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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 29/06/2010 @ 09:27:17, in Europa, visitato 3870 volte)

by Paul Polansky

[continua] Quando vennero resi noti i risultati degli esami, l'OMS chiese l'immediata evacuazione dei tre campi. Poche settimane dopo ICRC si aggiunse a molte altre OnG nel richiedere un urgente sgombero per ragioni mediche.

Il 25 novembre, durante un incontro delle OnG nel quartiere generale UNMIK a Mitrovica sud, venne rivelato dal rappresentante di Norwegian Church Aid che il gruppo medico del dr. Kouchner aveva trovato alti livelli di piombo nel sangue dei bambini pure nell'estate del 2000. Un rapporto preparato allora dal gruppo medico ONU raccomandava che i tre campi fossero evacuati. Chiesi immediatamente all'UNMIK una copia di quel rapporto del 2000. Mi dissero che non era disponibile al pubblico.

Conoscendo diversi Albanesi che lavoravano con l'UNMIK, tentai di avere tramite loro una copia del rapporto. Mi venne detto che era sotto chiave e considerato "top secret".

Un anno più tardi trovai quel rapporto del gruppo medico ONU datato novembre 2000 sul web (non etichettato come documento UNMIK, ma sotto il nome del dottore che l'aveva cofirmato). Rintracciai il dottore, Andrej Andrejew. Ora lavorava per una ditta farmaceutica a Berlino. Dopo pranzo, mi confermò che i livelli di piombo nel 2000 erano così alti tra i bambini dei campi zingari, che il laboratorio in Belgio che analizzava i loro campioni di sangue pensava ad un errore, perché non aveva mai visto livelli tanto alti. L'ex dottore dell'ONU di Kouchner rimase scioccato nel sentire che i campi non erano stati evacuati ed il terreno era stato cintato perché la gente estranea non potesse accidentalmente addentrarvisi, come raccomandava nel suo rapporto. Poco dopo aver compilato il suo rapporto, Andrej aveva lasciato il Kosovo, ritenendo che Kouchner avrebbe seguito le raccomandazioni della sua squadra medica ONU.

Fui il primo giornalista a rendere pubblica la storia dei campi. In un articolo che venne pubblicato dall'International Herald Tribune il 25 aprile 2005, descrissi l'orrore e scrissi che sino a quel momento erano morti nei campi 25 Zingari, la maggior parte in seguito a complicazioni dovute ad avvelenamento da piombo. Nonostante le ricadute internazionali alla notizia, l'UNMIK rifiutò ancora di evacuare i campi.

Da allora, con la mia squadra GFVB visitai i campi diverse volte a settimana per controllare la salute dei bambini. Un giorno la madre di Jenita mi disse che sua figlia Nikolina di due anni mostrava gli stessi sintomi di Jenita prima che morisse. Venne avvisata l'equipe medica NATO di Mitrovica nord. Venne richiesto loro il permesso di un immediato trasporto di Nikolina a Belgrado, l'unico ospedale nei Balcani che trattava l'avvelenamento da piombo. Il capo dell'equipe medica NATO di Mitrovica, il dr. Sergey Shevchenko, rifiutò.

Il giorno dopo chiamai personalmente il dr. Shevchenko e lo implorai di trasportare Nikolina a Belgrado. Rifiutò nuovamente. Invece di discutere con lui (un optometrista di Vladivostok, Russia, che parlava inglese), io e la mia squadra caricammo Nikolina e sua madre sul mio caravan per andare a Belgrado. Dato che non avevano passaporti, e nemmeno documenti personali, dovetti farle passare di contrabbando attraverso il confine serbo-kosovaro nascoste nel bagno del mio caravan.

A Belgrado, i livelli di piombo riscontrati a Nikolina mettevano a rischio la sua vita. Dopo tre settimane di trattamento i suoi livelli si erano ridotti, ma fui avvertito che probabilmente avrebbe avuto danni irreversibili al cervello e che se l'avessimo riportata alla fonte dell'avvelenamento, probabilmente sarebbe morta. Con l'aiuto di un olandese che lavorava per un'OnG internazionale (da cui travasava soldi per le piccole spese), affittammo un appartamento nel villaggio di Priluzje dove la famiglia di Jenita aveva dei parenti. Usando il mio caravan, li traslocai personalmente con le loro poche cose dalle baracche ONU. Col tempo trovai un donatore americano che comprò loro un pezzo di terra. Dopo un anno, un'OnG internazionale costruì loro una casa.

Dato che non riuscivo a convincere l'ONU ad evacuare i tre campi e salvare questi bambini rom ed askali, pubblicai in proprio un libriccino (UN - Leaded Blood) sulla loro situazione e produssi un documentario (Gipsy Blood). Anche se tutti e due produssero uno scandalo in Kosovo, l'ONU si rifiutò ancora di sgomberare i campi e curare questi bambini.

Mentre giravo il mio documentario, scoprimmo un'altra famiglia che aveva dei bambini con gli stessi livelli di piombo di Jenita e Nikolina. Ma prima che potessi fare qualcosa, morirono la madre e un fratellino. Un dottore a cui avevo chiesto di investigare sulle loro morti, era convinto che entrambe fossero morti per complicazioni dovute ad avvelenamento da piombo. Era dell'opinione che i sette bambini superstiti non sarebbero sopravissuti se non fossero stati rimossi dalla fonte di avvelenamento e ricevuto trattamento medico urgente.

Ancora una volta, la dura e compiacente amministrazione UNMIK rifiutò di agire. Così la mia OnG tedesca, GFBV, contattò il giornale di più grande tiratura in Germania, chiedendogli di visitare il campo e scrivere una storia su questa tragedia. Non solo il giornale, la Bild Zeitung, venne in Kosovo, ma tramite la loro fondazione per l'infanzia (Ein Hertz für Kinder) portarono tutta la famiglia  in Germania per le cure. Per aiutare la famiglia durante e dopo il trasporto, il giornale chiese a me ed al mio gruppo romanì di accompagnarla.

In Germania, scoprirono che non solo la famiglia romanì necessitava di cure mediche, ma anche io ed il mio gruppo romanì. I nostri livelli di piombo, anche solo con visite periodiche nei campi, erano del livello doppio di quello che poteva causare danni irreversibili al cervello. Quindi assieme ai sette bambini e al loro padre, anche noi fummo curati.

Prime del trattamento, tutti noi facemmo una TAC. Quando toccò a Denis, sette anni, il dottore incaricato mi indicò il fegato del bambino e mi disse: "E' il fegato di un sessantenne alcolizzato che beve una bottiglia di whiskey al giorno. Questo bambino non arriverà a 20 o 30 anni. E' quello che gli ha fatto l'avvelenamento da piombo!"

Nel 2006 finalmente l'ONU decise di fare qualcosa per acquietare le accuse che col mio team e l'avvocata americana Dianne Post, che ora rappresentava le oltre 150 persone dei campi rom/askali,  continuavamo a generare sulla tragedia dell'avvelenamento da piombo. Nel 2005 le truppe francesi avevano deciso di lasciare la sua base a Mitrovica nord. L'ONU traslocò due dei tre campi zingari nell'ex base francese.

Una volta di più rimasi scioccato dall'atteggiamento insensibile dell'UNMIK in questa situazione. La base francese, chiamata Osterode, era a solo 50 metri da due dei campi zingari contaminati. Anche il campo francese era ricoperto dalla polvere tossica generata dalle 100 milioni di tonnellate di scorie nell'area. I soldati francesi, che tanto io quanto i reporter del NY Times avevamo intervistato in separate occasioni, lamentavano che i dottori militari avevano avvisato ogni soldato in servizio nella base, di non generare bambini per nove mesi dopo aver lasciato il Kosovo, a causa dell'alto livello del piombo nel loro sangue.

Comunque, dopo aver speso 500.000 euro donati dal governo tedesco per ristrutturare il campo di Osterode, una squadra di valutazione ambientale della CDC di Atlanta, Georgia, dichiarò Osterode come "libero dal piombo". Poi l'ufficio USA a Pristina dichiarò di essere pronto a donare 900.000 $ per cure e per una dieta migliore per i bambini evacuati ad Osterode. Inoltre l'UNMIK promise che gli Zingari sarebbero rimasti ad Osterode per non più di un anno. Poi sarebbero stati trasferiti in nuovi appartamenti costruiti per loro nel vecchio quartiere.

Dato che diverse OnG e anche i leader del campo non ritenevano che Osterode fosse "libero dal piombo", si fecero subito degli esami sanguigni ai bambini dopo che arrivarono ad Osterode. Un anno dopo vennero nuovamente controllati i loro livelli di piombo. Non fu sorprendente per me e la mia squadra, ma lo fu per l'UNMIK: molti livelli erano aumentati nonostante una dieta migliore ed alcuni trattamenti medici di base. Quando vennero conosciuti questi risultati, i dottori smisero le loro cure, dicendo che facevano più male che bene. Nuovamente si disse che era necessario allontanare la gente dalla fonte di avvelenamento, prima di essere curati per intossicazione da piombo.

Quando pubblicai il primo articolo sui campi nel 2005 sull'International Herald Tribune, riportavo che 27 Zingari (inclusi molti bambini) erano già morti nei campi. Alla fine del 2006, il numero era più che raddoppiato, e per la fine del 2009 il conto era a 84. E gli Zingari vivono tuttora ad Osterode e nel vicino campo di Cesmin Lug.

Tra il 2007 e il 2008 diverse OnG costruirono o finanziarono la costruzione di appartamenti nel vecchio quartiere zingaro di Mitrovica sud. Ma questi appartamenti non vennero dati, come promesso, a quanti soffrivano dei più alti livelli di avvelenamento da piombo. Per mostrare che funzionava la loro politica di far tornare gli Zingari rifugiati in altri paesi, l'UNHCR diede la maggior parte di quegli appartamenti a quanti tornavano dal Montenegro e dalla Serbia.

Dopo aver provato a far pressione sull'ufficio USA a Pristina per trasportare via aerea questi 650 Zingari a Fort Dix, NJ, come il governo americano aveva fatto per oltre 7.000 Albanesi nel 1999 per salvarli dai paramilitari di Milosevic, USAID propose invece il progetto di costruire 50 appartamenti per i Rom dei campi, ovunque loro volessero in Kosovo. Mercy Corps, un'OnG internazionale degli USA, venne incaricata del contratto, anche se non avevano mai avuto a che fare con i campi zingari ed allora non avevano Rom o Askali nel loro staff. Tuttavia, nell'ottobre 2008 Mercy Corps assunse una romnì della mia squadra ed aprì un ufficio a Mitrovica sud per onorare il contratto di 2.400.000 $ affidatogli da USAID.

Fine seconda puntata

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Di Fabrizio (del 28/06/2010 @ 09:43:18, in casa, visitato 2398 volte)

Corriere del Veneto Il sindaco scrive alla famiglia sinti: dopo questo fatto rivisti i termini di permanenza

[...]

MIRA - Alla famiglia Cavassa (presso campo di via Maestri del Lavoro): «Ho appreso con rammarico e profonda delusione dalle forze dell'ordine che comportamenti della vostra famiglia hanno commesso un furto in una abitazione nel comune di Pianiga e che i responsabili del reato sono residenti presso il vostro campo nomadi». E' la lettera inviata dal sindaco di Mira Michele Carpinetti (Pd), alla famiglia sinti perché Rocky Cavassa, 19 anni, figlio di uno dei membri della comunità è stato arrestato dai carabinieri di Dolo per furto. Lui era il palo che aspettava in auto due ragazze (20 e 17 anni) che avevano appena rubato un computer in una casa di via Cavin Maggiore a Pianiga. Adesso il comune di Mira è pronto allo sgombero del campo nomadi.

Il sindaco ha disposto che sia revocata l'ordinanza, firmata quattro giorni fa, che permette alle famiglie di restare dell'area dell'accampamento. «Le soluzioni adottate dall'amministrazione per la vostra permanenza del campo sono state dettate da problemi umanitari essendo presenti numerose donne e bambini della vostra comunità-scrive Carpinetti-, e con la messa a disposizione dell'area per il campo vi è stato dato nel corso degli anni, il tempo di trovare una sistemazione definitiva anche fuori dal comune di Mira. In ogni passaggio è sempre stata categorica, da parte nostra, la richiesta del rispetto della legalità e di comportamenti che non mettessero in difficoltà la convivenza con la popolazione mirese. Dopo questo fatto vi comunico che saranno rivisti i termini per la vostra permanenza nel campo di via Maestri del Lavoro».

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Di Fabrizio (del 28/06/2010 @ 09:09:03, in Italia, visitato 2347 volte)

Venerdì scorso su Facebook girava questo appello: Alle h.7.30 sarà sgomberato il campo rom di v.le Forlanini. A tutti quelli che potranno l'appuntamento è per le h.6.45 muro ex caserma Forlanini. Sul blog di Luciano Muhlbauer ecco com'è andata:

De Corato i comunicati stampa li produce in serie. In particolare gli piacciono quelli che aggiornano il suo personalissimo contatore degli sgomberi di rom. Gli piacciono così tanto che ieri si è fatto prendere la mano, rivendicando per mezzo stampa uno sgombero immaginario.

E così, per evitare che qualche giornalista se ne accorgesse e per salvare la faccia al nostro vice, la Polizia Locale è stata mobilitata immediatamente ed ha eseguito lo sgombero ex post. Ma sabato di solito non si fanno queste cose, perché i servizi sociali durante il weekend non sono disponibili. E quindi, stamattina in viale Forlanini, nella zona ex-caserma, non c’era nemmeno un funzionario dei servizi sociali, ma soltanto poliziotti locali.

Ma andiamo con ordine. Ieri in tarda mattinata il vice della Moratti ha sfornato un lunghissimo comunicato stampa con il quale annunciavo gli sgomberi n. 282 e n. 283. "Doppio sgombero" gongolava il vice, uno in via Colico e l’altro "in un'area privata di via Forlanini vicino all'ex caserma militare. Amsa ha provveduto a ripulire i luoghi da rifiuti e masserizie".

I più sorpresi della notizia erano i volontari della zona che seguono da tempo le famiglie rom e che erano presenti sul posto. Infatti, ieri non è successo assolutamente nulla. Né sgomberi, né Amsa che ripulisce.

A questo punto possiamo soltanto provare ad immaginarci quello che è successo in Comune. Lo sgombero era effettivamente programmato per ieri mattina –infatti, questo è quanto si aspettavano i volontari-, ma poi qualcuno dalle parti della polizia locale si sarà accorto che c’era lo sciopero generale e che forse non era in grado di garantire il personale necessario. Quindi, rinviato tutto, ma si era dimenticato di avvertire il capo -oppure anche in polizia locale non ne possono più di De Corato?- che nel frattempo fremeva nel suo ufficio con il comunicato stampa già pronto.

Il vice, da parte sua, parla molto di sgomberi, abusivi eccetera, perché questo fa bene alla sua campagna elettorale permanente, ma poi più di tanto non gliene frega e così non ha verificato un bel niente. Un ok all’addetto stampa e avanti con il prossimo comunicato sul prossimo argomento.
Quando qualcuno gli avrà detto come stavano le cose si sarà arrabbiato e così, sabato o non sabato, servizi sociali aperti o chiusi, che caschi il mondo, ma lo sgombero andava recuperato ex post. E così è stato.

Ora, per concludere, potremmo farci tutti quanti una bella risata di fronte alla sempre più farsesca politica degli sgomberi della destra cittadina, se non fosse che di mezzo ci sono delle persone in carne ed ossa, bambini compresi, nonché la decenza e il decoro della città.

De Corato dovrebbe chiedere scusa e qualcuno dovrebbe spiegargli che la cosa pubblica non è cosa sua, da utilizzare per i suoi fini politici privati.

Post Scriptum: se i rom a Milano sono soltanto qualche migliaio, secondo i dati della Prefettura e del Ministero degli Interni, e se il Comune ha effettuato 283 sgomberi, cioè praticamente uno sgombero ogni 10 persone, come mai ci sono ancora insediamenti rom a Milano? Non sarà che tutto è una gigantesca presa per i fondelli ad uso e consumo dei vari De Corato e Salvini, con l’inaccettabile conseguenza di un sacco di bimbi costretti a crescere sotto i ponti e nelle baracche?

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Di Fabrizio (del 27/06/2010 @ 09:24:21, in casa, visitato 1969 volte)

GE local TRENTINO

TRENTO. «Le microaree sono l’unica soluzione. Speriamo le facciano davvero. E al più presto». Alessandro Held, 57 anni, parla e fuma sotto il gazebo. È il più anziano dei circa 50 sinti che vivono nel campo abusivo accanto alla Motorizzazione. In tutta Trento sono circa 200.
A due passi dall’Adige e dalla tangenziale ci sono una dozzina di roulotte sistemate a ferro di cavallo, la toilette, una piscinetta «da 30 euro» dove due bimbe giocano e si rinfrescano mentre le donne sistemano i piatti del pranzo. «Qua - continua il “ capo” - viviamo abbastanza bene. Siamo fortunati perché abbiamo l’acqua che usavano prima gli operai che hanno costruito le nuove gallerie di Piedicastello. Ci sono anche le fognature. Però, siamo precari. Abbiamo paura di sgomberi improvvisi e se ci mandano via non sappiamo dove andare». Si avvicina il fratello Riccardo che ribadisce. «Di certo non andremo al campo di Ravina (l’unico regolare in città, ndr) perché è sovraffollato e invivibile». «Se ci sistemano nelle microaree - continuano - non vogliamo starci gratis. Paghiamo affitto, acqua, luce e gas».

Ormai, i nomadi di Trento, sono nomadi stanziali. «Noi siamo sinti - spiega ancora Alessandro - con origini germaniche. Quando ero giovane la mia famiglia si muoveva molto, ora invece ci muoviamo meno. Anche per far andare i figli a scuola». Vivere in una casa, però, è quasi contro la loro cultura. «Per la mia generazione è davvero complicato abituarsi a stare in appartamento. Magari per i miei figli sarà più facile». Federico, 16 anni, sorride. «In effetti in inverno stare in una casa sarebbe meglio, ma a me piace vivere qua al campo». Una vita apparentemente normale. La giornata tipo della famiglia Held non si discosta molto da quella di altre famiglie trentine. «Al mattino - continua Alessandro - noi uomini andiamo a lavorare, raccogliamo ferro e lo trattiamo. I bambini vanno a scuola. Le donne si prendono cura di loro o del campo. Usciamo poco perché non vogliamo dare fastidio. E anche a causa di certi attacchi della Lega Nord abbiamo paura di essere presi di mira».

Una vita che a Trento fanno circa 200 nomadi. L’assessore comunale Violetta Plotegher, nei giorni scorsi, aveva detto che i nomadi che vivono in accampamenti abusivi in città sono 82. A sentire i diretti interessati, però, i numeri sono diversi. Oltre alla sessantina di persone che vive a Ravina, infatti, ce ne sarebbero 50 alla Motorizzazione, circa 30 a Gardolo, altrettanti all’Ex Zuffo e altri in zona Monte Baldo. Circa 130 nomadi che vivono in campi abusivi. Più quelli di Ravina. «Una soluzione va trovata al più presto. La nostra è una situazione di emergenza. Non vogliamo passare un altro inverno al freddo. Servono le microaree anche a Trento, come hanno fatto in molte altre città», sottolineano anche Valentino Held e Damiano Colombo che vivono in alcuni camper tra il campo della Vela e l’ex Zuffo con le loro famiglie allargate. «Non possiamo essere lasciati così, abbandonati, come cani».

SONDAGGIO Siete favorevoli alle microaree?

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Di Fabrizio (del 27/06/2010 @ 09:16:28, in Italia, visitato 1985 volte)

FamigliaCristiana.it Al nostro Paese si contesta in particolare di non riconoscere i diritti delle minoranze. Alcune testimonianze di chi, anche a livello internazionale, si occupa di queste etnie.
"Difficile anche evangelizzare" denuncia un pastore evangelico.

Matrimonio Rom. Un momento di festa nella Tenda del Convegno montata a Mantova a metà giugno 2010.

22/06/2010  «La nostra attività missionaria di annuncio della Parola si svolge tra mille pastoie burocratiche e spesso non ne veniamo fuori», dice con un sospiro Davide Casadio, volto e capelli bruni che, insieme ai suoi tipici tratti somatici, rivela tutta la sua origine rom. Pastore evangelico della Missione Evangelica Zigana (realtà evangelica associata alle Assemblee di Dio in Italia), Davide, che non mostra più di 40 anni, ha passato un'infanzia a traino della comunità di giostrai a cui apparteneva suo padre, prima di trovare l'anima gemella, convolare a nozze e mettere al mondo 5 bambini, due dei quali già padri a loro volta.

«La nostra attività pastorale consiste principalmente nell'avvicinare la nostra gente per predicare la parola di Dio», prosegue l'uomo, che, scoperta la sua vocazione e compiuti gli studi, si è sistemato a Piacenza nella scuola biblica della sua associazione. «Durante i mesi estivi a turno tutti noi, circa 40 pastori, ci muoviamo cercando di raggiungere le zone dove sono concentrate le nostre comunità e piantiamo la "Tenda del Convegno", un luogo di preghiera e predicazione aperto a tutti, anche ai credenti in altre confessioni o religioni. Un luogo di pace, insomma, come quello che abbiamo organizzato a metà giugno a Mantova, che però purtroppo conosce problemi sempre maggiori: l'autorizzazione per occupare per un certo tempo il suolo pubblico non ci viene infatti concessa con facilità a causa della legislazione vigente, che favorisce solo gli spettacoli viaggianti. Un'attività di questo genere richiede infatti la presenza di tutte le precauzioni per la sicurezza pubblica, come i bagni o la presenza di pompieri. Una circostanza che, se non corretta, riteniamo che configuri una doppia discriminazione, razziale, essendo i Rom e Sinti minoranza non riconosciuta in Italia, e soprattutto religiosa, perchè impedisce di fatto il culto a un'organizzazione come la nostra che, essendo parte delle Assemblee di Dio in Italia riconosciute dallo Stato italiano, avrebbe tutto il diritto di organizzare manifestazioni religiose come queste».

All'Università Bicocca di Milano il convegno "La condizione giuridica di Rom e Sinti in Italia" ha sviscerato in questi giorni con l'aiuto di esperti internazionali la complessa situazione delle popolazioni Rom e Sinti nel nostro territorio, spesso salite all'onore della cronaca per i numerosi sgomberi dai loro campi di questi mesi. La loro condizione appare infatti molto eterogenea (vi sono cittadini italiani, dell'Unione europea, extracomunitari, rifugiati e apolidi) e precaria dal punto di vista linguistico e culturale. L'obiettivo del convegno è stato formativo, relativo cioé all'aggiornamento sugli strumenti di protezione e tutela dei Rom e Sinti, ma anche di riflessione e proposta sui problemi e modelli legislativi di tutela e protezione di queste minoranze. Detto che la maggior parte di questa popolazione in Italia è ormai stanziale, è emerso in molte relazioni che esiste una vera e propria discriminazione che viene attuata in Italia verso queste popolazioni.

Paolo Bonetti, ad esempio, professore associato di diritto costituzionale alla Bicocca, ha affermato che «nell'attuale pubblicistica la presenza di Rom e Sinti è spesso accostata al tema della sicurezza, cioè dei pericoli per la sicurezza di tutti derivanti da fenomeni di illegalità diffusa o di microcriminalità o di occupazione abusiva di immobili». E ha aggiunto: «Quando una persona non è certa del proprio status giuridico, della propria cittadinanza, della propria abitazione, dell'accesso ai diritti sociali ed è oggetto di discriminazioni, emarginazione lavorativa, stigmatizzazione da parte dei mass media, allora nessuno di coloro che vivono in una società può sentirsi sicuro, perché quella società non è ben organizzata e si contraddicono così i principi fondamentali personalisti che caratterizzano la forma di Stato». In definitiva «una delle principali vie d'uscita sicure da questa situazione criminogena è quella di giungere al più presto all'approvazione di una legge statale che in attuazione dell’art. 6 della Costituzione preveda norme specifiche di riconoscimento, di tutela della minoranza dei Rom e dei Sinti presenti in Italia e azioni positive di inclusione sociale ai sensi dell’art. 3 della Carta fondamentale».

Stefano Stimamiglio

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Di Alberto Maria Melis

A suggerirmi a scrivere questa breve riflessione, sono state due notizie appena trovate sul web, una relativa a uno sgombero di un campo rom effettuato nei giorni scorsi, l'altro a uno sgombero che presto verrà effettuato (riporto entrambe in chiusura).

Ciò che colpisce è il loro tono asettico, soprattutto laddove si riportano i commenti degli amministratori, sia di "destra" che di "sinistra". Gli amministratori, Alemanno in testa, rivendicano l'eroica impresa di cacciare via dalle loro baracche i rom, di proseguire nella schedatura fotosegnaletica, di andare incontro ai "cittadini" nella loro qualità evidentemente più appetibile, quella di "votanti"; i politici dell'opposizione, di questa "sinistra" che non riesce a cogliere il nauseabondo fetore dell'imputridire delle sue radici, si spinge a criticare Alemanno per non aver fatto subito il suo "dovere", e anzi ci si erge a impavida e miliziana sentinella dei futuri sgomberi.

Come siamo diventati un paese così? O lo siamo sempre stati e non ce ne siamo accorti? Qualche tempo fa, quando Maroni rese pubblica l'idea di schedare i bambini rom, io e altri scrittori per ragazzi sottoscrivemmo un appello contro una pratica di stampo palesemente razziale. La notizia ebbe qualche eco sulla stampa, da Repubblica al Corriere della Sera e via via sulle testate minori, ma fu un'esile luce che si suicidò silente nel buio, perché noi scrittori di appelli ne firmiamo due dozzine al giorno, e forse anche perché mantenere costante un impegno a favore dei rom, di questo popolo più che mai reietto e "indifendibile", è roba da refrattari pochi e disperati, da pazzi e ostinati non troppo avveduti nel scegliersi le buone cause, quelle che non ti portano a correre il rischio di renderti inviso ai "cittadini lettori", che non solo votano ma acquistano, o mandano al rogo, i libri.

Non ci sono stati nuovi appelli quindi. anche se sono convinto che molti tra coloro che allora firmarono lo rifarebbero di nuovo, ma solo un generalizzato silenzio che si accompagna al mutismo complice dei cosiddetti intellettuali di questo nostro Paese, e che soccombe ogni giorno al feroce vocabolario della normalizzazione. Un vocabolario che trasfigura le ragioni e i torti, e che soprattutto annichilisce, negandogli voce, forma ed esistenza, ogni singolo uomo, donna e bambino vittima dell'oltraggio di uno sgombero forzato.

Chiunque abbia assistito a uno sgombero di un campo rom sa cosa intendo dire. Perché i "rom" di cui scrivono le brevi notizie sulla stampa, non esistono. Esistono invece, in carne ed ossa, Marika, o Nusret, o Negiba, o Svetlana o Zafiro. Marika che ha solo cinque anni e vorrebbe stare ancora un po' sotto le coperte. Nusret che ha solo sette anni ed è preoccupato perché la sera prima non aveva finito i compiti. Negiba, sua madre, che all'arrivo della polizia e delle ruspe ha lasciato andare il pentolino del latte sul pavimento. Svetlana che è così vecchia da dover essere trasportata a peso fuori dalla sua barakina di cartone e legno pesto. E Zafiro... Zafiro divorato dal cancro, scavato nel petto e nel viso, tutto denti e tutto occhi, che quella mattina non potrà trascinarsi all'ospedale per la chemioterapia.

Chiunque abbia assistito a uno sgombero, sa che i rom di cui si scrive sui giornali non esistono. Quelli che esistono hanno nomi e cognomi, hanno facce, mani e cuori che impazzano di paura e di una rabbia antica nel petto.

E neppure le baracche di cui si scrive sui giornali, esistono. Perché quei miseri spazi raccolti tra quattro pareti, sono casa. Come la mia o la vostra. Sono il luogo del mangiare insieme, del parlare, dell'amarsi e del riposarsi. Sono il luogo del rifugio e della riflessione, dei progetti e dei ricordi, della malattia e della guarigione, del vivere e del morire.
Se chi firma un'ordinanza di sgombero forzato avesse reale coscienza di ciò che sta facendo, udrebbe il fruscio della sua penna trasfigurarsi nel fragore delle ruspe che non distruggono solo le case, ma le vite di chi in quelle case viveva.

Marika, Nusret, Negiba, Svetlana e Zafiro. Moltiplicati per centinaia e centinaia di destini e di volti, tanti quanti sono stati gli sgomberi forzati dei campi rom avvenuti negli ultimi due anni nel nostro Paese.


Portuense: sgomberato campo nomadi a Valle dei Casali
Santori (Pdl): passo in avanti per il decoro e la sicurezza della città - 22/06/2010

Proseguono le azioni del Piano nomadi della Capitale. La mattina del 21 giugno 2010 è stato sgomberato un insediamento abusivo nella riserva della Valle dei Casali, in un'area proprietà dell'Ater, tra via San Pantaleo Campano e via Newton, al Portuense.

Lo sgombero è stato effettuato dagli agenti della polizia municipale sotto il coordinamento dell'Ufficio politiche per la sicurezza del Comune, insieme a personale specializzato in operazioni di risanamento.

"Con il completamento degli sgomberi nella riserva della Valle dei Casali si compie un altro importante passo avanti per la sicurezza e il decoro della città. La giunta Alemanno è impegnata a completare nel minor tempo possibile l'attuazione del piano nomadi e a restituire ai cittadini le zone di Roma cadute in mano a rom e senza fissa dimora dopo anni di lassismo da parte delle giunte di centro sinistra. Si tratta di obiettivi chiari e di impegni che saranno mantenuti". Lo afferma in una nota il presidente della Commissione sicurezza del Comune di Roma, Fabrizio Santori, commentando lo sgombero.

"Si è trattato di un intervento a integrazione di una fase precedente attuata a marzo – prosegue Santori - mirato oltre che allo sgombero anche al ripristino e alla bonifica dell'area per evitare che edificazioni abusive e occupazioni illegali si possano ripetere.

E' infatti fondamentale - conclude Santori - riuscire a coordinare tutte le fasi di intervento in modo che avvengano in maniera congiunta. Solo così sarà possibile rendere i provvedimenti definitivi, evitando con recinzioni, bonifiche dei terreni, potatura della vegetazione troppo folta che permette alle baracche di rimanere nascoste tra il verde, che luoghi sgomberati siano nuovamente invasi a distanza di poco tempo da insediamenti abusivi"


Cronaca
Muratella: il campo nomadi chiuderà entro fine anno
A dirlo è il sindaco Alemanno, che ha promesso anche un presidio 24 ore su 24 delle forze dell'ordine
di Antonio Scafati - 22/06/2010

Monta la rabbia dei cittadini di Muratella, decisi a veder chiuso l'insediamento di nomadi di via Marchetti. Qualche giorno fa, l'istallazione nel di alcuni bagni chimici aveva fatto storcere il naso ai cittadini del quartiere, che da tempo aspettano la chiusura del campo nomadi.

Il 21 giugno 2010 i comitati di quartiere avevano in programma una manifestazione non autorizzata per dire il loro no all'illegalità che regna nel quartiere, ma tra di loro è arrivato a sorpresa il sindaco Alemanno.
Insieme a lui, l'assessore capitolino alle politiche sociali Sveva Belviso, il presidente della commissione sicurezza Fabrizio Santori e il delegato del sindaco alla sicurezza Giuseppe Ciardi.

Minacciare manifestazioni non autorizzate ha evidentemente portato frutti, visto che il Sindaco ha promesso un presidio 24 ore su 24 delle forze dell'ordine e un incontro il 7 luglio in Campidoglio per discutere del campo in via Marchetti.
Non solo: Alemanno ha anche preso l'impegno che il campo verrà chiuso entro la fine dell'anno. Sempre secondo il Sindaco il foto segnalamento dei nomadi comincerà a breve.

L'opposizione, dal canto suo, non lesina critiche all'operato di Alemanno.
"Quando ormai la situazione stava degenerando ed il malcontento stava portando i cittadini a manifestare in Campidoglio, il Sindaco si presenta personalmente a Muratella salvandosi in calcio d'angolo". Ad affermarlo in una nota del 21 giugno 2010 è il consigliere comunale del PD Dario Nanni, membro della Commisione Sicurezza.

"E' singolare - prosegue Nanni - che tra gli impegni presi dall'attuale Sindaco ci sia anche quello di far posizionare un posto di polizia in quel quartiere, proprio come da me richiesto con un emendamento ad una mozione del PDL. Fa piacere verificare che gli atti presentati dall'opposizione e non condivisi dai Consiglieri Comunali del PDL, diventino poi proposte del Sindaco. Già questo basterebbe da solo a spiegare le contraddizioni interne alla maggioranza."

"Per quanto mi riguarda - conclude Nanni - terrò bene in mente le promesse fatte ieri ai cittadini di Muratella dal Sindaco, dall'Assessoredel Belviso e dagli altri esponenti del PDL al loro seguito, sperando che queste promesse non diventino per la maggioranza l'ennesimo autogol".

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Di Fabrizio (del 26/06/2010 @ 09:07:08, in Italia, visitato 2520 volte)

Mi scrive Stefania Cammarata: Ricevo da Luigi Pecora, pastore battista a Moncalieri (TO) e, su sua gentile concessione, pubblico e diffondo.

Carissime e carissimi,

tutti voi siete stati messi a conoscenza della storia di una famiglia rom, che dallo scorso autunno frequenta la nostra chiesa di Moncalieri. Erano arrivati nel nostro territorio da pochi mesi, per stanziarsi sulle rive del Po.

Come comunità cristiana, ci siamo adoperati per dar loro un sostegno di natura pratica in ordine alle necessità quotidiane, e nel frattempo mi sono attivato presso i servizi sociali per offrire loro una nuova collocazione che fosse dignitosa ed umanitaria. Tutto l'impegno profuso e la sensibilizzazione, avvenuta anche attraverso organi di stampa, non ha sortito l'interesse di nessuna autorità preposta. Ciò che abbiamo raccolto in questi giorni, è un ordine di sgombero, che verrà eseguito lunedi' 28 giugno, alle 6:30 del mattino, con tanto di ruspe, Vigili Urbani e Carabinieri. Il tutto per 4 famiglie, e tra queste il nostro nucleo, la famiglia Garcia. Essa è composta da 4 bambini di un'età compresa fra i 5 e gli 11 anni, la loro nonna, la loro mamma di 33 anni, ed uno zio con disabilità psichica. Non posso concepire che i servizi sociali e l'assessore preposto non si siamo preoccupati di pensare ad una collocazione di questa sfortunata e vulnerabile famiglia, a seguito dello sgombero. Per evitare che queste fragili persone, lunedì notte dormano sotto le stelle (o sotto le nubi, dipende dal tempo), la Chiesa Evangelica Battista di Moncalieri, accoglierà temporaneamente tale nucleo, per motivi umanitari sui quali non si può transigere.

Nell'augurio che questa storia possa avere una lieta conclusione, vi saluto cordialmente.
past. Luigi Pecora - Moncalieri.

AGGIORNAMENTO:
Grazie Fabrizio per l'interessamento. Mi permetto di aggiornarti con le ultime notizie che mi ha mandato Luigi Pecora.
Buona giornata,
Stefania


Carissimi amici/e,
oggi è stata una giornata intensa per contatti, telefonate e richieste. La bella notizia è che una parrocchia di Moncalieri ha regalato una roulotte alla nostra famigliola assistita. Abbiamo già le chiavi e nei prossimi giorni la sposteremo da Torino a Moncalieri. Il prossimo "step", sarà quello di studiare il luogo in cui collocare la roulotte con la famiglia dentro, fino a quando non sarà possibile per loro (stiamo lavorando in tal senso), l' entrare in un campo sosta regolare.
In tal modo, evitiamo di ospitarli nella nostra chiesa, cosa che avremmo fatto senza "se" e senza "ma", fino a quando oggi non abbiamo potuto visitare la roulotte nella zona di corso Orbassano a Torino.
Un caro saluto a tutti voi, ed in particolare a coloro che hanno espresso il loro interessamento e solidarietà, nei confronti di tale nucleo rom, il quale ha solo voglia di poter essere messo nelle condizioni di vivere una vita normale.
past. Luigi Pecora.

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Di Fabrizio (del 25/06/2010 @ 09:42:48, in Regole, visitato 1917 volte)

Da questo articolo di Federico Casabella su il Giornale, sembra che qualcuno non l'abbia presa bene : - D

Il contributo per il «trasloco» forzato, frutto dei lavori per la Gronda di ponente toccherà anche ai nomadi più immobili del mondo. Infatti i 108 sinti residenti nel campo di Bolzaneto (circa 40 famiglie), essendo cittadini italiani residenti a Genova, otterranno l’indennizzo da 40mila euro che spetta a tutti gli abitanti delle aree che saranno interessate dai cantieri del futuro passo autostradale. Fondi che verranno messi a disposizione direttamente dalla società Autostrade come prevede la legge: conseguenza del fatto che i cantieri interesseranno anche la zona del campo nato alla fine del 1987 sulla sponda del Polcevera e sul quale, da qualche (...)

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Di Franco Bonalumi (del 25/06/2010 @ 09:09:46, in Europa, visitato 1610 volte)

Da Roma_und_Sinti

Distretto rurale di Rotenburg
A causa delle sue "scandalose espulsioni", il Consiglio per i Rifugiati della Bassa Sassonia ha aspramente criticato il distretto di Rotenburg e la Bassa Sassonia. Il caso di due famiglie, rimpatriate Mercoledì 17 Marzo in maniera forzosa da Rotenburg in Kosovo, mostrerebbe che quando si tratta di rifugiati provenienti dal Kosovo le autorità non hanno nessuna pietà, nemmeno per le persone anziane o gravemente malate.

"La famiglia S. (i genitori e tre bambini) è stata rimpatriata nonostante due dei suoi membri fossero gravemente malati", spiega Bastian Wrede del Consiglio per i Rifugiati. "La signora S. soffre di una psicosi cronica e necessita regolarmente di medicinali e di continui trattamenti medici specialistici. Il figlio di sedici anni soffre di diabete di tipo 1 e necessita di dosi di insulina più volte al giorno. A causa di un ritardo nell'apprendimento, non è in grado di provvedere da solo al dosaggio delle sue medicine; e poiché nemmeno sua madre si trova in condizione di farlo, il ragazzo dipende dall'aiuto del padre. Un dosaggio sbagliato o la mancata somministrazione dell'insulina possono avere pericolose conseguenze nel lungo periodo, persino mortali. Come verranno assicurate, in Kosovo, l'assistenza medica ed i medicinali per la signora S. e per suo figlio, non risulta sin'ora chiaro.

A quanto riporta il Consiglio per i Rifugiati, anche i nonni della famiglia S. sarebbero stati prelevati da Rotenburg e portati all'aeroporto di Düsseldorf. Nonostante entrambi siano malati di diabete e dipendano da trattamenti farmacologici e cure specialistiche, li si voleva spedire anch'essi in Kosovo. Il loro rimpatrio è stato solo sospeso, poiché la nonna, che a causa del diabete è quasi cieca, è collassata in aeroporto e si è dovuto procedere col suo trasferimento in ospedale.

"La famiglia S appartiene alla minoranza rom degli Ashkali, che in Kosovo è sottoposta a massiccia discriminazione. Molti appartenenti a tale minoranza vivono segregati in insediamenti dove regna la povertà, e non ricevono alcuna assistenza sociale o medica", ha dichiarato Bastian Wrede.
Il secondo caso è quello della famiglia R. di Zeven. Il padre, psichicamente malato e a rischio suicidio, ha dovuto essere trasportato in ambulanza a Dusseldorf, dall'aeroporto in un ospedale. La famiglia è stata così separata, con la signora R. ed i tre bambini che da soli sono stati espulsi verso il Kosovo.

"I rimpatri spietati di Rom ed Ashkali, nei quali le autorità includono senza alcun riguardo i malati e gli anziani e non si fermano neppure di fronte alla prospettiva di separare una famiglia, portano distintamente la firma del Ministero degli Interni della Bassa Sassonia", è la constatazione del Consiglio per i rifugiati. L'organizzazione ha esortato il governo dello stato federato e le autorità competenti in materia d'immigrazione a cessare i rimpatri in Kosovo di persone gravemente malate o appartenenti ad una minoranza etnica, e di curarsi della salvaguardia delle famiglie.

Anche Hans-Peter Daub, sovrintendente della diocesi di Rotenburg della Chiesa Evangelico - luterana, appare colpito dalla "enorme durezza" con la quale l'autorità civile esegue i rimpatri. Il consigliere per i rifugiati, Eckhard Lang dell'opera diaconale, ad esempio conosce ed offre sostegno da molto tempo alla famiglia S., la quale vive a Rotenburg da più di venti anni ed i cui figli sono nati in Germania. Già l'anno passato la diocesi si era interessata al loro destino ed aveva partecipato ad una raccolta firme indetta dal Consiglio per i rifugiati. L'iniziativa aveva lo scopo di assicurare la permanenza dei rifugiati Rom kosovari in Germania, al fine di dare loro prospettiva di vita (vedi www.rotenburger-rundschau.de). "Il fatto che l'amministrazione non mostri quasi alcun riguardo per le condizioni di salute delle persone coinvolte, ci sembra un punto particolarmente problematico" lamenta Daub, secondo il quale la situazione in Kosovo per i rifugiati rimpatriati sarebbe tanto disastrosa ora quanto lo era prima.

Bastian Wrede ha annunciato che il Consiglio per i Rifugiati effettuerà un'indagine sulle modalità di svolgimento dei rimpatri e sui successivi sviluppi delle situazioni riguardanti le due famiglie coinvolte. Una verifica della legalità dei procedimenti sarà svolta in collaborazione con gli avvocati delle famiglie stesse.

Con un'espulsione collettiva, il 17 Marzo sono state rimpatriate in Kosovo 53 persone: tra queste, anche 30 appartenenti alle minoranze etniche Rom e Ashkali.

© Rotenburger Rundschau GmbH & Co. KG

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Di Fabrizio (del 24/06/2010 @ 09:46:47, in media, visitato 1872 volte)

Buongiorno a tutti,
è con piacere che vi invitiamo a visitare il sito web del progetto "Sinto-nìzzati!", realizzato interamente con un gruppo di adolescenti sinti di Pavia:

www.sociability.it/sinto-nizzati

Il progetto, promosso nel 2009-10 da alcune associazioni locali, tra cui l'Associazione Italiana Sinti di Pavia e il CEM-Centro Educazione ai Media, ha previsto la realizzazione di un format radiofonico e di contenuti video, con la partecipazione di una decina di giovani sinti che vivono stabilmente a Pavia e che frequentano le scuole medie e la formazione professionale.

I ragazzi e le ragazze si sono avvicinati al mondo della radio e di internet, creando le puntate della trasmissione "Sinto-nìzzati" e realizzando i contenuti del sito web, con l'intenzione di far conoscere il mondo e la cultura di cui sono portatori, così come di rinsaldare i ponti relazionali che si stanno costruendo con la più ampia società locale.

A settembre le attività realizzate saranno presentate pubblicamente in un evento che sarà organizzato a Pavia e di cui sarà data comunicazione nelle prossime settimane.

Ci auguriamo di ricevere da tutti voi un commento o anche una critica costruttiva al nostro progetto, permettendoci di chiedervi, se possibile, di far conoscere questa iniziativa tramite i vostri canali di comunicazione a chi riteniate possa essere interessato

Grazie e un cordiale saluto

Andrea Membretti
(responsabile del progetto)
PhD Sociology
Prof. a c. Università di Pavia
www.sociability.it

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