Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 26/07/2011 @ 09:35:49, in media, visitato 1496 volte)
Capisco che la mia domanda può sembrare retorica, ma ieri l'altro, con
l'incendio della stazione Tiburtina ancora in corso, i media hanno prima
ventilato che la responsabilità dipendesse da un attentato dei NOTAV e a sera
davano la colpa ad un furto di rame da parte (naturalmente!) di Rom. Per
stavolta si sono dimenticati degli estremisti islamici...
Il tutto mentre l'attentato di Oslo viene comunemente attribuito al gesto di
"un pazzo". E non mi è chiaro perché, se fossero stati musulmani sarebbe stata
strategia del terrore con collegamenti internazionali, se l'attentatore è
cristiano lui debba essere l'unico responsabile, e pure fuori di testa.
La domanda è, quindi, vi fidate ancora di questo mondo dell'informazione?
Di Fabrizio (del 25/07/2011 @ 09:39:32, in lavoro, visitato 1714 volte)
Da
Roma_Daily_News
Hurriyetdailynews.com
Circa 6.000 musicisti lavoravano a Sulukule, quartiere di Istanbul densamente
popolato da Rom, che una volta era centro di intrattenimento. I residenti furono
trasferiti dall'area circa due anni fa.
Un'agenzia statale si prepara a lanciare un progetto volto ad offrire più
posti di lavoro alla comunità rom in Turchia. Mentre i rappresentanti della
comunità danno il benvenuto alla proposta, si aspettano che i lavori siano a
loro "familiari"
Istanbul, 20/07/2011 - L'Agenzia Turca per l'Impiego, o İş-Kur, ha
annunciato un nuovo progetto inteso a creare più opportunità di lavoro per i
membri della comunità rom turca.
Il progetto si focalizzerà specificamente sulle province con alti tassi di
popolazione rom, ha detto Mustafa Biçerli, direttore capo di İş-Kur.
"Ora stiamo trattando con organizzazioni rom di 16 città differenti, come
Çanakkale, Edirne, İzmir e Tekirdağ," ha detto Biçerli all'agenzia
Anatolia. "I Rom sono tra gli svantaggiati nel trovare un lavoro, ma vogliamo
cambiare questa situazione."
Il progetto mira a creare corsi di formazione professionale per i membri
della comunità rom e fornire posti di lavoro garantiti ai partecipanti.
"La maggior parte dei Rom lavora senza sicurezza sociale. E' importante
offrire loro lavoro anche in altri settori," ha detto Biçerli.
Il tasso di disoccupazione tra i Rom turchi è del 97%, secondo Şükrü Pündük,
presidente dell'Associazione di Solidarietà e per il Mantenimento della Cultura
dei Rom di Sulukule.
"La maggior parte dei Rom sono musicisti, ed il resto raccoglie cartoni dalla
spazzatura," ha detto al telefono Pündük all'Hürriyet Daily News.
Circa 6.000 musicisti lavoravano a Sulukule, quartiere di Istanbul densamente
popolato da Rom, che una volta era centro di intrattenimento, dice Pündük,
aggiungendo che i residenti furono trasferiti dall'area quando questa venne
compresa in un processo di rigenerazione urbana nel 2009.
Lavorare in settori familiari
"Tutti quanti lavoravano là hanno perso il lavoro e da allora non hanno più
trovato nulla. Erano musicisti, per questo è importante trovare settori dove
possano svolgere il loro lavoro. E' importate anche per la nostra cultura," ci
ha detto Pündük.
Concorda
Erdem Gürümcüler della EDROM, o Federazione Rom di Edirne.
"Siamo molto lieti che İş-Kur voglia dare avvio ad un progetto
simile. Dovrebbero creare anche opportunità di lavoro per le nostre donne e i
giovani," ci ha detto Gürümcüler.
"I Rom sono gran lavoratori e se viene loro offerta l'opportunità faranno del
loro meglio," ha aggiunto. "Non sono solo musicisti e ballerini, ma è importante
notare che in questi campi hanno una lunga storia e necessitano più opportunità
di lavoro nella musica e nelle aree dell'intrattenimento."
Da
Roma_Daily_News
Cingeneyiz.org
Gökmen Dunar, presidente dell'"Associazione Solidarietà, Sopravvivenza e
Promozione Cultura dei Rom di Izmir Fayton", ha emesso una dichiarazione alla
stampa sulla sua esperienza all'Ospedale Rieducativo e di Ricerca a Tepecik. Vi
si è recato per verificare con i propri occhi, se le lamentele udite a proposito
di pazienti rom discriminati a causa della loro identità etnica fossero corrette
o meno.
Gökmen Dunar ha detto nella sua dichiarazione di essere andato all'ospedale
come un normale paziente rom. Dunar sostiene che i pazienti rom riconosciuti a
causa del colore della loro pelle, sono pedinati dal servizio di sicurezza per
paura che possano rubare qualcosa e che quando ci sono troppi pazienti rom,
l'altoparlante dell'ospedale annuncia: "Si prega di fare attenzione alle vostre
borse. Noi non siamo responsabili se sono rubate..." Dunar ha detto che
pure lui è stato discriminato dai dottori e dalle infermiere quando è stato
riconosciuto come Rom, e quando è andato dal direttore dell'ospedale per
spiegargli la situazione, questi non ha voluto parlare con lui. L'associazione
ha contattato diverse fondazioni pubbliche perché dessero luogo ad un'indagine
sull'ospedale.
I fatti dell'Ospedale Rieducativo e di Ricerca a Tepecik hanno suscitato
vaste reazioni tra gli zingari e tutti i cittadini sensibili. La gente si
aspetta che l'amministrazione dell'ospedale dia spiegazioni convincenti su
questi incidenti.
Per informazioni più dettagliate:
Gökmen Dunar
Tel: (90) 535 650 98 79
Di Fabrizio (del 24/07/2011 @ 09:07:23, in blog, visitato 2155 volte)
Luglio 2001, non ero in piazza a Genova, mi trovavo a casa mia. Da poco avevo un
collegamento internet, e fu forse il primo avvenimento che seguii da casa
praticamente in tempo reale (il secondo fu l'attentato alle torri gemelle, a
distanza di qualche settimana): vale a dire, le notizie arrivavano con un flusso
continuo tramite dirette radio, televisione, i primi siti online dei quotidiani,
i forum e i gruppi di discussione.
Proprio per questo, mi ricordo alcune cose di allora:
- la reazione di chi sentiva scosse le sue sicurezze di tranquillo
democratico in pantofole (siete per sempre coinvolti, diceva
qualcuno): qui siamo in Italia, queste cose non possono succedere. Magari in
Argentina, o in Iraq, o in Corea. Eppure succedevano, ma il nostro
cervello è più forte dei fatti e allora è come se ci fossimo autoconvinti
che fosse un film. Noi, la TV, i giornali, sapevamo – ma nel contempo
QUALCUNO NON VOLEVA SAPERE;
- ma già da subito chi voleva, sapeva. Molto più dei media ufficiali,
Internet iniziava a dimostrare le sua potenzialità con brutte foto scampate
ai manganelli, i forum dove chi scriveva aveva visto la mattanza con i suoi
occhi;
- come conseguenza (so di dire una cosa impopolare) il permanere,
l'evolversi di una forma di incomunicabilità: per cui le ragioni di chi
riusciva a vedere solo un esagitato armato di estintore non riuscivano ad
incontrarsi con quelle di chi descriveva il comportamento FASCISTA dello
stato, e viceversa.
Cosa resta, dopo 10 anni? E' lecito (pensando ai silenzi infiniti, ad
esempio, sulle strategie stragiste in Italia), aspettarsi VERITA' e GIUSTIZIA su
chi fu responsabile?
Per questo, occorre rendersi che molto è stato scritto, ma tutto ciò ha
soltanto mascherato un grande silenzio da parte di chi allora giocò un ruolo
determinante. Non parlo dei soliti politici, della "casta", parlo degli eroi
negativi di pasoliniana memoria; o meglio, vi invito a leggere questa riflessione
sull'Unità.
Vorrei aggiungere ancora qualcosa sul perché Genova è stata possibile,
nonostante anni di presunta democrazia in Italia
La civiltà e la democrazia di un popolo si giudicano da come tratta chi
non può difendersi. Non ricordo le parole esatte e chi le abbia dette, ma il
concetto è quello.
Sarebbe troppo semplice dare la colpa di quel che è successo alla polizia!
Dimenticandosi che dopo Bolzaneto ci furono realmente i poliziotti che dissero
che quello che era successo lì era uno schifo, o semplicemente che i poliziotti
li vedo tutti i giorni, dall’altra parte del banco alle file degli immigrati per
il permesso di soggiorno. Qualcuno riesce persino ad essere gentile, e non è
facile, quando hai davanti tutto il giorno chi non parla l’italiano e puzza
perché ha viaggiato tutta notte e forse è in coda da tre giorni per un pezzo di
carta!
QUESTO E' SOLO UN LATO DELLA MEDAGLIA.
Sembrerà poca cosa rispetto a 10 anni fa: nel 2008
Mahalla e soprattutto U
VELTO, provarono a denunciare un fatto simile. Avvenimento di portata minore
e col difetto di vedere vittime "solo degli zingari", il tutto passò nell'indifferenza quasi assoluta dei media e della rete. Eppure, i meccanismi repressori
erano molto simili, e discuterne allora forse avrebbe aiutato a riportare il
discorso su quanto avvenne a Genova.
E poi, mi ricordo al campo parecchi anni fa, X..., 18 anni appena compiuti, un
occhio nero, lividi e quattro denti lasciati in commissariato. D'accordo, X... non
era del tutto innocente, ma avremmo dovuto capirlo che se in caserma qualcuno
(chiunque) poteva essere conciato così, senza che nessuno fiatasse, prima o poi
avremmo sbattuto il muso su Bolzaneto. Anche allora (e più di adesso) NON
VOLEMMO SAPERE.
Da
Roma_Francais
La voix des rroms
"Nessuna grande nazione può restare a lungo in pace. Se non ci sono nemici
esterni, se ne troverà uno all'interno delle proprie frontiere, come un corpo
potente che sembra immune a qualsiasi infezione esterna, ma la la cui stessa
forza lo mina dall'interno." Tito Livio.
Ma cos'è successo l'estate scorsa e perché fu così spettacolare?
Il circo dell'Espulsione dei "rom" inizia con una profanazione
del paese ospitante: il saccheggio di una pasticceria di un borgo storico, sulle
rive dello Cher, da parte di un gruppo di uomini mascherati identificati come
"gens du voyage" e con il proiettile nel corpo di uno di loro, morto, proprietà
della "forza pubblica".
Poi, nel Palazzo, la riunione, del capo di stato, del primo ministro, dei
ministri della giustizia, dell'interno, dell'identità, e dei più alti
responsabili della polizia e della gendarmeria.
Due giorni dopo la dichiarazione da parte del Palazzo della "guerra
nazionale".
"Quelli della pasticceria" allora spariscono dai discorsi. Non ne resta che
la sagoma. Vale a dire, nessuno.
O tutti. Non resta che la figura generale del nemico.
O "la canaglia".
I bambini di strada.
Perché non importa ciò che sa la "forza pubblica" ed il Palazzo ignora:
dichiarare guerra alla "gens du voyage" è decidere la fine del circo. E'
decidere la propria perdita, giuridica ed operativa.
Insomma: è decidere la perdita reale dello stato.
E ci fu il grande pericolo per il "Palazzo" nel dichiarare guerra alla "gens
du voyage": da una parte perdere la legittimità della propria violenza,
dall'altro di perdere sul piano della violenza pura...
... Quando l'obiettivo cosciente degli autori dell'Espulsione dei rom
è la salute dello stato, per sua simulazione.
Là dove aumenta il risparmio, cresce anche il pericolo.
I mezzi per questa simulazione di sovranità tramite la guerra interna in un
territorio pericolosamente pacifico era, una volta la cifra in nuce
definita: la messa in opera di circolari prefettizie per "zone di difesa e
sicurezza".
Queste zone sono le parti di una divisione eccezionale del territorio,
la cui funzione è di ottimizzare la cooperazione delle unità di difesa civile e
militare, il coordinamento delle operazioni da parte del ministero, la
circolazione rapida e diretta di informazioni e comandi tra il dipartimento e lo
stato.
L'amministrazione di un territorio così frammentato è un'amministrazione in
guerra.
Ma chi è questo nemico su cui si abbatte lo stato? Un mostro di cui ogni
singola cella è il teatro d'una guerra civile (Carthill). Il suo nome
burocratico: "gli accampamenti illeciti". Il suo nome sussurrato in un lapsus
governativo: "i Rom".
Da dove viene questo mostro? Dalla fabbrica del governo: la Legge; dal lavoro
meticoloso di piccoli gruppi di burocrati che da oltre un decennio mettono
l'eccezione nella legge.
I nemici-simili dell'Espulsione dei rom
sono da una parte lo stato che si salva dall'estinzione mostrandosi come un
mostro miracoloso, dall'altra parte i corpi simulati detti "rom" che inghiotte e
vomita. L'espulsione è la sua ruminazione.
In realtà lo stato si abbatte su se stesso. Il circo maschera
il suo nulla.
Lo stato è la guerra civile. La sua simulazione, il suo coperchio, sono il
limite. Sul fil di questo limite marcia tutto nudo il sovrano suonando il suo
flauto. Ovunque: il pericolo di vuoto, i freddi abissi della sua caduta. Da un
lato del filo, la scomparsa delle istituzioni nel nulla, la pace più
pericolosa, dall'altro, l'annientamento nella violenza.
Attorno, tra la folla che alza gli occhi, i funamboli, candidati alle
elezioni, guardano la sua caduta imminente e si preparano a salire sul
filo...
I "rom" del governo sono quelli per cui suona dissonante il flauto.
I bambini di strada.
Non sono i Rom. Non sono questo popolo transfrontaliero in formazione: prima
minoranza nazionale d'Europa ed in larga misura concentrati nell'Europa
Centrale, che vuole la nazione senza frontiere.
Sono una frazione prelevata da questo numero. La frazione
"accampamenti abusivi" o Baracche.
Lo strumento del prelievo è una lama affilata. E' col filo di questo
coltello che i burocrati tagliano i simulacri dove affiora il nome "rom". Questo
filo è pure quello appoggia il passo titubante di un pastore che cammina su una
lama. Dovunque taglia questa lama, lo spettro della guerra civile si riversa
nella sua realtà: la fine del circo. Un filo che nelle loro circolari
viene nominato come la principale preoccupazione: la proprietà privata.
Le sue sezioni sono le Baracche.
Pierre CHOPINAUD
Il giornale di Vicenza VIAGGIO. Una giornalista dal Nord al Sud per
raccontare vite nel vento - 20/07/2011
Rom fotografati da Bianca Stancanelli sulla copertina del suo libro La
vergogna e la fortuna (Marsilio)
«Questo libro è un viaggio», dice Bianca Stancanelli, giornalista siciliana,
autrice de La vergogna e la fortuna, storie di rom (Marsilio, 2011). Un viaggio
in quella «galassia di minoranze» che sono gli zingari, ma anche nel loro
rapporto con i gagè, parola con cui la lingua rom, il romanés, indica i
non-zingari. Ladri, mendicanti, imbroglioni, bugiardi: cosa c'è oltre a quello
che di solito la gente pensa degli zingari? Bianca Stancanelli apre la porta del
ghetto sociale recintato dai pregiudizi, con il merito di descrivere scenari
nuovi, talvolta sorprendenti. Il reportage nasce, come racconta l'autrice, da
una tragica domanda. Nel 2007, a Livorno, quattro bambini rom bruciano nel rogo
della loro baracca. Eva, Danciu, Lenuca e Menji: 11 anni la maggiore, 4 il
minore. «Tutto ciò che il pubblico ministero vuole è tenere in prigione i
genitori dei bambini morti con l'accusa di abbandono e omicidio colposo. In
un'altra estate, in Sicilia, un padre stordito dall'afa dimentica nell'auto
arroventata suo figlio, che muore soffocato. Al padre, l'Italia offre una
sgomenta solidarietà e a nessun magistrato viene in mente di aggiungere al suo
strazio la pena della galera. Ma se quell'uomo fosse stato zingaro l'avremmo
perdonato?»
Gli zingari in Europa, unica minoranza presente in ogni Paese, sono stimati in
8-12 milioni. Secondo l'antropologo Leonardo Piasere, l'80% è ormai stanziale.
L'Onu li suddivide in rom, sinti, kalè, manouches e romanichals; l'Ue semplifica
in rom e sinti. In Italia sono 160mila. «Siamo tra i Paesi che ne hanno meno e
che più li odia», commenta Bianca Stancanelli.
Percorrendo l'Italia da nord a sud, l'autrice ci accompagna in case famiglia,
appartamenti di periferia, carceri, loft in quartieri rinomati per raccogliere
testimonianze di rom e sinti: miserabili, come le ladre recidive Susanna, Mina e
Vesna, o emancipati, come lo scultore Bruno Morelli o la regista Laura Haliovic.
Ogni capitolo esalta la soggettività dell'intervistato per estrarla
dall'universo indistinto in cui è confinata per propria o altrui volontà. Si
scansa sia il «lirismo di chi li descrive come il popolo del vento» sia la
«crudezza di chi li considera un rifiuto della storia». Una missione ambiziosa,
l'autrice lo sa. Non per niente una citazione di Hemingway verga l'inizio del
libro: «La cosa più difficile al mondo è scrivere una prosa assolutamente onesta
sugli esseri umani».
Bianca Stancanelli documenta con animo aperto e, si capisce, con il desiderio di
raccogliere storie di riscatto. Talvolta ci riesce, come quando scrive del
timido Baraba, ragazzo rom del campo di Ciampino impegnato nel servizio sociale,
benché spesso fermato dalla polizia in via preventiva: «'Ndo vai? A rubba'?»
Altre volte il tentativo di affrancamento va a vuoto: «Susanna ha cominciato a
rubare a 14 anni come scelta inevitabile. "Bello non è bello. Uno è costretto
dal fatto di non avere documenti e di non poter ottenere un lavoro regolare". È
una scusa per conferire una paradossale dignità alla scelta di vivere rubando?
Avverto una sottile irritazione serpeggiarmi sottopelle», scrive l'autrice, «il
dubbio che quell'insistenza sul pregiudizio antigitano sia, insieme, un alibi e
un ostacolo». Ma dietro i furti ci sono anche le infanzie negate, come quella di
Beda, classe 1990, che porta le cicatrici delle percosse: «Essere menati da tuo
padre se non rubi ed essere menati dalla polizia perché rubi». Beda è scappata,
ora vive in una casa famiglia e lavora in un magazzino.
L'AUTRICE analizza l'odio per gli zingari che da secoli circola e che ha trovato
sfogo, oltre che in innumerevoli episodi locali di violenza, nel grande
Porrajmos, il Divoramento, come gli zingari chiamano il tentativo di
annientamento sistematico che fu attuato contro di loro dai nazisti. «I rom sono
un popolo-termometro: misurano la febbre della società», dice Stancanelli.
Verona, cui l'autrice dedica un intero capitolo, vive l'esperienza emblematica
che culmina nel campo di Boscomantico, chiuso nel 2008 per volere della
neoeletta amministrazione guidata dal sindaco Flavio Tosi: allora un politico di
provincia, oggi star televisiva e astro nascente della Lega. Per alloggiare le
famiglie sfollate, ricorda Bianca Stancanelli, «il Centro Don Calabria lancia un
appello alla "Verona che non volta le spalle": invita a offrire case per i rom,
si fa garante del regolare versamento dell'affitto. Ma nella cattolicissima
Verona, su 250mila abitanti rispondono in due». Altri immobili sono messi a
disposizione da associazioni benefiche. «Ma riuniti dal prefetto, i sindaci del
Veronese reagiscono: io non gli do la residenza, non li iscrivo all'anagrafe».
Commenta l'autrice: «C'è nella violenza di quei rifiuti un eccesso di ostilità
che è difficile non chiamare razzismo».
Nel 2001 un gruppo di leghisti veronesi — Flavio Tosi, sua sorella Barbara Tosi,
Enrico Corsi, Luca Coletto, Matteo Bragantini e Maurizio Filippi — promuove una
campagna politica con lo slogan: «Firma anche tu per mandare via gli zingari».
L'operazione, denunciata in procura da movimenti a difesa dei nomadi, viene
giudicata di stampo razzista in primo grado dal Tribunale di Verona nel 2004. La
condanna — pur con le attenuanti, confermata in Cassazione nel 2009 — è stata
sospesa. Ma in una recente intervista al quotidiano cattolico Avvenire, dopo
l'udienza in Vaticano concessa dal Papa ai rom, Tosi si è preoccupato di
dichiarare che quella degli zingari «è una scelta di vita che va rispettata,
purché siano rispettate le regole». Per esempio, «mandino i figli a scuola». E
un rom che chiede offerte suonando sul marciapiede «non è un accattone, ma un
artista di strada», basta che non molesti i passanti e che sviolini prima del
coprifuoco. «In questo caso, ben venga», parola del nuovo Tosi buonista.
Il problema c'è, ma la ghettizzazione non lo risolve. Un futuro giusto per
tutti, secondo l'autrice, può camminare solo sulla strada dell'integrazione.
Bisogna cogliere il germoglio di cambiamento che già esiste. Un segnale che
viene soprattutto dalle donne. Dice Bianca Stancanelli: «È uno scenario
insospettabile di femminismo gitano: la lotta di donne che vogliono cambiare la
loro vita e si trovano contro la famiglia di tradizione maschilista e poi,
compatta, anche la società italiana». Questa volontà di rinnovamento è speranza
di un destino migliore per i giovani: «Ci sono ragazzi e ragazze che provano a
incamminarsi su un percorso di legalità e, per farlo, si mettono contro il
proprio clan. Se alla fine non succede nulla, perché senza uno straccio di
documento nulla può succedere, tornano al campo sconfitti, umiliati. E finiscono
risucchiati dall'illegalità. Penso ai bambini che trovano violenza dentro e
fuori dal campo, cui la vita deve sembrare precocemente una trappola. Penso che
dobbiamo salvarli, farlo presto. E sarà comunque tardi».
Lorenza Costantino
Di Fabrizio (del 21/07/2011 @ 09:53:31, in lavoro, visitato 1279 volte)
Segnalazione di Alberto Maria Melis
MODAFFERI:
"VORREMMO TORNARE A GARANTIRE CONTINUITÀ LAVORATIVA"
Reggio Calabria - Non disperdere il patrimonio di competenze acquisite nel
settore della raccolta dei rifiuti solidi ingombranti, la preziosa esperienza di
integrazione lavorativa dei Rom a Reggio Calabria, il modello virtuoso, primo a
Reggio, di riutilizzo sociale dei beni confiscati alla ndrangheta. Questo
l'appello lanciato da tempo dalla cooperativa Rom 1995 guidata da Domenico Modafferi ad Istituzioni e cittadinanza quando, lo scorso anno non fu prevista
la condizione di subappalto dello smaltimento dei rifiuti ingombranti
nell'ultimo bando indetto dal comune di Reggio Calabria.
Rassicurazioni furono rivolte e adesso, che non si riesce più a garantire la
continuità lavorativa di prima, sarebbe tempo di rassicurazioni concrete e di
risposte. Qualche spiraglio si è aperto nei mesi scorsi con due delibere,
concretizzatisi poi in convenzioni, dell'allora Giunta comunale Raffa, nelle
quali l'esecutivo comunale di Reggio rispondeva solo in parte alle promesse
formulate in più occasioni in passato. Si tratta dell'impegno di affidare il
servizio di sgombero di uffici comunali o di competenza comunale, tra cui anche
quelli giudiziari, ossia il servizio di raccolta e smaltimento di componenti di
arredo fuori uso. Contratto sottoscritto che ha lavoro, pur se occasionalmente,
ai 18 dipendenti della cooperativa per un mese circa. Si tratta di una
situazione ancora afflitta da precarietà, atteso che sono gli uffici comunali a
dover avanzare una richiesta affinché si possa lavorare. L'altra delibera,
invece, attiene alla specializzazione dell'isola ecologica che attende di
diventare punto di conferimento di rifiuti apparecchiature elettriche e
elettroniche (RAEE) provenienti da rivenditori e commercianti.
La cooperativa Rom 1995, comunque, ha compiuto passi importanti non solo dal
punto di vista dei servizi erogati alla cittadinanza ma anche sotto il profilo
della dimensione educativa cui da sempre aspirava con l'apertura alle scuole e
alle giovani generazioni affinché conoscessero questo modello di integrazione
sociale e lavorativa e di sostenibilità ambientale e questa esperienza di
restituzione alla collettività di un bene sottratto a famiglie dedite al
malaffare.
Dunque sottoscritto a marzo un accordo con l'assessorato all'Ambiente della
Provincia di Reggio Calabria, retto da Giuseppe Neri, per favorire
l'informazione in materia di educazione ambientale. La cooperativa dunque ha
avviato una fruttuosa collaborazione con il Laboratorio territoriale di
Educazione ambientale della Provincia di Reggio Calabria. Il protocollo d'Intesa
siglato impegna alla realizzazione congiunta del progetto “La tutela
dell'ambiente attraverso un percorso di integrazione sociale”, finanziato dalla
Provincia e che contempla diversi ambiti: il rafforzamento delle attività della
stessa cooperativa mediante una migliore gestione ambientale dei cicli
lavorativi e un aumento della sicurezza per i lavoratori; la collaborazione
della Cooperativa sociale Rom 1995 con il Laboratorio territoriale di educazione
ambientale della Provincia di Reggio Calabria per le attività di formazione
rivolte ai cittadini ed alle scuole del territorio provinciale ed
all'aggiornamento periodico del sito istituzionale “infea.provincia.it” con
contributi in tema di riciclo e recupero dei rifiuti e di sviluppo sostenibile;
l'attuazione, all'interno della propria sede, ospitata all'interno di un bene
confiscato alla 'ndrangheta percorsi informativi e visite guidate rivolte a
gruppi di cittadini e a scuole del territorio.
Un riconoscimento importante alla cooperativa Rom 1995, solo un altro passo
verso quella rinascita che da tempo si auspica, affinché le buone prassi non
vadano disperse ma tutelate e diffuse.
Anna Foti - Lunedì 18 luglio 2011 Ore 15:01
Di Fabrizio (del 21/07/2011 @ 09:40:18, in lavoro, visitato 1260 volte)
Da
Czech_Roma
ryz, translated by Gwendolyn Albert
L'azienda Frutana Gold a Frıdek-Místek opera da oltre 15 anni ed è stata
premiata il mese scorso col certificato Ethnic Friendly Employer. La ditta
produce e distribuisce soprattutto patate sbucciate e bollite, ma ha iniziato
anche l'elaborazione di altre verdure. Pochi si rendono conto conto che oltre il
50% dei 25 dipendenti della compagnia sono Rom.
"All'inizio anche noi eravamo preoccupati, come molte ditte nella Repubblica
Ceca, sull'impiegare dei Rom, ma col tempo ci siamo convinti che vogliono
lavorare, che lavorano davvero onestamente e bene, se dai loro un'opportunità
per mettersi alla prova. Siamo lieti di poter dare un esempio agli altri
cittadini ed imprese e contribuire a migliorare la mutua convivenza," ha detto
Zdeněk Majer, CEO della compagnia.
L'azienda processa ogni mese oltre 100 tonnellate di patate ed altre verdure.
Quest'anno ha iniziato la produzione la sua affiliata in Slovacchia, che pure si
sta sviluppando con successo.
Majer si è recato a Praga per il conferimento del premio, assieme ad un
piccolo gruppo di dipendenti rom, che hanno ringraziato il loro capo. Il video
della cerimonia (solo in lingua ceca) è disponibile su
RomeaTV.
Di Fabrizio (del 20/07/2011 @ 09:04:34, in Europa, visitato 1335 volte)
Da
Bulgarian_Roma (i link sono in inglese, ndr)
East of Center - BY BARBARA FRYE - JULY 11TH, 2011
11/07/2011 - Un amico mi ha appena inviato una
dichiarazione riguardo ad una recente visita in Bulgaria di una funzionaria
ONU, per vedere cosa sta facendo Sofia per migliorare il miserabile destino dei
Rom nel paese. Persino le persone che hanno molto a cuore questo problema,
potrebbero essere perdonate per non essere tentate di leggerla. Dopo tutto,
quante volte sentiamo di un'altra condanna di un paese est-europeo da parte
di un osservatorio dei diritti umani, per aver lasciato languire nella miseria e
nell'ignoranza una parte della sua popolazione - ed ancora mantenere l'illusione
che forse quel governo si impegnerà?
Ma questa versione è particolare. Potete sentire Gay McDougall, esperta ONU
su questioni delle minoranze, stracciare i confini del linguaggio diplomatico,
mentre cerca di esprimere disgusto e frustrazione dopo una settimana in
Bulgaria.
Sofia potrebbe dire le cose giuste, ma lo fa poco, dice essenzialmente McDougall.
"In gran parte molte politiche sembrano rimanere solo promesse retoriche rivolte
ad un pubblico esterno - impegni ufficiali non soddisfatti nella pratica. ... Le
discussioni con le agenzie responsabili, come il Ministero dell'Istruzione e
quello del Lavoro e delle Politiche Sociali, hanno rivelato un impegno
superficiale con scarse programmazione, controllo e valutazione," dice l'esperta
indipendente.
Il governo troppo spesso lascia a qualcun altro il lavoro pesante:
"Le iniziative che sono state intraprese per trasportare giornalmente
i bambini a frequentare le scuole miste fuori dai ghetti rom, fornendo pasti
e servizi di supporto agli studenti, sono state in gran parte realizzate da
un piccolo numero di OnG rom con scarse risorse, la parte del leone di
questi finanziamenti viene da fonti internazionali, accompagnati da una
piccola percentuale di contributi governativi. Queste OnG sopportano gran
parte del carico di attuare le politiche di desegregazione che il governo
approva ma non riesce a mettere in pratica."
Anche i funzionari locali che McDougall loda per aver tentato di migliorare
il destino dei Rom e di altre minoranze, sono spesso ostacolati da mancanza di
fondi o di supporto da parte di Sofia.
Dovrebbe essere irrilevante, lo so, ma Gay McDougall è una donna di colore
degli Stati Uniti. Secondo la sua biografia su Wikipedia, è nata nel 1947 ad
Atlanta e "fu scelta per essere la prima studentessa nera ad essere integrata
nell'Agnes Scott College di Decatur, Georgia."
C'è qualcosa di sorprendente per come lei descrive i giorni più bui nel Sud
di Jim Crow in
un'intervista del 2008, apparsa sul sito web della facoltà di legge
dell'università della Virginia:
"Abbiamo creduto allora che la nostra situazione fosse unicamente
tragica," scrive McDougall. "Spesso guardavamo alla comunità internazionale
con la speranza che in qualche modo il mondo al di là di questo paese
operasse con regole diverse. Avevamo torto e ragione nel contempo."
Non è passato così tanto tempo da quando la gente nel paese natale di
McDougall (e nel mio) si sentiva libera di fare le sue osservazioni sui neri
americani, che oggi si fanno sui Rom: che sono criminali, non puliti, non
interessati nell'istruzione, più adatti a lavori o traffici di fatica, ecc.
Riguardo il suo viaggio in Bulgaria, si legge nella dichiarazione: "L'esperta
indipendente è profondamente preoccupata per i commenti, per esempio, di alcuni
funzionari di alto livello, che indicano chiaramente il loro punto di vista
sulle comunità rom come elementi prevalentemente criminali nella società
bulgara."
Ho raccolto confidenze di molte persone bianche dell'Europa dell'Est, che si
sentivano libere di condividere con me la brutta "verità" sui Rom (e
probabilmente si sentiranno in dovere di rispondere a questo post). Ma mi
succedeva anche negli USA. Sono bianca, così si suppone che debba essere
d'accordo. McDougall non è bianca, ma non è una Romnì, quindi forse riguardo ai
"funzionari di alto livello" si riferisce alla Bulgaria. Ma a chi si pensa che
stia parlando? Che dire della "gente" di questa donna soltanto 50 anni fa? Lei è
una lezione di storia che vive e respira loro in faccia, se riuscissero a
vederla per tempo.
Di Fabrizio (del 20/07/2011 @ 09:03:07, in casa, visitato 1823 volte)
Il giornale di Vicenza 19/07/2011 NOMADI. L'assessore Giuliari ha chiesto ai
tecnici del Comune di individuare un'area adatta (notizie
precedenti NDR)
Il campo nomadi di via Cricoli
Il recente sequestro di un terreno agricolo in via Mantovani da parte della
polizia locale di Vicenza, e i dubbi conseguenti che fosse destinato a diventare
un campo nomadi, hanno riportato alla ribalta la questione dell'ospitalità alle
famiglie Sinti e Rom che vivono nel capoluogo.
Si torna a parlare, in particolare, della riqualificazione dei campi di via
Cricoli e di via Diaz, dove vivono rispettivamente una trentina e una decina di
famiglie. Il Comune ha ricevuto un finanziamento ministeriale di 400 mila euro
per i lavori, che naturalmente potranno essere avviati solo dopo che le famiglie
verranno temporaneamente spostate in un altro luogo.
«Sto aspettando una proposta da parte della struttura comunale - spiega
l'assessore Giovanni Giuliari - che suggerisca una soluzione, cioè un'area dove
accogliere le famiglie in via temporanea. Una cosa del genere è già stata fatta
quand'era assessore Sante Sarracco, allora venne utilizzata l'area in via
Cairoli dove ora c'è il parcheggio». Dopo la riqualificazione, il campo di via
Cricoli sarà necessariamente più piccolo «e non può essere altrimenti - dice
Giuliari - altrimenti rischiano di cadere nel fiume. Alcuni nuclei hanno già
trovato collocazione in un'abitazione, vedremo al momento come risolvere la
cosa». L'assessore sottolinea il positivo percorso fatto con le famiglie:
«Abbiamo fatto installare, e ringrazio Aim per la collaborazione, dei contatori
dell'energia elettrica, uno per ciascun nucleo, in modo che ciascuna famiglia
paghi ciò che è giusto. Abbiamo fatto degli incontri per dare le opportune
istruzioni. Non solo: ci sono stati due inserimenti lavorativi di giovani Sinti
in aziende, stanno andando molto bene. Collaboriamo con scuole e volontari per
seguire i bambini, anche dal punto di vista igienico. Con le famiglie del campo
abbiamo fatto un patto: basta atti contro la legge. Lo stanno rispettando. Mi
aspetto che ci siano polemiche - conclude Giuliari - ma vogliamo che la nostra
sia la città dell'accoglienza».
G.P.
Di Fabrizio (del 19/07/2011 @ 09:43:34, in scuola, visitato 1407 volte)
Terre di Mezzo
Dieci bambini di un campo nomadi a Milano diventano allievi dell'artista
Adolfo Chiesa. Un laboratorio low cost e all'insegna della sostenibilità, con
l'ambizione di diventare per i ragazzi, in futuro, una vera opportunità di
lavoro.
Piccoli artigiani crescono, alla scuola elementare di via Palmieri. È qui che
Joyce, Giada, Davide, Valentina e altri sei ragazzini rom del campo di via
Chiesa Rossa frequentano le primarie. Anche se alcuni di loro hanno già superato
gli 11 anni. Questo pomeriggio non sono a scuola per imparare italiano o
matematica, ma per frequentare un corso di mosaico (guarda il video). Insieme a
loro ci sono operatori ed educatori di Progetto A, la cooperativa che
gestisce il campo nomadi alla periferia sud di Milano. "Per affrontare le difficoltà che
i ragazzi hanno nell'apprendere a leggere e scrivere, abbiamo deciso di partire
da un'attività manuale", spiega Davide Castronovo, il responsabile del campo.
Ecco perché è nato il laboratorio, un'idea innovativa che potrebbe segnare una
nuova direzione nelle politiche del Comune di Milano nei confronti dei rom.
"Abbiamo intenzione di regalare un lavoro realizzato dai ragazzi alla nuova
amministrazione", dice Castronovo. Un segno di buon auspicio per le
collaborazioni future e un modo per abbattere quel muro che divide i ragazzi dei
campi dalla città che vive al di fuori.
È un venerdì di fine giugno, l'ultima lezione del corso. "Ragazzi venite qui",
chiama un uomo alto e magro, vestito con una camicia verde, a fiori. La barba
incolta e il codino canuto tradiscono un animo da artista: è Adolfo Chiesa, il
maestro dei bambini nel laboratorio. "In venti ore di lezione siamo riusciti già
a fare quattro mosaici", annuncia soddisfatto.
La tecnica che propone Adolfo Chiesa nei suoi laboratori è innovativa. Serve una
stampa della figura che si vuole realizzare e tanti tesserini di qualunque
materiale: ceramica, terracotta, ma anche bottoni, pagliericcio e tutto ciò che
è riciclabile. Dipende solo da ciò che si vuole realizzare. "A questo punto si
smussano le tesserine del mosaico e si lavora a secco, posizionandole a testa in
giù, come a ricomporre un puzzle", spiega Adolfo Chiesa. L'anima in cemento
armato dei mosaici li rende perfetti come innesto architettonico. Si può
guardare il lavoro in itinere, levando da sotto il mosaico la stampa. "In questo
modo - prosegue il maestro di mosaico - i bambini si rendono conto di quanto
stanno facendo e prendono entusiasmo". Sono vent'anni che Adolfo Chiesa viaggia
in tutti i continenti a diffondere i suoi insegnamenti: "È un modo per abbellire
il mondo con i rottami. E non è poco, vero?". Con il lavoro manuale, i bambini
hanno in mano un oggetto fisico, una traccia duratura del loro lavoro. "Vogliamo
proporre questa attività anche al campo rom, il prossimo anno, in modo che anche
i genitori possano partecipare alla realizzazione dei mosaici", dice Castronovo.
Chissà, un giorno per qualcuno potrebbe diventare una professione redditizia, al
posto che andare a raccogliere il ferro, com'è scritto nel destino di molti
ragazzi rom in tutta Italia.
Ed è pure un laboratorio low cost. Se si escludono le ore di stipendio pagate
agli educatori e ad Adolfo Chiesa, i costi per i materiali non superano i 300
euro. "Dato che i lavori sono gradevoli - aggiunge il responsabile del campo rom
Davide Castronovo - speriamo di poter vendere questi prodotti ad un circuito di
amici sensibili a questo tipo di attività e con il ricavato rifinanziare il
laboratorio per l'anno prossimo". Che sia l'inizio di un nuovo corso nei campi
nomadi di Milano?
Testo: Lorenzo Bagnoli per Redattore Sociale
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