Di Fabrizio (del 22/11/2011 @ 09:31:03, in casa, visitato 1791 volte)
A Palermo il problema è il traffico. A Lamezia sono gli zingari. Per quanti
sforzi possano fare la Procura di Salvatore Vitello e il Comune di Gianni
Speranza, i rom non li digerisce proprio nessuno. Si sentono ancora oggi tuonare
le parole dei consiglieri comunali: «Mai più un'altra Scordovillo City, bisogna
smantellare l'accampamento e spalmare le famiglie rom in ogni angolo della
città».
Il principio di sicurezza, nato chissà per quale motivazione, è quello di non
creare nuove aggregazioni forti di zingari, perché tutti insieme diventano un
pericolo, divisi fanno meno danni. Rubano meno, sporcano meno, incasinano meno.
Sulla base di questo principio di "polverizzazione" degli zingari si sta
muovendo il Comune che finora ha spostato 80 persone dal campo dove ce n'erano
fino all'estate scorsa circa 500. Col sistema che appena viene sfollato un
nucleo familiare, le ruspe demoliscono la sua vecchia baracca in modo che non
possa nuovamente riempirsi, come avveniva un tempo.
Ma appena arriva un nucleo familiare, uno solo (nella solitudine di un numero
primo), in un quartiere e in un palazzo, succede l'indescrivibile. Soprattutto
quando si tratta di una casa confiscata nella zona d'influenza di un boss che se
ne sta in galera da anni.
Tutti i vicini si organizzano, mettono in scena proteste, fanno sit-in,
attaccano striscioni. No agli zingari perché, spiegano, «le nostre case perdono
di valore». È accaduto a San Pietro Lametino, a Ginepri ed ora in Via della
Vittoria. Dovunque la musica (stonata) è la stessa.
È la sindrome "nimby", l'abbreviazione di "not in my back yard", cioè "non
dietro casa mia". Nessuno vuole i rom. Ma la stessa sindrome in città non esiste
quando si tratta di mafiosi. Forse perché gli zingari arrivano sotto casa con
l'Ape carico di vecchi mobili da macero, e i mafiosi si presentano col Tir, un
bel Porsche ed i mobili superlucidi. Forse perché gli zingari parlano nel loro
modo rozzo e si lavano poco perché non hanno acqua calda, ed i mafiosi hanno
l'idromassaggio e si vestono con le griffe.
Non conta se gli affiliati ai clan i soldi li fanno strozzando imprenditori,
vendendo droga ai ragazzini, e sparando per uno sgarro. Loro sono persone
rassicuranti, creano un'alea di falso rispetto intorno a loro. Agli inquilini
non importa se il figlio di un altro vicino ha avuto una crisi d'astinenza
d'eroina, o il negoziante di scarpe sotto casa ha ricevuto l'ennesimo
avvertimento per pagare il pizzo. L'effetto "nimby" contro i mafiosi non scatta.
Di Fabrizio (del 21/11/2011 @ 09:52:36, in Regole, visitato 2292 volte)
CS113:18/11/2011
Amnesty International ha chiesto alle autorità italiane di porre fine alle
misure discriminatorie contro le persone rom dopo che il più alto organo
giurisdizionale amministrativo del paese ha dichiarato illegittimi i decreti
relativi all'"emergenza nomadi".
Il Consiglio di stato ha decretato la fine dell'"emergenza nomadi", che ha
esposto le comunità rom a gravi violazioni dei diritti umani da quando è stata
introdotta tre anni fa.
"Porre fine all'emergenza nomadi" è un passo nella giusta direzione, questa era
illegittima e non sarebbe dovuta mai essere stata dichiarata" - ha affermato
Nicola Duckworth, direttrice del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty
International
"Il governo italiano ha ora la responsabilità di fornire rimedi effettivi a
tutte le famiglie rom che hanno subito sgomberi forzati e altre gravi violazioni
dei diritti umani durante 'l'emergenza nomadi"'.
Nel maggio 2008, il governo italiano dichiarò uno stato di emergenza in
relazione agli insediamenti di comunità nomadi nelle regioni di Lombardia,
Campania e Lazio.
Questo per affrontare, presumibilmente, "una situazione di grave allarme
sociale, con possibili ripercussioni per la popolazione locale in termini di
ordine pubblico e sicurezza".
L'emergenza è stata successivamente estesa alle regioni di Piemonte e Veneto.
Sulla base dell'"emergenza nomadi", ai prefetti dei capoluoghi delle regioni
interessate è stato conferito il potere di agire in deroga alla legislazione che
protegge i diritti umani e gli sgomberi forzati delle comunità rom sono stati
molto frequenti ed eseguiti con sempre maggiore impunità.
"L''emergenza nomadi' ha esposto migliaia di rom a violazioni dei diritti umani
e ha aggravato la discriminazione nei loro confronti" - ha aggiunto Duckworth.
"Il nuovo governo italiano deve porre fine a politiche e pratiche
discriminatorie che colpiscono persone rom da anni. Questa di sicuro non è la
fine della storia, ma può essere un nuovo inizio".
FINE DEL COMUNICATO Roma, 18 novembre 2011
Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste: Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail:
press@amnesty.it
Segnalazione di Stojanovic Vojislav
IMMIGRAZIONE. bizSentenza n. 6050 del 16 novembre 2011 Consiglio di
Stato Stato di emergenza dichiarato nel territorio delle Regioni Lombardia, Lazio e
Campania in relazione agli insediamenti di comunità nomadi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente SENTENZA
sui seguenti ricorsi in appello:
1) nr. 6400 del 2009, proposto dalla PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in
persona del Presidente pro tempore, dal MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del
Ministro pro tempore, dal DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE, in persona del
legale rappresentante pro tempore, e dalle PREFETTURE - UFFICI TERRITORIALI DEL
GOVERNO DI ROMA, MILANO E NAPOLI, in persona dei rispettivi Prefetti pro
tempore, rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato,
domiciliati per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
EUROPEAN ROMA RIGHTS CENTRE FOUNDATION (ERRC), in persona del legale
rappresentante pro tempore, e i signori ***** e *****, in proprio e quali
esercenti la potestà genitoriale sui figli minori *****, rappresentati e difesi
dagli avv.ti Alessandra Mari e Nicolò Paoletti, con domicilio eletto presso
quest'ultimo in Roma, via B. Tortolini, 34,
nei confronti di
- COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dall'avv. Pier Ludovico Patriarca, domiciliato presso l'Avvocatura Municipale in
Roma, via del Tempio di Giove, 21;
- PROVINCIA DI ROMA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e
difeso dall'avv. Massimiliano Sieni, con domicilio eletto presso lo stesso in
Roma, via IV Novembre, 119/A;
- REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;
- COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
2) nr. 6859 del 2009, proposto dal COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Pier Ludovico Patriarca e Andrea
Magnanelli, con domicilio eletto presso quest'ultimo in Roma, via del Tempio di
Giove, 21,
contro
EUROPEAN ROMA RIGHTS CENTRE FOUNDATION (ERRC), in persona del legale
rappresentante pro tempore, e i signori ***** e *****, in proprio e quali
esercenti la potestà genitoriale sui figli minori *****, rappresentati e difesi
dagli avv.ti Alessandra Mari e Nicolò Paoletti, con domicilio eletto presso
quest'ultimo in Roma, via B. Tortolini, 34,
nei confronti di
- PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro tempore,
MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, DIPARTIMENTO DELLA
PROTEZIONE CIVILE, in persona del legale rappresentante pro tempore, e
PREFETTURE - UFFICI TERRITORIALI DEL GOVERNO DI ROMA, MILANO E NAPOLI, in
persona dei rispettivi Prefetti pro tempore, rappresentati e difesi ope legis
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge presso la stessa in
Roma, via dei Portoghesi, 12;
- REGIONI LAZIO, LOMBARDIA e CAMPANIA, in persona dei rispettivi Presidenti pro
tempore, non costituite;
- PROVINCE DI NAPOLI, ROMA e MILANO, in persona dei rispettivi Presidenti pro
tempore, non costituite;
- COMUNI DI MILANO e NAPOLI, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, non
costituiti;
- CROCE ROSSA ITALIANA, in persona del legale rappresentante pro tempore, non
costituita;
entrambi per la riforma,
previa sospensione,
della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione Prima, nr. 6352/2009, decisa il 24
giugno 2009 e depositata il 1 luglio 2009.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati European Roma Rights
Centre Foundation (ERRC) e signori ***** e ***** (in entrambi i giudizi), del
Comune di Roma (nel giudizio nr. 6400 del 2009), della Provincia di Roma (nel
giudizio nr. 6400 del 2009) e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del
Ministero dell'Interno, del Dipartimento della Protezione Civile e delle
Prefetture di Roma, Milano e Napoli (nel giudizio nr. 6859 del 2009);
Visto l'appello incidentale proposto dagli appellati indicati in epigrafe nel
giudizio nr. 6400 del 2009;
Viste le memorie prodotte dalle Amministrazioni statali appellanti (in date 20
agosto 2009 e 24 ottobre 2011), dal Comune di Roma (in data 27 luglio 2009) e
dagli appellati (in data 25 agosto 2009) a sostegno delle rispettive difese;
Vista l'ordinanza di questa Sezione nr. 4233 del 25 agosto 2009, con la quale è
stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell'esecuzione della
sentenza impugnata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2011, il Consigliere
Raffaele Greco;
Uditi l'avv. Mari per le parti appellate e appellanti incidentali, l'avv.
Patriarca per il Comune di Roma e gli avvocati dello Stato Amedeo Elefante e
Fabrizio Fedeli per le Amministrazioni statali;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I – La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Interno, il
Dipartimento della Protezione Civile e gli Uffici Territoriali del Governo di
Milano, Roma e Napoli hanno impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione
dell'esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, accogliendo
parzialmente il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalla European Roma Rights
Centre Foundation (ERRC) e dai signori ***** e ***** (anche nella qualità di
genitori e legali rappresentanti dei figli minori), ha annullato in parte le tre
ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30 maggio 2008, dettanti
disposizioni per fronteggiare lo stato di emergenza dichiarato nel territorio
delle Regioni Lombardia, Lazio e Campania in relazione agli insediamenti di
comunità nomadi, nonché alcune disposizioni dei consequenziali Regolamenti
adottati dai Commissari delegati per le Regioni Lombardia e Lazio.
Più specificamente, l'appello si concentra sull'annullamento delle richiamate
disposizioni regolamentari ed è fondato sui seguenti motivi:
1) insufficienza della motivazione; erroneità della sentenza di primo grado
nella parte in cui non ha accolto l'eccezione di inammissibilità dei motivi
aggiunti per assoluta genericità; violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. (in
relazione alla reiezione dell'eccezione di inammissibilità sollevata
dall'Amministrazione in ordine alle censure mosse coi motivi aggiunti avverso le
suindicate disposizioni regolamentari);
2) illegittimità della sentenza del T.A.R. del Lazio per erronea applicazione
dell'art. 16 della Costituzione a situazioni che non rientrano nella sfera di
tutela riconosciuta dalla norma (in relazione all'accoglimento delle doglianze
con cui i ricorrenti assumevano la lesione di diritti costituzionalmente
garantiti per opera delle medesime disposizioni regolamentari);
3) in subordine, illegittimità della sentenza del T.A.R. del Lazio per
violazione dell'art. 16 della Costituzione (dovendo comunque ritenersi
compatibili con detta disposizione le eventuali limitazioni rivenienti dalle
censurate disposizioni regolamentari);
4) violazione dell'art. 8 della CEDU (essendo comunque le ridette limitazioni
giustificate anche in base a tale norma);
5) illegittimità della sentenza del T.A.R. del Lazio per violazione del diritto
al lavoro garantito dalla Costituzione (stante l'erroneità delle statuizioni con
le quali il primo giudice ha reputato che alcune delle disposizioni
regolamentari contrastassero con tale diritto fondamentale).
Si sono costituiti il Comune di Roma e la Provincia di Roma, il primo aderendo
articolatamente all'appello dell'Amministrazione statale e la seconda invece
opponendovisi.
Si sono altresì costituiti i ricorrenti in primo grado i quali, oltre ad opporsi
con diffuse argomentazioni all'accoglimento dell'appello, hanno altresì
impugnato in via incidentale la medesima sentenza del T.A.R. capitolino, nella
parte in cui sono state respinte le più generali doglianze con le quali essi
avevano chiesto l'integrale annullamento, oltre che delle già richiamate
ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei già richiamati
Regolamenti, anche del retrostante decreto del Presidente del Consiglio del 21
maggio 2008, dichiarativo dello stato d'emergenza de quo, nonché di numerosi
ulteriori atti consequenziali.
Detta impugnazione incidentale è affidata ai seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, nr.
225; insufficienza e contraddittorietà della motivazione (in relazione
all'assenza dei presupposti per la dichiarazione dello stato di emergenza);
2) violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge nr. 225 del 1992 e
del principio generale del divieto di ogni forma di discriminazione razziale;
insufficienza e ontraddittorietà della motivazione (in relazione alla natura
discriminatoria dei provvedimenti impugnati);
3) illegittimità derivata degli altri atti impugnati.
Alla camera di consiglio del 25 agosto 2009, la Sezione ha accolto la domanda
incidentale di sospensione dell'esecuzione della sentenza impugnata.
Le parti hanno affidato a successive memorie l'ulteriore sviluppo delle proprie
tesi, e in particolare le Amministrazioni appellanti hanno da ultimo eccepito
l'improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuta carenza di interesse,
stante la mancata impugnazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei
Ministri (datati 31 dicembre 2010 e 31 dicembre 2011) di proroga dello stato di
emergenza per cui è causa.
All'udienza del 4 novembre 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.
II – L'epigrafata sentenza del T.A.R. del Lazio è oggetto anche di un secondo
appello, proposto dal Comune di Roma con richiesta di sospensiva e articolato
sulla base dei seguenti motivi:
1) inammissibilità del ricorso e dei successivi motivi aggiunti per difetto di
interesse ad agire in capo ai ricorrenti; inammissibilità del ricorso per
carenza di interesse a ricorrere; erroneità della decisione; violazione di
legge; mancanza e/o insufficienza di motivazione (in relazione alla reiezione
delle preliminari eccezioni di inammissibilità articolate sulla base della
carenza di legittimazione in capo alla ERRC ed all'insussistenza di lesione
attuale in capo agli altri ricorrenti da parte degli atti impugnati);
2) carenza e insufficienza della motivazione; erroneità della decisione;
violazione dell'art. 112 cod. proc. civ.; mancata corrispondenza tra chiesto e
pronunciato; violazione di legge (in relazione all'integrazione da parte del
T.A.R. delle doglianze formulate dai ricorrenti avverso le disposizioni
regolamentari censurate, le quali erano del tutto sommarie e generiche, e quindi
inammissibili);
3) violazione di legge; errata e falsa applicazione dell'art. 16 della
Costituzione; mancanza, carenza e contraddittorietà della motivazione (in
relazione alla parte della sentenza impugnata con la quale talune disposizioni
regolamentari sono state ritenute contrastanti con la libertà di circolazione
costituzionalmente garantita);
4) violazione di legge; errata e falsa applicazione dei principi in materia di
diritto al lavoro e di libertà della scelta del lavoro; mancanza, carenza e
contraddittorietà della motivazione (in relazione alla parte della sentenza
impugnata con la quale talune disposizioni regolamentari sono state ritenute
contrastanti col diritto al lavoro costituzionalmente garantito);
5) violazione di legge; errata e falsa applicazione dei principi in materia di
libertà personale e delle norme a tutela dei minori; errata e falsa applicazione
del decreto legislativo 30 giugno 2003, nr. 196 (in relazione alla parte della
sentenza impugnata con la quale sono state ritenute illegittime le ordinanze
presidenziali del 30 maggio 2008 nella parte in cui consentivano di procedere a
identificazione delle persone, anche minori di età, attraverso rilievi
segnaletici).
In tale giudizio, si sono costituite le Amministrazioni statali firmatarie del
primo appello, al fine di aderire all'appello del Comune di Roma e di chiederne
l'accoglimento.
Alla camera di consiglio del 13 ottobre 2009, anche in considerazione
dell'ordinanza cautelare già adottata in altro giudizio, l'esame della domanda
incidentale di sospensiva è stato differito sull'accordo delle parti, per essere
abbinato alla trattazione del merito.
All'udienza del 4 novembre 2011, anche questa causa è stata trattenuta in
decisione.
DIRITTO
1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008,
emesso ai sensi dell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, nr. 225, è stato
dichiarato lo stato di emergenza nel territorio delle Regioni Lombardia, Lazio e
Campania in relazione all'esistenza di comunità nomadi nei rispettivi territori.
Con tre ordinanze presidenziali adottate in data 30 maggio 2008 (nn. 3676, 3677
e 3678) sono state dettate disposizioni urgenti per fronteggiare la suindicata
emergenza, con contestuale nomina di altrettanti Commissari Straordinari
all'uopo delegati.
Gli atti appena citati sono stati impugnati in sede giurisdizionale dalla
European Roma Rights Centre Foundation (ERRC) e dai signori Herkules
Sulejmanovic e Azra Ramovic (anche nella qualità di genitori esercenti la
potestà sui figli minori), unitamente agli atti presupposti e connessi nonché a
quelli consequenziali, segnatamente le “Linee guida” per l'attuazione delle
ordinanze presidenziali emanate dal Ministero dell'Interno e i Regolamenti
adottati dai Commissari delegati nelle Regioni Lombardia e Lazio per la gestione
delle aree destinate ai nomadi e dei relativi “villaggi attrezzati”.
Il T.A.R. del Lazio, investito del ricorso e dei motivi aggiunti proposti
avverso gli atti suindicati, li ha accolti solo in parte, e in particolare:
- ha annullato le ordinanze presidenziali del 30 maggio 2008, nella parte in cui
era prevista e autorizzata l'identificazione di tutte le persone presenti nei
campi nomadi, indipendentemente dall'età e dalla condizione personale,
attraverso “rilievi segnaletici”;
- ha annullato talune specifiche disposizioni dei Regolamenti impugnati, siccome
contrastanti con la libertà di circolazione garantita dall'art. 16 dalla
Costituzione ovvero col diritto al lavoro anch'esso costituzionalmente
garantito;
- ha respinto, invece, le più generali censure formulate avverso il decreto
dichiarativo dello stato di emergenza e avverso gli altri atti consequenziali.
La sentenza contenente le statuizioni testé richiamate è oggi impugnata per un
verso dalle Amministrazioni statali e dal Comune di Roma, per la parte in cui
sono state accolte le doglianze degli originari ricorrenti, sia da questi
ultimi, con appello incidentale, per la parte relativa alla reiezione delle
ulteriori censure formulate in primo grado.
2. Tutto ciò premesso, va in via del tutto preliminare disposta la riunione
degli appelli in epigrafe ai sensi dell'art. 96 cod. proc. amm., trattandosi di
impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza.
3. Ancora preliminarmente, occorre esaminare l'eccezione di improcedibilità del
ricorso originario, per sopravvenuta carenza di interesse, sollevata dalle
Amministrazioni statali appellanti con la memoria conclusionale del 24 ottobre
2011.
Si assume, in estrema sintesi, che gli originari istanti non potrebbero più
ricavare alcuna utilità dall'eventuale accoglimento delle loro doglianze, non
avendo provveduto a impugnare tempestivamente i decreti del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 31 dicembre 2009 e del 31 dicembre 2010, con i quali
lo stato di emergenza per cui è causa è stato prorogato rispettivamente per gli
anni 2010 e 2011; ciò sulla base di pregressa giurisprudenza di questo Consiglio
di Stato, essendosi altrove affermato che la proroga dello stato di emergenza
non è atto meramente confermativo dell'originario decreto adottato ai sensi
dell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, nr. 225, ma segue a nuova valutazione
circa il permanere delle condizioni di fatto che determinarono l'iniziale
declaratoria dell'emergenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 gennaio 2011, nr.
654).
L'eccezione, pur abilmente proposta, non può essere accolta.
In primo luogo, come replicato in sede di discussione orale dalla difesa degli
appellanti incidentali, allo stato non può escludersi, ai sensi dell'art. 34,
comma 3, cod. proc. amm., il possibile residuare in capo agli originari
ricorrenti di un interesse di tipo risarcitorio (e ciò, si aggiunge, vale non
soltanto in relazione alla posizione dei signori Sulejmanovic e Ramovic, ma
anche nei confronti della ERRC, stante quanto appresso si dirà in ordine alla
sua piena legittimazione a rappresentare l'interesse “collettivo” della comunità
Rom).
In secondo luogo, alla luce dell'evidente coinvolgimento nella presente
controversia di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione e
dall'ordinamento internazionale, al Collegio appare evidente la sussistenza di
un rilevante interesse morale degli istanti alla definizione di essa nel merito:
interesse al quale è suscettibile di ricondursi un'utilità non meramente
astratta, stanti le evidenti ricadute che un eventuale accoglimento delle loro
doglianze potrebbe avere sulle future scelte dell'Amministrazione (in primis, e
ad esempio, in sede di eventuale ulteriore proroga dello stato di emergenza per
cui è causa).
Infine, e con specifico riguardo alla giurisprudenza richiamata dalle
Amministrazioni appellanti, la Sezione è dell'avviso che il carattere autonomo o
meramente confermativo di un atto rispetto a quelli antecedenti non possa essere
affermato in termini astratti, ma vada verificato in concreto sulla scorta della
sua motivazione e dell'istruttoria che lo ha preceduto.
Nel caso di specie, da una piana lettura dei menzionati decreti del 31 dicembre
2009 e del 31 dicembre 2010 (depositati in atti dalla difesa erariale), emerge
con evidenza che in essi non è contenuta alcuna valutazione riportata
all'attualità in ordine all'eventuale perdurare della situazione di fatto
addotta a base dell'emergenza dichiarata nell'originario decreto presidenziale
del 21 maggio 2008, ma sono unicamente ripercorsi gli interventi posti in essere
– e non ancora conclusi – per superare le varie “fasi” dell'emergenza medesima;
in altri termini, è chiarissimo che la proroga è motivata in modo pressoché
esclusivo con la necessità di portare a compimento le iniziative adottate dai
Commissari delegati, piuttosto che con un verificato permanere di situazioni di
fatto emergenziali.
Di conseguenza appare tutt'altro che pacifico l'assunto della difesa erariale,
basato sul presupposto che un ipotetico annullamento dell'originario decreto del
21 maggio 2008 non produrrebbe effetti caducanti sui precitati decreti di
proroga (ma la questione, come meglio appresso si dirà, esula dal perimetro del
presente giudizio).
4. Venendo all'esame degli appelli, in ordine logico va prioritariamente
esaminato il primo motivo di impugnazione articolato dal Comune di Roma, con il
quale sono riproposte le eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado
e dei motivi aggiunti, per difetto di legittimazione e di interesse.
Sul punto, il primo giudice ha respinto l'eccezione ritenendo di poter
prescindere dalla questione della sussistenza o meno della legittimazione ad
causam della ERRC, in quanto gli ulteriori ricorrenti, signori ***** e *****,
risultano prima facie legittimati in quanto appartenenti alla comunità Rom e
residenti nel campo nomadi di Roma (e, quindi, direttamente destinatari degli
atti impugnati).
L'Amministrazione comunale reitera le eccezioni, lamentandone anche in parte il
mancato esame in prime cure, sulla base di un duplice ordine di rilievi:
a) la ERRC non avrebbe fornito alcuna prova della propria legittimazione e/o del
proprio interesse all'impugnazione;
b) non sussisterebbe alcun interesse dei ricorrenti privati a impugnare gli atti
oggetto di censura, trattandosi di atti di portata generale e quindi non
immediatamente lesivi (ciò vale, in particolare, per le disposizioni
regolamentari annullate dal T.A.R., che secondo i comuni principi potrebbero
essere impugnate solo “mediatamente” in una con gli specifici provvedimenti
applicativi di esse).
Il motivo è infondato.
4.1. Con riguardo alla questione della legittimazione processuale della European
Roma Rights Centre Foundation (ERRC), va premesso che trattasi di associazione
costituita in base al diritto ungherese avente quale oggetto sociale – fra
l'altro – la tutela della comunità Rom e delle persone a questa appartenenti,
anche sul piano internazionale, contro ogni forma di discriminazione.
Trattasi dunque di ente deputato alla tutela di un interesse collettivo
specificamente riferito a un gruppo ben individuato e delimitato (la comunità
Rom), di modo che possono richiamarsi le conclusioni raggiunte da dottrina e
giurisprudenza in tema di tutela processuale di tali interessi.
Si assume, in particolare, che gli interessi “collettivi” si differenziano dagli
interessi “diffusi” in quanto, pur avendo in comune con questi ultimi il
carattere superindividuale, sono riferibili non alla generalità dei consociati,
ma a un gruppo stabile e non occasionale; di conseguenza, si tratta di veri e
propri interessi legittimi tutelabili in sede giurisdizionale (anche mediante
azione risarcitoria) in presenza di determinati presupposti.
Per quanto concerne la titolarità dei predetti interessi, questa spetta ad enti
esponenziali capaci di agire, che si distinguono tanto dalla collettività di
riferimento quanto dai loro singoli associati, con l'ovvia conseguenza che a
tali enti spetta, di regola, anche la correlativa legittimazione processuale
(laddove questa, in relazione agli interessi diffusi, viene riconosciuta a enti
in possesso di determinati requisiti solo a seguito di precise scelte normative,
come avviene ad esempio in materia di tutela ambientale).
Più specificamente, è ormai pacifico in giurisprudenza che ai fini del
riconoscimento della legittimazione dell'ente ad agire a tutela dell'interesse
collettivo è irrilevante il dato formale del possesso della personalità
giuridica, dovendo guardarsi al dato sostanziale dell'effettiva sua
rappresentatività rispetto all'interesse di cui si assume portatore: pertanto, è
necessario accertare in concreto che la rappresentatività dell'ente nei
confronti dei propri associati sia tale da consentirgli di intervenire a tutela
di un interesse da considerarsi non come semplice sommatoria degli interessi dei
singoli associati, ma come interesse proprio dell'associazione, in virtù – ad
esempio – di precise disposizioni statutarie che prevedano espressamente la
tutela di determinati interessi da considerarsi conformi a quelli del gruppo
sociale di riferimento; ciò peraltro non è sufficiente, occorrendo accertare
anche che l'interesse tutelato in sede giurisdizionale dall'associazione non sia
conflittuale, neanche in potenza, con quello anche solo di uno dei consociati,
oppure che non vengano tutelate le posizioni giuridiche solo di parte dei
consociati stessi (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2003, nr. 93; Cons.
Stato, sez. IV, 27 maggio 2002, nr. 2921).
Nel caso di specie, l'associazione istante – contrariamente a quanto sostenuto
dal Comune appellante – non si è limitata ad affermare apoditticamente di avere
quale proprio scopo istituzionale la tutela della comunità Rom, ma ha prodotto a
sostegno di tale assunto copia conforme del proprio atto costitutivo, in lingua
ungherese ed inglese (cfr. allegato 5 al ricorso introduttivo del giudizio).
A fronte di tale documentazione, all'Amministrazione resistente che intendesse
contestare la legittimazione incombeva l'onere di chiarire e documentare il
perché detta documentazione fosse inidonea o insufficiente a provare la
sussistenza dei requisiti suindicati, non potendo a tal fine limitarsi ad
affermarne genericamente l'insussistenza (come fatto pure nell'odierno appello).
4.2. Per quanto attiene alla posizione dei signori ***** e *****, viene in
rilievo non tanto il problema soggettivo della loro legittimazione, quanto
quello oggettivo dell'impugnabilità degli atti gravati in primo grado, che
secondo il Comune appellante non avrebbero portata immediatamente lesiva (ciò è
affermato specificamente per i Regolamenti commissariali censurati e
parzialmente annullati dal T.A.R., dei quali si assume la natura generale e non
provvedimentale).
Tuttavia, anche tale rilievo risulta infondato alla luce dei più approfonditi
arresti giurisprudenziali – che la Sezione condivide – in ordine
all'impugnabilità degli atti regolamentari.
In particolare, è ormai da tempo acquisito che, in ragione dell'ambivalente
natura della fonte normativa regolamentare, è possibile distinguere fra
regolamenti, e anche all'interno di un medesimo regolamento, fra disposizioni
contenenti statuizioni precise e puntuali, tali da pregiudicare direttamente la
sfera giuridica dei destinatari, e disposizioni dal contenuto più marcatamente
generale e astratto, che diventano lesivi soltanto in virtù di un successivo
provvedimento di attuazione: mentre gli atti del primo tipo vanno impugnati nel
termine perentorio di sessanta giorni dalla pubblicazione o dalla piena
conoscenza, quelli del secondo tipo possono essere sindacati solo a seguito
della c.d. “doppia impugnazione”, coinvolgente congiuntamente la disposizione
normativa e l'atto esecutivo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2011, nr.
2184; id., 27 dicembre 2010, nr. 9406; id., 6 settembre 2010, nr. 6463; Cons.
Stato, sez. V, 19 novembre 2009, nr. 7258; id., 7 ottobre 2009, nr. 6132; id.,
26 giugno 2000, nr. 3621).
Nel caso che occupa, è abbastanza agevole percepire che i Regolamenti in
questione, adottati dai Commissari delegati al dichiarato scopo di avviare la
gestione delle aree adibite a campi nomadi e dei “villaggi attrezzati” in cui
collocare le comunità dei loro residenti, contengono disposizioni in larga
misura autoapplicative, e quindi destinate a produrre i propri effetti anche
indipendentemente da specifici provvedimenti di attuazione ed esecuzione: ciò
vale, in particolar modo, per le disposizioni annullate dal giudice di prime
cure (si veda, ad esempio, l'art. 3.7 del Regolamento della Regione Lazio, che
impone a tutti i soggetti ammessi nel villaggi di munirsi di un apposito
tesserino di identificazione).
La presenza di siffatte norme, salvo a verificare nei singoli casi quali di esse
presentino le suindicate caratteristiche, è sufficiente a fondare un interesse
attuale e non meramente ipotetico a censurarle degli originari ricorrenti,
siccome loro destinatari.
5. Sempre seguendo l'ordine logico di esame delle questioni sottoposte al
Collegio, occorre ora esaminare l'appello incidentale con il quale gli originari
ricorrenti reiterano le doglianze mosse avverso il decreto presidenziale del 21
maggio 2008, dichiarativo dello stato di emergenza de quo, nonché avverso le
successive ordinanze del 30 maggio 2008; ciò in quanto l'eventuale fondatezza di
tali doglianze avrebbe un evidente carattere assorbente di ogni ulteriore
questione relativa agli atti impugnati.
L'appello incidentale è fondato, nei termini e limiti che verranno appresso
precisati.
5.1. Ed invero, con gli ampi e articolati motivi di censura qui riproposti in
via incidentale gli originari ricorrenti contestano il decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008 sotto due profili fondamentali:
- perché adottato in assoluta carenza di presupposti di fatto idonei a
legittimare una declaratoria di emergenza ai sensi dell'art. 5 della legge nr.
225 del 1992;
- perché in realtà unicamente dettato da intenti di discriminazione etnica e/o
razziale nei confronti della comunità Rom, incompatibili con i principi
costituzionali, comunitari e internazionali in subiecta materia che segnano un
limite anche all'esercizio dei poteri di protezione civile ai sensi dell'art. 5
testé citato.
5.2. Ciò premesso, giova richiamare i principali approdi giurisprudenziali in
ordine alla natura, alla latitudine e alla portata dei poteri riconosciuti dalla
ricordata legge nr. 225 del 1992 ed alla loro sindacabilità in sede
giurisdizionale.
È noto infatti, come sottolineato anche dalla difesa erariale nel presente
giudizio, che l'apprezzamento della situazione di fatto e degli “eventi” che, ai
sensi dell'art. 2, lettera c), della legge citata, possono determinare la
dichiarazione dello stato d'emergenza rientra nell'amplissima discrezionalità
dell'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 marzo 2006, nr. 1270; Cons.
Stato, sez. IV, 19 aprile 2000, nr. 2361).
Tuttavia, proprio dalla giurisprudenza innanzi citata è dato desumere, a
contrario, che tale ampia discrezionalità non trasmoda in un'assoluta
insindacabilità delle determinazioni assunte (non essendosi mai affermato che le
stesse rientrino in quella sfera, ormai ritenuta residuale, di valutazioni
“politiche” afferenti alla salvaguardia e al funzionamento dei pubblici poteri).
D'altra parte, che sulle determinazioni assunte ai sensi degli artt. 2 e 5 della
legge nr. 225 del 1992 residui un margine di sindacabilità da parte del giudice
si ricava dall'impostazione stessa che il legislatore ha inteso dare alla
disciplina dei poteri emergenziali, la quale:
a) è costruita manifestamente come derogatoria ed eccezionale rispetto
all'ordinario assetto delle competenze e dei poteri pubblici, giacché ai sensi
dell'art. 5 lo stato di emergenza può essere dichiarato solo in presenza di
situazioni riconducibili alla lettera c) del precedente art. 2 (“calamità
naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono
essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”), con esclusione di quelle
previste dalle lettere a) e b) della medesima disposizione;
b) è palesemente ancorata alla sussistenza di specifici presupposti di fatto,
individuati dalla stessa norma in modo preciso e puntuale.
Così stando le cose, è evidente che il sindacato giurisdizionale in subiecta
materia può legittimamente dispiegarsi in relazione alla attendibilità e
congruità dell'istruttoria e delle motivazioni addotte a base della declaratoria
dell'emergenza, con riguardo all'apprezzamento della “intensità” e della
“estensione” della situazione che si assume non fronteggiabile con i mezzi e
poteri ordinari, e – prima ancora – alla stessa individuazione dell'esistenza di
una situazione o di un “evento” avente tali caratteristiche.
Ciò si ricava, ad esempio, dalla giurisprudenza la quale, pur non escludendo
affatto che l' “evento” legittimante la dichiarazione dello stato di emergenza
possa essere di origine umana e possa altresì consistere in una situazione
risalente nel tempo e perfino endemica, ribadisce però che deve trattarsi pur
sempre di un evento avente carattere effettivo e oggettivo (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 30 maggio 2005, nr. 2795).
5.3. Orbene, nel caso che qui occupa gli attuali appellanti incidentali hanno
fin dapprincipio sostenuto che la declaratoria dello stato d'emergenza non
sarebbe sorretta da alcuna situazione di fatto effettiva e oggettiva, essendo
motivata – come recita il decreto del 21 maggio 2008 - dalla mera “presenza di
numerosi cittadini extracomunitari irregolari e nomadi” nelle aree urbane di
Milano, Napoli e Roma (e Comuni limitrofi); di modo che la sussistenza di un
“evento” idoneo a determinare le determinazioni assunte ex artt. 2, lettera c),
e 5, l. nr. 225/1992, sarebbe il frutto di una opinabile se non arbitraria
valutazione dell'Amministrazione, più che discendere da un dato di realtà.
Il primo giudice ha respinto la doglianza sul rilievo che, alla luce del decreto
de quo e degli atti preparatori che lo hanno preceduto, la causale
dell'emergenza è da individuarsi non già nella mera “presenza” delle comunità
nomadi, ma nel rapporto eziologico fra detta presenza e una “situazione di grave
allarme sociale” legata alla precarietà degli insediamenti in questione.
Proprio sotto tale angolo visuale, tuttavia, la Sezione non ritiene che dagli
atti prodromici e preparatori richiamati dal T.A.R. sia dato ricavare elementi
certi e obiettivi nel senso dell'effettiva esistenza di una situazione
straordinaria di tal fatta, quanto meno nei termini e nelle dimensioni che ne
giustifichino un inquadramento nella previsione di cui alla più volte citata
lettera c) dell'art. 2, l. nr. 225/1992.
5.4. Al riguardo, occorre preliminarmente sgombrare il campo dall'ipotesi – su
cui, per vero, si reggono almeno in parte le argomentazioni della difesa
erariale – che l'intervento emergenziale per cui è causa sia ispirato dalla
finalità di dotare le comunità nomadi di nuove e adeguate sistemazioni abitative
e di occasioni d'impiego, in modo da superare la denunciata situazione di
“precarietà”.
Infatti, se è indubbio che fra gli interventi emergenziali prefigurati nelle
ordinanze del 30 maggio e quindi attuati con gli atti esecutivi rientra anche
l'adozione di misure volte a un recupero delle condizioni igienico-sanitarie
degli insediamenti nomadi, alla tutela dei minori contro il loro impiego da
parte delle organizzazioni criminali ed a garantire ai soggetti interessati
l'accesso alle prestazioni di carattere sociale e assistenziale (in tali
termini, quasi testualmente, si esprime la premessa delle richiamate ordinanze),
non v'è dubbio però che l'interesse primariamente perseguito con la
dichiarazione dell'emergenza va individuato nella tutela delle popolazioni
residenti nelle aree urbane interessate da una ritenuta situazione di pericolo
ingenerata dall'esistenza degli insediamenti di nomadi.
Tanto si ricava da una pluralità di dati testuali, e segnatamente:
- dal fatto che di interventi posti in essere nell'interesse dei nomadi si
parli, nei termini appena evidenziati, solo nelle ricordate ordinanze (per lo
più con locuzioni accompagnate o precedute dalla congiunzione “anche”) e non
anche nel retrostante decreto del 21 maggio, a conferma del fatto che detti
interventi costituiscono soltanto uno degli strumenti con cui l'Amministrazione
ha ritenuto di perseguire la finalità primaria cui esso decreto è preordinato;
- dal fatto che, al contrario, nel decreto menzionato non si faccia cenno di
tali interventi, sottolineandosi unicamente l'esigenza di ovviare a una
situazione di “allarme sociale” ovvero di “pericolo” per “l'ordine e la
sicurezza pubblica”;
- dalla stessa terminologia così adoperata, che nell'uso normativo viene
comunemente impiegata nella legislazione penale o di pubblica sicurezza,
piuttosto che per definire le emergenze a carattere igienico-sanitario o
sociale.
5.5. Ciò premesso in via generale, è a dirsi che da un sereno e approfondito
esame della documentazione versata in atti relativa alla fase preparatoria e
antecedente l'adozione del decreto presidenziale de quo, non si evincono precisi
dati fattuali che autorizzino ad affermare l'esistenza di un “rapporto
eziologico” (per usare la terminologia del primo giudice) fra l'insistenza sul
territorio di insediamenti nomadi e una straordinaria ed eccezionale turbativa
dell'ordine e della sicurezza pubblica nelle aree interessate.
Innanzi tutto la circostanza che nel decreto si faccia cenno, prima di ogni
altra premessa, a “possibili gravi ripercussioni in termini di ordine pubblico e
sicurezza delle popolazioni sociali” rende non priva di argomenti l'opinione di
chi, come gli appellanti incidentali, reputi che la affermata situazione di
“allarme sociale”, più che già esistente ed acclarata, sia soprattutto paventata
pro futuro quale conseguenza dell'espandersi e dello stabilizzarsi delle
comunità nomadi.
In secondo luogo, il riferimento a “gravi episodi che mettono in pericolo
l'ordine e la sicurezza pubblica” non risulta supportato da una seria e puntuale
analisi dell'incidenza sui territori del fenomeno considerato (quale sarebbe, in
ipotesi, uno studio che documentasse l'oggettivo incremento di determinate
tipologie di reati nelle zone interessate dagli insediamenti nomadi), ma
soltanto dal richiamo di specifici e isolati episodi i quali, per quanto
eclatanti e all'epoca non privi di risonanza sociale e mediatica, non possono
dirsi ex se idonei a dimostrare l'asserita eccezionalità e straordinarietà della
situazione.
In particolare, sono richiamati alcuni devastanti incendi verificatisi
all'interno di campi nomadi, alcuni gravi episodi delittuosi assurti agli onori
delle cronache e anche la vicenda di una sorta di “rivolta” verificatasi a
Napoli (peraltro in un quartiere notoriamente connotato da estremo degrado e
disagio sociale anche nella popolazione locale) contro alcuni nomadi sospettati
di aver rapito una bambina; e tuttavia, per un verso si tratta di episodi in
occasione dei quali non è contestato sia stato sufficiente l'intervento delle
autorità locali con gli ordinari mezzi di prevenzione e repressione, e sotto
altro profilo essi – pur nella loro gravità - restano connotati da carattere
occasionale ed eccezionale, non valendo pertanto a legittimare l'affermazione
dell'esistenza di una “situazione” estesa all'intero territorio delle Regioni
interessate e tale da legittimare l'attivazione dei poteri derogatori ed
emergenziali di cui all'art. 5 della legge nr. 225 del 1992.
Infine, anche a voler ricollegare l'emergenza alla mera intensità e diffusività
del fenomeno determinato dalla “presenza” dei nomadi, non è fuori luogo rilevare
che né dal decreto né dai suoi atti prodromici è dato ricavare dati numerici che
autorizzino tale conclusione: in particolare, mentre per le aree di Roma e
Napoli non è precisato neanche approssimativamente quanti siano i nomadi ivi
stabilmente insediati, per Milano questi sono stimati in circa seimila, cifra
che – specie se rapportata alle dimensioni e alla densità abitativa
dell'agglomerato urbano milanese – non appare prima facie individuare un
fenomeno di dimensioni ed entità tale da rendere inefficaci gli ordinari
strumenti e poteri.
5.6. Quanto fin qui osservato, comportando il sostanziale svuotamento della
consistenza dell' “evento” in conseguenza del quale è stato dichiarato lo stato
di emergenza, sarebbe già sufficiente a rendere alquanto inverosimile la
sussistenza dell'ulteriore requisito legale, e cioè dell'impossibilità di
fronteggiare l'evento medesimo con gli ordinari mezzi e poteri.
Peraltro, sotto tale ultimo profilo il giudice di primo grado ha ritenuto
adeguato e sufficiente il richiamo contenuto nell'impugnato decreto
presidenziale alla “impossibilità di adottare soluzioni finalizzate ad una
sostenibile distribuzione delle comunità nomadi senza il coinvolgimento di tutti
gli enti locali interessati”, in considerazione della particolare ubicazione dei
campi nomadi al confine tra vari Comuni ed alla particolare configurazione
orografica dei territori interessati (in primis, quello milanese).
Al riguardo, la Sezione non disconosce affatto le enormi difficoltà che vi
possono essere nel coordinare l'iniziativa e l'azione di una molteplicità di
amministrazioni, laddove si voglia intraprendere un'attività di equilibrata
dislocazione e distribuzione sul territorio delle comunità nomadi esistenti: di
modo che è tutt'altro che inverosimile che a tale scopo possano rivelarsi
inidonei e insufficienti gli ordinari strumenti di coordinamento tra enti locali
predisposti dall'ordinamento (accordi tra amministrazioni, accordi di programma
e altri strumenti richiamati dagli odierni appellanti incidentali).
Tuttavia, nel caso di specie anche sotto il divisato profilo è dato cogliere un
difetto nell'istruttoria e nella motivazione retrostanti alla declaratoria dello
stato di emergenza: nel senso che in nessuna parte degli atti che hanno condotto
all'adozione del decreto del 21 maggio 2008 è possibile rinvenire le tracce di
un pregresso infruttuoso tentativo d'impiego dei ridetti strumenti ordinari,
ovvero di circostanze di fatto da cui poter evincere in maniera chiara e univoca
l'inutilità di un ricorso ad essi.
Ne discende che anche il requisito della non fronteggiabilità della situazione
con i mezzi e poteri ordinari, molto più che provato, resta affermato in modo
alquanto apodittico; ed è appena il caso di sottolineare che per la legittimità
dell'intervento emergenziale è indispensabile che anche tale requisito abbia una
sua effettiva e oggettiva consistenza (la quale – è quasi superfluo aggiungerlo
- non può ricavarsi, in ipotesi, da una mera incapacità delle istituzioni,
ovvero da una loro scarsa volontà politica, di ricorrere agli strumenti
ordinari).
6. Meno lineare è il giudizio della Sezione in ordine alla seconda doglianza
fondamentale degli appellanti incidentali, secondo cui l'intera operazione posta
in essere a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza sarebbe volta a
perseguire finalità discriminatorie nei confronti dell'etnia Rom, in violazione
di principi costituzionali nonché del diritto europeo e internazionale (vengono
evocati, fra gli altri, l'art. 3 dello Statuto del Consiglio d'Europa, la
Convenzione ONU di New York del 7 marzo 1996, l'art. 14 della CEDU, l'art. 6 del
Trattato sull'Unione Europea, l'art. 21 della Carta sui Diritti Fondamentali
dell'Unione Europea e la direttiva 2000/43/CEE).
Sul punto, il primo giudice ha escluso la sussistenza dei lamentati intenti
discriminatori sul rilievo che il complesso delle disposizioni connesse e
conseguenti allo stato di emergenza è destinato a essere applicato non soltanto
alle persone di etnia Rom, ma a tutti coloro che si trovino a risiedere anche
temporaneamente nei campi nomadi, indipendentemente dalla loro etnia e
condizione personale o sociale.
Nell'appello incidentale si stigmatizza la contraddittorietà della sentenza
impugnata in quanto, dopo aver valorizzato gli atti prodromici e preparatori del
decreto presidenziale del 21 maggio 2008 in sede di esame del primo ordine di
doglianze (quelle sopra esaminate in ordine alla carenza dei presupposti di
fatto ex artt. 2 e 5, l. nr. 225/1992), li ha invece trascurati ai fini
dell'apprezzamento degli obiettivi di discriminazione razziale perseguito
dall'Amministrazione: qualora li avesse presi in considerazione, ad avviso degli
istanti, sarebbe emerso con chiarezza che l'intero apparato normativo posto in
essere a seguito della dichiarazione dell'emergenza solo accidentalmente si
applica a una pluralità indifferenziata di soggetti, mentre è primariamente
intesa a colpire le comunità Rom.
In effetti è un dato di fatto che, mentre nel decreto e nelle ordinanze del
Presidente della Repubblica l'emergenza è sempre ricondotta alla presenza dei
“nomadi”, delle “comunità nomadi” e degli “accampamenti abusivi”, senza alcun
riferimento a profili di carattere etnico o razziale, così non è quanto agli
atti anteriori e, in particolare:
- nello stesso decreto del 21 maggio è richiamato il “Protocollo d'intesa per la
realizzazione del piano strategico emergenza rom nella città di Milano”
sottoscritto in data 21 settembre 2006 dal Prefetto di Milano, dal Presidente
della Regione Lombardia, dal Presidente della Provincia di Milano e dal Sindaco
di Milano;
- anche nelle proposte del Ministro dell'Interno del 14 e 16 maggio 2008, sulla
base delle quali è stata poi dichiarata l'emergenza, si fa specifico riferimento
a una “emergenza rom” per individuare il problema fondamentale da risolvere;
- in molti altri atti endoprocedimentali gli accampamenti abusivi vengono
definiti “campi rom”, anziché semplicemente “campi nomadi”.
Inoltre, è certamente dato di comune esperienza che la stragrande maggioranza
delle persone presenti nei campi in questione effettivamente ha una ben precisa
appartenenza etnica, essendo di origine Rom.
Tuttavia, ad avviso della Sezione questi elementi, se forse sono idonei a
disvelare un intento discriminatorio da parte di taluno dei soggetti
istituzionali coinvolti, non autorizzano però a concludere nel senso che
l'intera azione amministrativa nella specie sia stata unicamente e precipuamente
finalizzata a realizzare una discriminazione razziale nei confronti delle
comunità Rom.
Sotto tale profilo, deve convenirsi con le osservazioni svolte dal primo giudice
in ordine a due aspetti fondamentali:
a) la dichiarazione dell'emergenza non era in sé finalizzata a realizzare una
“ghettizzazione” delle popolazioni Rom residenti nelle Regioni interessate, ma
aveva il primario obiettivo di porre riparo a una “situazione di allarme
sociale” ritenuta sussistente (salvo quanto si è detto in ordine alla carenza di
prova dell'effettiva esistenza di tale situazione e della sua straordinarietà);
b) le misure adottate, al di là della loro possibile illegittimità sotto profili
diversi e ulteriori, effettivamente si estendevano in via generale a tutti i
soggetti residenti nei campi nomadi e persino a soggetti a questi estranei (si
pensi alle disposizioni regolamentari annullate dal T.A.R. in ordine
all'identificazione di chi si recasse in visita nei campi).
Naturalmente, tutto ciò non esclude affatto che singole misure o disposizioni
possano aver avuto effetti oggettivamente illegittimi o discriminatori (ci si
riferisce soprattutto a quelle già annullate nella sentenza impugnata, su cui
appresso si tornerà), ma – lo si ribadisce – ciò non è sufficiente a far
concludere nel senso di un'illegittimità generale degli atti sotto tale profilo.
In definitiva, mentre va rilevata l'illegittimità degli atti di esercizio dei
poteri emergenziali di protezione civile per difetto dei presupposti di fatto,
non può dirsi che vi sia anche una violazione dei limiti “esterni” imposti a
tali poteri dall'art. 5, comma 2, della legge nr. 225 del 1992, laddove si
precisa che questi devono mantenersi “nel rispetto dei principi generali
dell'ordinamento giuridico” (e fra questi – è superfluo rilevarlo – vi sono
certamente il principio di eguaglianza e il divieto di ingiuste
discriminazioni).
7. L'illegittimità del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21
maggio 2008, per le ragioni sopra esposte, deve comportare secondo i comuni
principi la caducazione, per illegittimità derivata, di tutti gli ulteriori atti
impugnati, e quindi non soltanto delle ordinanze presidenziali del 30 maggio
2008 di nomina dei Commissari delegati per l'emergenza, ma anche di tutti i
successivi atti commissariali (che, a questo punto, risulterebbero adottati in
carenza di potere).
Naturalmente, resta comunque salva la facoltà delle Amministrazioni interessate
di “sanare” il vizio d'incompetenza attraverso una riedizione o una convalida di
singoli atti a suo tempo adottati dai Commissari delegati, laddove ciò sia
possibile sulla base dell'ordinario assetto dei poteri e delle competenze; come
pure resta salva la facoltà di rinnovare la declaratoria dello stato di
emergenza, ove se ne ravvisino le condizioni e sia possibile farlo rispettando
il “perimetro” di quelli che si sono visti essere i presupposti di legittimità
per l'esercizio di tale potere (ciò che è possibile e non precluso dalla
presente decisione).
Siffatti rilievi, a fortiori, valgono quanto all'ulteriore questione – cui già
si è accennato sopra sub 3 – di quale debba essere la sorte dei decreti di
proroga dello stato di emergenza adottati per gli anni 2010 e 2011, non
impugnati nel presente giudizio.
Per questa ragione, ed anche per orientare l'eventuale azione futura
dell'Amministrazione in materia, la Sezione ritiene di dover pronunciarsi anche
sui motivi articolati negli appelli principali delle Amministrazioni statali e
del Comune di Roma, pur avendo questi ultimi a oggetto atti che in linea di
principio dovrebbero intendersi colpiti dalla richiamata illegittimità derivata.
8. Col quinto motivo del proprio appello, il Comune di Roma contesta la sentenza
impugnata nella parte in cui le ordinanze presidenziali del 30 maggio 2008 sono
state ritenute illegittime, e conseguentemente annullate, nella parte (art. 1,
comma 2, lettera c) in cui consentivano di procedere all'identificazione di
tutte le persone presenti nei campi nomadi, anche minori di età, mediante
rilievi segnaletici.
In particolare, l'Amministrazione appellante assume che il primo giudice sarebbe
stato indirizzato da una mera “sensazione”, ovvero da una sola possibile
interpretazione della disposizione sopra richiamata, per cui la stessa avrebbe
autorizzato l'effettuazione di rilievi segnaletici anche al di fuori delle
ipotesi consentite dalla normativa di pubblica sicurezza, e perfino laddove non
ve ne fosse necessità ai fini dell'identificazione delle persone; il tutto senza
considerare il fatto che – come peraltro riconosciuto dallo stesso T.A.R. – le
“linee guida” emanate dal Ministero dell'Interno in data 17 luglio 2008 hanno
fornito la corretta lettura della disposizione, riconducendo le prefigurate
attività d'identificazione personale nell'alveo delle normali procedure
amministrative e di polizia, nonché escludendo in via assoluta la creazione di
banche dati diverse e ulteriori rispetto a quelle consentite dalle leggi
vigenti.
La Sezione reputa il motivo infondato, e pertanto meritevoli di conferma in
parte qua le statuizioni del giudice di primo grado.
Ed invero, se può convenirsi con la parte appellante laddove afferma che quella
prospettata dal T.A.R. è solo una delle possibili interpretazioni della
disposizione innanzi richiamate, si tratta tuttavia di interpretazione
certamente possibile alla luce del tenore alquanto generico e anodino della
previsione, e altrettanto certamente di interpretazione suscettibile di condurre
a effetti illegittimi e aberranti; ciò peraltro è implicitamente ammesso dalla
stessa Amministrazione comunale la quale, più che difendere la legittimità in sé
della lettura de qua, tende a escluderne in radice la percorribilità sulla
scorta di un atto successivo alle ordinanze, ossia le già richiamate “linee
guida” ministeriali.
Tuttavia, non v'è chi non veda come tale ultimo atto, avendo natura e
consistenza di mera circolare, si ponga sicuramente a un livello sottordinato
rispetto alle disposizioni contenute nelle ordinanze presidenziali le quali – in
qualsiasi modo le si voglia collocare nella gerarchia delle fonti normative –
sono certamente idonee a innovare l'ordinamento giuridico attraverso
prescrizioni generali e astratte.
Ne discende che – in disparte la questione, pure evocata dagli originari
ricorrenti, della legittimità di una circolare che pretenda di integrare e
perfino modificare disposizioni dettate da una fonte sovraordinata – le predette
“linee guida”, non essendo vincolanti per i loro destinatari e neanche per la
stessa Amministrazione che le ha emanate, e potendo da quest'ultima essere in
qualsiasi momento disattese, derogate o modificate, si appalesano del tutto
inidonee a precludere possibili interpretazioni e applicazioni illegittime della
disposizione sovraordinata: di modo che del tutto correttamente il primo giudice
ha ritenuto di risolvere in radice il problema, dichiarando l'illegittimità
della disposizione in questione così come formulata.
In sostanza, si tratta delle medesime ragioni per le quali le istituzioni
europee considerano una mera circolare atto inidoneo ad assicurare una valida
trasposizione di direttive comunitarie nell'ordinamento interno (cfr. Corte di
giustizia CE, 21 giugno 1988, causa C-257/86).
9. Proseguendo nella disamina dei motivi di impugnazione, va ora esaminata la
censura – comune a entrambi gli appelli principali – con la quale si reitera
l'eccezione di inammissibilità dei motivi di doglianza articolati in primo grado
avverso le disposizioni (poi in parte annullate dal T.A.R.) dei Regolamenti
adottati dai Commissari delegati per le Regioni Lombardia e Lazio.
Si assume in sostanza che il primo giudice, a fronte di doglianze con le quali
ci si limitava a lamentare genericamente la violazione di alcuni diritti
costituzionalmente garantiti, senza per nulla precisare in che cosa tale
violazione consistesse, le avrebbe inammissibilmente integrate con la propria
motivazione nella quale si è dichiarata – come detto – l'illegittimità di alcune
delle gravate disposizioni regolamentari.
I motivi in questione sono infondati.
Ed invero, allorché si denunci – come nel caso di specie – il contrasto fra
disposizioni generali e astratte di un regolamento e altre norme di rango
superiore, non è sempre necessario l'impiego di una approfondita motivazione a
sostegno dell'ipotizzato contrasto, ben potendo quest'ultimo anche emergere
prima facie, dal mero raffronto fra le disposizioni in conflitto.
Sotto tale profilo, come meglio sarà appresso specificato, viene in rilievo il
carattere manifestamente e oggettivamente limitativo di determinate libertà che
le disposizioni regolamentari censurate dal T.A.R. del Lazio rivestivano, tale
da non rendere necessario diffondersi particolarmente al fine di denunciarlo.
10. Con gli ulteriori motivi articolati in entrambi gli appelli, che in questa
sede possono essere esaminati tutti congiuntamente, le Amministrazioni istanti
lamentano l'insussistenza dell'ipotizzato contrasto fra le disposizioni
regolamentari de quibus e gli invocati diritti costituzionalmente garantiti,
ovvero, in subordine o alternativamente, assumono trattarsi di limitazioni
pienamente legittime alla stregua del vigente sistema normativo.
Anche questi motivi d'appello, ad avviso della Sezione, si appalesano privi di
pregio.
Al riguardo, giova premettere che fra le disposizioni regolamentari annullate in
prime cure si possono distinguere, in ragione della causale del detto
annullamento:
a) quelle ritenute contrastanti con la libertà di circolazione garantita
dall'art. 16 Cost.;
b) quelle ritenute contrastanti col diritto al lavoro.
10.1. Nel primo gruppo rientrano, specificamente:
- gli artt. 3.7. del Regolamento della Regione Lazio e 7, comma 2, del
Regolamento della Regione Lombardia, i quali stabiliscono l'obbligo per tutti i
soggetti residenti nei “villaggi attrezzati” in cui dovrebbero essere dislocate
le comunità nomadi di munirsi di un tesserino di identificazione con annotate le
proprie generalità, che dovrebbe essere indispensabile per accedere e risiedere
nei villaggi medesimi;
- gli artt. 24, commi 1 e 4, del Regolamento della Regione Lazio e 5, comma 4,
lettera d), e 11 del Regolamento della Regione Lombardia, laddove prevedono
l'istituzione di “presidi” per l'accesso di estranei e visitatori ai villaggi in
questione, con l'obbligo di identificare compiutamente tali soggetti;
- gli artt. 3, commi 1 e 5, e 4.2, comma 3, del Regolamento della Regione Lazio,
il quale prevede per chiunque acceda ai villaggi in questione l'obbligo di
sottoscrivere una dichiarazione di impegno al rispetto delle norme interne di
disciplina.
In tutti questi casi, le argomentazioni spese dalle Amministrazioni a sostegno
della legittimità delle richiamate disposizioni non risultano convincenti.
In particolare, dette argomentazioni si sostanziano: nel richiamare la
giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha ritenuto legittime le
limitazioni imposte alla libertà di circolazione e soggiorno per motivi di
prevenzione e di ordine pubblico (p.es. ai fini della cattura di latitanti o
della prevenzione di determinati reati); nel rilevare la legittimità delle
disposizioni di legge che impongono ai titolari di strutture alberghiere di
identificare compiutamente le persone ospitate; nella legittimità delle
disposizioni interne che gli ospiti di villaggi e alberghi sono tenuti a
rispettare, anche ai fini della tutela e salvaguardia dell'ordine interno.
Il punto debole di siffatto argomentare consiste, a ben vedere, nel dare per
presupposto che per tutti coloro i quali, appartenendo alle comunità nomadi,
saranno destinati a risiedere negli istituendi “villaggi attrezzati”, in maniera
indifferenziata (cittadini e stranieri; comunitari ed extracomunitari; regolari
e irregolari; pregiudicati e incensurati) si pongano esigenze di ordine pubblico
riconducibili alla evocata normativa di polizia e di sicurezza; in altri
termini, la lesione alle libertà costituzionalmente garantite riposa proprio
nell'elevazione a regola generale e assoluta di ciò che è legittimo in
situazioni specifiche ed eccezionali.
Inoltre, il richiamo alle normative in tema di villaggi e strutture alberghiere
pone in luce l'equivoco di fondo in ordine alla natura e alla finalità dei
ridetti “villaggi attrezzati”: ché, se deve trattarsi di una soluzione al
problema della “precarietà” degli insediamenti nomadi, e quindi di creare
sistemazioni abitative definitive per i soggetti interessati, allora è chiaro
che per questi ultimi dovrebbe valere ciò che vale per qualsiasi soggetto in
casa propria, essendo conseguentemente incongrua ogni comparazione con la
condizione degli ospiti di alberghi e villaggi turistici.
A fortiori le considerazioni che precedono devono valere per coloro che,
estranei, accedano ai predetti villaggi in qualità di ospiti temporanei o
visitatori di coloro che vi alloggiano, essendo dato di comune esperienza –
contrariamente a quanto assumono le Amministrazioni appellanti – che il
controllo affidato a guardiani e custodi sull'accesso ai condomini e ai parchi
privati di regola non consiste, come nella specie, nell'identificazione di
chiunque vi acceda con l'annotazione delle relative generalità.
Infine, per quel che riguarda le norme di disciplina interne – in disparte
quanto già rilevato circa l'incongruità dell'assimilazione tra gli ex nomadi
residenti nei “villaggi attrezzati” e gli ospiti di un villaggio turistico – la
potenziale lesione alla libertà nella vita di relazione, oltre che a quella di
circolazione, consiste nel rendere obbligatoria la sottoscrizione di una
dichiarazione d'impegno a rispettare norme di comportamento e disciplina non
ancora esistenti: infatti, negli stessi Regolamenti è precisato che l'adozione
di queste ultime resta affidata ad atti di competenza dei Comuni
territorialmente competenti, di modo che resta quanto meno oscura la finalità
della dichiarazione d'impegno de qua (a meno di non volerla assimilare a un
generico, e sostanzialmente pleonastico, impegno a rispettare le norme
dell'ordinamento giuridico generale).
10.2. Per quanto riguarda il secondo gruppo di disposizioni regolamentari
annullate dal T.A.R., vengono in rilievo gli artt. 4.1, comma 1, e 4.2, comma 2,
del Regolamento della Regione Lazio, che contemplano rispettivamente il potere
dell'Amministrazione di elaborare proposte di avviamento al lavoro e l'obbligo
degli interessati di accettare dette proposte.
Sul punto, i rilievi delle Amministrazioni appellanti si sostanziano
nell'osservare che il diritto al lavoro è garantito dall'art. 4 Cost. ai soli
“cittadini”, e non a tutti, e nel sottolineare che l'elaborazione di proposte di
inserimento lavorativo costituisce attuazione del dovere, imposto dalla stessa
Costituzione allo Stato, di creare occasioni di lavoro per chi ne è privo.
Tuttavia, come forse non adeguatamente messo in luce dal giudice di prime cure,
la lesione al diritto costituzionalmente garantito sub specie della libertà di
scegliere autonomamente il proprio lavoro in questo caso, più che dalle
disposizioni regolamentari singolarmente considerate, discende dal loro
combinato disposto; in sostanza, ci si trova al cospetto di un sistema nel quale
al potere pubblico compete l'elaborazione, sostanzialmente unilaterale, delle
ridette “proposte” di inserimento lavorativo, che il soggetto destinatario è
tenuto necessariamente ad accettare sotto comminatoria di conseguenze
sanzionatorie anche incidenti sulla condizione personale all'interno dei
“villaggi attrezzati” (si veda, in particolare, l'art. 5 del medesimo
Regolamento, che contempla l'ipotesi della revoca dell'autorizzazione alla
permanenza nel villaggio anche per il caso di “reiterato rifiuto di proposte di
inserimento lavorativo”).
Quanto all'ulteriore argomento, desunto dall'essere riferito il disposto
dell'art. 4 Cost. ai soli “cittadini”, esso in un certo senso prova troppo:
infatti, come già sottolineato, è indubbio che le disposizioni oggetto di
censura nel presente giudizio sono destinate ad applicarsi tutte a chiunque si
trovi nella condizione di risiedere nei campi nomadi, ivi compresi coloro che
dovessero essere già in possesso della cittadinanza italiana.
11. In conclusione, sulla scorta degli argomenti fin qui svolti, mentre s'impone
l'accoglimento degli appelli incidentali con la conseguente parziale riforma
della sentenza impugnata (sia pure nei limiti chiariti e con le precisazioni che
si sono svolte), vanno invece respinti gli appelli principali proposti dalle
Amministrazioni statale e comunale romana.
Restano salve, come meglio sopra precisato al punto 7, le ulteriori
determinazioni che le Amministrazioni competenti vorranno assumere.
12. L'evidente complessità e la novità delle questioni esaminate giustifica
l'integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del
giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente
pronunciando, riuniti gli appelli in epigrafe:
- accoglie l'appello incidentale e, per l'effetto, in parziale riforma
della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi e limiti
di cui in motivazione;
- respinge gli appelli principali.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2011
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/11/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Di Fabrizio (del 21/11/2011 @ 09:46:32, in Italia, visitato 1371 volte)
Altro che indignati, "Occupy l'assessorato". Nelle tende stamattina
mattina, erano rom, soprattutto minorenni, per necessità e con la voglia di
alzare la testa. 23 nuclei familiari censiti, circa 80 persone, che da mesi si
ritrovano a girare fra uno sgombero e l'altro. Sono il frutto avvelenato
delle politiche di commissariamento della questione rom nella capitale, quella
su cui Alemanno si era giocato e vinto la propria campagna elettorale. Deve a
certi lugubri e fallimentari manifesti contro cui non si è costruita valida
opposizione, la sua elezione a sindaco di Roma Hanno occupato i marciapiedi di
fronte all'assessorato ai servizi sociali perché chiedono una soluzione
abitativa stabile e decente senza la dispersione del nucleo familiare. A
sentirne le storie c'è da restare carichi di raccapriccio e di indignazione:
alcuni di loro sono quelli che avevano alzato la testa durante le giornate che
precedettero la Pasqua del 2011 e occuparono la Basilica di S. Paolo, ottenendo,
con l'intervento del cardinal vicario, una sistemazione per alcuni mesi in
centri di accoglienza.
Altri sono stati respinti dal centro di Via Salaria, struttura convenzionata
con il Comune in cui è difficile entrare ma da cui è facile essere cacciati. In
un elenco sono elencate le ragioni della cacciata: un problema di salute di uno
dei componenti della famiglia, l' improvviso viaggio in Romania di cui si è
comunicato in maniera errata il termine, un incidente burocratico e, senza pietà
alcuna si sono ritrovati in strada, a dormire dove capitava. Schede con nome,
cognome età, malattia denunciata o ragioni che hanno costretto la famiglia a
spostarsi all'improvviso, contando erroneamente nella disponibilità dei centri
di accoglienza a non essere gestiti da burocratici e ferrei rappresentanti di
regolamenti. Con loro solo i soggetti che da sempre sono stati al fianco dei rom
con una parola d'ordine chiara: basta con i campi, che vanno chiusi, basta con i
piani emergenziali, che si restituisca alla politica un intervento specifico e
che si ragioni in prospettiva per una adeguata soluzione abitativa.
È Gianluca, dell'associazione Popica a raccontare l'evolversi della
vicenda:«Quelli che erano in strada vengono o dal centro di Via Salaria o sono
stati mandati nel centro Caritas di Via Torre Branca, dopo l'occupazione della
Basilica. Sono finiti in strada perché non hanno rispettato i tempi di rientro,
imposti ufficialmente alla Salaria e in maniera surrettizia nell'altro centro.
Da luglio sono riaccampati – continua Gianluca – C'è chi in un mese ha subito 4
sgomberi e non sa più dove andare. Sono arrivati al punto che la sera montano le
tende e all'alba le smontano, prima di vederle demolite. A settembre abbiamo
chiesto al responsabile del Quinto dipartimento di trovare una soluzione ma,
come al solito venivano garantiti posti solo per donne e bambini. Poi ci hanno
detto che li avrebbero ospitati in una nuova area sulla Salaria, rinviando in
continuazione ogni sistemazione».
L'iniziativa ha lasciato sorpresi i funzionari dell'assessorato. Dopo i
giornalisti, gli esponenti di movimenti e forze politiche venute a manifestare
il proprio sostegno, è giunta la celere, ad impedire che la manifestazione
crescesse o interrompesse il lavoro in assessorato. Sembrava non vi fossero
margini di trattativa- chi poteva intervenire risultava irraggiungibile - ma un
passo avanti si è fatto.
Mercoledì 23 novembre, a partire dalle ore 9 il responsabile del dipartimento
incontrerà i rappresentanti di tutte le famiglie coinvolte, per alcune,
innanzitutto quelle che hanno bambini a scuola, si potrebbe trovare una
soluzione per altri difficile saperlo. La frase è sempre la stessa, "non ci sono
posti, non ci sono soldi". E pensare ai milioni spesi in politiche repressive
inutili, xenofobe, atte solo a moltiplicare e a nascondere i problemi e non a
risolverli. Il sindaco di una città di quasi 3 milioni di abitanti è impotente
di fronte a poche decine di persone, nel contempo annuncia l'allargamento
dell'ennesimo mega campo, in località La Barbuta, nei pressi delle piste
dell'aeroporto di Ciampino. Un campo che molti vorrebbero boicottare in quanto
risposta fallimentare ed emergenziale ad una questione strutturale.
Per questo Popica e Arci invitano tutti e tutte coloro che mercoledì
vorranno portare solidarietà alle famiglie rom, a venire sotto l'assessorato, in
Viale Manzoni. Il Prc ha già aderito. Con i rom perennemente cacciati per
cacciare un sindaco incapace e indegno.
Di Fabrizio (del 20/11/2011 @ 09:48:21, in Italia, visitato 2961 volte)
Due anni fa, era il 19 novembre, GIORNATA DEI DIRITTI DELL'INFANZIA,
grande iniziativa a tema in Comune. Pioveva, e
quello stesso giorno alcuni bambini DIVERSI venivano sbattuti per strada con
i loro genitori e niente da portarsi dietro, dallo stesso comune di Milano.
Iniziò allora la RESISTENZA di
Rubattino, che vide assieme le famiglie rom, gli insegnanti, i genitori
dei loro compagni di scuola, cittadini, sacerdoti, persino un produttore di
vino... Si concretizzò l'idea di una Milano diversa e solidale, che non si
limitava a protestare, ma sapeva reagire.
Anche da quell'esperienza, è nato il cambio di maggioranza della primavera
scorsa.
Venerdì scorso, a due anni da quello sgombero, è stato presentato
il libro che racconta di questa esperienza. Alla presentazione, una delle
oratrici era l'attuale vice sindaco, Maria Grazia Guida, che dopo il suo
intervento si è subito eclissata.
Ai compagni, agli amici che pieni di buona volontà tentavano di coinvolgermi,
ho provato a spiegare con qualche difficoltà perché non avrei aderito. Provo a
farlo con voi, premettendo che quello che potrà sembrarvi uno sfogo personale, è
in realtà una questione POLITICA (come sempre):
Anche se non amo parlare di me, confesso che sacchi a pelo, coperte,
piumoni, giacche a vento ecc. li raccolgo tutto l'anno e senza tanta
pubblicità; preciso: non sono il solo. Finiscono in quei campi nomadi
ABUSIVI, il cui sgombero per De Corato era un vanto da esibire, e per la
nuova giunta invece una storia minore da tenere nascosta.
Noi, sfigati volontari, quei Rom ancora più sfigati, i cittadini che
se li ritrovano rimbalzati sotto casa nell'eterno gioco di guardie e ladri,
non abbiamo ancora capito la differenza tra uno sgombero fascista e uno
democratico... forse adesso al posto della ruspa i vigili porteranno caffè e
giornale, resta il fatto che l'unica soluzione proposta rimane quella della
divisione dei nuclei famigliari: donne e bambini piccoli nei centri
d'accoglienza, uomini e bambini grandi a spasso.
Ma perché facciamo questo tutto l'anno, immaginate con quale gioia per
le nostre tasche? Perché durante questi sgomberi quello che abbiamo
procurato in precedenza va perso e va reintegrato di continuo.
QUESTO E' L'ASSURDO DELL'APPELLO DI PISAPIA: da un lato la sua
amministrazione è complice nel non voler affrontare il problema e nella
distruzione di nostre proprietà private, dall'altro ci chiede di dare una
mano a quelli che sono i SUOI poveri (o i poveri buoni, o i poveri che vuole
rendere visibili - fate voi).
Per me, per chi come me questo l'ha sempre fatto in silenzio, tutti i
poveri hanno pari dignità e pari bisogni, al di là che abbiano o meno un
documento in tasca. E questo è il nodo politico.
Comunque, non è questo il cambiamento per cui avevamo votato.
Tra l'altro, sinora ho scritto della situazione nei campi abusivi. Ma
esistono anche quelli comunali dove, a maggior ragione, chi ci abita aspettava
segnali di uscita da un'incertezza che dura da anni.
Cosa chiedevano questi nostri concittadini (di cui molti sono italiani, non
dimentichiamolo)?
Prima di tutto, poter parlare in prima persona sulla loro situazione.
NESSUNA RISPOSTA.
Capire quale sarà il loro destino, visto che in comune si continua a
parlare di "superamento dei campi". NESSUNA RISPOSTA.
Poi, visto che i campi li si vuole chiudere, ma nel contempo stanno
cadendo a pezzi perché da anni manca la manutenzione, che si facciano
quantomeno i lavori indispensabili: restaurare ciò che è a rischio crollo,
assicurare acqua ed elettricità, mettere i campi in sicurezza. NESSUNA
RISPOSTA.
Mi tocca ripetere quello che ho già scritto altre volte: "Novembre non è
il mese più adatto per giocare al piccolo campeggiatore" Vedete di capirlo, voi
ed i vostri appelli alla carità cristiana!
Novità: dopo un mese e mezzo passato al telefono, i Rom di via Idro hanno ottenuto un incontro con il dirigente dell'Ufficio Nomadi. Si trattava, e si tratta tuttora, di urgenza. Un sentito applauso al tempismo dimostrato.
In un commento al mio terzo articolo sull'intolleranza fra tzigani e gadje' in
Ungheria, mi e' stato chiesto di spiegare qualcosa di piu' riguardo
all'Autogoverno Nazionale Rom di cui, appunto, parlo. Non smentendomi mai quando
qualcosa mi prende e sento di essere in grado di dare un piccolo contributo - ed
avendo un po' di tempo libero - avevo preso la tastiera e iniziato a
scrivere, salvo accorgermi alla fine che la mia risposta era venuta talmente
lunga da avere la struttura non piu' di un semplice commento, ma di un nuovo
articolo che avrebbe potuto benissimo integrare gli altri tre gia' scritti
sull'argomento. Ecco dunque, per chi fosse interessato, di cosa si tratta quando
si parla di sistema di autogoverno nazionale per le minoranze.
Creato nel 1993, il sistema di autogoverno avrebbe dovuto permettere ad ognuna
delle centotrentadue minoranze riconosciute in Ungheria di stabilire forme
locali, regionali e nazionali di autogoverno. L'Autogoverno Nazionale Rom (Országos
Roma Önkormányzat oppure Országos Cigány Önkormányzat), dunque, non si
differenzia da ogni altro autogoverno nazionale delle minoranze, come ad esempio
quello rumeno o tedesco che formalmente e sostanzialmente hanno identiche
funzioni.
Questi organi elettivi, che sono paralleli alle principali istituzioni, ma non
ne sostituiscono le funzioni, hanno soprattutto il compito di prendere decisioni
in materia di istruzione locale, sulla protezione delle tradizioni e della
cultura, e sulla lingua da utilizzare nelle istituzioni pubbliche e nei mezzi di
comunicazione stampati ed elettronici.
"Il nostro obiettivo e' quello di rappresentare i Rom ed aiutare il governo
locale a costruire ed operare in linea con quelle che sono le necessita' della
comunita'. E' importante per noi la legalita', la professionalita' e la
moralita'. Il nostro interesse comune e' quello di preservare i nostri valori e
la nostra identita', concorrendo allo sviluppo rurale e alla creazione di nuovi
posti di lavoro. Crediamo che in molti casi lo sviluppo vada oltre gli interessi
specifici delle comunita' locali, i comuni, le province, perche' in tutto il
paese, operando insieme, possiamo rafforzarci a vicenda."
Questo e' cio' che sta scritto nei propositi e nelle intenzioni, e i
rappresentanti dell'Autogoverno Nazionale Rom tentano di farlo contribuendo a
tutte le questioni che riguardano la minoranza Rom locale attraverso l'accesso
garantito alle riunioni del consiglio comunale, oppure tramite altre funzioni
speciali che vengono stabilite dallo stato centrale a seconda delle esigenze
contingenti del momento.
Oggi ci sono oltre 1.100 Autogoverni Rom locali in Ungheria e perche' un
autogoverno sia formato trenta persone, appartenenti ad un gruppo di minoranza e
residenti nello stesso comune, devono registrarsi e partecipare alle elezioni.
Fin dall'inizio, giuristi, studiosi e politici vari hanno espresso
preoccupazione per un sistema di governo separato in grado di deliberare sulle
questioni delle minoranze. Cio' anche a causa di vari ed evidenti problemi
procedurali. Nel 1997, in una conferenza a tre (il Consiglio d'Europa, l'Ufficio
del premier ungherese, e i rappresentanti degli autogoverni nazionali) che aveva
lo scopo di valutare il funzionamento del sistema, sono stati individuati molti
problemi: competenze poco chiare, mancanza di differenziazione tra i bisogni
delle varie minoranze, carenze di finanziamento, nonche' una scarsa
emancipazione degli elettori, indipendentemente dall'appartenenza etnica.
Quest'ultimo problema, combinato al fatto dei molti candidati che cercavano di
rappresentare gruppi di minoranza a cui non appartenevano, ha portato a casi,
come quello nella comunita' di Jászladány, di non rom (eletti da elettori non
rom), che in realta' avevano come finalita' quella di limitare l'efficacia
dell'Autogoverno Nazionale Rom locale.
Per risolvere alcuni di questi problemi, nel 2005, dopo anni di negoziati, il
Parlamento ungherese ha approvato una serie di modifiche al sistema di
autogoverno. I cambiamenti riguardano una piu' chiara definizione delle
competenze, il rapporto con il governo locale, e l'istituzione di meccanismi di
maggiore trasparenza per supervisionare i fondi destinati alle varie minoranze.
Queste modifiche hanno anche corretto parzialmente il problema che
nell'autogoverno fossero eletti cittadini non appartenenti a quel gruppo di
minoranza, esigendo che i candidati fossero nominati solo dagli appartenenti
alla minoranza stessa e che gli elettori registrati per eleggerli dovessero
ufficialmente dichiarare la loro etnia.
Ma anche se le modifiche hanno prodotto dei miglioramenti, non hanno affrontato
i problemi inerenti al modo in cui il sistema e' stato progettato, cioe' la
tendenza a marginalizzare le questioni delle minoranze, depositandole su una
struttura semi-governativa parallela molto limitata nelle sue funzioni,
piuttosto che affrontarle con veri e propri strumenti istituzionali.
Percio', seppur il sistema sia chiamato "autogoverno", tale termine e' improprio
in quanto la gamma delle sue competenze e' ben lungi da quelle che dovrebbe
avere un vero autogoverno. L'Autogoverno Nazionale Rom non ha, infatti, l'autorita'
di agire al di fuori di un ambito molto limitato di funzioni ed assomiglia piu'
ad una ONG che ad un organo elettivo. L'uso del termine "autogoverno", dunque,
non e' solo impreciso, ma in realta' danneggia la credibilita' e la legittimita'
dell'intero sistema tra i rom, in quanto suscita aspettative irrealistiche che
non vengono quasi mai realizzate nei fatti.
Tutto il difetto sta nel modo stesso in cui il sistema e' stato progettato che
gli impedisce di avere un impatto significativo sui temi di maggiore interesse
per la maggioranza dei rom e ne ostacola subdolamente l'integrazione politica.
Cio' e' dovuto al fatto che non era una vera integrazione politica l'intento
iniziale del governo quando lo ha creato. Piuttosto, il vero obiettivo era
quello di dare alle minoranze una salvaguardia per preservare le diverse
tradizioni culturali e linguistiche, ma soprattutto - secondo l'opinione di
molti – era un modo per incoraggiare i paesi vicini a fare la stessa cosa, cosi'
da permettere alle comunita' di minoranza ungherese lo stesso privilegio.
Gli Autogoverni Nazionali Rom, in ogni caso, non sono adeguatamente finanziati.
Soprattutto a livello locale mancano finanziamenti sufficienti per svolgere
entrambe le funzioni che erano l'intento originario del sistema: quella
socio-culturale, e quella di promuovere ulteriori progetti per migliorare le
condizioni di vita dei membri della comunita'. Con un budget bassissimo, di
appena tremila dollari l'anno, destinato ad ogni "cellula", senza che vengano
considerate le dimensioni della citta' o della popolazione, un Autogoverno
Nazionale Rom da solo non puo' coprire che un modesto stipendio per un
dipendente a tempo parziale incaricato di coordinare il lavoro dei suoi
rappresentanti eletti. Per tale motivo, i fondi stanziati dallo stato vengono
spesso integrati anche con aiuti che giungono a sostegno, come finanziamenti da
parte di privati e enti religiosi.
Gli Autogoverni Nazionali Rom sono autorizzati a distribuire tali fondi
sottoforma di aiuti a imprese, sostegno a famiglie oppure come borse di studio,
e cio' puo', in molti casi, essere fonte di manipolazione e uso improprio di
questi soldi. Ovviamente, come si puo' ben capire, tutto cio' crea contrasti e
conflitti all'interno della stessa comunita' rom.
Il mio parere - e non solo il mio - espresso piu' volte in varie occasioni, e'
che pur riconoscendo le carenze inerenti alla progettazione iniziale del
sistema, gli Autogoverni Nazionali Rom debbano innanzi tutto favorire una
maggiore partecipazione (ed inclusione) politica degli appartenenti alla
comunita'. Cosa che non puo' avvenire se non si allarga la base di persone
istruite. Il rischio, infatti, e'che a gestire gli autogoverni e ad essere
eletti siano in fondo sempre le stesse persone, per questo necessitano maggiori
fondi a sostegno dell'educazione e dell'istruzione. Oltre a cio', Autogoverni
Nazionali Rom e ONG, insieme, dovrebbero svolgere non solo un ruolo piu'
importante nel monitoraggio delle politiche dei governi locali e nazionali,
soprattutto per cio' che riguarda la trasparenza nei criteri con i quali vengono
assegnati e ripartiti i fondi, ma anche una funzione istituzionale di
monitoraggio ed eventuale denuncia laddove venga ravvisata una violazione dei
diritti umani.
Si registreranno incidenti razzisti e xenofobi al fine di combatterli
Il Ministro degli Interni creerà un registro per i casi verificatisi
Durante l'ultimo Consiglio dei Ministri il governo ha approvato un documento
a lungo sostenuto dalle OnG che lottano contro il razzismo. Il documento,
che offriamo ai nostri amici e lettori, si intitola "Strategia Integrata contro
il Razzismo, la Discriminazione e la Xenofobia." Prevede la creazione di un
registro sugli incidenti razzisti e discriminanti e chiede la modifica del
Codice penale, per punire qualsiasi atto di incitamento all'odio. Per questo
andrebbero aboliti gli articoli 510 e 607 del Codice Penale, al fine di
eliminare le differenti interpretazioni dei tribunali riguardo a questi delitti.
Si ritiene così di articolare e stimolare le azioni che sviluppano i poteri
pubblici e la società civile nella loro lotta contro il razzismo e la xenofobia
per cercare di dare una risposta più efficace di fronte a queste situazioni, con
strumenti simili a quelli di altri paesi europei.
La strategia è rivolata a tutta la società, anche se contempla situazioni
specifiche di gruppi specifici come i gitani o quei cittadini che si trovano in
situazione di maggiore vulnerabilità. E tutto perché si riconosce che sono
presenti nella società spagnola atteggiamenti e manifestazioni discriminatorie,
come i fatti di violenza ed odio di origine etnica o razziale.
Come Unión Romaní è nostra intenzione che tutte le persone di buona volontà,
tutti i democratici, ricevano questa notizia con la fondata speranza che possa
contribuire al consolidamento di una società migliore.
Dale Farm ha monopolizzato i titoli dei giornali negli ultimi mesi. Ma
come prova Alex Turner, ci sono innumerevoli esempi di Traveller che lavorano
con successo assieme ai proprietari terrieri
I titoli nei giornali degli ultimi mesi hanno reso una triste immagine per le
comunità zingare e viaggianti in GB.
I 10 anni di lotta contro lo sgombero tra i residenti a Dale Farm ed il
consiglio di Basildon, giunto ad un violento epilogo il mese scorso, ha portato
l'attenzione pubblica sul conflitto tra i Traveller ed i consigli locali, col
diritto ad una sistemazione decente al centro dell'argomentare. Si aggiunga a
ciò la proposta dell'inizio dell'anno di Eric
Pickles, segretario alle comunità, per dare ai consigli maggiori poteri nello
sgomberare gli zingari dai siti illegali, e potrete immaginare i Traveller di
fronte ad una costante battaglia contro le autorità.
La situazione reale è spesso più armoniosa di quanto la recente copertura
mediatica potrebbe farci credere. Presso il sito per zingari e viaggianti di Cemetery Road,
a Silverdale non lontano da Newcastle-under-Lyme - 19 piazzole, Housing Aspire
ha portato notevoli miglioramenti dopo la consultazione con i residenti.
Secondo Chris Whitwell, direttore dell'associazione caritativa "Friends, Families and
Travellers", questo tipo di approccio positivo verso la gestione del sito, può
alla lunga impedire frizioni occasionali tra comunità viaggiante e stanziale.
Dice: "Girando in lungo e in largo per il paese, l'esperienza mostra che siti
zingari e viaggianti ben gestiti non causeranno problemi con la comunità
locale."
Il lavoro, finanziato da 200.000 sterline dalla Homes and Communities Agency and Aspire,
ha incluso nuovi bagni e cucine, ed anche il rinnovamento dell'impianto luce e
riscaldamento. Nel sito è stato anche rinnovato e allargato il centro
comunitario, che ospita un'aula scolastica per i figli di alcuni residenti.
Come qualsiasi altro
Il direttore del distretto Aspire, Kevin Davies, che ha responsabilità operative
per il sito di Cemetery Road, conferma le impressioni di Whitwell. "I
bambini frequentano le scuole locali, e non ci sono grandi questioni tra la
popolazione zingara e viaggiante ed i residenti nell'area circostante," dice.
"Trattiamo i nostri residenti a Cemetery Road, come tutti gli altri delle nostre
8.500 proprietà."
Il sito è gestito dal consiglio di
Newcastle-under-Lyme, che l'ha aperto nel 1993, fino a trasferirvi le sue azioni
nel 2000. Quando è subentrata Aspire, il lavoro da svolgere a Cemetery Road
equivaleva a zero.
"C'era da migliorare alcuni servizi," ricorda Davies. "Come parte del lavoro,
abbiamo anche aumentato il numero delle piazzole da 17 a 19."
Le due nuove piazzole beneficiano di accesso per disabili - un vantaggio in
una comunità delle età più diverse - ed il programma di investimento, ritagliato
sulle necessità individuali, si è dimostrato sorprendentemente popolare tra i
residenti.
"Questo sito è incantevole ed ora ha tutto ciò che si vuole," dice Rose*,
che ha vissuto a Cemetery Road sin dalla sua apertura. "La mia roulotte ha una
propria zona giorno, cucina e doccia, e c'è sempre acqua calda e fredda. Sono
arrivata con la mia famiglia, e ora qui ho anche tre figlie."
Legami famigliari
Avere la famiglia in loco è uno dei criteri per essere rialloggiati a Cemetery
Road, in base al contratto di gestione tra Aspire ed il consiglio di Newcastle-under-Lyme.
Attualmente le condizioni di licenza stanno per essere rivedute, per portare i
diritti di successione in linea con gli altri contratti di locazione di Aspire -
a cui si ispirano sotto molti aspetti.
"I candidati ci approcciano direttamente - ovviamente devono essere
Traveller," dice Davies. "Li mettiamo in lista d'attesa e contemporaneamente
come priorità nel caso ci fossero esigenze particolari - mediche, connessioni
locali ecc. - secondo la politica che applichiamo con tutti i richiedenti.
La popolarità di Cemetery Road ha significato scarso turnover di residenti
negli ultimi anni. Come risultato: una lunga lista d'attesa per i richiedenti,
anche se la funzionaria Carol Yeardley tende a sottolineare i benefici di questa
stabilità.
"I problemi di gestione sono simili a quelli di molte altre tenute di Aspire,"
ci dice. "I nuovi incaricati devono impiegare tempo nel farsi conoscere, ma la
gente ha fiducia in noi. Siamo spesso nell'ufficio in loco ed i residenti sono
contenti di parlare con noi. Sotto un certo aspetto il sito è autogestito.
Storia del gestore del sito
Derek Mincher, 64 anni, è responsabile dei compiti giornalieri, come anche
delle piccole manutenzioni e della raccolta degli affitti, vive e lavora a Cemetery Road
sin dall'apertura nell'agosto 1993.
"La popolazione è aumentata con i figli ed i matrimoni e siamo cresciuti
assieme," dice. "Sei coinvolto nella loro vita sin dalla nascita."
"Si va ai battesimi, ai matrimoni e ai funerali, vedendo le cose buone e
quelle cattive."
Inoltre Mincher aiuta i residenti ad essere coinvolti nelle attività dentro e
fuori dal sito. Aggiunge: "Anche il consiglio ricreativo di Newcastle and North Staffs
è stato regolarmente coinvolto."
"Abbiamo castelli gonfiabili, tendoni e presto ci sarà un narratore zingaro.
Alcuni residenti hanno difficoltà nel leggere e scrivere, così se è necessario
raccolgo le loro lettere e gliele leggo."
Il personale neo assunto è invitato a visitare Cemetery Road, ed anche i
residenti della comunità stanziale, per incoraggiare una maggior integrazione
tra il sito ed il quartiere circostante.
"Ci sono ancora pregiudizi," dice Mincher. "Ci fu un caso in cui volevano
sposarsi ed avevano prenotato in un pub - ma quando lì hanno scoperto che si
trattava di un matrimonio zingaro, la prenotazione è stata annullata. Abbiamo
contattato Citizens Advice e la situazione si è risolta."
Mincher è orgoglioso della relazione di Aspire con i residenti di Cemetery Road.
Dice: "Sono qua a tempo pieno e se qualcuno ha bisogno, gli basta venie a
trovarmi."
Ho l'appoggio [dell'amministratore delegato] Sinead Butters - un visitatore
assiduo - di dirigenti, funzionari ed altri che mi sostengono nell'offrire
questo servizio."
Di Fabrizio (del 17/11/2011 @ 09:21:42, in media, visitato 1499 volte)
Internazionale 8 novembre 2011 14.40 - Le celebri immagini di Josef
Koudelka sono state pubblicate in un nuovo libro aggiornato e ampliato.
Christian Caujolle ha incontrato il fotografo.
Dato che non c'è più un direttore nell'ufficio parigino della Magnum e che
l'agenzia fotografica, a causa della crisi, ormai sta tutta su un piano, Josef
Koudelka si accomoda nella poltrona del capo: "Ho sbagliato tutto nella vita,
non sono mai stato né direttore né presidente", dice ridendo. I capelli e la
barba arruffata sono diventati bianchi, ma è un eterno ragazzo, a volte serio a
volte spiritoso, costretto a dedicarsi a un esercizio che non ama: parlare di
sé. Teme sempre di essere frainteso (dà degli esempi) e cerca, nonostante le
digressioni, di essere preciso. Lo aiuta uno schemino con le cose da fare,
diviso per fasce orarie di colori diversi. A quasi 75 anni, Koudelka non si
ferma mai, ha sempre bisogno di fare, guardare e dare forma. Oggi tocca al
Mediterraneo, che attraversa e fotografa da vent'anni. Entro il 2013 porterà a
termine il progetto "Marsiglia, capitale della cultura".
Guardare al futuro, produrre, far emergere le immagini non gli impedisce di
tornare incessantemente su quello che ha fatto. Continua a inseguire quello che
potrebbe aver dimenticato, o sopravvalutato, nei lavori passati. La prossima
tappa è l'incredibile presentazione a Mosca del suo progetto sull'invasione
dell'armata rossa a Praga. Una grande rivincita, accompagnata da mille copie del
libro, in russo, pubblicato da Torst, il grande editore ceco suo complice. Anche
se è sempre riservato, Koudelka è chiaramente emozionato.
Ma è per un altro ritorno al passato che ci incontriamo: Zingari, il libro che
l'ha fatto conoscere, è stato ripubblicato in sette paesi in una nuova edizione
ampliata. La storia del volume è istruttiva, quasi esemplare. Il giovane Koudelka, che comincia la sua carriera a Praga come fotografo in un teatro, fa
dei ritratti espressionisti e compone immagini molto grafiche.
Quello che c'è tra noi
Tra il 1962 e il 1971 comincia a sviluppare un lavoro a lungo termine su quelli
che all'epoca sono chiamati zingari. Nel 1968, con il sostegno di Anna Farova,
lavora insieme al grafico Milan Kopriva al progetto di un libro. "Non sapevo
niente di libri di foto. Sapevo solo che volevo somigliasse alla vita, al mio
rapporto con gli zingari, a quello che succedeva tra noi".
Il volume dovrebbe uscire a Praga nel 1970 ma, nel frattempo, Koudelka lascia la
Cecoslovacchia occupata. Le sue foto dei carri armati e della rivolta fanno il
giro del mondo e, attraverso Henri Cartier-Bresson, incontra Robert Delpire, il
mitico editore di Robert Frank, di molti fotografi della Magnum e di tanti
altri. Delpire vuole pubblicare il libro, ma in un'altra versione: 60 foto (di
cui 50 tratte dal progetto originale) escono nel 1975 con il titolo Gitans, la
fin du voyage (Aperture si aggiudica la versione statunitense). Un'edizione
speciale è pubblicata anche dal Moma di New York per accompagnare la mostra
fotografica. Il libro diventa subito un classico, una delle opere più ricercate
della fotografia del novecento.
La nuova edizione torna oggi in gran parte al progetto originale, anche se con
109 immagini, un formato più grande e un ritmo più narrativo rispetto alla
prima, rigorosa selezione. "Non volevo solo una collezione di belle foto. E
volevo che, anche se sono tutti scatti fatti tra gli zingari, il libro andasse
oltre". Nell'edizione francese Robert Delpire spiega che la scelta editoriale
non è sua, ma che la pubblica per amicizia, stima e rispetto. Si avverte
chiaramente uno di quei conflitti che possono esserci tra un autore e un editore
molto esigenti. E Koudelka non vuole parlare di come sono andate le cose per
"ammirazione, rispetto e amicizia per Bob. E poi sono così contento che l'abbia
pubblicato come lo volevo io".
È la sua creatura: "Un progetto che ho portato con me, anche fisicamente, per
quattro anni. Ho avuto il tempo di capire cosa andava e cosa no. Ho lasciato la
Cecoslovacchia con 154 foto sugli zingari. L'essenziale del libro era già lì. È
una storia, una storia di persone, di me con queste persone la cui musica mi ha
attirato e m'incanta tutt'ora. Erano le stesse persone di cui si diceva
‘chiudete le porte, arrivano gli zingari e ruberanno le galline'".
La maggior parte degli scatti sono verticali: "Questo ha avuto un peso
importante nell'organizzazione del libro, nel ritmo che il grafico Milan Kopriva
ha saputo inventare. L'altra persona fondamentale per questo progetto è stata
Anna Farova. È lei che mi ha aiutato a strutturare le immagini, e a non
dimenticare niente". Sono le due persone a cui il libro è dedicato.
La giusta distanza
A Koudelka non piace commentare il suo lavoro. Non ha un punto di vista, dice,
sulle sue incredibili inquadrature dal respiro naturale, dalla giusta distanza.
Ammette però che "ci vuole un obiettivo da 24 millimetri perché tutto sia nitido
in spazi spesso molto ristretti e con poca luce. Poi ho cambiato, non volevo
ripetermi. L'obiettivo ti dice come fare".
Ma non dice niente sulla grana delle immagini, spesso così particolare e
sensuale, sui negativi difficili, sviluppati senza prendere troppe precauzioni.
Non ripetersi, è anche la ragione per cui non ci sono foto recenti di zingari.
"È una generazione che non esiste più. Quando sono tornato a Praga nel 1991,
sono andato a vedere. Sono sempre lì, le condizioni in cui vivono sono un po'
migliorate, ma poco, e la maggior parte di quelli che conoscevo sono morti. Ho
pensato che non avrebbe avuto senso ricominciare. Oggi è un altro mondo e prima
o poi qualcuno farà un lavoro formidabile a colori su di loro". L'importante è
"continuare a fotografare, perché ho la fortuna di averne ancora voglia e di
poterlo fare". Ma il libro rimane fondamentale. Ben più delle mostre che sono
"effimere".
Farà vedere il libro agli zingari, come faceva con le foto ("Mandavano baci e
ballavano per mostrare il loro apprezzamento")? "Certo, appena posso". Possiamo
immaginare che sfogliando le pagine, dietro l'elegante copertina bianca con il
sobrio titolo nero Cikáni, si ritroveranno, ameranno, balleranno e manderanno
baci.
Zingaridi Josef Koudelka contiene 109 fotografie scattate nell'ex
Cecoslovacchia (Boemia, Moravia e Slovacchia), in Romania, in Ungheria, in
Francia e in Spagna tra il 1962 e il 1971. Il volume è la versione aggiornata di
Cikáni (zingari in ceco), un libro che non fu mai pubblicato perché Koudelka
lasciò la Cecoslovacchia nel 1970. Le foto sono accompagnate da un testo del
sociologo Will Guy.
Dopo aver accusato la Moratti di razzismo per anni, Pisapia supera De
Corato i nomadi: a Milano li chiudono in un recinto
«Abbracciamo i nostri fratelli rom e musulmani». L'invito era stato urlato in
piazza dal leader di Sel, Niki Vendola, il giorno della vittoria alle Comunali
di Giuliano Pisapia. Sei mesi dopo i fratelli sono già diventati nemici. Dopo
aver ricevuto consulte di nomadi a Palazzo Marino, annunciato liste di attesa
per le case popolari e preparato progetti per l'acquisto di cascine in provincia
di Pavia, la giunta ha deciso di alzare un muro fra gli zingari e la città. Un
muro che nelle intenzioni dovrebbe impedire ai rom di accamparsi sotto le volte
del ponte Bacula, ma che simbolicamente mette a nudo l'ipocrisia di chi da
sempre si professa amico dei nomadi.
Il ponte ferroviario di piazzale Lugano dal 2008 è diventato il rifugio di
decine di disperati. La giunta Moratti lo ha più volte sgomberato fino a
realizzare nell'estate del 2009 - su proposta dell'allora vice sindaco Riccardo
De Corato - una cancellata in acciaio per impedire la costruzione di tende e
casupole di fortuna a due passi dai binari. Dopo mesi di tregua, gli zingari
sono tornati. Complice il clima di "tolleranza" e la decisione di revocare alla
polizia locale il compito di vigilare sul territorio. Subissato di lettere di
protesta, il Comune ha deciso di intervenire. Nessuno sgombero all'orizzonte.
Palazzo Marino intende costruire un muro che impedisca ai rom di accamparsi
sotto il cavalcavia, come ha annunciato l'assessore alla Sicurezza Marco
Granelli.
«L'ipocrisia di questo annuncio è sotto gli occhi di tutti – tuona De Corato -.
Questa giunta prima accoglie i rom nella sede del Comune promettendo cascine e
case popolari e poi pensa di risolvere un problema grave come questo con un
muro». Che, fra l'altro, potrebbe dimostrarsi assolutamente inutile. «I rom sono
ottimi muratori. Se si costruisse un muro loro praticherebbero un buco nel giro
di qualche giorno, e lo attraverserebbero – prosegue l'ex numero due di Palazzo
Marino -. Per risolvere il problema del ponte Bacula bisogna chiedere
l'immediato intervento delle Ferrovie dello Stato, che hanno l'obbligo di
mettere in sicurezza l'area. E realizzare un cancello di acciaio inossidabile,
da far pagare alle stesse Ferrovie. Questa severità di facciata, con la quale
questa amministrazione pensa di prendere in giro i cittadini, non potrà
attaccare».
Ne è convinto anche il capogruppo della Lega a Palazzo Marino, Matteo Salvini.
«Questa giunta non è credibile – conferma -. Parla adesso di un muro, dopo che
la Lega ha fatto tre sopralluoghi per denunciare la situazione del ponte». E poi
ci sono i dissidi interni, perché se da una parte il Comune pensa al muro,
dall'altra il consiglio di Zona 8 – maggioranza di centrosinistra – ha appena
approvato un documento che prevede di integrare quei nomadi offrendo loro una
casa. «Credo che sia il caso che si mettano d'accordo – conclude Salvini -.
Questa maggioranza è allo sbando, mentre il piano Maroni resta fermo. Fra
l'altro, l'unica soluzione per il cavalcavia è la recinzione che avevamo
realizzato noi. Non certo un muro».
di Daniela Uva - 16/11/2011
Commenti: Mettete un bel cancello in acciaio così dopo dieci minuti ve lo hanno già
fregato, ridotto a pezzi e rivenduto ai ferrivecchi. Quanto patetici siete a
Milano. Una bella grata attraversata da 20.000 Volt non sarebbe meglio?
Pensateci. di Alvit
Dalla redazione di Mahalla:
Direi che quei casinisti di Libero stavolta hanno centrato
in pieno.
Se proprio devo trovare un difetto, l'introduzione mi sembra confusa
come al solito, ma la cronaca non sbaglia: a Milano c'è una giunta che
(quatta quatta, zitta zitta) sta portando avanti la stessa politica che nei
loro tempi d'oro De Corato e Salvini conducevano con rulli di tamburo. Ovvio
che i due siano quantomeno agitati: pensavano che il copyright fosse loro,
non di un
Granelli ultimo arrivato!
Un appunto al simpatico commentatore: secondo me il cancello
d'acciaio andrebbe benissimo; ormai con la crisi che c'è, si parte la
mattina col furgone a raccogliere metallo, si gira tutto il giorno, e la
sera si torna a casa distrutti avendo guadagnato 10 euro (se va bene). Mi
sembra però che metterci la corrente a 20.000 volt sia un po' dispendioso
(per non parlare dei pericoli per ponte, ferrovia ecc.), costerebbe di meno
un comunissimo allaccio per la corrente civile. O forse ho capito male io le
intenzioni???
Rom e Sinti manifestano per la prima volta a Montecitorio. 22 associazioni
che hanno radunato almeno 200 persone con striscioni e bandiere. Negli scorsi
giorni, durante le alluvioni che hanno funestato il nord-ovest dell'Italia,
l'on. della Lega Nord Davide Cavallotto, manifestava sollievo perché le
alluvioni erano riuscite nell'impresa di sgomberare il campo nomadi abusivo sul
Lungo Stura a Torino. Oggi dinnanzi la Camera dei Deputati, la protesta dei
Sinti e Rom italiani rispondono alle dichiarazioni del deputato del
Carroccio, ma chiedono anche maggiori diritti, come: una tassazione meno dura
per i giostrai, case popolari al posto dei campi attrezzati e chiedono anche
l'istituzione di un giorno della memoria. "Chiediamo di essere riconosciuti come
popolazione, chiediamo il dono della memoria, perché anche noi siamo caduti in
tempo di guerra e l'Italia – dicono – è rimasta l'unica nazione a non
riconoscerci".
Presidio Sinti: 'Commercializziamo ferro in nero ma vorremmo essere
legalizzati'
C6.tv
Roma. Sono arrivati da tutta Italia per far sentire la propria voce. Sono i
Sinti delle diverse regioni del paese che ai piedi di Montecitorio chiedono a
gran voce il riconoscimento, come minoranza, dello status di Sinti. 'La seconda
cosa che noi chiediamo allo Stato è di essere legalizzati' ci racconta un
manifestante 'soprattutto nel lavoro. Noi compriamo e vendiamo ferro dalle
scuole e dai cantieri, ma lo facciamo in nero. In questo lo Stato ci deve
aiutare.' Servizio di Angela Nittoli
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