Di Fabrizio (del 12/10/2011 @ 09:42:05, in sport, visitato 1566 volte)
Uno dei miti di quando ero bambino: Dragan Džajić, stempiata ala sinistra della
nazionale jugoslava, che nel 1968 vidi perdere l'Europeo di calcio contro
l'Italia (foto tratta da
Aoutravisao.wordpress.com)
Settimana scorsa gli occhi degli appassionati di calcio erano puntati sulla
partita Serbia-Italia, e molti esprimevano le loro giustificate
preoccupazioni, visto cos'era successo nella partita dell'andata a Genova.
Ricordate?
Come accade spesso parlando dell'Europa dell'est, la Serbia per i nostri
mezzi d'informazione diventa il capro espiatorio di una situazione di disagio
comune a tutta la regione. E di una serie di spinte politiche-sociali
"giocate" dagli attori più controversi, incapaci di scegliere i loro futuri
padroni, mentre continuano le faide riemerse da un passato di oltre 70 anni fa.
Insomma lo sport è la cartina di tornasole del vaso di Pandora che si è
aperto oltre 20 anni fa con la caduta dei regimi di allora, spesso
impresentabili ma che erano un fattore di stabilità. Rimane, come al tempo della
cortina di ferro, un elemento di lotta nazionalista, vedi i recenti (esagerati)
entusiasmi per la conquista del titolo europeo di pallavolo della Serbia. Ne
scrive quest'articolo di
Repubblica.
Ma, proprio perché Repubblica s'è distinta spesso in polemiche
anti-serbe, ripeto: la Serbia è solo un pezzetto dell'ennesimo puzzle
balcanico.
Dove ogni singolo stato è differente, per storia, popolazioni, economia ecc.
ma i fenomeni sociali si rimbalzano similmente, quasi ci fosse un tam-tam da un
paese all'altro:
In
Bulgaria, sono stati ancora i tifosi di calcio a dare inizio alle
violente manifestazioni anti-rom, che si sono diffuse rapidamente a macchia
d'olio in tutto il paese. Gli sciacalli, gli ultra-nazionalisti di Ataka intendo, si sono fatti vivi solo a cose fatte, giusto in tempo per rivendicarsene il merito.
Altri tre esempi li trovo citati in Osservatorio dei Balcani e Caucaso:
In
Bosnia Erzegovina (che per fare da contrappunto alla "cattiva"
Serbia, consideriamo per pigrizia come uno stato vittima della storia),
le partite di calcio tra squadre di calcio che "rappresentano" etnie
diverse, si svolgono in un clima di emergenza continua. Appena un attimo più
calma la situazione in Croazia, ma anche lì il calcio è terreno di scontro
di interessi contrapposti, e relative violenze.
In
Kosovo anche lo sport vive una sua situazione particolare di isolamento,
specchio delle sue contraddizioni politiche. Sempre dal Kosovo, si ricorda
come anche
la nazionale serba di pallavolo venga arruolata nell'oltre decennale
conflitto etnico, ancora non pacificato. Come accade spesso leggendo gli
articoli di Osservatorio dei Balcani e Caucaso, bisogna anche
scorrere i commenti per avere il quadro delle polemiche che si ripetono da
decenni come un vecchio ed abusato copione.
Considerazioni finali:
Non solo in Italia, ma anche nei Balcani, parlare di sport purtroppo
prescinde dalla bontà della sua pratica, per portarci ad esaminare gli
sporchi interessi che stanno dietro.
Ciao a tutt*, vi inoltro per conoscenza la lettera che ho spedito al gruppo Pam
dopo aver assistito ieri ad un episodio di razzismo nel supermercato Metà di Via
Madama Cristina angolo Via S.Pellico, a 100 mt da P.za Madama nel quartiere
S.Salvario a Torino. Fate girare il più possibile e cerchiamo di boicottare il
negozio, il razzismo è una piaga sociale da combattere sempre e ovunque.
Gentile Servizio Clienti,
ieri 6/10/2011 alle ore 13.15 circa mi trovavo in un supermarket del vostro
gruppo, ovvero il Metà di via Madama Cristina angolo via Silvio Pellico; ero
alla cassa del supermarket e mi apprestavo a porre i prodotti sul carrello
scorrevole della cassa, quando dall'ingresso è entrata una signora Rom con sua
figlia. Con totale sbigottimento da parte mia e degli altri clienti. la cassiera
ha lasciato le sue mansioni e si è messa davanti alla signora impedendole di
entrare, adducendo come motivo il fatto che <<Quelli come lei>> non possono
entrare nel supermercato. La signora, che voleva solamente acquistare dei
pannolini per il suo bebè era sbigottita e confusa. Mi sono rivolto quindi alla
cassiera chiedendole se lei aveva visto nello specifico la signora rubare
all'interno del locale, ricevendo come risposta un "No",e, nonostante facessi
notare che si stava compiendo del becero razzismo identificando il comportamento
di un singolo qualunque come di tutta un'etnia o un popolo, la cassiera
irremovibile non faceva entrare la signora. In quel momento, vedendo la
situazione di umiliazione negli occhi di questa signora, ho posato la merce
sulla cassa e me ne sono andato, certo che in quel supermercato non ci tornerò
più e anzi, farò di tutto affinchè altre persone mie conoscenti non si rechino
in quel luogo.
Questo comportamento mi ha ricordato anni bui della nostra storia, raccontati da
mio nonno, quando si impediva l'ingresso nei locali "agli ebrei e ai cani" o
quando, nella Torino anni '60, comparivano i "non si affitta ai meridionali"
sugli annunci immobiliari, tutte cose che non hanno insegnato nulla se esistono
ancora oggi, nel 2011, episodi di questo tipo.
Mi preme ricordare inoltre che è vietato per legge non fare entrare una persona
all'interno di un luogo aperto al pubblico, per qualsiasi motivo.
Cordialmente,
Simone Pallaro
TOL 03/10/2011 - Reporter bulgara bersaglio su Facebook per la copertura
delle violenze etniche Mirolyuba Benatova
Le tensioni etniche che hanno preso piede in Bulgaria (vedi
QUI ndr) hanno portato ad un incidente online particolarmente brutto.
Una delle prime giornaliste ad occuparsi dei disordini a Katunitsa, Mirolyuba Benatova
per bTV, ha detto che la sua pagina Facebook è stata cancellata dagli
amministratori del sito dopo che qualcuno s'era lamentato definendola
"dannosa ed offensiva".
Mentre la sua pagina veniva cancellata, la giornalista subiva "una settimana
di terrore verbale, odio, intimidazioni e dichiarazioni apertamente antisemite"
in un'altra pagina sempre su Facebook, dal titolo
Mirolyuba Benatova
Nemica del Popolo Bulgaro, commenta "Omicidio
su Facebook" postando sul sito web della società civile Online Parliament.
Il grilletto è stato la caratterizzazione su bTV dei manifestanti e dei teppisti
del calcio che hanno distrutto le proprietà del boss rom.
"Hanno chiesto che mi scusassi perché avevo chiamato quanti loro vedevano
come rappresentanti della società civile -tifosi di calcio che si sono
comportati oltraggiosamente-. Ragazzi che si erano fotografati mentre facevano
saluti nazisti di fronte alla fiamme, chiedevano che dicessi che loro erano
cittadini giustamente arrabbiati."
I tifosi di calcio sono stati al centro dei disordini che si sono scatenati
il 23 settembre quando un uomo è stato investito ed ucciso da un minivan. Il
conducente era legato a
Kiril Rahskov, Rom ritenuto un boss della mafia. Nelle proteste che sono
seguite, persone descritte come hooligan hanno dato alle fiamme le proprietà di
Rashkov nel villaggio centro-meridionale di Kanunitsa. Ci sono state
manifestazioni in tutto il paese, la polizia ha arrestato circa 350 persone.
Anche i fan dello Zenit St. Pietroburgo hanno potuto dire la loro sulla
questione. In una partita casalinga, hanno issato uno striscione che recitava,
in bulgaro: "La Bulgaria è per i Bulgari, non per lo sporco" come scrive
novinite.com.
Non è chiaro se i fan fossero russi o bulgari.
Due giorni dopo, secondo le agenzie stampa, sostenitori del Politechnica Timisoara,
squadra rumena di seconda divisione, hanno innalzato uno striscione con la prima
strofa di un popolare motivo bulgaro del XIX secolo: "Alzati, alzati eroe dei
Balcani! Vai, Bulgaro!"
Domenica 2 ottobre ha visto a Sofia ed altrove tanto marce per la pace che
proteste anti-rom. Circa 5.000 tifosi di calcio e studenti si sono riuniti in
una piazza nel centro di Sofia, per protestare contro quella che chiamano
l'inazione del governo contro il crimine.
Di Fabrizio (del 11/10/2011 @ 09:35:12, in Europa, visitato 1605 volte)
Da
Czech_Roma Non ci sono solo le manifestazioni violente in Repubblica Ceca (QUI
e
QUI le cronache più recenti), ma un atteggiamento generale che fa da
corollario
Romea.cz Praga, 3.10.2011 21:07, David Tišer: un club praghese non ci fa
entrare, lo boicotteremo David Tišer, translated by Gwendolyn Albert Le opinioni pubblicate nella sezione Commenti non riflettono necessariamente
il punto di vista o le opinioni dei giornalisti del server news Romea.cz o
dell'associazione civica ROMEA
David Tišer: Rom ed attivista per i diritti dei gay
Sei di noi - due ragazzi e quattro ragazze - recentemente hanno tentato
di entrare nel club "Retro", quartiere praghese di Vinohrady. Stavamo passando
attraverso il ristorante, dove era seduto il proprietario, quando un buttafuori
è corso sulle scale. Il buttafuori ha dato un occhio alla nostra
identificazione, gli è occorso un attimo per accorgersi che eravamo in sei.
Quando ebbe in mano la carta d'identità di una ragazza di Pilsen, cominciò a
lamentarsi che le persone di quella città la settimana prima avevano creato
confusione nel club. Gli abbiamo chiesto cosa centrassimo noi. Gli ho anche
fatto capire che tutti gli altri erano praghesi.
Il buttafuori ha iniziato a fare commenti "discreti" sul nostro conto, ad
esempio: "Ci sono stati molti ladri qui ultimamente", ecc. Ha rifiutato di farci
entrare. Non ha detto direttamente che lo faceva perché eravamo Rom, ma era
chiaro dalle sue giustificazioni che la nostra etnia ne era il motivo. Mentre
era occupato con noi, la gente entrava ed usciva continuamente, nessuno di loro
era Rom.
Sono andato a lamentarmi al bar, ma la barista mi ha detto che era tutto
inutile e dovevamo andarcene. Volevo che chiamasse il proprietario, che era
seduto al bar, ma lui ci ha fatto sapere di non avere tempo per noi.
Ho chiamato la polizia, l'ufficiale che è arrivato sin dall'inizio ha
affermato che non c'era nulla da fare. Ci ha accompagnato per negoziare col
buttafuori, che improvvisamente ha iniziato a sostenere che non poteva farci
entrare, perché era in corso una festa privata di compleanno. Gli ho detto che
se lo stava inventando, perché altri miei amici erano già dentro e non sapevano
niente di questa festa. La sua risposta: "Bene, se hai degli amici lì, non
lamentarti che non vi vogliamo perché siete Rom."
Ho risposto: "I miei amici non sono Rom - abbiamo molti amici che non lo
sono."
Il buttafuori insisteva che non potevamo entrare. Il poliziotto ci diceva che
non poteva fare nulla perché il club era privato.
Mentre il poliziotto era presente, il buttafuori non ha permesso a nessun
cliente (tutti non-Rom) di entrare nel club, per attenersi alla sua storia di
una festa privata di compleanno. Dopo chela polizia se n'è andata, ha lasciato
passare nel club tutti i "bianchi". Ce ne siamo andati anche noi.
Sono arrabbiato perché ci sono stati diversi eventi che si sono tenuti al
club "Retro", organizzati sia da associazioni rom che pro-rom.
Ovviamente, il proprietario è stato pagato per l'uso dello spazio. E' chiaro che
per lui i soldi odorino di buono - ma quando la gente rom vuole entrare nel suo
club per divertirsi come chiunque altro, d'improvviso non andiamo più bene.
La prossima volta il Retro non ci andrà più bene. Singoli ed associazioni non
devono più tenere lì i loro eventi. A Praga ci sono abbastanza imprese che
sapranno apprezzare sia i soldi che le persone che li offrono, Rom inclusi.
Di Sucar Drom (del 10/10/2011 @ 09:32:02, in blog, visitato 1414 volte)
Buccinasco (MI), non c'è pace per il Terradeo...
...che è un "quartiere" di Buccinasco (altrove verrebbe definito un campo
"nomadi', ma che nomadi sono? se ci stanno da oltre 30 anni, con regolare
contratto col Comune), pulito ordinato, abitato da un'ampia famiglia di giostrai
sinti, italiani, buccinaschesi, difesi da ogni Amministrazione, di destra, di
centro, di sinistra...
CoE, dichiarazione finale del Summit of Mayor on Roma and Sinti
Comunicato stampa, Strasburgo 22 settembre 2011. In una dichiarazione finale
adottata dal primo Vertice europeo dei sindaci a Strasburgo, i partecipanti da
47 paesi membri del Consiglio d'Europa hanno confermato la loro determinazione a
sostenere ulteriori azioni per migliorare l...
Mantova, In Other Words
Si terrà il 6 ottobre la conferenza internazionale In Other Words (in altre
parole), presso l'Aula magna della Fondazione Università di Mantova. L'obiettivo
della conferenza è discutere di stereotipi, rappresentazione delle minoranze e
media. Per informazioni e iscrizione: Matteo Bassoli...
Cambia il procedimento per l'azione giudiziaria civile anti-discriminazione
Dal 6 ottobre cambia il procedimento per l'azione giudiziaria civile
anti-discriminazione - D.lgs. 01.09.2011, n. 150 (G.U. 21.09.2011, n. 220). Le
controversie in materia di discriminazione per motivi di nazionalità, etnico-razziali, di credo religioso, età, disabilità o orientamento sessuale, di
genere nell'accesso ai beni e servizi...
Milano, inaugurazione de Il Museo del Viaggio Fabrizio De Andre'
Il Consorzio SiR, l'Opera Nomadi Milano, la Cooperativa Romano Drom e la
Cooperativa Arca di Noè, in collaborazione con Fondazione Cariplo invitano
all'inaugurazione de IL MUSEO DEL VIAGGIO FABRIZIO DE ANDRE', Museo
Etnografico-storico e centro di documentazione della cultura romanì...
Ia bers du U VELTO RADIO - Un anno di U VELTO RADIO
Un anno fa U Velto Radio (mobile/cellulare) iniziava le sue trasmissioni
sperimentali, erano le ore 15.00 del 7 ottobre 2010. L'obiettivo che ci siamo
dati era quello di offrire uno strumento che trasmettesse 24 ore al giorno per
365 giorni una parte importante del contributo offerto dai sinti e rom alla
cultura occidentale...
Milano: è finita la paura? No, per i rom la paura non finisce mai
Lo sgombero dei rom dell'ex campo di via Triboniano non deve essere la
ripetizione della politica di De Corato. La Consulta rom e sinti di Milano
chiede un incontro all'assessore alle politiche sociali: costruiamo insieme
una...
Roma, lo sgombero inutile in via Salaria
La mattina del 29 settembre è stato effettuato ad opera di Polizia e Vigili
Urbani uno sgombero presso l'insediamento spontaneo sito in via Salaria proprio
nelle adiacenze del civico 971, la famosa ex-cartiera ora adibito a "centro
d'accoglienza"...
Roma, i Rom sono perseguitati
Dopo le giornate alla Basilica di San Paolo dello scorso aprile e la solidarietà
diffusa della città alla condizione disumana delle comunità rom e a seguito
dell'intervento della Caritas che ha risolto solo per qualche mese il problema
di un r...
EZrome - Scritto e Inviato da Donata Zocche 06 Ottobre, 2011
'Devo ammettere che faccio fatica a rendermi conto d'essere davvero a Roma. Non
mi sarei mai aspettato di trovare questa baraccopoli dentro la mia città: buia,
fredda, piena di pozzanghere'. A parlare è Pietro, uno dei protagonisti di Oggi mi sa che muoio, di
Jole Severi Silvestrini, pubblicato da Mondadori. Ma sono in molti a non aspettarselo,
specialmente quando la visione della realtà viene offuscata dalla
non-conoscenza, dal pregiudizio. Specialmente quando la realtà si chiama campo
nomadi, un posto dove pochi vorrebbero andare, e ancora meno ci sono stati.
Jole Severi Silvestrini, invece, quella realtà la conosce bene, perché ha
operato come medico volontario al campo rom di Casilino 900. Dalla sua
incredibile esperienza è nato un libro prezioso e autentico, che pagina dopo
pagina ci accompagna nel luogo-simbolo di tante nostre paure, restituendoci la
visione nitida di chi ha visto le cose coi propri occhi.
Dottoressa Severi Silvestrini, 'Oggi mi sa che muoio' nasce dalla sua esperienza
personale presso il servizio di Medicina Solidale di Tor Bella Monaca e di
Casilino 900. Perché ha deciso di fare il medico in un campo rom?
Come molte altre persone, in un certo senso privilegiate, anche a me è successo
di rendermi conto di essere una donna fortunata e di sentire il bisogno di
donare parte del mio tempo e delle mie conoscenze a quelli che reputavo meno
fortunati di me. Ero in un momento particolare della mia vita, non solo
professionale, e non mi aspettavo minimamente che da questa esperienza sarei
stata proprio io quella che, a conti fatti, avrebbe tratto il maggior guadagno.
Infatti, ero convinta che fare volontariato significasse soprattutto dare e
invece mi sono ritrovata a ricevere tantissimo. A Tor Bella Monaca non mi sono
presa cura solo di donne Rom, ma di molte pazienti immigrate e provenienti da
tutte le parti del mondo. Io sono ginecologa e per questo ho seguito soprattutto
donne in gravidanza e mi sono subito accorta di quanto queste persone avessero
bisogno di raccontare le loro storie e di come fosse bello starle a sentire. Il
mio desiderio di scrivere è diventato addirittura un bisogno impellente e così è
uscito "I Racconti Dell'Attesa" il primo libro nato dall'esperienza a "Torbella".
E' una raccolta di favole, in tante lingue diverse, che mi hanno raccontato le
mamme in attesa e che nel corso dei nove mesi abbiamo tradotto insieme. Da quel
momento ho capito cosa significasse per me fare il medico: non solo il
Policlinico, l'Università, i pazienti come "casi" da riportare ai congressi, ma
il prendersi cura davvero delle persone con le loro storie cariche di sofferenza
ma anche di vita e di speranza, di gioia e di voglia di raccontare. E sono
andata avanti e ho scritto anche "Oggi mi sa che muoio", stavolta un romanzo,
che mi ha permesso di dar voce a tanti personaggi diversi, insomma, a tutti
quelli che hanno cambiato il mio lavoro in meglio.
Najo, uno dei protagonisti, ad un certo punto dice: 'Gagè! ma non dirmi che non
sai ancora come vi chiamiamo?! sei proprio imbranato! i gagè sono la gente come
te, quella che non è rom, insomma siete voi: i non zingari!'
Le è capitato di sentirsi in una situazione ribaltata, cioè ad essere lei la
'diversa', 'quella che appartiene ad un'altra realtà'?
Be', in un certo senso la sensazione di essere sempre un po' fuori contesto, non
perfettamente integrata nell'ambiente in cui vivo e lavoro, mi ha sempre
accompagnata, turbandomi anche un po'. Ho sempre pensato fosse un mio limite
sentirmi spesso "fuori luogo" rispetto alla mia "casta", fino a quando non ho
capito che in realtà essere un po' strana poteva essere una mia risorsa e
infatti sentire di non appartenere completamente a quella che dovrebbe essere la
mia realtà mi permette di immedesimarmi con le storie degli altri, di coloro che
vengono da mondi lontani e molto diversi da quello in cui sono nata e cresciuta.
Ora mi succede ancor più di prima di sentirmi trattare dai miei colleghi come
"quella un po' bizzarra", ma non mi preoccupa, va bene così: sono un po'
"diversa".
Pietro è un giovane volontario, che offrendo il proprio aiuto contravviene alle
regole della comunità rom. Scatenerà, involontariamente, effetti deleteri. Come
giudica la conoscenza che i 'gagè' hanno generalmente del mondo rom?
Non si può mai parlare di vera conoscenza quando l'approccio a una realtà è
offuscato dai pregiudizi, io credo che la maggior parte dei gagè nutrano solo
diffidenza e paura nei confronti del mondo rom, ma anche i rom sono spesso
profondamente sospettosi nei confronti dei gagè e per questo ci attribuiscono
caratteristiche grottesche che derivano solo dai loro preconcetti. Pietro, come
molti ragazzi della sua età, ha solo una conoscenza molto superficiale del mondo
dei campi, però gli capita di innamorarsi di una zingara e l'amore sarà una
molla potentissima che indurrà dei cambiamenti drammatici. L'amore ha il potere
di trasformare le persone e di rendere possibile una conoscenza reale e concreta
dell'altro, del diverso, che altrimenti non sarebbe mai stata possibile. Ma
l'amore non è "attento" e a volte travolge le differenze, sì, insomma, l'amore
non è quasi mai "politicamente corretto".
'Non mi sarei mai aspettato di trovare questa baraccopoli dentro la mia città:
buia, fredda, piena di pozzanghere', si trova ad un certo punto a pensare
Pietro.
Si può dire che da una parte l'attaccamento alle proprie tradizioni e dall'altra
la difesa messa in atto verso certe realtà difficili, come i campi nomadi,
finiscono col consolidare ancora di più queste realtà?
Certamente, è proprio così. Siamo tutti un po' responsabili dell'esistenza di
realtà assurde come quella dei campi, che sono luoghi indecenti nei quali le
condizioni di vita delle persone che ci abitano sono assolutamente
inaccettabili.
Jasmina dice a Pietro: 'Devo proprio spiegarti un bel po' di cose su quello che
da noi un ragazzo e una ragazza … se non sono sposati … bè, insomma, diciamo
così: non possiamo stare mai da soli!'
Le regole tradizionali più rigide sono destinate ad allentarsi tra le
generazioni più giovani, avvicinando mondi diversi?
Sì, anche questo è un aspetto che fa parte delle trasformazioni che i
protagonisti di questa storia subiranno grazie all'innamoramento che è la molla
capace di produrle. In questa storia non ci sono i buoni e i cattivi, né tra gli
zingari né tra i gagè, non si propongono soluzioni facili e finali rassicuranti
e nemmeno regole giuste contrapposte a regole sbagliate, però Pietro, Jasmina e
i ragazzini del campo diventeranno amici e un sentimento d'affetto, di curiosità
e fascino reciproco li unirà permettendogli di vincere le paure e quindi anche
il bisogno di difendersi trincerandosi dietro a comportamenti rigidamente
stereotipati. I giovani di questo romanzo sono gli unici che riescono a
contravvenire alle regole dei loro rispettivi mondi. Non a caso questo libro è
dedicato soprattutto a giovani adulti e ho scelto di pubblicarlo in una collana
per ragazzi, infatti, credo che il messaggio vada indirizzato a loro perché sono
loro che possono davvero recepirlo.
Dottoressa Severi Silvestrini, con quali pregiudizi è entrata al campo rom di
Casilino 900, e con quali giudizi ne è uscita?
Sono entrata con i pregiudizi che credo abbiamo tutti come per esempio: gli
zingari non hanno nessuna voglia di lavorare, sono ladri e bugiardi, trattano
male le donne e i bambini, vengono da altri paesi più poveri e sfortunati del
nostro, ma non vogliono integrarsi alle nostre leggi e alla nostra cultura, sono
sporchi e pigri. In verità avevo in testa anche una serie di idee preconcette un
po' ideologiche e romantiche del tipo: lo zingaro è libero perché si rifiuta di
condividere le norme della nostra società, lo zingaro preferisce vivere in una
baracca ed essere nomade piuttosto che sentirsi incatenato alle nostre regole
borghesi, lo zingaro è orgoglioso d'esserlo e vuole rimanere tale e … via
dicendo.
In realtà le cose non stanno affatto così. Per prima cosa ho scoperto che la
maggior parte delle persone che vivono nei campi, almeno nella nostra città, è
nata in Italia da genitori che a loro volta sono nati qui e, considerando il
fatto che tra di loro ci si sposa molto presto e si diventa genitori già a
quindici o sedici anni, talvolta anche i loro nonni sono nati in un campo rom in
Italia. Insomma, sono italiani di seconda o addirittura di terza generazione .
Alla luce di ciò suona piuttosto ridicola l'intenzione di alcuni di rispedire
questa gente a casa loro visto che la loro casa è proprio qui, da noi. E
nonostante questo, nessuno di loro, come sarebbe giusto, è cittadino italiano e
per molti di loro è difficilissimo avere persino il permesso di soggiorno. In
Italia qualsiasi straniero senza documenti in regola commette un reato e quindi
qualsiasi zingaro è un fuorilegge fin dalla nascita. In queste condizioni anche
se qualcuno di loro volesse davvero "integrarsi" e vivere una vita onesta, chi
darebbe lavoro a uno zingaro senza documenti?
Un'altra importante scoperta che ho fatto è che nessuno tra le persone che ho
conosciuto a Casilino 900, soprattutto i ragazzi e i bambini, è orgoglioso di
essere costretto a rubare o a fare accattonaggio per campare, e nessuno, ma
proprio nessuno, preferirebbe vivere in una baracca sporca, senza acqua, senza
bagno, gelata d'inverno e bollente d'estate, piuttosto che in una vera casa se
gliene fosse data la possibilità. Poi ho capito che nessun bambino preferisce
andare a chiedere l'elemosina, o andare alla ricerca di cose da mangiare o
vendere infilandosi nei cassonetti, oppure essere costretto a rubare portafogli
sugli autobus, piuttosto che andare a scuola. Tutti quelli che ho conosciuto
vorrebbero imparare a leggere e a scrivere e sognano di fare da grandi dei
lavori rispettabili, ma sanno che questa è una possibilità a loro preclusa.
Ho scoperto che il nomadismo è scomparso tra i Rom, infatti sono morte tutte
quelle occupazioni e quei mestieri che lo giustificavano. Quasi più nessuno
aspetta la festa del paese e l'arrivo dei giostrai, dei musicanti, delle
cartomanti, dei fabbricanti di pentole e di coltelli, gli arrotini, gli
ombrellai, i domatori di cavalli e così via. Ora in tutte le città, e persino
nei paesini, ci sono i grandi centri commerciali, i cinema multisale e i parchi
di divertimento e gli zingari non servono più. Un tempo per la famiglia Rom era
indispensabile spostarsi di paese in paese per portare durante le fiere le
proprie mercanzie e i propri mestieri, ora che è scomparsa questa necessità il
nomadismo non ha più ragion d'essere. Gli zingari sono diventati stanziali e la
maggior parte di loro sogna un lavoro e una casa e una vita proprio come quella
dei gagè.
Infine ho capito che nei campi non si nasconde solo la microcriminalità legata
ai furtarelli, alle truffe e all'accattonaggio necessari alla sopravvivenza di
tanti poveracci, ma che tra le baracche trovano rifugio criminali veri e propri,
e che refurtive di migliaia e migliaia di euro sono state rinvenute in molti
campi, nonché molte armi e chili di droga. I campi, infatti, sono posti
dimenticati e abbandonati, spesso ai margini della città, praticamente fuori da
ogni regola e legge e senza quasi alcun controllo, insomma, sono posti ideali
per molti delinquenti, anche potenti e collegati alle mafie, che hanno tutti gli
interessi affinché le cose non cambino mai.
Oggi mi sa che muoio
di Jole Severi Silvestrini
Edizioni Mondadori
Di Fabrizio (del 08/10/2011 @ 09:38:33, in Italia, visitato 1354 volte)
ottobre 5th, 2011 | by rob Published in Articolo, smogville | 1 Comment
La storia è questa. A un certo punto del pomeriggio arriva un comunicato stampa
dal Comune di Milano, assessorato alla Sicurezza, oggetto: "Rom. Famiglie
lasciano campo abusivo sito in zona pericolosa al confine con Settimo Milanese".
Toh! penso, fino a pochi mesi fa ci toccava il bollettino quotidiano degli
sgomberi, ora il Comune ci informa che queste famiglie hanno lasciato il campo
in cui vivevano perché si sentivano in pericolo. Leggo le prime righe del
comunicato: "A causa della pericolosità del luogo questa mattina i cittadini
rom, che dal mese di luglio vivevano in un campo abusivo in via Gaetano Airaghi,
hanno lasciato le loro baracche". Eh si, il vento è cambiato. Continuo a
leggere: "Le famiglie sono state convinte ad allontanarsi dal quel campo non
autorizzato – ha spiegato l'assessore alla Sicurezza e Polizia locale Marco
Granelli – perché si trovava a ridosso della tangenziale in una zona
pericolosa". Ah. Sono state convinte. Da chi? "I vigili, accompagnati dal
Comandante Tullio Mastrangelo, questa mattina si sono presentati insieme agli
operatori sociali del Comune e hanno spiegato alle famiglie i motivi per i quali
non potevano più continuare a stare lì". Ah ok, capito, sono state sgomberate.
Almeno così si definivano fino a pochi mesi fa queste operazioni. E non di
qualche famiglia, come sembrava dall'oggetto, ma 133 persone. Ancora il
comunicato: "Il campo di via Airaghi, al confine con il Comune di Settimo
milanese, era costituito da 52 baracche, dove vivevano 41 famiglie, per un
totale di 133 persone, di cui 48 minori. La società Serravalle proprietaria
dell'area, sta procedendo alla pulizia e messa in sicurezza dell'area". Alle
persone sgomberate il Comune ha offerto più o meno le cose che offriva la Moioli
quando era nei giorni di grazia: "sistemazione provvisoria nei centri di
accoglienza" ma dividendo donne e uomini: i maschi da una parte, le femmine e i
bimbi dall'altra. "Al momento però le famiglie hanno preferito abbandonare il
campo senza accettare la nostra proposta" scrive ancora Granelli. E magari se ne
sono andate senza neanche ringraziare.
Quell'area sicuramente era pericolosa e lo sgombero è stato pensato a "fin di
bene". Ma il risultato è lo stesso del suo predecessore De Corato, che però
almeno chiamava le cose col loro nome e non usava giri di parole finto buonisti
per raccontarle. O forse nel favoloso mondo di Pisapie gli sgomberi sono
"gentili" e le famiglie "lasciano" le loro baracche?
CONSULTA ROM E SINTI DI MILANO COMUNICATO STAMPA
Lo sgombero dei rom dell’ex campo di via Triboniano non deve essere la
ripetizione della politica di De Corato. La Consulta rom e sinti di Milano
chiede un incontro all’assessore alle politiche sociali: costruiamo insieme una
prospettiva positiva per la comunità rom e sinta
Stamattina la polizia locale ha sgomberato i rom accampati tra Quinto Romano e
via Novara. Tutti provengono dal campo di via Triboniano, chiuso dalla giunta
Moratti alla vigilia delle elezioni e dove queste famiglie abitavano. Di queste
alcune sono state escluse nel 2007 quando il campo bruciò e la giunta lo sistemò
riducendo però gli abitanti con il risultato che molti, pur regolari e senza
problemi con la giustizia, rimasero per strada perdendo tutto quello che
avevano; altre sono state espulse negli ultimi 5 anni in base al patto di
legalità e al successivo regolamento prefettizio applicato anche per bollette o
multe non pagate o per aver ospitato familiari nel container.
Quindi una situazione complicata che riguarda una comunità presente da anni
nel nostro territorio che va affrontata in maniera meno “semplicistica” e
soprattutto senza le conseguenze drammatiche che producono gli sgomberi sugli
uomini, sulle donne, sui bambini.
Ci preoccupano due aspetti di questa scelta, anzi tre se vogliamo citare le
prime parole del nuovo vicesindaco: a Milano è finita la paura. No, per i rom la
paura non finisce mai.
Il primo aspetto riguarda la motivazione dello sgombero: non è stata
presentata nessuna ordinanza di sgombero nei giorni precedenti e oggi all’atto
dello sgombero è stata mostrata una denuncia contro ignoti della società
Milano-Serravalle per sassi gettati sull’autostrada. Chi ha deciso che gli
ignoti sono i rom? Questo criterio ci sembra veramente pericoloso per la sua
illegalità: se valesse dovrebbero essere sgomberati tutti gli abitanti che
vivono vicino all’autostrada!
Il secondo aspetto riguarda la preoccupazione che si riproduca la politica
fallimentare della precedente amministrazione con le centinaia di sgomberi che
hanno prodotto solo grandi costi pubblici e accanimento crudele contro famiglie
che perdevano il poco che avevano.
La Consulta rom e sinti di Milano si è impegnata con la nuova amministrazione
per contribuire alla soluzione del problema delle comunità rom dando voce alle
comunità e costruendo proposte praticabili, per il Comune e per i cittadini di
Milano. Noi intendiamo continuare su questa strada coltivando la speranza che la
necessità di una politica diversa non naufraghi di fronte al perdurare del
pregiudizio e della discriminazione e al suo uso mediatico.
Questo obiettivo la Consulta lo sta perseguendo con riunioni con le singole
comunità e con altre iniziative tra le quali un confronto sulle politiche
europee al quale è stato invitato il Commissario per i diritti umani del
Consiglio d’Europa che in un suo sopralluogo nel maggio di quest’anno aveva
segnalato i gravi problemi di discriminazione nei confronti della comunità rom e
sinta di Milano.
La Consulta per tutte queste ragioni ritiene urgente incontrare l’assessore
alle politiche sociali per un confronto di merito sulle prospettive delle nostre
comunità.
Di Fabrizio (del 08/10/2011 @ 09:04:33, in conflitti, visitato 1357 volte)
FRONTIEREnews.itTesto di Srdjan Jovkovic, fotografie di Ippolita
Franciosi (segnalazione di Marco Brazzoduro)
Passeggiando per Obilic, una delle città più inquinate dei Balcani, si
possono vedere alcune case rosse costruite in mezzo a un campo polveroso. Si
trovano nella zona di Subotic, vicino a due centrali termoelettriche a carbonedalle cui ciminiere esce costantemente fumo grigio. Qui i bambini non giocano
nei cortili e le donne non curano il giardino, come invece accade in qualsiasi
città del Kosovo.
Sono le case costruite dall'Unchr per i profughi ashkali da poco rimpatriati
dalla Macedonia, nelle terre da dove furono espulsi dalla maggioranza albanese,
dopo la guerra del 1999. Rispetto agli altri rom del Kosovo gli ashkali hanno
un'unica, fondamentale, differenza: al posto del romanes, hanno scelto
l'albanese come lingua.
Il quartiere rom di Subotic, Obilic: la casa è bruciata ad agosto
Dopo aver tentato invano di trovare qualcuno con cui parlare, incontriamo fuori
dalla prima casa rossa Hajriz Rizvani, un ragazzo ashkali di 25 anni. Vuole
spiegarci cosa è successo così ci invita ad entrare in casa, aggiungendo che è
troppo spaventato per parlare fuori. Hajriz è tornato in Kosovo insieme alla sua
famiglia da due mesi e mezzo, dopo un esilio in Macedonia durato 12 anni.
Due settimane fa la casa a fianco alla sua, quella dello zio Halim, è stata
bruciata nella notte, ultimo di una serie di atti provocatori, come il lancio di
pietre contro l'abitazione e vari colpi di pistola. Fortunatamente la notte
dell'incendio la famiglia Rizvani non era in casa: preoccupati, avevano deciso
di dormire da parenti. Dopo l'incidente hanno fissato delle barre di metallo su
ogni finestra della casa e hanno preparato i bagagli, pronti a partire in caso
di una nuova minaccia.
Dopo ogni singolo attacco Hajriz ha chiamato la polizia, che si è presentata
ogni volta, senza però risolvere niente: “Vengono, danno uno sguardo alla casa,
osservano le finestre rotte, scrivono qualcosa, ci dicono che tutto andrà bene e
se ne vanno”. Ma le minacce e le violenze continuano.
Hajriz ci racconta che in seguito all'incendio è impossibile dormire, i bambini
hanno visto la casa in fiamme e tutte le notti sono terrorizzati. Di giorno non
si sentono al sicuro: evitano di andare a giocare, anche nel bel mezzo di
un'assolata giornata d'estate. La famiglia Rizvani ha ricevuto anche le visite
di rappresentanti dell'UNHCR e dell'OSCE, che si sono limitati a esprimere
compassione e ad augurarsi che qualcosa del genere non succeda mai più.
Nessuna misura effettiva è stata presa né tanto meno è stata avviata una
qualsivoglia indagine. Per le organizzazioni internazionali questa è una
violenza difficile da riconoscere e sulla quale lavorare, perché è in chiara
contraddizione con la politica adottata dall'UNHCR, che incoraggia i rifugiati a
tornare in Kosovo dalla Macedonia, tagliando i supporti in maniera graduale.
Hajriz è inevitabilmente triste: nella sua giovane vita ha sperimentato la
guerra, è diventato un rifugiato e ora non riesce a vedere alcun futuro nel
Kosovo odierno. Il suo ritorno ha provocato una forte reazione dalla maggioranza
della popolazione albanese. E qualcuno si è spinto oltre la disapprovazione,
rompendo tutte le finestre della sua casa, proprio ora che sta ricominciando una
nuova vita.
Il desiderio di Hajriz è trovare un lavoro per sostenere la sua famiglia: in
Macedonia, essendo rifugiato, per legge non poteva lavorare. Ha deciso di
tornare in Kosovo con la speranza che la legge e le istituzioni garantissero un
ambiente sicuro per lui e per la sua famiglia. Ma chiaramente non è così.
L'incendio delle case è esattamente lo stesso tipo di intimidazione e violenza
che i rom hanno subito prima e durante la guerra del Kosovo, dodici anni fa,
quando la retorica dell'indipendenza trionfava e la violenza tra compaesani
portava molte famiglie (più di 60.000) a lasciare il Kosovo perdendo tutto. Il
futuro assomiglia troppo al passato violento del Kosovo, perché alla fine ogni
speranza del paese, come quella di Hajriz, sembra svanire nel fumo nero delle
case bruciate, ancora una volta.
Di Fabrizio (del 07/10/2011 @ 09:58:45, in scuola, visitato 1721 volte)
Spot su Youtube venerdì 14 ottobre dalle 16.00 alle 18.00
Auditorium UNICEF
Via Palestro 68 - ROMA
Come è organizzata a Roma la scolarizzazione dei bambini rom ospiti nei villaggi
attrezzati? Quali enti sono coinvolti? Quali i costi e quali i risultati
raggiunti?
L'Associazione 21 luglio vi invita a partecipare alla presentazione ufficiale
del report "Linea 40 - Lo scuolabus per soli bambini rom", realizzato da Adriana
Arrighi, Carlo Stasolla e Andrea Anzaldi.
Il report, frutto del lavoro di ricerca, verrà presentato da Carlo Stasolla,
presidente dell'Associazione 21 luglio, Stefano Batori, vice preside della
Scuola Media Statale "Bramante" di Roma e Dimitris Argilopoulos, ricercatore
pedagogista dell'Università di Bologna.
Durante l'evento sarà inoltre proiettato il video "Da Barbiana al campo nomadi"
prodotto dall'associazione stessa e realizzato da Davide Falcioni, Andrea
Cottini e Ermelinda Coccia.
La scuola deve tendere tutto nell’attesa di quel giorno glorioso in cui lo
scolaro migliore le dice: "Povera vecchia, non ti intendi più di nulla" e la
scuola risponde con la rinuncia a conoscere i segreti del suo figliolo, felice
solo che il suo figliolo sia vivo e ribelle.
Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana
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