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Il campo rom di Giugliano, al peggio non c'e' fine
Di Fabrizio (del 15/12/2013 @ 09:08:59, in Italia, visitato 1550 volte)

da napolimonitor (emma ferulano)

Le immagini del breve documentario proiettato martedì scorso nell'ambito del Festival Cinema e Diritti Umani sulla vita quotidiana nel campo di Masseria del Pozzo a Giugliano dove vivono almeno trecentocinquanta persone, rom, sono immagini di guerra. Una guerra istituzionale, silenziosa e spaventosa che si consuma sul territorio campano, vicina a tutti noi, da molto tempo. L'ultimo atto è stata la delibera del comune di Giugliano che, esattamente a dicembre di un anno fa, stabiliva il trasferimento immediato e temporaneo - che ancora dura - di questo nucleo di "popolazione rom" in un'area che, secondo quanto ammette con una certa indignazione il commissario alle bonifiche della Regione Campania De Biase, invitato a partecipare all'incontro, non è semplicemente inquinata, ma una vera e propria discarica, tra i siti più inquinati della regione, oggetto di indagini della magistratura.

Il trasferimento e l'allestimento minimo dell'area attrezzata (recinzioni, brecciolino, quadro elettrico e pochi bagni da campeggio, tubature già intasate) sono costati 379.210,00 euro da fondi PON del ministero dell'interno. La prefettura di Napoli ha assicurato il supporto al comune di Giugliano (commissariato ora come allora), una volta che questo avesse accertato l'"effettiva utilizzabilità del sito prescelto", cosa che effettivamente accade, compreso il parere favorevole dell'ASL 2. Amministratori locali, esponenti del volontariato e, secondo la delibera, almeno "un capo villaggio rom", si ritengono soddisfatti di questa scelta e si dispone l'esecuzione immediata del provvedimento.

Martedì si è svolta una giornata per denunciare una situazione che non può restare nascosta né cronicizzarsi come molte altre. Un gruppo informale ha contribuito alla costruzione del piccolo evento, a Giugliano, che ha visto anche la numerosa partecipazione dei rom, tra cui molti giovani e bambini, che vivono nel campo e si sono rivisti in quelle immagini. L'intento è di proseguire l'azione di denuncia anche oltre la giornata, sperando di ottenere risultati concreti, in termini di alternative abitative e di smantellamento di un luogo in cui è difficile pensare di trascorrere un anno di vita.

I rom provenienti da Bosnia ed ex-Jugoslavia vivono a Giugliano da circa trent'anni; comunità storiche, frammentate, che evidentemente hanno trovato negli anni la capacità di articolare radicate strategie di sopravvivenza e di relazioni in un territorio che si racconta come ostile ma in cui tutti convivono. Parlare di emergenza e agire con quest'unico principio ispiratore, che ha portato alla recente infausta scelta istituzionale giuglianese, oggi vuol dire non solo che il piano della discussione è fuori dal tempo e dalla storia, ma anche che a livello sistemico - sul piano politico, culturale, sociale - è ancora tabù parlare di scelte "diverse", dignitose e non discriminanti per i rom. Il "superamento dei campi" è ancora un discorso che, nel profondo, non viene accettato dalla società maggioritaria, la nostra. Resta appannaggio di pochissimi, spesso perdenti, che si rompono la testa a furia di parlare una lingua che forse non si comprende.

Il campo di Giugliano è la punta di diamante di quello che sono tutti i campi rom d'Italia e d'Europa. È l'esemplare peggio riuscito, l'errore madornale di cui non si può tacere, perché avviene qui e ora, in un momento in cui l'intera Europa prova a dare un'altra impronta - e con essa importanti fondi - "per le politiche di inclusione dei rom" (Purtroppo, bisogna ammetterlo, questo significa anche che siamo appena all'inizio dell'industria e della rete di progetti che avviluppano le comunità rom e probabilmente finché esisteranno progetti ad hoc per i rom, i rom resteranno una minoranza che va verso la specie protetta nell'immaginario di tutti).

Nel nuovo campo istituzionale, accade tutto quello che accade nei vecchi campi istituzionali: la scuola è un servizio che stenta ad affermarsi, la sanità non è un servizio a cui tutti accedono, i servizi di base scarseggiano per le operazioni quotidiane minime; quando piove si allaga tutto, la distanza dal resto del mondo è di anni luce, il campo infatti è in una zona ai margini dei margini, non tutti hanno i documenti, il lavoro non è nemmeno tema di discussione... Non si può parlare del campo di Giugliano in maniera isolata, non se ne può parlare "solo" in relazione al disastro ambientale, da cui bisogna mettere tutti al riparo con urgenza ma anche attraverso battaglie trasversali che si svolgono sull'intero territorio regionale in maniera sempre più consapevole.

La rete civica e politica può e dovrebbe essere internazionale, bisogna provare a uscire dall'isolamento di un sud Italia che vuole considerarsi e crogiolarsi nei suoi mali, e far uscire dall'isolamento le questioni che riguardano i rom che non possono essere sempre un settore a parte, speciale e da specialisti. Così come l'informazione dovrebbe uscire da una certa retorica improvvisamente indignata che "salva" e si spende per i rom un po' più facilmente quando sono evidenti, e innocue, vittime di un sistema impazzito.

Un rom che interviene dal palco ringraziando tutti per essere lì, esprime molto chiaramente quelle che sono le richieste essenziali: poter mandare i figli a scuola con gli altri bambini, non in classi speciali inventate per l'occasione e, con un riso quasi amaro, sommesso e ironico, di poter aspirare in futuro a qualcosa di meglio di un campo. Con il coinvolgimento paziente, graduale, diretto dei rom, dei cittadini, dei territori, i tempi possono essere maturi per denunciare e capovolgere la situazione, non solo quella di Giugliano.