 CORRIEREIMMIGRAZIONE, di Sergio Bontempelli
CORRIEREIMMIGRAZIONE, di Sergio Bontempelli
Alcuni attivisti definiscono i tavoli migranti "inutili e non 
rappresentativi". Ma cosa sono e come funzionano questi organismi di 
partecipazione?
"Inutili, non funzionali e non rappresentativi". E anche "autoreferenziali", 
incapaci di "intercettare le istanze e le aspettative" delle comunità migranti. 
Così 
Yalla Italia, definisce i "tavoli" sull'immigrazione creati dai Comuni, 
dalle Province e dagli enti locali in genere. Un giudizio senza appello, che si 
conclude con una proposta altrettanto lapidaria: meglio chiudere quei tavoli. E 
una volta chiusi, meglio non riaprirli.
Tutto nasce dalla vicenda di Parma, che ha sollevato un vespaio di polemiche, 
sia locali che nazionali. Riassumiamo ad uso dei distratti: nella città 
emiliana, l'amministrazione Vignali decide di dar vita, nel 2010, al "Tavolo 
immigrazione e cittadinanza", di cui fanno parte sei rappresentanti di 
altrettante "comunità" straniere. Poi arrivano i Cinque Stelle e il nuovo 
sindaco Federico Pizzarotti: per Parma si annuncia un'era nuova, gli 
amministratori hanno volti giovani e riscuotono diffuse simpatie.
I sei membri del Tavolo sono fiduciosi, e chiedono subito un incontro al primo 
cittadino: vogliono che il "nuovo corso" si apra all'insegna della 
partecipazione dei migranti. Pizzarotti però prende tempo, dice che prima di 
incontrarli preferisce aspettare la nomina dell'assessore al welfare. Quando 
finalmente arriva l'assessore, i sei rappresentanti si fanno di nuovo vivi ma 
nessuno risponde. E il silenzio dura un anno: quanto basta per far capire le 
reali intenzioni della Giunta.
Così, Cleophas Adrien Dioma - presidente del fatidico "tavolo" - rassegna le sue 
dimissioni. E siccome anche gli altri componenti fanno la stessa cosa, il Tavolo 
viene sciolto dai suoi stessi membri: che anzi, in segno di protesta, decidono 
di restituire al Sindaco le chiavi della loro sede.
Fin qui, la vicenda di Parma. Ma cosa succede altrove, in altre città? I 
"tavoli" sono davvero, e ovunque, luoghi "inutili, non funzionali e non 
rappresentativi"? Proviamo a dare un'occhiata.
Tavoli, consulte, consigli e consiglieri Quelli che Yalla Italia definisce 
"tavoli" si chiamano, tecnicamente, "organismi di partecipazione". Il Testo 
Unico degli Enti Locali, cioè la legge che regola la vita di Comuni, Province e 
Comunità Montane, prevede all'art. 8 l'obbligo di istituire "organismi di 
partecipazione popolare" (comma 1), nonché "forme di partecipazione dei 
cittadini dell'Unione europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti" 
(comma 5). La norma, come si vede, è abbastanza generica: non dice come devono 
funzionare questi organismi, chi deve farne parte, come devono essere scelti i 
membri, quanto durano in carica, se e come decadono. I Comuni (e le Province) 
hanno ampi margini di autonomia. E così, ognuno finisce per sperimentare formule 
diverse.
Le più diffuse sono quelle a carattere elettivo, chiamate - a seconda dei casi - 
"consulta degli immigrati", "consiglio degli stranieri", con infinite variazioni 
sul tema. Il corpo elettorale di questi organismi non è sempre lo stesso: a 
volte si chiamano alle urne tutti i cittadini stranieri, altre volte ci si 
limita ai soli non comunitari (come è accaduto a Modena, Bolzano, Perugia); in 
molti Comuni emiliani si escludono gli immigrati con doppia cittadinanza 
(italiana e straniera), mentre nell'area milanese i naturalizzati possono 
tranquillamente votare ed essere eletti. Poi ci sono i cosiddetti "consiglieri 
aggiunti", sperimentati per la prima volta a Nonantola, in provincia di Modena, 
negli anni Novanta. Anche in questo caso, i cittadini stranieri sono chiamati 
alle urne, ma non eleggono "consigli" e "consulte": devono scegliere, invece, un 
rappresentante che siederà in consiglio comunale, con diritto di parola ma senza 
diritto di voto. Una specie di "consigliere di serie B", in attesa che anche ai 
migranti venga riconosciuto (chissà quando) un diritto di voto vero e proprio.
Quante sono le consulte, quanti sono i consigli, quanti i consiglieri aggiunti? 
Quanto sono diffuse queste forme di partecipazione? Può sembrare bizzarro, ma la 
risposta non c'è. Le uniche "mappature" in circolazione sono ben fatte, 
ragionate e dettagliate, ma un po' vecchiotte: ne esistono due - una della 
Caritas e l'altra dell'Asgi - che risalgono al lontano 2005. Per avere dati 
aggiornati, bisogna fare riferimento alla rilevazione condotta dal portale 
Integrazione Migranti (curato dal Governo italiano): è una ricerca ancora in 
corso, quindi nulla di definitivo.
Secondo il portale, dunque, esisterebbero 14 Consulte regionali, 48 a livello 
comunale e 19 su scala provinciale. I consiglieri aggiunti sarebbero in tutto 
29. Non sono esattamente cifre da capogiro, se si pensa che l'Italia è famosa 
per i suoi "ottomila comuni": certo, nessuno si aspettava ottomila consulte o 
consigli, ma trovarne appena 48 non fa un bell'effetto.
Chi partecipa Ancora più disarmanti sono i dati sull'affluenza alle urne. Nel 
novembre scorso, per dirne una, le elezioni a Cagliari sono state salutate come 
un trionfo della partecipazione, un vero e proprio record: sono andati a votare 
il 31% degli aventi diritto. Un anno prima, si era votato per la Consulta del 
Comune di Padova, e la percentuale dei votanti si era fermata al 21,5%. Secondo 
Marco Zurru, un sociologo cagliaritano che di queste cose se ne intende, "in 
quasi tutte le esperienze, la prima volta che gli stranieri si sono recati alle 
urne hanno dimostrato una partecipazione che oscilla tra un 30-34%, per poi 
declinare a percentuali molto più modeste (intorno al 15%) nelle successive 
tornate". Detta brutalmente, "consulte", "consigli" e "consiglieri" 
rappresentano un quinto, un quarto o - quando va di lusso - un terzo del loro 
elettorato potenziale. Un po' poco per parlare di rappresentanza.
Immigrati "qualunquisti"? Bisognerebbe interrogarsi sui motivi di questa 
disaffezione al voto: certo, siamo in un periodo in cui l'astensionismo "tira" 
anche tra gli italiani, ma le cifre (almeno per ora) non sono paragonabili. 
L'impressione è che questi organismi siano percepiti più come una palestra per 
aspiranti (e inutili) leader, che come reali strumenti di partecipazione. Anche 
perché i loro poteri reali sono pressoché nulli: si tratta, ricordiamolo, di 
organi "consultivi". Una conferma indiretta di questa sensazione ci viene da una 
recente ricerca Parsec, condotta su un campione di associazioni di stranieri in 
tre regioni italiane (Lazio, Calabria e Emilia Romagna: qui 
il testo integrale). 
Le associazioni censite sono circa 400: nel 36% dei casi si tratta di gruppi mononazionali (le cosiddette "comunità"), il 24% è plurinazionale e il 39% è 
indicato come "interculturale" (cioè con la presenza di attivisti italiani).
I tempi dell'associazionismo "separato" stanno forse tramontando, e per i 
migranti è arrivato il momento di una partecipazione piena e intera. C'è 
bisogno, in altre parole, del diritto di voto, del coinvolgimento attivo nella 
vita politica, non di una partecipazione "in tono minore", in organismi separati 
e consultivi. Ed è ancora la ricerca Parsec a dirci che "in molti casi le 
associazioni che partecipano a coordinamenti locali non prendono invece parte 
alle consulte". Come dire che esiste un mondo di attivismo migrante che non si 
riconosce negli "organismi di rappresentanza". Ed è anche da questo mondo, dalle 
sue istanze e dai suoi bisogni, che nasce la provocazione di Yalla Italia: 
rovesciamo i "tavoli", chiudiamoli. Voltiamo pagina. Facciamo due passi avanti. 
È arrivato il momento.