Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 13/12/2010 @ 09:48:49, in Kumpanija, visitato 2324 volte)

Di Ernesto Rossi


Immagine da Archivio Romano Lil

AMILCARE DEBAR, detto Taro, sinto piemontese, staffetta e partigiano combattente (col nome di Corsaro) nella 48^ Bgt Garibaldi "Dante Di Nanni", comandata da Napoleone Colajanni "Barbato". È stato ferito nella battaglia delle Langhe. Nel dopoguerra è rappresentante del suo popolo alle Nazioni Unite a Ginevra; ha ricevuto il diploma di partigiano combattente dalle mani del Presidente Pertini.
Era nato a Pinerolo il 16.6.1927; è morto a Cuneo, dove viveva, pochi giorni orsono.

La sera del 26 aprile 2001 Taro intervenne alla Camera del Lavoro di Milano alla presentazione del libro "Orgogliosi di essere Rom e Sinti", curato da Mario Abbiezzi ed Ernesto Rossi, pubblicato dalla CGIL Regione Lombardia, con prefazione del suo Segretario Generale Mario Agostinelli e dedicato a Carlo Cuomo.
Taro avrebbe dovuto fermarsi quella sera a Milano, dopo il breve concerto del violinista rom George Moldoveanu, ospite del sindacato fino al giorno dopo per rilasciare delle interviste sulla sua esperienza partigiana.
Ma, ricordando le sue vicissitudini dell'immediato dopoguerra, e come avendo deciso di accettare il servizio nella polizia, offerto ai partigiani, e come trovandosi in una delle prime azioni a perquisire un campo sinto, ritrovasse, lui cresciuto in un orfanatrofio, la sua famiglia, fu preso da un'incontenibile emozione, tanto che decise di rientrare immediatamente a Cuneo.

Vogliamo, con questo ricordo e coi materiali allegati, che mettiamo a disposizione di tutti, contribuire al ricordo di un grande sinto, noto a troppo pochi, perché lo sia sempre più a molti.

Ernesto Rossi, presidente delle associazioni "Aven Amentza – Unione di Rom e Sinti" e "Apertamente di Buccinasco"

°*°*°*°*°*°*°*°°*°*°*°*

Allegato 1 - Scheda dell'Istituto della Resistenza di Torino (estratto):
"nato a Pinerolo il 16.6.27
nome di battaglia Corsaro
14^ (sic) Brigata Garibaldi- in banda dal 20.1.44 al 7.6.45
vi è entrato dichiarando di provenire da Racconigi
"figura molto valida. Un uomo naturalmente capo. Notevole la sua capacità di risolvere i problemi" da quelli quotidiani della sopravvivenza alimentare alle decisioni operative di guerra.
Dopo il maggio '45 dimorava nell'accampamento storico di Cerialdo di Cuneo."

Allegato 2 - Registrazione della voce di Taro,
che riferisce in sinto piemontese alcune brevi note autobiografiche, con traduzione in italiano (dal sito "O Vurdón" di Sergio Franzese).

[...]

E inoltre:
***Nota sull'intervista filmata intitolata
"TARO UNA STORIA RESISTENTE"
1996, Betacam SP, 48' 51"
regia: Luciano Mattaccini
montaggio: Daniele Minutillo
fotografia: Marco Acciari, Luciano Mattaccini
Il racconto di Taro, un semplice partigiano che, dopo un breve periodo come staffetta partigiana, entra come
combattente nella 48° Brigata Garibaldi Langhe. Un lungo viaggio nella memoria, dal settembre '43 all'aprile
'45. Il ricordo della persecuzione del popolo zingaro, il piccolo Tarzan Sulic, il ricordo dell'amico fucilato.

Luciano Mattaccini (Roma, 1952). Specializzato in montaggio al Centro Sperimentale di Roma. Filmografia:
Indagini su una proiezione al di sopra di ogni sospetto (1988),
Un uomo fioriva (1993),
Los amigos de la calle (1994).


***Su Amilcare Debar esiste un articolo, pubblicato (anni '80?) sulla rivista "Patria" dell'ANPI nazionale.

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Di Fabrizio (del 13/12/2010 @ 09:01:28, in Europa, visitato 2003 volte)

Da Romanian_Roma

Carissimi!

Vorrei chiedervi di leggere e firmare la petizione dei Rrom che vivono fuori dalla Romania, e protestare contro la decisione delle autorità rumene.

http://www.petitiononline.com/sa3la3ta/petition.html

Vostro fratello,
Emilian Niculae.
emilian_nic@yahoo.com
Attivista dei diritti umani, Toronto, cittadino canadese.

Testo in italiano della petizione:

Al:

  • Governo rumeno,
  • Congresso USA,
  • Governo canadese,
  • Unione Europea.
  • Organizzazioni Internazionali dei diritti umani,
  • Giornali,
  • Fonti online di informazione,
  • Media rumeni,
  • Gente nel mondo.

Noi, popolo rom del mondo assieme ai residenti e cittadini di questi paesi, vogliamo esprimere la nostra seria preoccupazione e disappunto, e registrare la nostra protesta ed apprensione riguardo i nuovi incidenti di razzismo che sono perpetrati contro i Rrom in Romania dal governo rumeno attraverso la sua rappresentanza politica eletta. Alcuni, che rappresentano le istituzioni ad alto livello, stanno portando attraverso le loro apparizioni pubbliche accuse gravi e disinformanti contro il popolo rrom, da loro accusato di criminalità etnica. Alcune di queste accuse sono state rese pubblicamente dal presidente rumeno, Traian Basescu, che ha ripetutamente indirizzato accuse senza fondamento contro il popolo rrom alla nazione che lo ha eletto in carica. Protestiamo inoltre per altre forme di umiliazione rivolte ai Rrom da rappresentative parlamentari del governo rumeno. Invece di mostrare tolleranza e rispetto verso i propri cittadini rrom, stanno invece indirizzando insulti ed umiliazioni al popolo rrom, non solo i cittadini rrom di Romania, ma a tutti i Rrom nel mondo.

Anche se noi Rrom abbiamo vissuto in Romania per oltre 700 anni, ancora non siamo considerati i benvenuti. Al contrario, ci viene impedito di integrarci nella società rumena. Siamo stati marginalizzati e considerati cittadini di seconda classe. Siamo ancora condannati e obbligati a provare vergogna come creature subumane che sono considerate più al livello di animali che di esseri umani. E' stato così sin da quando siamo apparsi per la prima volta sul territorio rumeno e costretti in schiavitù in Valacchia e Moldavia.

Il governo rumeno ed i suoi rappresentanti, che hanno l'obbligo legale di lavorare costruttivamente per l'integrazione sociale del popolo rrom, stanno tentando attraverso le loro azioni e dichiarazioni di degradare il popolo rrom e di diffondere un'immagine falsa di chi siamo sui media pubblici. Così facendo, invece di migliorare la situazione, stanno incitando i cittadini rumeni contro i cittadini rrom nel creare ulteriori difficoltà per i rrom emarginati della società. Continuano a perpetrare la miseria e le ingiustizie che i Rrom hanno sofferto attraverso la loro storia in Romania, iniziando quando venne introdotta la schiavitù dei Rrom nel 1385 sino a quando venne ufficialmente abolita nel 1844. Ci viene costantemente negata la possibilità di integrarci con successo nella società maggioritaria in quanto Rrom.

La recente decisione dei legislatori rumeni di approvare una proposta di Silviu Prigoana, rappresentante del Partito Democratico Liberale (PDL), di cambiare ufficialmente la definizione etnica di Rrom nella definizione peggiorativa di "tigan", un sinonimo di "schiavo", è solo un ulteriore esempio lampante che l'attuale governo rumeno non ha rispetto per il popolo rrom, non soltanto in Romania ma anche verso tutti i Rrom nel resto del mondo, in paesi che, in maggior parte, garantiscono i loro diritti di identità etnica, dignità ed autodeterminazione [sic].

QUESTA NUOVA DECISIONE DELLE AUTORITA' RUMENE E' UN TENTATIVO DI RESTRINGERE I DIRITTI CIVILI DEI RROM RUMENI, CHE STIGMATIZZA ANCHE TUTTI I RROM NEL MONDO.

Noi, Rrom dentro e fuori dalla Romania, siamo costernati perché il governo della Romania sta violando in maniera flagrante i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione rumena ed i patti che la Romania ha firmato per diventare un membro dell'Unione Europea che sostiene la Dichiarazione ONU sui Diritti Umani.

La Costituzione rumena, all'art.6 & 1, ripete quanto segue:

"Lo Stato riconosce e garantisce alle persone che appartengono alle minoranze nazionali il diritto di mantenere, sviluppare ed esprimere le loro identità etniche, ed i loro diritti culturali, linguistici e religiosi."

Chiediamo con forza che il governo della Romania riveda la sua politica nazionale riguardo l'integrazione rrom. Chiediamo con forza che il governo rumeno veda il popolo rrom come una nazione mondiale senza confini.

Chiediamo anche che il governo rumeno inverta la sua attuale posizione e non ci imponga la definizione di "tigan", un termine peggiorativo che ci venne applicato da estranei sulla base del nostro ruolo di non-eguali nella società rumena, durante il periodo che iniziò nel 1385 quando fummo resi schiavi nei principati rumeni di Moldavia e Valacchia e che terminò solo nel 1844 con l'abolizione della schiavitù rrom in Romania.

Chiediamo inoltre che il governo riveda questa negativa decisione politica che va contro a quanto richiesto dall'Unione Europea e dalle Nazioni Unite riguardo le minoranze etniche in uno stato membro. Se questa azione negativa avesse un seguito, proverebbe al mondo che il governo rumeno non ha interesse nell'integrazione costruttiva dei suoi cittadini rrom nella società rumena e sarebbe inoltre un insulto a tutti i Rrom.

Ancora una volta, con questa proposta, la Romania sta dimostrando alla comunità internazionale che il razzismo e la violenza contro i Rrom, che riemerge dopo la caduta del comunismo nel 1989, viene ufficialmente appoggiata e perpetrata dall'attuale governo rumeno.

Noi, Rrom dentro e fuori dalla Romania, non concordiamo con la decisione del governo rumeno, che propone di applicare alla nostra nazione una definizione etnica, che non riconosciamo e rigettiamo con forza. Siamo Rrom - non "tigani".

Chiediamo a quanti riconoscano il nostro diritto ad autodefinirci Rrom, di firmare la petizione. Vi chiediamo anche di scrivere al consolato rumeno nel vostro paese per chiedere che il governo rumeno inverta la sua decisione  di negarci una definizione etnica appropriata, quella di Rrom. Questa proposta di legge è illegale in un paese membro della UE e membro delle Nazioni Unite. E' anche un insulto alla dignità del popolo Rrom nel mondo.

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Di Fabrizio (del 12/12/2010 @ 09:46:29, in scuola, visitato 1386 volte)

Da Roma_Daily_News

Montreal Gazette By Shawn Mohammed, AFP

Bambini zingari iracheni frequentano una classe nella prima scuola mobile per zingari, sponsorizzata dal Ministro all'Istruzione nella città curda irachena di Sulaimaniyah il 26 novembre 2010. Photograph by: AFP, Getty

SULAIMANIYAH, Iraq, 5 dicembre 2010 (AFP) - Potrebbe sembrare modesta, ma la tenda che funge da aula scolastica e la macchina che funziona anche da ufficio, sono per i Rom che lì frequentano le lezioni, la prima scuola del genere nel Kurdistan iracheno.

Il frutto di un insegnato toccato dalla difficile vita della comunità rom di Sulaimaniyah, Al-Ruhal (I Nomadi) ha aperto le sue porte, o meglio le sue falde, mercoledì ai margini della seconda città della regione autonoma curda, a studenti di età compresa tra sei e 45 anni.

"Questa primavera, ho suggerito alle autorità all'istruzione di Sulaimaniyah di aprire una scuola professionale per gli zingari che vivevano vicino alla città," racconta ad AFP Hana Fadhel Ahmed, preside e fondatrice della scuola.

"Hanno accolto l'idea, e mi hanno chiesto di identificare chi poteva essere interessato a frequentarla."

Secondo Ahmed, circa 70 famiglie rom vivono in tende all'esterno della città, a 270 km. a nord di Baghdad.

"Nessuno di loro sa leggere o scrivere," nota delle 383 persone.

Mancando le risorse per separare i giovani anni per anno, le classi di Al-Ruhal dividono i propri studenti in due grandi sezioni - la mattina inizia con sei ore di lezioni di gruppo a 70 bambini di età compresa tra sei e 12 anni. Nel pomeriggio, sono tenute due classi in simultanea, una per gli studenti tra i 13 e 24 anni, e un'altra per i più anziani, con un limite di 45 anni.

"E quando richiudono le tende e si spostano, noi ci spostiamo con loro," dice Ahmed.

"Si spostano nei dintorni ogni sei mesi, ma solo nel Kurdistan. La (confinante) Turchia non li vuole."

Le risorse sono scarse. I cinque insegnanti della scuola devono preparare le lezioni in macchina e, mentre le autorità hanno promesso di assumere più insegnanti per Al-Ruhal, la scuola deve provvedere all'oggi.

Lo storico curdo Sardar Mohammed dice che la maggior parte dei Rom che oggi vivono in Iraq, sono originari dell'Iran attuale. Mentre non sono disponibili cifre precise, i leader tribali stimano che il loro numero a livello nazionale sia di circa 60.000.

Tuttavia, la loro situazione si è deteriorata drammaticamente dopo l'invasione condotta dagli USA che ha spodestato Saddam Hussein nel 2003.

Sotto il regime baahtista di Saddam, il pugno di ferro del dittatore non si era abbattuto sui Rom.

Gli uomini erano cantanti o musicisti professionisti e le donne erano invitate a ballare a feste e matrimoni in Iraq.

Oggi, col paese dilaniato dalla guerra gestita principalmente dai capi religiosi, in contrapposizione alla società prevalentemente laica che esisteva sotto Saddam, la comunità rom si sente messa al bando.

"Il governo turco ci ha dato i documenti," dice Hassan Rahin, 65 anni. "Ma viviamo nelle tende; rimaniamo cittadini di seconda classe."

"Questa scuola ha aperto molto tardi; dovrebbe essere arrivata anni fa. Ma se ci porterà dei benefici, saranno per i nostri figli."

Le condizioni vissute dalla comunità rimangono scioccanti per molti degli insegnanti della nascente scuola.

"Alcuni studenti non mangiano abbastanza e altri non possono neanche lavarsi la faccia perché non c'è abbastanza acqua nei loro campi," dice Bayah Rahim, insegnante di 37 anni.

"Così con loro dobbiamo ripartire da zero perché non sanno nulla del sistema scolastico. Non sanno di dover stare seduti ad ascoltare e rispettare il loro insegnante."

Obiettivo della scuola, secondo la sua direttrice, è dare ai bambini rom un'opportunità di vita migliore. Mentre alcuni dei loro genitori sono capaci di guadagnare vendendo vestiti prodotti da loro stessi, molti altri ricorrono all'elemosina.

"Ed altri si rivolgono al furto o alla prostituzione," dice Ahmed.

"Questa scuola intende indirizzarli sulla strada giusta."

Karim, uno degli studenti della scuola, ammette prontamente che doveva andare a mendicare al mercato di Sulaimaniyah prima che aprisse la scuola.

"Sono contento di non dover andare a mendicare. Spero che questa scuola mi aiuti a trovare un buon lavoro," dice il dodicenne.

Gongola Mariam di nove anni, eccitata per l'opportunità di studiare. "I miei genitori mi hanno incoraggiato ad andare a scuola, assieme a mio fratello."

© Copyright (c) AFP

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Di Fabrizio (del 12/12/2010 @ 09:40:46, in blog, visitato 1586 volte)

Incontriamoci in Second Life Chiara di notte

Domenica prossima, avverto, non saro' a Budapest alla stazione di Keleti ad attendere qualcuno che non arrivera', pero' chi sentira' il desiderio d'incontrarmi, seppur nella mia forma “digitalizzata”, potra' farlo lo stesso entrando semplicemente in Second Life, ed insieme a me potra' incontrare anche altri commentatori-protagonisti di questo blog: Kameo, Serena, Marco, Flyingboy ed altri ancora.

Clicca sull'immagine per leggere il numero di EsseElle

Saremo infatti tutti quanti presenti alla grande festa tzigana che, proprio in questi giorni, stiamo organizzando ed allestendo con danze e musiche gitane all'interno di una scenografia ricreata appositamente, e che si svolgera' in occasione dell'uscita del numero natalizio di EsseElle Movie Magazine, la rivista dedicata ai mondi virtuali alla quale collaboro ormai da molto tempo che come tema avra' questo mese proprio gli Zingari. Qualcosa che mi riguarda personalmente e che, e' inutile dirlo, non avrei potuto fare a meno di darne notizia, anche perche' mi pare sia questa la prima volta che, in Second Life, questo argomento viene affrontato con una certa profondita', sebbene con tutti i limiti che una pubblicazione di tal genere possa avere.

Comunque, non so se chi mi segue in questo blog sara' interessato o avra' un briciolo di curiosita' – io spero di si' –, ma potrebbe essere questa un'ottima occasione per iniziare a conoscersi un po' meglio. A volte le personalita' che emergono attraverso i commenti, possono mostrarsi falsate proprio dalla staticita' dei commenti stessi, dal voler fare a tutti i costi bella figura, dal voler avere sempre ragione, mentre potrebbero risultare completamente differenti, piu' umane e meno edulcorate, in una chat o in un incontro piu' ravvicinato in cui la dialettica fosse piu' diretta e meno rigida.



Per questo motivo ci terrei moltissimo a conoscere coloro i quali non avessero problemi a “mostrarsi”. Dopotutto, Second Life, anche se a prima vista puo' apparir complicata, non e' diversa di una qualsiasi chat con animazioni, ma e' questo in ogni caso il primo passo da fare per conoscermi un po' di piu' e per scoprire esattamente come io sia ben peggiore dal “vivo” – se di vivo si puo' parlare – di quanto mi mostri nel blog. Per cui, sono certa che se adesso vi sono minimamente un po' antipatica, vi assicuro che dopo mi detesterete del tutto. Come detesterete, presumo, anche gli altri amici ed amiche che mi hanno seguita nella realizzazione di questo numero veramente speciale di EsseElle Movie Magazine e che, se vorrete, potrete incontrare a partire dalle ore 23:00 di domenica 12 Dicembre alla festa tzigana in Second Life: http://maps.secondlife.com/secondlife//115/202/26

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Intervista ad Elisabetta Sardi – Ass. L.h.a.s.a.
A cura dell'Ambasciata dei Diritti/Falconara

L'Ambasciata dei Diritti - Falconara realizza un'intervista ad Elisabetta Sardi, volontaria dell'ass. L.H.A.S.A. (associazione che si occupa della questione Rom), che partecipa, insieme a molte altre, al coordinamento di associazione cittadine "Falconara in rete", sorto lo scorso anno per contrastare le politiche securitarie ed intolleranti messe in atto dall'Amministrazione Brandoni (PdL – UdC) nei confronti di varie questione legate ai disagi sociali e della marginalità.

Elisabetta, cerchiamo insieme di delineare un quadro sull'attuale situazione cittadina. A partire dalla questione di cui ti occupi.

Proviamo a gettare le prime linee di questo discorso e comprendere che, quando si parla di campo nomadi a Falconara Marittima, si parla di un luogo peculiare e dalle caratteristiche che lo differenziano dalla "tipica" struttura stigmatizzata dai mass-media. Ora che il dibattito sulle popolazioni nomadi si fa più intenso e dopo le azioni spettacolari del sindaco di Roma Alemanno, le politiche spietate della Francia condannate dall'Unione Europea stanno mettendo in pratica deportazioni e sgomberi etnici. Partendo da questo quadro, chi abita il "campo Rom" a Falconara? Parlaci della storia del campo.

Il campo nomadi di Falconara nasce nel 1999 come luogo di transito/sosta dei Rom già residenti in città in quanto figli di Rom già stanziali da alcuni anni, che avendo famiglie numerose non hanno avuto la possibilità di acquistare case per i propri figli. Non avendo, questi ultimi, altre possibilità giravano per la città con roulotte o caravan e si stanziavano allo stadio, nei pressi dell'aeroporto, a Fiumesino ed, infine, vicino alla piscina comunale (zona industriale). Su pressione dell'associazione L.H.A.S.A. e del portavoce delle famiglie Rom (negli anni 1997/98) è stato richiesto all'allora Sindaco di approntare un'area per migliorare le condizioni di vita di queste giovani coppie, anche con figli, che erano già cittadini di Falconara. I Rom falconaresi hanno fatto il loro ingresso nella nuova area nel settembre del 1999, ma la loro presenza era già radicata nel tessuto urbano della città poiché erano tutti già residenti presso le abitazioni dei loro genitori.

A questo punto le giovani coppie si stanziarono nel campo, ottennero alcuni dei prefabbricati, altre delle roulotte, il tutto con un contratto di locazione stipulato con il Comune (3 prefabbricati e tre roulotte per un totale di sei famiglie). Le famiglie nel corso degli anni si sono succedute, senza mai superare la soglia di 6/7 nuclei familiari composti da marito, moglie e due, massimo tre figli per coppia. Tutte le coppie, anche quelle che nel corso degli anni si sono succedute, erano Rom già residenti in città. Nel corso degli anni alcune famiglie hanno avuto la possibilità di acquistare una casa, altre hanno avuto case d'emergenza abitativa comunali o ERAP (Ente Regionale per l'Abitazione Pubblica della Provincia di Ancona) ed hanno lasciato il campo ed il posto ad altre giovani coppie cittadine. Tuttavia i Rom si sono adattati, loro malgrado. Diverse coppie hanno trovato altre soluzioni individualmente, altre hanno lottato per avere una casa d'emergenza, altre hanno aspettato per anni l'assegnazione di una casa ERAP. Nel frattempo i loro figli sono cresciuti ed hanno frequentato le scuole cittadine.

Le Amministrazioni comunali non si sono mai occupate molto del campo, che nel corso degli anni è stato abbandonato al degrado, con i relativi problemi d'igiene e sanità. A oggi nel campo vi sono tre nuclei familiari, ma le coppie non sono più composte di soli Rom, sono coppie miste (lei Rom e lui no e viceversa). Una di queste ha figli e nel campo non avrebbe mai abitato, ma la loro casa, prefabbricata e di loro proprietà, posta su un terreno sottostante un ponte in zona Stadio (periferia) con il consenso del Comune, fu abbattuta all'alba del 24 novembre 2009, senza preavviso. Questa famiglia si è trovata senza tetto dal mattino alla sera con due figli, uno di due anni e uno di pochi mesi. Hanno trovato riparo nel campo in un prefabbricato assegnato ad una parente che l'aveva liberato dopo aver acquistato una casa.

Per via dei bambini molto piccoli la famiglia ha fatto richiesta di nuova residenza dentro il campo, ma è stata loro negata. Subito dopo sono cominciate le minacce d'immediato sgombero del campo. Dopo gli sgomberi forzati dei Rom rumeni in Francia, i giornali locali hanno scritto articoli su un'immediata chiusura del campo Rom di Falconara, apparsi due o tre giorni di seguito e con titoli accattivanti, dove si paragonava il Sindaco Brandoni (PdL) a Sarkozy (!). I cittadini falconaresi hanno immediatamente associato i loro concittadini Rom ai Rom di provenienza rumena. In realtà, ripeto, nell'area vivono solo cittadini di Falconara e, al cinquanta per cento, non di etnia rom, per un totale di tre coppie ed una sola con figli (due).

Considerati, alla luce di questa fotografia generale della storia del campo, gli sviluppi personali e collettivi di chi vi ha abitato e di chi vi abita, pare di comprendere che le vicende europee abbiano in qualche modo influenzato, o per lo meno accelerato, ciò che era in programma da anni nell'ente locale. Le politiche comunali hanno sempre voluto rispondere ad un'opinione pubblica che, condizionata dalla rappresentazione mediatica dell'etnia Rom, ha sempre chiesto l'esclusione – o peggio, la cacciata – dal "proprio territorio" dei nomadi.

Tuttavia, nella realtà che emerge dalle tue parole, il problema sembra essere un altro, perché comprende non solo i cittadini Rom, ma anche i non-Rom, che pur non appartenendo a quell'etnia, da "autoctoni", s'imbattono nella questione "campo" e in definitiva nella più generale questione abitativa.

Emblematica in questo senso è la demolizione del prefabbricato di via Stadio: sbandierata dalla stessa amministrazione comunale come una realizzazione degli obiettivi definiti nel programma elettorale, include in sé una serie di problematiche che andrebbero analizzate partendo, più che da un presupposto etnico, da una volontà diffusa di emarginare i più deboli. A tuo avviso è corretta una simile interpretazione?


Sì, e no. Mi spiego.

In questo caso, è vero, l'etnia non è il problema, se così fosse sarebbe comunque grave.

Il problema è che i nostri politici vogliono rispondere, copiosamente, all'opinione pubblica che chiede "la cacciata dal proprio territorio" dei "nomadi", di coloro che tutti chiamano zingari.

I nostri amministratori non hanno le idee chiare su chi siano i Rom, non sanno a quale gruppo etnico appartengono ed identificano con la parola "zingaro" tutto quello che ci può essere di negativo e becero nella loro rappresentazione superficiale della realtà. Il problema è generale, l'opinione pubblica identifica con la parola "zingaro", o Rom, un essere pericoloso e da evitare.

I nostri attuali amministratori hanno fatto tutta la campagna elettorale parlando di sicurezza e di come questa sia messa in pericolo da extracomunitari e Rom. Tra le altre cose hanno promesso di cacciare i Rom dal territorio, chiudendo il "campo degli zingari" (come se tutti i Rom di Falconara vivessero in tal luogo e clandestinamente: per giunta, loro sono falconaresi, residenti da anni e molti vivono in abitazioni private). È dall'inizio dell'Amministrazione Brandoni (PdL) che promettono, da un mese all'altro, di chiudere l'area di transito/sosta, ma la cosa ha presentato ostacoli complessi quali, appunto, la residenza a Falconara degli stessi abitanti, la mancanza di altre soluzioni abitative, le pressioni delle associazioni; insomma, per una serie di circostanze non gli è stato facile attuare una chiusura dell'area in tempi brevi.

Allora, dovendo dare un "contentino" agli elettori, è capitata a tiro la casetta prefabbricata della famiglia che ho citato. Questa "casa", ubicata sotto un ponte (in via dello Stadio, zona industriale), aveva, ripeto, un numero civico ed un permesso temporaneo del Comune per stare in quel luogo. Nessuno ha mai chiesto al proprietario del prefabbricato di trasferirsi dal terreno.

Una mattina sono arrivati, presto, con le ruspe ed hanno dato per scontato che non fosse abitata. Nel frattempo sono arrivati i proprietari ed i parenti che non hanno potuto visionare alcuna ordinanza di sgombero o abbattimento, lo stabile è stato abbattuto, i loro beni personali portati in un luogo sconosciuto e comunicato solo in seguito alle richieste di un Consigliere comunale d'opposizione.

Il nostro malcapitato non è Rom, il suo prefabbricato non era un accampamento, ma è servito ugualmente per farne due manifesti enormi, ai due ingressi cittadini, Nord e Sud, riproducenti le foto dello "sgombero" e la seguente dicitura: «Una città civile difende il proprio decoro. Le regole sono regole per tutti». I manifesti recavano la seguente firma nell'angolo di destra: "Coordinamento Comunale di Falconara M.ma". In un grande tondo: "Il Popolo della Libertà BRANDONI SINDACO". Per quel Natale (i manifesti sono stati affissi verso la fine di novembre e per circa 15 giorni) il Sindaco ha regalato ai suoi elettori una cornucopia grondante sicurezza.

Detto ciò, però, non attribuirei ai nostri amministratori un compiuto disegno di emarginazione e neutralizzazione dei più deboli, come in un disegno "politico"; sarebbe un piano quasi intelligente, se pur diabolico.

Come interpeti allora una gestione così intollerante e violenta di un problema, che come ci hai fatto capire, non ha rilevanza sociale (e che più che altro è un disagio sociale del quale la famiglia in questione è vittima, non artefice)?

La questione è più semplice di quanto sembri: loro dicono «dobbiamo accontentare il "volgo" che ci ha votati e, in mancanza di una vera comunità di zingari contro cui accanirsi, come a Roma o Milano, facciamo finta di aver un problema anche noi e di affrontarlo con il "braccio di ferro"». Non hanno proprio la fantasia per fare un progetto politico, nemmeno di annientamento. Per annientare qualcuno bisogna conoscerlo, ma loro non conoscono, non sanno. Sono ignoranti!

Progetto semplice o complesso, nei confronti di tutto quello che sta accadendo a Falconara, ora come ora possiamo per lo meno dire che le stanno sperimentando tutte. Da ultimo, la proposta del coordinatore cittadino PdL Astolfi, che vorrebbe «recinzioni elettrificate e militari pronti a sparare a vista» come condicio sine qua non all'eventuale futura installazione di un C.I.E nel territorio comunale. Nonostante non conoscano, i comportamenti e le azioni di questo "centro-destra" falconarese si concretizza sempre in metodi violenti e repressivi, che siano migranti, Rom o "falconaresi".

La rappresentazione mediatica della realtà che riesce ad ottenere attraverso l'ideologia securitaria nazionale, un piccolo Comune la utilizza – per governare, a prescindere dalla grandezza del fenomeno sottostante. Possiamo dire che, se di eliminazione non si può parlare, siamo allora di fronte ad uno sfruttamento della miseria per garantirsi potere?

Certo. Vogliono accontentare quella parte di elettorato che li vuole così: aggressivi, violenti. Sono i rappresentanti, degni, di chi è razzista. Usiamola pure questa parola: razzismo. Diciamo che la ragione, la cultura dovrebbe mitigare questo sentimento irragionevole, tribale. Tuttavia oggi abbiamo una classe politica, a Falconara, in Italia, in Europa che soffia sulla brace calda del razzismo. Così risulta che se c'è "la crisi" è colpa dello straniero che porta via il lavoro o che lavora sottopagato, talvolta ridotto in schiavitù.

Risulta una buona soluzione mandare via gli stranieri o impedire il loro ingresso in Italia, piuttosto che stabilire nuove regole di lavoro e, soprattutto crearne. Le case popolari sono poche (in Italia non si fa più edilizia popolare come negli anni passati, a Falconara meno che mai) e coloro che hanno bisogno di una casa si arrabbiano con gli stranieri che, a loro dire hanno sempre la precedenza e così succede con i contributi sociali.

Ecco allora che viene fuori la questione inaudita dei "Falconaresi doc". E' la solita politica "populista" che fomenta gli scontri, piuttosto che costruire una società solidale. Il nostro Governo umilia i più deboli, li rende minuscoli e appare sempre più forte e più grande. L'informazione, spesso, è faziosa: ingigantisce alcune realtà, sminuendone altre. Resta difficile, per molti, farsi un'opinione libera, non indotta dai mezzi di comunicazione. Tutto questo giova alla nostra attuale classe politica.

Dobbiamo stare attenti agli indottrinamenti, alle trappole che ci tolgono la libertà di pensare. Dobbiamo avere il coraggio di pensare e farlo in grande. Nel "nostro" sogno di un altro mondo possibile, non c'è posto per ruspe, "recinzioni elettrificate" e "militari che sparano a vista".

[martedì 7 dicembre 2010]

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Di Fabrizio (del 11/12/2010 @ 09:10:51, in Kumpanija, visitato 2466 volte)

di Alberto Maria Melis

Mirko Levak Nato nel 1928, di etnia rom di origine italo-slava. La carovana della sua gente viene fermata dai nazifascisti in Friuli, tutti vengono rinchiusi in carcere a Trieste, quindi, dopo una sosta a Bolzano, deportati ad Auschwitz. Mirko Levak, che all'epoca dell'arresto ha solo quindici anni, è tra i pochi sopravvissuti di quell'arresto.

[...] Una vecchia intervista a Mirko Levak, tratta dal sito web dell'Anpi, ma con una premessa. Rispetto all'originale, che è una trascrizione letterale del parlato registrato per il video dell'Opera Nomadi, in molti punti di difficile comprensione per le difficoltà che Mirko Levak incontrava nell'esprimersi in un italiano corretto, questa che segue è stata adeguata e resa più comprensibile a chi legge (la versione originale è scaricabile QUI).

"Dunque, il nostro comune era Postumia di Grotte, provincia di Trieste. Quando i tedeschi sono venuti a Postumia, e hanno occupato tutto il Carso, il mio povero nonno, che conosceva i tedeschi, perché era stato in guerra dal '15 al '18, (per questo conosceva la razza tedesca e austriaca), diceva: "Meglio che ce ne andiamo di qua!".
Erano in tanti che scappavano da Postumia ma anche dalla Croazia. A Postumia erano giunti in tanti, dalla Croazia, da tutta l'Istria, erano tutti rom, tutti zingari. E allora mio nonno e i miei parenti hanno preso i carretti, hanno attaccato i cavalli, e stavamo venendo verso l'Italia quando a un certo punto, tra Portogruaro e Latisana, ci fermiamo vicino a una strada e vengono i tedeschi, che hanno capito subito che eravamo zingari e ci hanno fatto una specie di rastrellamento.
Non si muoveva nessuno, io ero ragazzino, ci domandarono dove andavamo.
"Giriamo il mondo" disse mio nonno, "gli zingari girano il mondo per vivere".
Allora ci hanno ci hanno presi tutti: cugini di mio padre, altri familiari, me, due tre bambini, ci hanno
preso e ci hanno caricato sulle macchine o su un camion – non mi ricordo più precisamente – e ci hanno sequestrato.
Certe donne invece, la mia mamma, certi familiari, mio nonno che era vecchio, li hanno lasciati andare.
A noi ci hanno caricato e ci hanno portato, credo, verso Trieste. Là c'erano dei treni, con quelle carrozze su cui ci si caricano i cavalli, le bestie, e ci hanno messi tutti lì e ci hanno portato credo – credo – verso l'Austria, dove siamo stati per un mese, pressappoco, e di là ci hanno caricati di nuovo e ci hanno portati in Germania.
I tedeschi parlavano la loro lingua. Finché eravamo di qua, in Austria, ancora c'erano italiani, c'erano fascisti e un po' si capiva, ma là…
Insomma dall'Austria ci hanno portato direttamente ad Auschwitz e ci hanno messo in baracche... una specie di baracche, e lì ci domandavamo "cosa ci faranno?". Tanti piangevano e io piangevo, chiedevo della mia mamma. C'erano altri parenti (...) … C'erano ebrei e altri e anche loro ci davano coraggio.
Ci portavano a lavorare i campi, ma chi sapeva lavorare i campi? Si cavavano le patate con le unghie. Lì siamo stati parecchio, un giorno qua un giorno là, dai contadini, poi ci hanno rinchiuso proprio nelle baracche. C'era qualcuno che cercava di scappare. (............................) Insomma, per dirvelo francamente, quel che ho visto in quei campi non lo auguro neanche alle bestie.
Mi ricordo un giorno, si lavorava, si spostavano delle cose, un amico cadde vicino a me e io mi avvicinai per sollevarlo, venne un tedesco e mi diede un calcio.
"Non devi aiutare quell'uomo".
"Perché poverino?"
"No!" e di nuovo un calcio e una botta sulla testa.
Questo qua piangeva poverino e il tedesco "Ssst, sennò vi ammazzo"
"E ammazzateci, tanto ormai!".
Lì sono diventato come uno scheletro, ho dimenticato anche come parlare, non già la lingua, ho dimenticato tutto. Non si poteva ricordare più niente (di ciò che era stata prima la nostra vita) per tutto quello che si vedeva in questo benedetto campo.
Troppo disastro!
Ho visto il cugino del mio povero padre, l'hanno buttato in un forno, e io piangevo, e mi battevo le mani, e gli altri mi davano gli schiaffi e mi dicevano "perché piangi?". "È mio parente…" e ancora schiaffi.
"Arbeit, Arbeit!" "Arbeit?", dicevo io. "Lavorare!".
Ma cosa facevo nel campo? Niente. Perché oltre a portare qualche morto da qualche parte o seppellire (qualche cadavere)… Era difficile anche seppellire.
Una volta, con un camion (...), ci hanno portato in mezzo ai campi. Li scavammo una fossa grande e i morti li buttammo dentro, senza una coperta, senza niente (nudi). Lì c'erano anche i miei parenti. A loro (ai tedeschi) non interessava. Pestavano sopra. Pestavano, non gli faceva nessuna pietà. Ordinavano di fare la fossa, li prendevano e li mettevano in fila indiana, e cercavano di ucciderne tre, quattro, con una pallottola sola. E c'era uno che non sapeva fare niente... Così un nazista - avevano le bombe con il manico, che me le ricordo sempre – con quella (una bomba) gli ha dato una botta in testa che è rimasto secco. Gli veniva quasi il cervello fuori. Mamma mia! Il sangue veniva fuori come … hai visto quando ammazzano un bue, come il sangue scorre?
A Jasenovac, ce n'erano che erano venuti dalla Jugoslavia: erano fascisti e ustascia e dicevano che facevano i … Jasenovac si chiamava questo paese e c'erano là anche zingari, ebrei, ce n'erano tanti in Jugoslavia di zingari e rom … e allora loro gli mettevano un chiodo sulla zucca e (poi) poggiavano la testa di questo poverino e ( poi) con una mazza (...)... e li prendevano come cani e li buttavano nel fosso, nelle fosse comuni. Ho sentito di quelle cose che nessuno crede!
Quando (oggi?) vado a Auschwitz, (...) (e) a Jasenovac, dove c'erano tutti i prigionieri rom, (e) pochi erano ebrei...(...) ogni volta (...) sento ancora un rumore che è roba dell'altro mondo.
(Alcuni nuovi arrivati ad Auschwitz) mi [rac]contarono che venivano da Jasenovac (...) e dicevano "ancora, ancora, qua… ma devi vedere là cosa c'è!". Ormai ci eravamo conosciuti, eravamo rom, parlavamo la stessa lingua "Ma tu Mirko devi vedere là cosa c'è!". Preghiamo … (...) "però vedrai che faremo la stessa fine di quelli di Jasenovac!"
C'era chi si ribellava per tutto questo che ci facevano. Quel che succederà succederà, dicevano. Tanti – e ce n'erano più anziani di me – dicevano "ormai tanto, così o così, ci ammazzano lo stesso. Proviamo a ribellarci". E chi pensava a ribellarsi – perché (i tedeschi) sapevano chi era colpevole, perché c'erano sempre delle spie di mezzo – e veniva preso e lo buttavano nel forno.
Pane non ne facevano dentro (il forno). Era solo per i cristiani! Peggio delle bestie erano (...) lì. E sapevamo (tutto quello che succedeva) , perché c'era il forno, e si vedeva.
Hanno preso il cugino del mio povero padre, per una parola detta, (...) non (...) ricordo la parola, (o) cosa ha fatto: non ha obbedito… L'hanno preso per i capelli e l'hanno tirato vicino a quel fuoco e l'hanno buttato (dentro). Vivo! Non ucciso. Vivo! Finché li buttavano, poverini, dopo averli fucilati, dopo averli ammazzati… ma vivi li buttavano! Quello che mi ha fatto impressione e che mi torna sempre in mente (ero ragazzino, ma mi ricordo) era quando li tiravano fuori (i morti, dalle baracche?), sui carrettini e li buttavano nelle fosse comuni. Quello sì mi ricordo bene. E quante volte ho tirato io quel carrettino. Era pesante, bisognava avere un cuore forte, e bisognava farlo, sennò ti spettava… spettava anche a noi finire così.
Ecco perché alle volte (...) i rom e gli ebrei si ribellavano, perché li si obbligava a partecipare a quel massacro, noi altri stessi, ai nostri parenti. Guarda, a me è toccato portare un mio parente, poverino, (e) buttarlo dentro (una fossa) e (...).
Poi, tra compagni, si parlava dei parenti: "Ma guarda cosa ci tocca fare?".
Per due o tre volte è successo, che scoppiasse la ribellione, ma chi lo faceva lo pagava salato.
Ho visto un giorno a uno, povero!, a una donna e un uomo, marito e moglie, mi ricordo sempre, era brava gente, si vedeva… Si carezzavano. Era incinta, questa donna, e le hanno sparato in pancia e l' hanno tagliata con il mitra, così, in pancia. Una roba… che vedevi sto sangue; suo marito l'abbracciava (e) pam! E dopo, sopra di lei con le baionette, con quelle cose lì li hanno massacrati.
Insomma, mi sento indignato a (ricordare) queste cose, non vorrei mai (ricordare) queste cose.
"Adunata" dicevano, e dovevi essere presente. Contavano a uno a uno. Io credo che facessero finta di contare. Con tanti come eravamo, come facevano a contare col dito, così. (...) (........)
Poi ci buttavano (addosso) la soda caustica.
La facevano bollire e ce la buttavano sui vestiti, quelli tedeschi, quelli con le righe. Per ammazzare i pidocchi.
1942, '43, '44, fino al '45. Due anni e mezzo sono stato là. Avevo sui 14 anni, neanche. Te lo giuro se mi ricordo più! (...) Avevo sui 14 anni. Avevo anche qualche pregio: avevo un sorriso. Ridevo sempre, ma c'erano tanti che non ce la facevano, diventavano come stecchi, si vedevano le ossa, si vedevano le ossa fuori dalla pelle.
Dopo che i tedeschi si ritirarono, restammo liberi. Siamo usciti fuori (dal campo) da soli. Però tutti come stecchi. Come stecchi siamo usciti!
Adesso mi sento ancora… (....) ... mi sento "angosciato" a  parlar di queste cose di cui non dovrei parlare. Mi dispiace, però, io (per) quello che vedevo, ero diventato sciocco. (...) Ho sempre dentro l'orecchio questo rumore qua benedetto. Mi sento sempre quel rumore dentro, che è un rumore... una roba dell'altro mondo. Non voglio neanche più parlare perché mi sento "angosciato". È un trauma.
(Dopo essere stato liberato) Sono andato a Postumia… non c'era più niente. (...) Credevo che anche (tutti gli altri) fossero stati portati in altri campi. Perché non c'era solo Sacvitz, c'erano tanti campi, c'erano altri campi. Poi cammino, cammino, e sento la gente parlare, "di dove sei?", "dove non sei?", "sono di qua"; "guarda che c'è della gente, degli zingari, a Casale sul Sile, in una scuola, sono sfollati".
No, (cioé) li chiamavano "montenegrini", quella volta, "montenegrini" li chiamavano.
Mah!, e vado in piazza, là a Casale sul Sile, alla scuola,e vedo una ragazzina e mi dico "ma quella deve essere una rom, una zingara".
Io (allora) non sapevo nemmeno più parlare, mi tornava quel rumore negli orecchi, tutti queibombardamenti, tutti quei mitra, tutte quelle cose. La vedo e le dico:"Tu chi sei?", "E tu chi sei?" e io: "Sei una zingara? Sei una rom?", mi risponde "Sì, sì". "Tu conosci (mio) nonno?". "Sì, conosco sì". (…) "È qui". Sospirone.
Vedendomi mio nonno (…) mi ha abbracciato: "Ma sei tu caro? Ma sei tu caro nipote?". Insomma coi denti, coi denti mi mangiava. Viene fuori mio padre, viene fuori mia madre… Madonna santa!... Tu vedevi la gente lì, quando mi hanno visto insieme: piangeva tutto il paese.
Insieme a me erano venuti altri due o tre di rom, da là (dalla Germania), quegli altri non han trovato (la loro) famiglia (…). Quelli senz'altro li avevano portati negli altri campi, li avevano sterminati.
(Come) i cugini del mio povero padre, tanti parenti…i miei bisnonni. Tutti. Li hanno deportati perché erano sotto a Zagreb (Zagabria), era lì che abitavano, tutti li hanno portati ad Auschwitz. Tutti li hanno
massacrati un po' a Sacvitz, un po' a Auschwitz.
Insomma gli zingari, io non so ancora, non ho capito perché ci odiavano 'sti tedeschi così tanto? Perché ci odiavano tanto i tedeschi?
Ma gli zingari, cosa facevano? Perché non erano buoni a lavorareo perché si chiamavano zingari?
Io ancora ho da capire perché uccidevano gli zingari.
Come oggi, perché non è ben visto, lo zingaro? È una persona come tutti gli altri. Se tagli mio dito e il tuo che sangue viene fuori? Sempre rosso! E io non perderei mai il mio carattere. Io sì, ho una
vita (diversa), come posso dire… (…) Ma, se io potessi firmare, firmerei per essere ancora zingaro, come ero: Rom.
È triste ricordarsi tutto.

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Di Fabrizio (del 10/12/2010 @ 09:37:11, in lavoro, visitato 1677 volte)

Da Roma_Benelux

Standartnews.com

05/12/2010 - Riporta RIA Novosti, che il governo della provincia belga delle Fiandre ha adottato un piano ed una strategia per l'integrazione sociale e professionale dei Rom provenienti in Belgio dalla Bulgaria e dalla Romania. Ai Rom verrà dato accesso a settori del mercato del lavoro soggetti a carenza di manodopera. Sinora questo accesso era negato ai cittadini della Bulgaria e della Romania, anche se i due paesi sono membri UE dal 2007.

"Il messaggio che vorremmo inviare è che i Rom dalla Bulgaria e dalla Romania che arrivano qui devono essere pronti a lavorare," ha commentato Geert Bourgeois, ministro fiammingo all'integrazione civica.

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Di Fabrizio (del 10/12/2010 @ 09:32:32, in Italia, visitato 1463 volte)

Segnalazione di Alessandro Morazzini

RomaToday di Redazione - 22/11/2010

Dure e preoccupate le parole degli abitanti del "villaggio attrezzato" di Via Di Salone. Mancanza di spazi, paure e timori per i bambini. Convivenze difficili, criminalità e invivibili situazioni igienico-sanitarie

Gran parte della ricerca del dossier/ricerca "Esclusi e ammassati", condotto dall'associazione "21Luglio", riguardo l'attuale grave situazione nella riversa il "villaggio attrezzato" per rom di Via di Salone, si è basato anche sulle numerose interviste rilasciate dagli stessi abitanti del campo.

La parola d'ordine è "invivibile". Questo è quello che sicuramente è emerso da tutte le dichiarazioni raccolte. La situazione è stata spesso definita "disastrosa da tutti i punti di vista": sovraffollamento, assenza di norme di sicurezza, il dilagare di malattie "da ghetto", criminalità, droga, alcool e prostituzione.

I pericoli più preoccupanti, sono quelli che riguardano i bambini, per i quali i genitori fanno davvero fatica a intravvedere un futuro dignitoso: "Io voglio una vita diversa per i miei figli, senza rubare e senza chiedere l'elemosina. Io sono venuta in questo campo per loro, perché era il più vicino alla loro scuola". Le lamentele e le denunce degli "ospiti" del campo, sono pesanti e numerose e c'è addirittura chi paragona questa situazione ai campi di concentramento: "Qui è come un campo di concentramento, non c'è il tatuaggio, ma c'è il tesserino per entrare e per uscire. Io mi chiedo se questo campo è a norma. La legge permette di fare stare in questo modo tutta questa gente in uno spazio del genere? Bisogna fare queste cose secondo la legge. Io dico di aiutarci ad avere documenti regolari, e quindi un lavoro e la scuola per i bambini, poi per la casa ci penso io, la voglio poter pagare io".

Grandi disagi provocano anche le continue rotture delle fogne e le dimensioni estremamente esigue delle case-container: "Questa casa non è fatta per essere abitata per tanto tempo. I container sono troppo piccoli, non c'è lo spazio vitale". "Nel container non c'è spazio per tutti. È come abitare sempre fuori. Poi sono caldi in estate e freddi in inverno. I miei figli non stanno mai a casa: o vengono in giro con me oppure a scuola, a casa non c'è spazio per giocare e studiare". "Non c'è spazio dentro al container. Con 10 bambini qui come faccio?".

"Qui c'è un problema con le fogne. Si bloccano e qui si sente sempre puzza. Sono sempre rotte. Non si può stare così!" "Si otturano e non possiamo stare vicino e poi così possono portare anche le malattie! Noi dobbiamo ogni volta sbloccare le fogne che si otturano".

Le parole degli abitanti del campo di via Di Salone, sono le parole di persone deluse, arrabbiate, stanche. Stanche di una situazione che sta mettendo a dura prova anche la pazienza di chi abita questa zona. La presenza infatti, di comunità ed etnie diverse, ha portato gravi problemi di convivenza. Risse, liti, criminalità: "Aumentano sempre di più le persone e diminuisce lo spazio. Siamo come in un lager, tutti appiccicati e quindi si litiga di più. Qui dentro ci sono tante razze: montenegrini, bosniaci, rumeni; tutte le razze. Questo è un problema perché non siamo mai andati d'accordo con loro. Non siamo cresciuti con loro, non li conosciamo, non conosciamo il loro carattere. Poi si picchiano, fanno di tutto". "Al campo c'è troppa musica, sempre e troppo alta. Le persone litigano sempre e fanno risse violente. È pericoloso e mio figlio che sta male non può vedere quelle scene, piange e urla."

Hanno paura gli abitanti del campo di via Di Salone. Non ce la fanno più a vivere così. Vorrebbero essere aiutati, ma soprattutto, vorrebbero poter avere i documenti in regola, ottenere la cittadinanza e poter avere una casa in cui crescere i propri figli. Lavorare, avere i soldi per pagarla e potersene quindi andare da qui.

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Di Fabrizio (del 09/12/2010 @ 09:24:09, in Kumpanija, visitato 1599 volte)

Giovedì 16 dicembre ore 21.00
circolo Arci Ubik - via Deledda 21, Pessano con Bornago (MI)


Un incontro sui diritti del popolo rom e sinti, presentato da Arci Ubik e Amnesty International.

Interverranno:
- Dijana Pavlovic, attrice, mediatrice culturale e attivista politica romni. Dopo la laurea in Arti drammatiche a Belgrado, si trasferisce a Milano dove lavora per il teatro, il cinema e la TV. Dal 2009 è vice presidente della Federazione Rom e Sinti Insieme.

- Fabrizio Casavola, attivo da molti anni nella difesa dei diritti dei rom milanesi, ha fondato il blog Mahalla, sinti e rom da tutto il mondo. Cura la rassegna cinematografica Ho incontrato zingari felici al circolo Arci di Turro (via Rovetta 14; prossimo appuntamento, lunedì 20 dicembre con Train de Vie di R. Mihaileanu).

Per info:
● Amnesty Vimercate (gr108@amnesty.itwww.amnestygr108.org)
● Arci Ubik ( info@arciubik.it  - www.arciubik.it)

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Di Fabrizio (del 09/12/2010 @ 09:22:35, in Europa, visitato 1245 volte)

Da Romanian_Roma (i link sono in inglese)

Blog Amnesty USA

Questo post è parte della nostra serie Write for Rights

03/12/2010 - Circa 100 bambini, donne e uomini, sgomberati a forza dalle loro case sei anni fa dal governo rumeno, continuano a vivere in condizioni sporche e disumane. Senza nessun altro posto dove andare, sono stipati in piccole e sovraffollate baracche di metallo, proprio accanto ad un grande impianto di depurazione. Un cartello fuori dall'impianto ammonisce "pericolo tossico", ma le autorità hanno mancato di avvertire e le famiglie rom stanno soffrendo.

Le famiglie rom vengono dalla città rumena di Miercurea Ciuc, e nonostante il fatto che le autorità hanno detto loro che lo spostamento fosse solo temporaneo, sono passati sei anni e ancora non ci sono piani per rilocarli. Le rimanenti 75 persone vivono con soltanto 4 servizi igienici, 1 rubinetto per l'acqua e baracche che non forniscono protezione dagli elementi [naturali], cosa che da serie preoccupazioni per la stagione invernale, con temperature che scendono a -25 °C (-13 °F). Inoltre, le famiglie vivono nel raggio di 300 metri dai rifiuti tossici, cosa proibita dalla legge rumena. Molti Rom hanno espresso preoccupazione per la loro salute e quella delle loro famiglie, segnalando un odore terribile che aleggia costantemente nell'aria.

E' stato violato il diritto internazionale quando i Rom sono stati sfrattati a forza sei anni fa: alle famiglie non è stata data l'opportunità di ricorrere contro la decisione dello sgombero, e non venne data loro opportunità di impegnarsi nel processo decisionale. Nessuna notificazione scritta, che specificasse la data dello sgombero, venne data in tempo utile agli interessati, nonostante la legge rumena lo richiedesse. Inoltre, le condizioni attuali di vita non soddisfano il diritto umano ad un alloggio adeguato. Sfortunatamente, questo caso non è l'unico in Romania: i Rom sono stati frequentemente vittime di discriminazioni in tutta Europa, soffrono di alloggio, istruzione, sanità, acqua e servizi igienici inadeguati. Il Decennio dell'Inclusione Rom, avviato nel 2005 da otto paesi europei col sostegno internazionale, ha messo in luce le disperate condizioni dei Rom [...] in tutta Europa. Tristemente, a metà strada dell'iniziativa, rimane ancora molto da fare per assicurare diritti umani adeguati alla popolazione rom. Potete aiutare a fare la differenza partecipando al Global Write-a-Thon di quest'anno, ed inviando lettere alle autorità rumene, chiedendo che siano prese azioni per aiutare queste famiglie rom.

Jodi Rafkin, Romania Country Specialist, ed Elizabeth Stitt, Campagna per individui a rischio, hanno contribuito a questo post.

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