Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 29/06/2010 @ 09:27:17, in Europa, visitato 3870 volte)
by Paul Polansky
[continua] Quando vennero resi noti i risultati degli esami, l'OMS chiese
l'immediata evacuazione dei tre campi. Poche settimane dopo ICRC si aggiunse a
molte altre OnG nel richiedere un urgente sgombero per ragioni mediche.
Il 25 novembre, durante un incontro delle OnG nel quartiere generale UNMIK a
Mitrovica sud, venne rivelato dal rappresentante di Norwegian Church Aid che il
gruppo medico del dr. Kouchner aveva trovato alti livelli di piombo nel sangue
dei bambini pure nell'estate del 2000. Un rapporto preparato allora dal gruppo
medico ONU raccomandava che i tre campi fossero evacuati. Chiesi
immediatamente all'UNMIK una copia di quel rapporto del 2000. Mi dissero che non
era disponibile al pubblico.
Conoscendo diversi Albanesi che lavoravano con l'UNMIK, tentai di avere
tramite loro una copia del rapporto. Mi venne detto che era sotto chiave e
considerato "top secret".
Un anno più tardi trovai quel rapporto del gruppo medico ONU datato novembre
2000 sul web (non etichettato come documento UNMIK, ma sotto il nome del dottore
che l'aveva cofirmato). Rintracciai il dottore, Andrej Andrejew. Ora lavorava
per una ditta farmaceutica a Berlino. Dopo pranzo, mi confermò che i livelli di
piombo nel 2000 erano così alti tra i bambini dei campi zingari, che il
laboratorio in Belgio che analizzava i loro campioni di sangue pensava ad un
errore, perché non aveva mai visto livelli tanto alti. L'ex dottore dell'ONU di
Kouchner rimase scioccato nel sentire che i campi non erano stati evacuati ed il
terreno era stato cintato perché la gente estranea non potesse accidentalmente
addentrarvisi, come raccomandava nel suo rapporto. Poco dopo aver compilato il
suo rapporto, Andrej aveva lasciato il Kosovo, ritenendo che Kouchner avrebbe
seguito le raccomandazioni della sua squadra medica ONU.
Fui il primo giornalista a rendere pubblica la storia dei campi. In un
articolo che venne pubblicato dall'International Herald Tribune il 25 aprile
2005, descrissi l'orrore e scrissi che sino a quel momento erano morti nei campi
25 Zingari, la maggior parte in seguito a complicazioni dovute ad avvelenamento
da piombo. Nonostante le ricadute internazionali alla notizia, l'UNMIK rifiutò
ancora di evacuare i campi.
Da allora, con la mia squadra GFVB visitai i campi diverse volte a settimana
per controllare la salute dei bambini. Un giorno la madre di Jenita mi disse che
sua figlia Nikolina di due anni mostrava gli stessi sintomi di Jenita prima che
morisse. Venne avvisata l'equipe medica NATO di Mitrovica nord. Venne richiesto
loro il permesso di un immediato trasporto di Nikolina a Belgrado, l'unico
ospedale nei Balcani che trattava l'avvelenamento da piombo. Il capo dell'equipe
medica NATO di Mitrovica, il dr. Sergey Shevchenko, rifiutò.
Il giorno dopo chiamai personalmente il dr. Shevchenko e lo implorai di
trasportare Nikolina a Belgrado. Rifiutò nuovamente. Invece di discutere con lui
(un optometrista di Vladivostok, Russia, che parlava inglese), io e la mia
squadra caricammo Nikolina e sua madre sul mio caravan per andare a Belgrado.
Dato che non avevano passaporti, e nemmeno documenti personali, dovetti farle
passare di contrabbando attraverso il confine serbo-kosovaro nascoste nel bagno
del mio caravan.
A Belgrado, i livelli di piombo riscontrati a Nikolina mettevano a rischio la
sua vita. Dopo tre settimane di trattamento i suoi livelli si erano ridotti, ma
fui avvertito che probabilmente avrebbe avuto danni irreversibili al cervello e
che se l'avessimo riportata alla fonte dell'avvelenamento, probabilmente sarebbe
morta. Con l'aiuto di un olandese che lavorava per un'OnG internazionale (da cui
travasava soldi per le piccole spese), affittammo un appartamento nel villaggio
di Priluzje dove la famiglia di Jenita aveva dei parenti. Usando il mio caravan,
li traslocai personalmente con le loro poche cose dalle baracche ONU. Col tempo
trovai un donatore americano che comprò loro un pezzo di terra. Dopo un anno,
un'OnG internazionale costruì loro una casa.
Dato che non riuscivo a convincere l'ONU ad evacuare i tre campi e salvare
questi bambini rom ed askali, pubblicai in proprio un libriccino (UN - Leaded
Blood) sulla loro situazione e produssi un documentario (Gipsy Blood). Anche se
tutti e due produssero uno scandalo in Kosovo, l'ONU si rifiutò ancora di
sgomberare i campi e curare questi bambini.
Mentre giravo il mio documentario, scoprimmo un'altra famiglia che aveva dei
bambini con gli stessi livelli di piombo di Jenita e Nikolina. Ma prima che
potessi fare qualcosa, morirono la madre e un fratellino. Un dottore a cui avevo
chiesto di investigare sulle loro morti, era convinto che entrambe fossero morti
per complicazioni dovute ad avvelenamento da piombo. Era dell'opinione che i
sette bambini superstiti non sarebbero sopravissuti se non fossero stati rimossi
dalla fonte di avvelenamento e ricevuto trattamento medico urgente.
Ancora una volta, la dura e compiacente amministrazione UNMIK rifiutò di
agire. Così la mia OnG tedesca, GFBV, contattò il giornale di più grande
tiratura in Germania, chiedendogli di visitare il campo e scrivere una storia su
questa tragedia. Non solo il giornale, la Bild Zeitung, venne in Kosovo, ma
tramite la loro fondazione per l'infanzia (Ein Hertz für Kinder) portarono tutta
la famiglia in Germania per le cure. Per aiutare la famiglia durante e
dopo il trasporto, il giornale chiese a me ed al mio gruppo romanì di
accompagnarla.
In Germania, scoprirono che non solo la famiglia romanì necessitava di cure
mediche, ma anche io ed il mio gruppo romanì. I nostri livelli di piombo, anche
solo con visite periodiche nei campi, erano del livello doppio di quello che
poteva causare danni irreversibili al cervello. Quindi assieme ai sette bambini
e al loro padre, anche noi fummo curati.
Prime del trattamento, tutti noi facemmo una TAC. Quando toccò a Denis, sette
anni, il dottore incaricato mi indicò il fegato del bambino e mi disse: "E' il
fegato di un sessantenne alcolizzato che beve una bottiglia di whiskey al
giorno. Questo bambino non arriverà a 20 o 30 anni. E' quello che gli ha fatto
l'avvelenamento da piombo!"
Nel 2006 finalmente l'ONU decise di fare qualcosa per acquietare le accuse
che col mio team e l'avvocata americana Dianne Post, che ora rappresentava le
oltre 150 persone dei campi rom/askali, continuavamo a generare sulla
tragedia dell'avvelenamento da piombo. Nel 2005 le truppe francesi avevano deciso
di lasciare la sua base a Mitrovica nord. L'ONU traslocò due dei tre campi
zingari nell'ex base francese.
Una volta di più rimasi scioccato dall'atteggiamento insensibile dell'UNMIK
in questa situazione. La base francese, chiamata Osterode, era a solo 50 metri
da due dei campi zingari contaminati. Anche il campo francese era ricoperto
dalla polvere tossica generata dalle 100 milioni di tonnellate di scorie
nell'area. I soldati francesi, che tanto io quanto i reporter del NY Times
avevamo intervistato in separate occasioni, lamentavano che i dottori militari
avevano avvisato ogni soldato in servizio nella base, di non generare bambini
per nove mesi dopo aver lasciato il Kosovo, a causa dell'alto livello del piombo
nel loro sangue.
Comunque, dopo aver speso 500.000 euro donati dal governo tedesco per
ristrutturare il campo di Osterode, una squadra di valutazione ambientale della
CDC di Atlanta, Georgia, dichiarò Osterode come "libero dal piombo". Poi
l'ufficio USA a Pristina dichiarò di essere pronto a donare 900.000 $ per cure e
per una dieta migliore per i bambini evacuati ad Osterode. Inoltre l'UNMIK
promise che gli Zingari sarebbero rimasti ad Osterode per non più di un anno.
Poi sarebbero stati trasferiti in nuovi appartamenti costruiti per loro nel
vecchio quartiere.
Dato che diverse OnG e anche i leader del campo non ritenevano che Osterode
fosse "libero dal piombo", si fecero subito degli esami sanguigni ai bambini
dopo che arrivarono ad Osterode. Un anno dopo vennero nuovamente controllati i
loro livelli di piombo. Non fu sorprendente per me e la mia squadra, ma lo fu
per l'UNMIK: molti livelli erano aumentati nonostante una dieta migliore ed
alcuni trattamenti medici di base. Quando vennero conosciuti questi risultati, i
dottori smisero le loro cure, dicendo che facevano più male che bene. Nuovamente
si disse che era necessario allontanare la gente dalla fonte di avvelenamento,
prima di essere curati per intossicazione da piombo.
Quando pubblicai il primo articolo sui campi nel 2005 sull'International
Herald Tribune, riportavo che 27 Zingari (inclusi molti bambini) erano già morti
nei campi. Alla fine del 2006, il numero era più che raddoppiato, e per la fine
del 2009 il conto era a 84. E gli Zingari vivono tuttora ad Osterode e nel
vicino campo di Cesmin Lug.
Tra il 2007 e il 2008 diverse OnG costruirono o finanziarono la costruzione
di appartamenti nel vecchio quartiere zingaro di Mitrovica sud. Ma questi
appartamenti non vennero dati, come promesso, a quanti soffrivano dei più alti
livelli di avvelenamento da piombo. Per mostrare che funzionava la loro politica
di far tornare gli Zingari rifugiati in altri paesi, l'UNHCR diede la maggior
parte di quegli appartamenti a quanti tornavano dal Montenegro e dalla Serbia.
Dopo aver provato a far pressione sull'ufficio USA a Pristina per trasportare
via aerea questi 650 Zingari a Fort Dix, NJ, come il governo americano aveva
fatto per oltre 7.000 Albanesi nel 1999 per salvarli dai paramilitari di
Milosevic, USAID propose invece il progetto di costruire 50 appartamenti per i
Rom dei campi, ovunque loro volessero in Kosovo. Mercy Corps, un'OnG
internazionale degli USA, venne incaricata del contratto, anche se non avevano
mai avuto a che fare con i campi zingari ed allora non avevano Rom o Askali nel
loro staff. Tuttavia, nell'ottobre 2008 Mercy Corps assunse una romnì della mia
squadra ed aprì un ufficio a Mitrovica sud per onorare il contratto di 2.400.000
$ affidatogli da USAID.
Fine seconda puntata
Di Fabrizio (del 28/06/2010 @ 09:43:18, in casa, visitato 2398 volte)
Corriere
del Veneto Il sindaco scrive alla famiglia sinti: dopo questo fatto rivisti i termini
di permanenza
[...]
MIRA - Alla famiglia Cavassa (presso campo di via Maestri del Lavoro): «Ho
appreso con rammarico e profonda delusione dalle forze dell'ordine che
comportamenti della vostra famiglia hanno commesso un furto in una abitazione
nel comune di Pianiga e che i responsabili del reato sono residenti presso il
vostro campo nomadi». E' la lettera inviata dal sindaco di Mira Michele
Carpinetti (Pd), alla famiglia sinti perché Rocky Cavassa, 19 anni, figlio di
uno dei membri della comunità è stato arrestato dai carabinieri di Dolo per
furto. Lui era il palo che aspettava in auto due ragazze (20 e 17 anni) che
avevano appena rubato un computer in una casa di via Cavin Maggiore a Pianiga.
Adesso il comune di Mira è pronto allo sgombero del campo nomadi.
Il sindaco ha disposto che sia revocata l'ordinanza, firmata quattro giorni fa,
che permette alle famiglie di restare dell'area dell'accampamento. «Le soluzioni
adottate dall'amministrazione per la vostra permanenza del campo sono state
dettate da problemi umanitari essendo presenti numerose donne e bambini della
vostra comunità-scrive Carpinetti-, e con la messa a disposizione dell'area per
il campo vi è stato dato nel corso degli anni, il tempo di trovare una
sistemazione definitiva anche fuori dal comune di Mira. In ogni passaggio è
sempre stata categorica, da parte nostra, la richiesta del rispetto della
legalità e di comportamenti che non mettessero in difficoltà la convivenza con
la popolazione mirese. Dopo questo fatto vi comunico che saranno rivisti i
termini per la vostra permanenza nel campo di via Maestri del Lavoro».
Di Fabrizio (del 28/06/2010 @ 09:09:03, in Italia, visitato 2347 volte)
Venerdì scorso su Facebook girava questo appello: Alle
h.7.30 sarà sgomberato il campo rom di v.le Forlanini. A tutti quelli che
potranno l'appuntamento è per le h.6.45 muro ex caserma Forlanini. Sul blog
di
Luciano Muhlbauer ecco com'è andata:
De Corato i comunicati stampa li produce in serie. In particolare gli
piacciono quelli che aggiornano il suo personalissimo contatore degli sgomberi
di rom. Gli piacciono così tanto che ieri si è fatto prendere la mano,
rivendicando per mezzo stampa uno sgombero immaginario.
E così, per evitare che qualche giornalista se ne accorgesse e per salvare la
faccia al nostro vice, la Polizia Locale è stata mobilitata immediatamente ed ha
eseguito lo sgombero ex post. Ma sabato di solito non si fanno queste cose,
perché i servizi sociali durante il weekend non sono disponibili. E quindi,
stamattina in viale Forlanini, nella zona ex-caserma, non c’era nemmeno un
funzionario dei servizi sociali, ma soltanto poliziotti locali.
Ma andiamo con ordine. Ieri in tarda mattinata il vice della Moratti ha
sfornato un lunghissimo comunicato stampa con il quale annunciavo gli sgomberi
n. 282 e n. 283. "Doppio sgombero" gongolava il vice, uno in via Colico e
l’altro "in un'area privata di via Forlanini vicino all'ex caserma militare.
Amsa ha provveduto a ripulire i luoghi da rifiuti e masserizie".
I più sorpresi della notizia erano i volontari della zona che seguono da
tempo le famiglie rom e che erano presenti sul posto. Infatti, ieri non è
successo assolutamente nulla. Né sgomberi, né Amsa che ripulisce.
A questo punto possiamo soltanto provare ad immaginarci quello che è successo
in Comune. Lo sgombero era effettivamente programmato per ieri mattina –infatti,
questo è quanto si aspettavano i volontari-, ma poi qualcuno dalle parti della
polizia locale si sarà accorto che c’era lo sciopero generale e che forse non
era in grado di garantire il personale necessario. Quindi, rinviato tutto, ma si
era dimenticato di avvertire il capo -oppure anche in polizia locale non ne
possono più di De Corato?- che nel frattempo fremeva nel suo ufficio con il
comunicato stampa già pronto.
Il vice, da parte sua, parla molto di sgomberi, abusivi eccetera, perché
questo fa bene alla sua campagna elettorale permanente, ma poi più di tanto non
gliene frega e così non ha verificato un bel niente. Un ok all’addetto stampa e
avanti con il prossimo comunicato sul prossimo argomento.
Quando qualcuno gli avrà detto come stavano le cose si sarà arrabbiato e così,
sabato o non sabato, servizi sociali aperti o chiusi, che caschi il mondo, ma lo
sgombero andava recuperato ex post. E così è stato.
Ora, per concludere, potremmo farci tutti quanti una bella risata di fronte
alla sempre più farsesca politica degli sgomberi della destra cittadina, se non
fosse che di mezzo ci sono delle persone in carne ed ossa, bambini compresi,
nonché la decenza e il decoro della città.
De Corato dovrebbe chiedere scusa e qualcuno dovrebbe spiegargli che la cosa
pubblica non è cosa sua, da utilizzare per i suoi fini politici privati.
Post Scriptum: se i rom a Milano sono soltanto qualche migliaio,
secondo i dati della Prefettura e del Ministero degli Interni, e se il Comune ha
effettuato 283 sgomberi, cioè praticamente uno sgombero ogni 10 persone, come
mai ci sono ancora insediamenti rom a Milano? Non sarà che tutto è una
gigantesca presa per i fondelli ad uso e consumo dei vari De Corato e Salvini,
con l’inaccettabile conseguenza di un sacco di bimbi costretti a crescere sotto
i ponti e nelle baracche?
Di Fabrizio (del 27/06/2010 @ 09:24:21, in casa, visitato 1969 volte)
GE local TRENTINO
TRENTO. «Le microaree sono l’unica soluzione. Speriamo le facciano davvero. E
al più presto». Alessandro Held, 57 anni, parla e fuma sotto il gazebo. È il più
anziano dei circa 50 sinti che vivono nel campo abusivo accanto alla
Motorizzazione. In tutta Trento sono circa 200.
A due passi dall’Adige e dalla tangenziale ci sono una dozzina di roulotte
sistemate a ferro di cavallo, la toilette, una piscinetta «da 30 euro» dove
due bimbe giocano e si rinfrescano mentre le donne sistemano i piatti del
pranzo. «Qua - continua il “ capo” - viviamo abbastanza bene. Siamo fortunati
perché abbiamo l’acqua che usavano prima gli operai che hanno costruito le nuove
gallerie di Piedicastello. Ci sono anche le fognature. Però, siamo precari.
Abbiamo paura di sgomberi improvvisi e se ci mandano via non sappiamo dove
andare». Si avvicina il fratello Riccardo che ribadisce. «Di certo non andremo
al campo di Ravina (l’unico regolare in città, ndr) perché è sovraffollato e
invivibile». «Se ci sistemano nelle microaree - continuano - non vogliamo starci
gratis. Paghiamo affitto, acqua, luce e gas».
Ormai, i nomadi di Trento, sono nomadi stanziali. «Noi siamo sinti - spiega
ancora Alessandro - con origini germaniche. Quando ero giovane la mia famiglia
si muoveva molto, ora invece ci muoviamo meno. Anche per far andare i figli a
scuola». Vivere in una casa, però, è quasi contro la loro cultura. «Per la mia
generazione è davvero complicato abituarsi a stare in appartamento. Magari per i
miei figli sarà più facile». Federico, 16 anni, sorride. «In effetti in inverno
stare in una casa sarebbe meglio, ma a me piace vivere qua al campo». Una vita
apparentemente normale. La giornata tipo della famiglia Held non si discosta
molto da quella di altre famiglie trentine. «Al mattino - continua Alessandro -
noi uomini andiamo a lavorare, raccogliamo ferro e lo trattiamo. I bambini vanno
a scuola. Le donne si prendono cura di loro o del campo. Usciamo poco perché non
vogliamo dare fastidio. E anche a causa di certi attacchi della Lega Nord
abbiamo paura di essere presi di mira».
Una vita che a Trento fanno circa 200 nomadi. L’assessore comunale Violetta
Plotegher, nei giorni scorsi, aveva detto che i nomadi che vivono in
accampamenti abusivi in città sono 82. A sentire i diretti interessati, però, i
numeri sono diversi. Oltre alla sessantina di persone che vive a Ravina,
infatti, ce ne sarebbero 50 alla Motorizzazione, circa 30 a Gardolo, altrettanti
all’Ex Zuffo e altri in zona Monte Baldo. Circa 130 nomadi che vivono in campi
abusivi. Più quelli di Ravina. «Una soluzione va trovata al più presto. La
nostra è una situazione di emergenza. Non vogliamo passare un altro inverno al
freddo. Servono le microaree anche a Trento, come hanno fatto in molte altre
città», sottolineano anche Valentino Held e Damiano Colombo che vivono in alcuni
camper tra il campo della Vela e l’ex Zuffo con le loro famiglie allargate. «Non
possiamo essere lasciati così, abbandonati, come cani».
SONDAGGIO
Siete favorevoli alle microaree?
Di Fabrizio (del 27/06/2010 @ 09:16:28, in Italia, visitato 1985 volte)
FamigliaCristiana.it Al nostro Paese si contesta in particolare di non riconoscere i diritti delle
minoranze. Alcune testimonianze di chi, anche a livello internazionale, si
occupa di queste etnie.
"Difficile anche evangelizzare" denuncia un pastore evangelico.
Matrimonio Rom. Un momento di festa nella Tenda del Convegno montata a
Mantova a metà giugno 2010.
22/06/2010 «La nostra attività missionaria di annuncio della Parola si
svolge tra mille pastoie burocratiche e spesso non ne veniamo fuori», dice con
un sospiro Davide Casadio, volto e capelli bruni che, insieme ai suoi tipici
tratti somatici, rivela tutta la sua origine rom. Pastore evangelico della
Missione Evangelica Zigana (realtà evangelica associata alle Assemblee di Dio in
Italia), Davide, che non mostra più di 40 anni, ha passato un'infanzia a traino
della comunità di giostrai a cui apparteneva suo padre, prima di trovare l'anima
gemella, convolare a nozze e mettere al mondo 5 bambini, due dei quali già padri
a loro volta.
«La nostra attività pastorale consiste principalmente nell'avvicinare la nostra
gente per predicare la parola di Dio», prosegue l'uomo, che, scoperta la sua
vocazione e compiuti gli studi, si è sistemato a Piacenza nella scuola biblica
della sua associazione. «Durante i mesi estivi a turno tutti noi, circa 40
pastori, ci muoviamo cercando di raggiungere le zone dove sono concentrate le
nostre comunità e piantiamo la "Tenda del Convegno", un luogo di preghiera e
predicazione aperto a tutti, anche ai credenti in altre confessioni o religioni.
Un luogo di pace, insomma, come quello che abbiamo organizzato a metà giugno a
Mantova, che però purtroppo conosce problemi sempre maggiori: l'autorizzazione
per occupare per un certo tempo il suolo pubblico non ci viene infatti concessa
con facilità a causa della legislazione vigente, che favorisce solo gli
spettacoli viaggianti. Un'attività di questo genere richiede infatti la presenza
di tutte le precauzioni per la sicurezza pubblica, come i bagni o la presenza di
pompieri. Una circostanza che, se non corretta, riteniamo che configuri una
doppia discriminazione, razziale, essendo i Rom e Sinti minoranza non
riconosciuta in Italia, e soprattutto religiosa, perchè impedisce di fatto il
culto a un'organizzazione come la nostra che, essendo parte delle Assemblee di
Dio in Italia riconosciute dallo Stato italiano, avrebbe tutto il diritto di
organizzare manifestazioni religiose come queste».
All'Università Bicocca di Milano il convegno
"La condizione giuridica di Rom
e Sinti in Italia" ha sviscerato in questi giorni con l'aiuto di esperti
internazionali la complessa situazione delle popolazioni Rom e Sinti nel nostro
territorio, spesso salite all'onore della cronaca per i numerosi sgomberi dai
loro campi di questi mesi. La loro condizione appare infatti molto eterogenea
(vi sono cittadini italiani, dell'Unione europea, extracomunitari, rifugiati e
apolidi) e precaria dal punto di vista linguistico e culturale. L'obiettivo del
convegno è stato formativo, relativo cioé all'aggiornamento sugli strumenti di
protezione e tutela dei Rom e Sinti, ma anche di riflessione e proposta sui
problemi e modelli legislativi di tutela e protezione di queste minoranze. Detto
che la maggior parte di questa popolazione in Italia è ormai stanziale, è emerso
in molte relazioni che esiste una vera e propria discriminazione che viene
attuata in Italia verso queste popolazioni.
Paolo Bonetti, ad esempio, professore associato di diritto costituzionale alla
Bicocca, ha affermato che «nell'attuale pubblicistica la presenza di Rom e Sinti
è spesso accostata al tema della sicurezza, cioè dei pericoli per la sicurezza
di tutti derivanti da fenomeni di illegalità diffusa o di microcriminalità o di
occupazione abusiva di immobili». E ha aggiunto: «Quando una persona non è certa
del proprio status giuridico, della propria cittadinanza, della propria
abitazione, dell'accesso ai diritti sociali ed è oggetto di discriminazioni,
emarginazione lavorativa, stigmatizzazione da parte dei mass media, allora
nessuno di coloro che vivono in una società può sentirsi sicuro, perché quella
società non è ben organizzata e si contraddicono così i principi fondamentali
personalisti che caratterizzano la forma di Stato». In definitiva «una delle
principali vie d'uscita sicure da questa situazione criminogena è quella di
giungere al più presto all'approvazione di una legge statale che in attuazione
dell’art. 6 della Costituzione preveda norme specifiche di riconoscimento, di
tutela della minoranza dei Rom e dei Sinti presenti in Italia e azioni positive
di inclusione sociale ai sensi dell’art. 3 della Carta fondamentale».
Stefano Stimamiglio
Di Fabrizio (del 26/06/2010 @ 09:08:28, in Italia, visitato 2093 volte)
Di
Alberto Maria Melis
A suggerirmi a scrivere questa breve riflessione, sono state due notizie
appena trovate sul web, una relativa a uno sgombero di un campo rom effettuato
nei giorni scorsi, l'altro a uno sgombero che presto verrà effettuato (riporto
entrambe in chiusura).
Ciò che colpisce è il loro tono asettico, soprattutto laddove si riportano i
commenti degli amministratori, sia di "destra" che di "sinistra". Gli
amministratori, Alemanno in testa, rivendicano l'eroica impresa di cacciare
via dalle loro baracche i rom, di proseguire nella schedatura fotosegnaletica,
di andare incontro ai "cittadini" nella loro qualità evidentemente più
appetibile, quella di "votanti"; i politici dell'opposizione, di questa
"sinistra" che non riesce a cogliere il nauseabondo fetore dell'imputridire
delle sue radici, si spinge a criticare Alemanno per non aver fatto subito il
suo "dovere", e anzi ci si erge a impavida e miliziana sentinella dei futuri
sgomberi.
Come siamo diventati un paese così? O lo siamo sempre stati e non ce ne siamo
accorti? Qualche tempo fa, quando Maroni rese pubblica l'idea di schedare i
bambini rom, io e altri scrittori per ragazzi sottoscrivemmo un appello contro
una pratica di stampo palesemente razziale. La notizia ebbe qualche eco sulla
stampa, da Repubblica al Corriere della Sera e via via sulle testate minori, ma
fu un'esile luce che si suicidò silente nel buio, perché noi scrittori di
appelli ne firmiamo due dozzine al giorno, e forse anche perché mantenere
costante un impegno a favore dei rom, di questo popolo più che mai reietto e
"indifendibile", è roba da refrattari pochi e disperati, da pazzi e ostinati non
troppo avveduti nel scegliersi le buone cause, quelle che non ti portano a
correre il rischio di renderti inviso ai "cittadini lettori", che non solo
votano ma acquistano, o mandano al rogo, i libri.
Non ci sono stati nuovi appelli quindi. anche se sono convinto che molti tra
coloro che allora firmarono lo rifarebbero di nuovo, ma solo un generalizzato
silenzio che si accompagna al mutismo complice dei cosiddetti intellettuali di
questo nostro Paese, e che soccombe ogni giorno al feroce vocabolario della
normalizzazione. Un vocabolario che trasfigura le ragioni e i torti, e che
soprattutto annichilisce, negandogli voce, forma ed esistenza, ogni singolo
uomo, donna e bambino vittima dell'oltraggio di uno sgombero forzato.
Chiunque abbia assistito a uno sgombero di un campo rom sa cosa intendo dire.
Perché i "rom" di cui scrivono le brevi notizie sulla stampa, non esistono.
Esistono invece, in carne ed ossa, Marika, o Nusret, o Negiba, o Svetlana o
Zafiro. Marika che ha solo cinque anni e vorrebbe stare ancora un po' sotto le
coperte. Nusret che ha solo sette anni ed è preoccupato perché la sera prima non
aveva finito i compiti. Negiba, sua madre, che all'arrivo della polizia e delle
ruspe ha lasciato andare il pentolino del latte sul pavimento. Svetlana che è
così vecchia da dover essere trasportata a peso fuori dalla sua barakina di
cartone e legno pesto. E Zafiro... Zafiro divorato dal cancro, scavato nel petto
e nel viso, tutto denti e tutto occhi, che quella mattina non potrà trascinarsi
all'ospedale per la chemioterapia.
Chiunque abbia assistito a uno sgombero, sa che i rom di cui si scrive sui
giornali non esistono. Quelli che esistono hanno nomi e cognomi, hanno facce,
mani e cuori che impazzano di paura e di una rabbia antica nel petto.
E neppure le baracche di cui si scrive sui giornali, esistono. Perché quei
miseri spazi raccolti tra quattro pareti, sono casa. Come la mia o la vostra.
Sono il luogo del mangiare insieme, del parlare, dell'amarsi e del riposarsi.
Sono il luogo del rifugio e della riflessione, dei progetti e dei ricordi, della
malattia e della guarigione, del vivere e del morire.
Se chi firma un'ordinanza di sgombero forzato avesse reale coscienza di ciò che
sta facendo, udrebbe il fruscio della sua penna trasfigurarsi nel fragore delle
ruspe che non distruggono solo le case, ma le vite di chi in quelle case viveva.
Marika, Nusret, Negiba, Svetlana e Zafiro. Moltiplicati per centinaia e
centinaia di destini e di volti, tanti quanti sono stati gli sgomberi forzati
dei campi rom avvenuti negli ultimi due anni nel nostro Paese.
Portuense: sgomberato campo nomadi a Valle dei Casali
Santori (Pdl): passo in avanti per il decoro e la sicurezza della città -
22/06/2010
Proseguono le azioni del Piano nomadi della Capitale. La mattina del 21 giugno
2010 è stato sgomberato un insediamento abusivo nella riserva della Valle dei
Casali, in un'area proprietà dell'Ater, tra via San Pantaleo Campano e via
Newton, al Portuense.
Lo sgombero è stato effettuato dagli agenti della polizia municipale sotto il
coordinamento dell'Ufficio politiche per la sicurezza del Comune, insieme a
personale specializzato in operazioni di risanamento.
"Con il completamento degli sgomberi nella riserva della Valle dei Casali si
compie un altro importante passo avanti per la sicurezza e il decoro della
città. La giunta Alemanno è impegnata a completare nel minor tempo possibile
l'attuazione del piano nomadi e a restituire ai cittadini le zone di Roma cadute
in mano a rom e senza fissa dimora dopo anni di lassismo da parte delle giunte
di centro sinistra. Si tratta di obiettivi chiari e di impegni che saranno
mantenuti". Lo afferma in una nota il presidente della Commissione sicurezza del
Comune di Roma, Fabrizio Santori, commentando lo sgombero.
"Si è trattato di un intervento a integrazione di una fase precedente attuata a
marzo – prosegue Santori - mirato oltre che allo sgombero anche al ripristino e
alla bonifica dell'area per evitare che edificazioni abusive e occupazioni
illegali si possano ripetere.
E' infatti fondamentale - conclude Santori - riuscire a coordinare tutte le fasi
di intervento in modo che avvengano in maniera congiunta. Solo così sarà
possibile rendere i provvedimenti definitivi, evitando con recinzioni, bonifiche
dei terreni, potatura della vegetazione troppo folta che permette alle baracche
di rimanere nascoste tra il verde, che luoghi sgomberati siano nuovamente invasi
a distanza di poco tempo da insediamenti abusivi"
Cronaca
Muratella: il campo nomadi chiuderà entro fine anno
A dirlo è il sindaco Alemanno, che ha promesso anche un presidio 24 ore
su 24 delle forze dell'ordine
di Antonio Scafati - 22/06/2010
Monta la rabbia dei cittadini di Muratella, decisi a veder chiuso l'insediamento
di nomadi di via Marchetti. Qualche giorno fa, l'istallazione nel di alcuni
bagni chimici aveva fatto storcere il naso ai cittadini del quartiere, che da
tempo aspettano la chiusura del campo nomadi.
Il 21 giugno 2010 i comitati di quartiere avevano in programma una
manifestazione non autorizzata per dire il loro no all'illegalità che regna nel
quartiere, ma tra di loro è arrivato a sorpresa il sindaco Alemanno.
Insieme a lui, l'assessore capitolino alle politiche sociali Sveva Belviso, il
presidente della commissione sicurezza Fabrizio Santori e il delegato del
sindaco alla sicurezza Giuseppe Ciardi.
Minacciare manifestazioni non autorizzate ha evidentemente portato frutti, visto
che il Sindaco ha promesso un presidio 24 ore su 24 delle forze dell'ordine e un
incontro il 7 luglio in Campidoglio per discutere del campo in via Marchetti.
Non solo: Alemanno ha anche preso l'impegno che il campo verrà chiuso entro la
fine dell'anno. Sempre secondo il Sindaco il foto segnalamento dei nomadi
comincerà a breve.
L'opposizione, dal canto suo, non lesina critiche all'operato di Alemanno.
"Quando ormai la situazione stava degenerando ed il malcontento stava portando i
cittadini a manifestare in Campidoglio, il Sindaco si presenta personalmente a
Muratella salvandosi in calcio d'angolo". Ad affermarlo in una nota del 21
giugno 2010 è il consigliere comunale del PD Dario Nanni, membro della
Commisione Sicurezza.
"E' singolare - prosegue Nanni - che tra gli impegni presi dall'attuale Sindaco
ci sia anche quello di far posizionare un posto di polizia in quel quartiere,
proprio come da me richiesto con un emendamento ad una mozione del PDL. Fa
piacere verificare che gli atti presentati dall'opposizione e non condivisi dai
Consiglieri Comunali del PDL, diventino poi proposte del Sindaco. Già questo
basterebbe da solo a spiegare le contraddizioni interne alla maggioranza."
"Per quanto mi riguarda - conclude Nanni - terrò bene in mente le promesse fatte
ieri ai cittadini di Muratella dal Sindaco, dall'Assessoredel Belviso e dagli
altri esponenti del PDL al loro seguito, sperando che queste promesse non
diventino per la maggioranza l'ennesimo autogol".
Di Fabrizio (del 26/06/2010 @ 09:07:08, in Italia, visitato 2520 volte)
Mi scrive
Stefania Cammarata: Ricevo da Luigi Pecora, pastore battista a Moncalieri
(TO) e, su sua gentile concessione, pubblico e diffondo.
Carissime e carissimi,
tutti voi siete stati messi a conoscenza della storia di una famiglia rom,
che dallo scorso autunno frequenta la nostra chiesa di Moncalieri. Erano
arrivati nel nostro territorio da pochi mesi, per stanziarsi sulle rive del Po.
Come comunità cristiana, ci siamo adoperati per dar loro un sostegno di natura
pratica in ordine alle necessità quotidiane, e nel frattempo mi sono attivato
presso i servizi sociali per offrire loro una nuova collocazione che fosse
dignitosa ed umanitaria. Tutto l'impegno profuso e la sensibilizzazione,
avvenuta anche attraverso organi di stampa, non ha sortito l'interesse di
nessuna autorità preposta. Ciò che abbiamo raccolto in questi giorni, è un
ordine di sgombero, che verrà eseguito lunedi' 28 giugno, alle 6:30 del mattino,
con tanto di ruspe, Vigili Urbani e Carabinieri. Il tutto per 4 famiglie, e tra
queste il nostro nucleo, la famiglia Garcia. Essa è composta da 4 bambini di
un'età compresa fra i 5 e gli 11 anni, la loro nonna, la loro mamma di 33 anni,
ed uno zio con disabilità psichica. Non posso concepire che i servizi sociali e
l'assessore preposto non si siamo preoccupati di pensare ad una collocazione di
questa sfortunata e vulnerabile famiglia, a seguito dello sgombero. Per evitare
che queste fragili persone, lunedì notte dormano sotto le stelle (o sotto le
nubi, dipende dal tempo), la Chiesa Evangelica Battista di Moncalieri,
accoglierà temporaneamente tale nucleo, per motivi umanitari sui quali non si
può transigere.
Nell'augurio che questa storia possa avere una lieta conclusione, vi saluto
cordialmente.
past. Luigi Pecora - Moncalieri.
AGGIORNAMENTO:
Grazie Fabrizio per l'interessamento. Mi permetto di aggiornarti con le
ultime notizie che mi ha mandato Luigi Pecora.
Buona giornata,
Stefania
Carissimi amici/e,
oggi è stata una giornata intensa per contatti, telefonate e richieste. La bella
notizia è che una parrocchia di Moncalieri ha regalato una roulotte alla nostra
famigliola assistita. Abbiamo già le chiavi e nei prossimi giorni la sposteremo
da Torino a Moncalieri. Il prossimo "step", sarà quello di studiare il luogo in
cui collocare la roulotte con la famiglia dentro, fino a quando non sarà
possibile per loro (stiamo lavorando in tal senso), l' entrare in un campo sosta
regolare.
In tal modo, evitiamo di ospitarli nella nostra chiesa, cosa che avremmo fatto
senza "se" e senza "ma", fino a quando oggi non abbiamo potuto visitare la
roulotte nella zona di corso Orbassano a Torino.
Un caro saluto a tutti voi, ed in particolare a coloro che hanno espresso il
loro interessamento e solidarietà, nei confronti di tale nucleo rom, il quale ha
solo voglia di poter essere messo nelle condizioni di vivere una vita normale.
past. Luigi Pecora.
Di Fabrizio (del 25/06/2010 @ 09:42:48, in Regole, visitato 1917 volte)
Da questo articolo di Federico Casabella su
il Giornale, sembra che qualcuno non l'abbia presa bene
Il contributo per il «trasloco» forzato, frutto dei lavori per la Gronda di
ponente toccherà anche ai nomadi più immobili del mondo. Infatti i 108 sinti
residenti nel campo di Bolzaneto (circa 40 famiglie), essendo cittadini italiani
residenti a Genova, otterranno l’indennizzo da 40mila euro che spetta a
tutti gli abitanti delle aree che saranno interessate dai cantieri del futuro
passo autostradale. Fondi che verranno messi a disposizione direttamente dalla
società Autostrade come prevede la legge: conseguenza del fatto che i cantieri
interesseranno anche la zona del campo nato alla fine del 1987 sulla sponda del
Polcevera e sul quale, da qualche (...)
Da
Roma_und_Sinti
Distretto rurale di Rotenburg
A causa delle sue "scandalose espulsioni", il Consiglio per i Rifugiati della
Bassa Sassonia ha aspramente criticato il distretto di Rotenburg e la Bassa
Sassonia. Il caso di due famiglie, rimpatriate Mercoledì 17 Marzo in maniera
forzosa da Rotenburg in Kosovo, mostrerebbe che quando si tratta di rifugiati
provenienti dal Kosovo le autorità non hanno nessuna pietà, nemmeno per le
persone anziane o gravemente malate.
"La famiglia S. (i genitori e tre bambini) è stata rimpatriata nonostante due
dei suoi membri fossero gravemente malati", spiega Bastian Wrede del Consiglio
per i Rifugiati. "La signora S. soffre di una psicosi cronica e necessita
regolarmente di medicinali e di continui trattamenti medici specialistici. Il
figlio di sedici anni soffre di diabete di tipo 1 e necessita di dosi di
insulina più volte al giorno. A causa di un ritardo nell'apprendimento, non è in
grado di provvedere da solo al dosaggio delle sue medicine; e poiché nemmeno sua
madre si trova in condizione di farlo, il ragazzo dipende dall'aiuto del padre.
Un dosaggio sbagliato o la mancata somministrazione dell'insulina possono avere
pericolose conseguenze nel lungo periodo, persino mortali. Come verranno
assicurate, in Kosovo, l'assistenza medica ed i medicinali per la signora S. e
per suo figlio, non risulta sin'ora chiaro.
A quanto riporta il Consiglio per i Rifugiati, anche i nonni della famiglia S.
sarebbero stati prelevati da Rotenburg e portati all'aeroporto di Düsseldorf.
Nonostante entrambi siano malati di diabete e dipendano da trattamenti
farmacologici e cure specialistiche, li si voleva spedire anch'essi in Kosovo.
Il loro rimpatrio è stato solo sospeso, poiché la nonna, che a causa del diabete
è quasi cieca, è collassata in aeroporto e si è dovuto procedere col suo
trasferimento in ospedale.
"La famiglia S appartiene alla minoranza rom degli Ashkali, che in Kosovo è
sottoposta a massiccia discriminazione. Molti appartenenti a tale minoranza
vivono segregati in insediamenti dove regna la povertà, e non ricevono alcuna
assistenza sociale o medica", ha dichiarato Bastian Wrede.
Il secondo caso è quello della famiglia R. di Zeven. Il padre, psichicamente
malato e a rischio suicidio, ha dovuto essere trasportato in ambulanza a
Dusseldorf, dall'aeroporto in un ospedale. La famiglia è stata così separata,
con la signora R. ed i tre bambini che da soli sono stati espulsi verso il
Kosovo.
"I rimpatri spietati di Rom ed Ashkali, nei quali le autorità includono senza
alcun riguardo i malati e gli anziani e non si fermano neppure di fronte alla
prospettiva di separare una famiglia, portano distintamente la firma del
Ministero degli Interni della Bassa Sassonia", è la constatazione del Consiglio
per i rifugiati. L'organizzazione ha esortato il governo dello stato federato e
le autorità competenti in materia d'immigrazione a cessare i rimpatri in Kosovo
di persone gravemente malate o appartenenti ad una minoranza etnica, e di
curarsi della salvaguardia delle famiglie.
Anche Hans-Peter Daub, sovrintendente della diocesi di Rotenburg della Chiesa
Evangelico - luterana, appare colpito dalla "enorme durezza" con la quale
l'autorità civile esegue i rimpatri. Il consigliere per i rifugiati, Eckhard
Lang dell'opera diaconale, ad esempio conosce ed offre sostegno da molto tempo
alla famiglia S., la quale vive a Rotenburg da più di venti anni ed i cui figli
sono nati in Germania. Già l'anno passato la diocesi si era interessata al loro
destino ed aveva partecipato ad una raccolta firme indetta dal Consiglio per i
rifugiati. L'iniziativa aveva lo scopo di assicurare la permanenza dei rifugiati
Rom kosovari in Germania, al fine di dare loro prospettiva di vita (vedi
www.rotenburger-rundschau.de). "Il fatto che l'amministrazione non mostri
quasi alcun riguardo per le condizioni di salute delle persone coinvolte, ci
sembra un punto particolarmente problematico" lamenta Daub, secondo il quale la
situazione in Kosovo per i rifugiati rimpatriati sarebbe tanto disastrosa ora
quanto lo era prima.
Bastian Wrede ha annunciato che il Consiglio per i Rifugiati effettuerà
un'indagine sulle modalità di svolgimento dei rimpatri e sui successivi sviluppi
delle situazioni riguardanti le due famiglie coinvolte. Una verifica della
legalità dei procedimenti sarà svolta in collaborazione con gli avvocati delle
famiglie stesse.
Con un'espulsione collettiva, il 17 Marzo sono state rimpatriate in Kosovo 53
persone: tra queste, anche 30 appartenenti alle minoranze etniche Rom e Ashkali.
© Rotenburger Rundschau GmbH & Co. KG
Di Fabrizio (del 24/06/2010 @ 09:46:47, in media, visitato 1872 volte)
Buongiorno a tutti,
è con piacere che vi invitiamo a visitare il sito web del progetto "Sinto-nìzzati!",
realizzato interamente con un gruppo di adolescenti sinti di Pavia:
www.sociability.it/sinto-nizzati
Il progetto, promosso nel 2009-10 da alcune associazioni locali, tra cui
l'Associazione Italiana Sinti di Pavia e il CEM-Centro Educazione ai Media,
ha previsto la realizzazione di un format radiofonico e di contenuti video,
con la partecipazione di una decina di giovani sinti che vivono stabilmente a
Pavia e che frequentano le scuole medie e la formazione professionale.
I ragazzi e le ragazze si sono avvicinati al mondo della radio e di internet,
creando le puntate della trasmissione "Sinto-nìzzati" e realizzando i contenuti
del sito web, con l'intenzione di far conoscere il mondo e la cultura di cui
sono portatori, così come di rinsaldare i ponti relazionali che si stanno
costruendo con la più ampia società locale.
A settembre le attività realizzate saranno presentate pubblicamente in un evento
che sarà organizzato a Pavia e di cui sarà data comunicazione nelle prossime
settimane.
Ci auguriamo di ricevere da tutti voi un commento o anche una critica
costruttiva al nostro progetto, permettendoci di chiedervi, se possibile, di far
conoscere questa iniziativa tramite i vostri canali di comunicazione a chi
riteniate possa essere interessato
Grazie e un cordiale saluto
Andrea Membretti
(responsabile del progetto)
PhD Sociology
Prof. a c. Università di Pavia
www.sociability.it
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