parte di quell’umanità dolente tenendo unite madri, figli, sorelle. Discrete, si muovono alcune parrocchie. Si organizzano raccolte di coperte, si comprano pane e latte. Alcuni genitori dei compagni di classe si portano in casa quegli scolari sperduti. C’è anche Daniel, un bimbo disabile che frequenta la terza. È figlio di un operaio rimasto in cassa integrazione a zero ore. Perché la particolarità di quei rom è che la maggior parte o ha un lavoro o l’ha perso da poco. Quel giorno Daniel ha pure la febbre. La sua maestra di sostegno non si dà pace. «È arrivato una sola volta in ritardo in classe: il giorno dello sgombero», dice Gisella, madre di un compagno di Daniel.

Gisella se lo è preso in casa: «Era in lacrime perché aveva perso la sua biciclettina, l’unica cosa che aveva». Poi si riesce ad alloggiarlo in una comunità dall’altra parte di Milano. Gisella lo va a prendere tutte le mattine e lo porta in classe, non gli ha fatto perdere un giorno di scuola. Per l’alloggio fino al giorno di Sant’Ambrogio è al sicuro, poi non si sa.

La vergogna di Milano ha quindi prodotto anche dei frutti di umanità. Per la prima volta «si verifica una mobilitazione spontanea dei cittadini a favore dei rom. Addirittura vengono accolti nelle case dei milanesi. Non c’era mai stata una cosa simile», spiega Elisa Giunipero, di Sant’Egidio. Cristina, mamma di Federica, quella sera si porta a casa una compagna di sua figlia, Cristina (come lei), che ha otto anni, e la sorellina Maria, di cinque. «Conoscevo la loro mamma, una persona splendida, non ci ho pensato un attimo, gli ho fatto fare un bagno caldo, abbiamo cenato insieme e ho aperto il divano letto doppio che ho in soggiorno. Erano impaurite, sfinite dall’ansia, poi un po’ si sono calmate», ricorda. Ora Cristina e Maria sono in una struttura dei Francescani, in viale Isonzo. Dei volontari le vanno a prendere tutte le mattine per portarle in uno dei tre plessi della "Morante".

Una notte in chiesa

Ma non per tutti è andata così. Due terzi dei rom sono scomparsi nel nulla. Compresa una ragazza madre con una bimba di otto mesi. Il vicesindaco Riccardo De Corato è stato implacabile: «Gli abusivi devono capire una volta per tutte che Milano per loro è inospitale. Li seguiremo ovunque, strada per strada, finché non se ne saranno andati via tutti», dichiara. E, infatti, un gruppo di madri con bambini piccoli viene cacciato da un bivacco sotto la tangenziale. Il giorno seguente lo sgombero, dopo un incontro fallito in Prefettura, un gruppo di rom finisce nella chiesa di Sant’Ignazio e vi trova rifugio. La polizia chiede al parroco se deve intervenire. «Qui non si caccia nessuno», risponde don Mario Garavaglia. I rom passano la notte in chiesa. Poi, domenica 22 novembre, se ne vanno, chissà dove. La notte molte mamme e maestre della scuola, come Alessandra, si rigirano nel letto e pensano a quei bimbi, a quelle madri, a quei vecchi, a quegli uomini sotto un ponte, all’addiaccio.

Francesco Anfossi


ECCO L’APPELLO DI SANT’EGIDIO

«La miseria non stia zitta, va ascoltata per essere superata», ha dichiarato l’arcivescovo di Milano cardinale Dionigi Tettamanzi a proposito dello sgombero di viale Rubattino. Alla fine, anche su pressione della diocesi, il Comune ha offerto sistemazione ad alcune donne senza più imporre la divisione delle madri dai bambini sopra i 7 anni. Ma la maggior parte delle mamme con figli è ospitata dalla rete delle comunità cattoliche. «Da sempre siamo contrari alla logica dei campi, degradati e indegni», ha spiegato don Roberto D’Avanzo, direttore della Caritas ambrosiana. «Ma in via Rubattino c’erano bambini che andavano a scuola e ora sono interrotte le possibilità di compiere un processo integrativo importante».

La Comunità di Sant’Egidio rivolge un appello ai lettori di Famiglia Cristiana per aiutare le famiglie rom sgomberate da via Rubattino, segnalando disponibilità di alloggi in affitto a Milano e provincia per le famiglie sgomberate e offerte lavorative (anche di poche ore settimanali) sia per le donne (pulizie) sia per gli uomini (manovali, carpentieri, saldatori, autotrasportatori, idraulici e operai non specializzati). Infine, è possibile contribuire a borse di studio per i bambini. Scrivere a: santegidio.rubattino@gmail.com

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Di Fabrizio (del 09/12/2009 @ 09:46:39, in Europa, visitato 1504 volte)

Da Roma_Francais

Onofrei Miclescu, presidente dell'associazione Caravana Romilor - LyonCapital.fr par Burlet Laurent

Si chiama Onofrei Miclescu e vive da quindici anni in Francia, nell'agglomerato di Lione. Come tutti gli altri Rom dell'Est, conosce le bidonville e gli squat. Ma lui ha avuto una possibilità in più. Dopo l'espulsione nell'agosto 2007 dall'occupazione di La Soie, dove viveva assieme ad altre 500 persone, è stato rialloggiato dal sindaco di Villeurbanne.

Da allora, vive in una piccola casa con tre dei suoi figli, ed un pezzo di terreno a disposizione. Però, non ha dimenticato gli altri che continuano ad errare. Nel maggio 2007, ha creato la sua associazione, Caravana Romilor, volta a "difendere i Rom nell'accesso ai loro diritti all'impiego, alla scolarizzazione, alla formazione, all'alloggio o alla sanità" ma ugualmente per "cambiare l'immagine dei Rom in Francia e nell'agglomerato". Per il momento, la sua associazione recluta soprattutto tra i Rom di Craiova, città nel sud della Romania dove lui stesso è originario. Attualmente, i suoi "associati" si trovano nell'ex officina di Saint Jean Industries, avenue Viviani a Vénissieux.

E' in materia di alloggio che i Rom della Caravana Romilor sono più avanti. Domandano una "platz" (un terreno) dove installare delle case mobili. "Occorrerebbe che gli abitanti utilizzassero le prestazioni familiari della CAF ed un piccolo reddito durante alcuni mesi per apprendere il francese e formarsi. Non è impossibile. Nantes e Parigi l'hanno fatto", precisa Onofrei Miclescu. Seconda importante rivendicazione: il diritto al lavoro ancora fortemente limitato sino al 2012. "In Romania ho lavorato come conducente professionale. Ma qui, con la tassa che devono pagare le imprese, mi è difficile trovare un impiego". Il presidente dell'associazione fa "una promessa al prefetto": "Se otterranno gli stessi diritti degli Italiani o degli Spagnoli, i Rom non eserciteranno più le attività illecite che oggi sono loro necessarie per vivere. Oggi, non abbiamo niente, è normale che si sbagli!"

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Di Fabrizio (del 09/12/2009 @ 09:43:29, in Italia, visitato 2410 volte)

Ricevo da Marco Brazzoduro

Con preghiera di diffusione.

Come molti di voi sapranno, la Fondazione Migrantes ha commissionato tempo fa una ricerca all'Università di Verona che Carlotta Saletti Salza ed io abbiamo svolto sotto la direzione di Leonardo Piasere. La ricerca è formata da due studi che rappresentano le facce di una stessa medaglia: i (presunti) rapimenti di infanti gagè da parte dei rom e sinti, e le adozioni/affidamenti di bambini rom e sinti a gagè.
La prima parte è uscita lo scorso anno con CISU editore. La seconda sta per uscire.

In attesa di terminare il comunicato che stiamo preparando, vi invio in allegato il riassunto dei risultati principali (scaricabile QUI in formato .doc ndr) dei due studi che avevamo preparato lo scorso anno per la presentazione dei lavori.

Saluti
Sabrina Tosi Cambini

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Di Fabrizio (del 08/12/2009 @ 11:21:36, in Italia, visitato 2176 volte)

Ricevo da Tommaso Vitale

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI URBINO "Carlo Bo" - LaPolis Laboratorio di Studi Politici e Sociali
Master in Opinione pubblica e Governo del Territorio

I ROM E L'AZIONE PUBBLICA - Gli zingari tra esclusione e integrazione
Sabato 12 Dicembre ore 10:30 - Aula C2 Facoltà di Sociologia - via Saffi, 15

Luigi Alfieri Presidente Corso di Laurea in Sociologia della Multiculturalità - Università di Urbino
Giorgio Bezzecchi Presidente Cooperativa Roman Drom Milano
Maurizio Pagani Opera Nomadi Milano
Gabriele Roccheggiani Dottorando Università di Urbino - Assegnista di Ricerca Opera Nomadi
Gianluigi Storti Opera Nomadi Marche

Dialogo sul libro: I ROM E L'AZIONE PUBBLICA - Teti Editore di G. Bezzecchi, M. Pagani, T. Vitale

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