
Il problema sicurezza è stato spesso al centro del dibattito politico tanto da 
segnare intere campagne elettorali e l'azione di molte amministrazioni locali. 
Chi può dirsi veramente ed integralmente sicuro?
A Roma questo si è tradotto in una dizione molto presente tra gli ultimi 
argomenti di conversazione della politica, della società civile e della 
magistratura: Piano Nomadi. La questione non riguarda amministrazioni solamente 
di destra, anche le politiche di Veltroni per i Rom della città non si sono 
distanziate molto da ciò che accade oggi. La differenza è di genesi e 
legittimità. Il progetto attuale trova la sua origine politica dal neologismo 
berlusconiano Emergenza Rom, coniato nel 2009. Da quel momento nella Capitale si 
sono succeduti 470 sgomberi, sono stati chiusi 10 grandi campi e sono stati 
spesi 60 milioni di euro. Dopo più di tre anni, e nonostante le proteste da 
parte delle associazioni che da sempre lavorano affianco dei Rom, siamo giunti 
ad un giro di boa. La Repubblica esce con un dossier on-line che inquadra il 
problema e ne evidenzia alcune problematiche, come:
1. l'esagerazione delle dimensioni del problema,
2. provvedimenti contrari al diritto internazionale,
3. mancato rispetto della volontà delle persone,
4. creazione di mega-campi incontrollati alla periferia della città.
Tale politica, come denunciano le associazioni di settore, fa oggi i conti con 
un alto prezzo in termini di integrazione, risorse mal spese, sicurezza e 
credibilità del nostro Paese in Europa sul tema dei diritti umani.
I dati sulla popolazione Rom a Roma fotografano però una situazione molto 
chiara: sono circa 7000 i Rom della città (lo 0,002% della popolazione della 
capitale) di cui il 50% di minori (il 35% non supera i 14 anni). Stiamo parlando 
di una popolazione estremamente giovane, formata per lo più di bambini. Non 
stupisce quindi che sono i bambini i più colpiti dal Piano Nomadi. I tanti 
sgomberi che hanno interessato la capitale hanno di fatto impedito a molti 
bambini di avere una continuità scolastica a spese di scolarizzazione ed 
integrazione.
Il Piano Nomadi ha poi pesato per 60 milioni di euro sulle casse 
dell'amministrazione comunale, anche se "con 35-40 milioni di euro", ha 
commentato Stasolla, presidente di 21 luglio, associazione nata per difendere i 
diritti dell'infanzia, "avremmo potuto dare casa a tutti i rom e sinti nei campi 
del nostro Paese. Ne avanzavano 15" conclude Stasolla "per dare case agli 
italiani". La Banca Mondiale ha dichiarato che "l'integrazione completa dei Rom 
potrebbe garantire un incremento di circa 0,5 miliardi all'anno per le economie 
di alcuni paesi" e in questo non è da escludersi l'Italia.
Molte persone continuano a legittimare gli atteggiamenti del Piano Nomadi con il 
luogo comune che, essendo nomadi, non hanno bisogno di un'abitazione fissa e le 
amministrazioni che si succedono non possono far altro che trovare soluzioni 
provvisorie in campi sempre meno attrezzati e sempre più lontani dalla città. 
Alcuni mettono avanti l'esperienza di persone che hanno subìto dei furti in casa 
da parte di Rom.
A questi due differenti livelli di pensiero ha provato a rispondere il Ministro 
per la Cooperazione Internazionale e l'Integrazione Andrea Riccardi parlando di 
"superamento dei campi rom". In effetti è un tòpos diffuso che i Rom siano 
nomadi. Oramai in Italia vi sono famiglie stanziali da più di tre generazioni. 
Detto questo potremmo aggiungere che il primo limite del Piano Nomadi sia 
proprio nella dizione: non si tratta affatto di nomadi. Ha affermato il 
Ministro: "io non credo che bisogna santificare il popolo Rom. Ma non si può 
criminalizzare un'intera comunità!". Il Ministro è convinto che "bisogna uscire 
da una logica di emergenza verso i Rom" e che bisogna "passare ad una logica di 
costruzione del futuro". Questo disegno non sarebbe nuovo per la città di Roma. 
La Capitale ha già vissuto periodi di emergenza abitativa ai quali ha saputo 
dare una risposta nel corso degli anni. Non tutti ricordano i baraccati del Mandrione o del Cinodromo; emigranti per la maggioranza del sud della Penisola 
in cerca di una vita migliore. Vivevano in abitazioni di fortuna, arrangiate a 
ridosso di un acquedotto o issate dalla lamiera. In condizioni miserevoli 
crescevano i propri figli e sognavano un futuro diverso per sé e le generazioni 
a venire. I piani di edilizia popolare degli ultimi decenni del '900 hanno 
provato a dare una risposta a queste persone. Ancora oggi, recandovi a Spinaceto 
nella periferia sud di Roma, è possibile che bambini e ragazzi di via Lorizzo 
chiamino ancora "il Mandrione" quella fascia di palazzoni popolari dove, oramai 
tre generazioni fa, sono stati trasferiti i loro parenti proprio da via del 
Mandrione, dove avevano issato un'abitazione di lamiera a ridosso 
dell'acquedotto Felice dopo essere fuggiti dalla miseria della loro provincia di 
provenienza.
Esiste un riscatto per tutti! Perché non può essere vero anche per i Rom, esigua 
minoranza nella nostra città?
Alla luce di questo, insieme al Ministro Riccardi possiamo affermare che "una 
delle più grandi battaglie per l'integrazione sia cambiare mentalità".