PREMESSA
Recentemente è tornata nelle cronache la questione campi nomadi, come una 
delle concause della situazione di forte arretratezza sociale in cui si trovano 
ancora oggi le comunità rom e sinte in Italia.
Come nel passato, quando questi sembravano l'unica soluzione per Rom e Sinti, 
nei ragionamenti attuali c'è un vizio di forma. Non siamo stati consultati 
allora e, ancora oggi, nessuno sente il dovere di discutere assieme a noi le 
soluzioni per superare i campi o quantomeno renderli vivibili per chi non ha 
avuto nessun'altra alternativa.
Se i campi sono ghetti istituzionalizzati, la nostra comunità che vive nella 
zona 2 di Milano da quasi 50 anni (prima in insediamenti di fortuna e gli ultimi 
22 anni in un campo sosta comunale), pone alcune questioni:
	- la vera discriminazione è sempre stata considerare i Rom come cittadini 
	di seconda categoria, senza che avessero voce in capitolo nelle scelte che 
	li riguardavano. Per questo la nostra comunità ha avviato da tempo un 
	dialogo con le associazioni e le forze politiche di zona, come primo passo 
	per uscire dai rispettivi ghetti mentali che ci dividevano dalla popolazione 
	maggioritaria;
- i campi nomadi sono diventati col tempo una fonte di rendita non per chi 
	ci viveva, ma per le associazioni che li gestivano. Associazioni che si sono 
	sempre sentite in diritto di rappresentare le nostre istanze a loro uso e 
	beneficio;
- infine, se sono un ghetto, non è abolendoli che si risolve il problema. 
	Sarebbe spostare il problema per l'ennesima volta: lo affermiamo sapendo di 
	alcune famiglie rom che sono andate ad abitare in casa, abbandonate a se 
	stesse, portandosi dietro tutti i loro problemi e trovandosene di nuovi.
Ribadendo che allora per superare le indecisioni del passato e mettere in 
atto strategie efficaci è indispensabile una nostra partecipazione, in quanto 
cittadini titolari di diritti e doveri, a tutte le istanze che ci riguardano, da 
quelle centrali a quelle del decentramento.
Una buona base di partenza può essere il
documento 
presentato a maggio 2010 dal Tavolo Rom milanese, soprattutto su alcune 
questioni:
	- riconosce che le comunità rom e sinte nel nostro territorio sono 
	diversificate per storia, comportamenti, insediamento, e quindi la soluzione 
	non può essere unica;
- propone quindi soluzioni abitative diversificate;
- individua una serie di soggetti da coinvolgere nelle politiche future;
- individua il legame tra soluzione alloggiativa e autonomia nel lavoro.
Occorre infine, secondo noi, programmare una serie di incontri periodici per 
verificare progressi e criticità.
IL NOSTRO CAMPO
Attualmente conta circa 130 residenti, tutti cittadini italiani, di cui la 
metà minorenni. Gli ultimi due anni hanno rappresentato un periodo di grande 
incertezza per la nostra comunità, dovuta al progetto di sostituire quella che a 
tutti gli effetti è la nostra casa, con un campo di sosta a rotazione. Progetto 
mai attuato, anche perché assurdo (nella nostra zona o altrove), ma mai 
sconfessato. A parte questo, non siamo mai riusciti a capire perché noi 
cittadini italiani in zona da sempre avremmo dovuto andare via, per lasciare il 
posto a gente che in tre mesi teoricamente avrebbe dovuto trovare casa e lavoro.
Attendiamo una dichiarazione pubblica che indichi espressamente che il campo 
di transito non si farà, anche perché sarebbe osteggiato principalmente dai 
cittadini che vivono attorno a noi.
Questa incertezza, unita a promesse di finanziamenti dal Comune per chi 
intendeva lasciare il campo, ha portato qualcuno ad aprire un mutuo per 
l'acquisto di un rustico da ristrutturare, altri a fare domanda per le case 
popolari. Sinora alle promesse non sono seguiti i fatti, e viviamo nel costante 
timore di ritrovarci per strada da un giorno all'altro.
Se invece venissero mantenuti gli impegni di assistere chi ha scelto di 
essere accompagnato nell'uscita dal campo, e nel contempo venissero allontanati 
definitivamente da chi ne ha il potere, le poche famiglie degli occupanti 
abusivi (che hanno comunque residenza altrove), la nostra presenza nel campo si 
ridurrebbe a circa 70/80 unità, dimezzando praticamente l'area sinora occupata e 
rendendo possibile la trasformazione da campo-ghetto ad un vero e proprio 
villaggio alle porte di Milano.
Come soluzione abitativa indicheremmo quella già presente nel programma 
elettorale del sindaco, cioè l'autocostruzione di moduli abitativi non ancorati 
al terreno.
Detto questo, il nostro campo che sino a 10 anni fa era indicato come un 
modello, ultimamente ha sofferto di mancanza di manutenzione. Sono necessari 
alcuni interventi:
	- ristrutturazione dei servizi igienici, che cadono a pezzi;
- risistemazione del sistema fognario, perché con la pioggia il campo si 
	allaga;
- collegamento delle bocchette antincendio;
- ripristinare la cabina elettrica, divelta il marzo scorso dalla pubblica 
	sicurezza. Come succede già in altri campi, richiediamo tariffe familiari a 
	forfait;
- infine, risistemare le piazzole esistenti, che sono deteriorate e 
	calibrarle per gli occupanti che rimarranno.
Questi sono semplici interventi manutentivi, secondo noi affrontabili con 
poca spesa se, a differenza del passato, gli appalti dei lavori verranno 
assegnati con chiarezza e a ditte responsabili.
Riguardo alla questione lavoro, già dal 1990 abbiamo fondato una nostra 
cooperativa, LACI BUTI (Buon lavoro in lingua rom), che si occupa di:
	- Manutenzione delle aree verdi (taglio dell’erba e delle siepi)
- Potatura piante alto fusto
- Pulizia di aree urbane
- Sgombero cantine e magazzini
- Creazione recinzioni
con personale che ha seguito corsi professionali di operatore del verde.
Nel passato dava lavoro ad una ventina di persone, ma via via col tempo il 
Comune ci ha tagliato gli appalti, e l'ultimo anno abbiamo lavorato solo due 
giorni. Eppure il lavoro è tutto intorno a noi: il nostro campo è situato nei 
pressi del parco Lambro,  e via Idro è praticamente un corridoio verde (che 
le forze politiche e le associazioni di zona vorrebbero rivalutare) che collega 
il parco Lambro e il parco del naviglio Martesana al parco della Media Valle del 
Lambro. Quello che è mancato negli ultimi anni è stata la volontà politica di 
mantenerci in vita.
Inoltre in passato alcuni giovani sono stati assunti all'AMSA, anche se 
attualmente ne sono rimasti a lavorare solo due. Potrebbe essere un'esperienza 
da riprendere, soprattutto per quelli che hanno meno di trent'anni.
Per terminare, il centro polifunzionale all'interno del campo, attualmente 
non utilizzato, potrebbe essere adoperato anche per opportunità di lavoro 
femminile, con laboratori di sartoria e cucito, visto che già a Milano ce ne 
sono di simili. Intendiamo far diventare lo stesso centro uno spazio aperto a 
tutta la popolazione per iniziative culturali e sociali.
La comunità rom di via Idro 62, riunita in assemblea il 15 giugno