
Oggi l'avvocatessa Federica Panizzo ha depositato presso la Procura della 
Repubblica l'esposto-denuncia, relativo al brutale blit della polizia del 5 
marzo, quando in diverse città del Veneto sono stati schedati centinaia di rom e 
sinti. Con quella denuncia don Francesco Cipriani [anche lui tra gli «schedati»] 
e altri cittadini residenti in Strada La Rizza chiedono alla magistratura «di 
valutare se l'intera operazione si connoti, per le modalità con le quali è stata 
condotta e per aver coinvolto una intera categoria di persone, anche minori di 
età, cittadine e cittadini italiani individuate esclusivamente in base 
all'appartenenza a una minoranza etnica, per essere discriminatoria per motivi 
di appartenenza etnica, razziale, religiosa e lesiva, quindi, del principio 
della pari dignità sociale».
Pubblichiamo di seguito una lettera aperta alle autorità civili e religiose 
veronesi e alla stampa locale firmata da centinaia di persone [tra i primi 
firmatari Mao Valpiana, direttore di Azione nonviolenta; per informazioni e 
adesioni tel. 348 2863190, 
www.nonviolenti.org].
«Lettera aperta alle autorità civili e religiose veronesi e alla stampa 
locale»
Cosa accadrebbe se domani in un qualsiasi condominio di Borgo Roma, Borgo 
Trento o Borgo Venezia arrivassero funzionari di Polizia in divisa, svegliando 
all'alba tutti i membri delle nostre famiglie, per fotografarci di fronte e di 
profilo, con un cartello identificativo in mano, dicendoci che si tratta di 
un'operazione di controllo? come reagiremmo? Certamente lo riterremmo 
intollerabile e gravemente lesivo della nostra dignita'.
Noi sottoscritti, cittadine e cittadini veronesi, abbiamo saputo che, 
all'alba del 5 marzo 2009, agenti di Polizia della Questura di Verona hanno 
videofilmato e fotografato, di fronte e di profilo, le persone residenti o 
domiciliate presso le piazzole di sosta di Strada La Rizza, Forte Azzano, 
famiglie residenti in Verona da decenni; si tratta di nostri concittadini 
italiani che si riconoscono come appartenenti alla minoranza etnico-linguistica 
Rom.
Apprendiamo da un quotidiano locale che questi concittadini sarebbero stati 
fotografati da personale di Polizia con un cartello in mano indicante cognome, 
nome e data di nascita e numero progressivo, nonostante il possesso da parte 
loro delle carte di identita' e la loro regolare iscrizione ai registri 
anagrafici; sarebbero stati sottoposti a tale procedura anche alcuni minorenni.
In qualita' di semplici cittadini e cittadine, riteniamo che il possesso di 
carta di identita' e la regolare iscrizione nei registri anagrafici locali, 
dovrebbero preservarci, a prescindere dalla nostra appartenenza linguistica, 
religiosa, etnica o dalle provenienze culturali o geografiche di ciascuno di 
noi, dal subire metodi di identificazione che, al di fuori dei casi 
tassativamente previsti dal nostro ordinamento, riteniamo lesivi della dignita' 
personale.
Se, poi, come risulta da talune agenzie Ansa, tale procedura fosse stata 
effettivamente programmata unicamente con riferimento a persone residenti nei 
“campi nomadi” veneti, la nostra preoccupazione non potrebbe che aumentare: 
riservare un trattamento deteriore ad un'intera categoria di persone a causa 
della loro appartenenza ad una minoranza etnica, costituisce certamente offesa 
intollerabile ai piu' basilari principi giuridici su cui si fonda la nostra 
comunita'.
Dove non c'e' democrazia e dove non c'e' pace per i Sinti, i Rom, gli 
“zingari”, non ci sara' pace e democrazia neppure per tutti gli altri, perche' 
tutti siamo parte di questa citta': ci attiviamo dunque per noi stessi, per la 
nostra comunita' civile, per i nostri figli, perche' la citta' e la societa' in 
cui con responsabilita' ed onesta consapevolezza vogliamo vivere nasca dal 
rispetto del diritto e della vita di ognuno.
Non vogliamo limitarci ad una mera testimonianza di solidarieta', ma anche 
attivarci perche' tutti, ma proprio tutti, possano da una parte diventare 
titolari di diritti civili, economici, sociali, politici e culturali, e 
dall'altra assumersi la responsabilita' di doveri per una inclusione sociale che 
non comporti annullamento della propria specificita' e non generi e alimenti 
conflittualità».