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La traduzione di un lessico partigiano
Di Fabrizio (del 07/01/2013 @ 09:08:55, in media, visitato 1583 volte)

APERTURA - ANNA CURCIO

Il libro collettivo "La lingua del colore tra Italia e Stati Uniti" Un'analisi comparata su come cinema, fumetti e letteratura veicolano il razzismo in Italia e negli Usa
Portare la razza al centro del dibattito italiano su razzismo e antirazzismo. Questo il meritorio obiettivo di Parlare di razza. La lingua del colore tra Italia e Stati Uniti a cura di Tatiana Petrovich Njegosh e Anna Scacchi (ombre corte, pp. 318, euro 25), volume che si inserisce in un filone di studi, ancora relativamente giovane in Italia, rivolto soprattutto a sfatare il tabù della razza.

Dismessa dal dibattito politico e dal linguaggio di tutti i giorni da quello che è stato definito "il paradigma antirazzista dell'Unesco" che negli anni Cinquanta del Novecento reinterpretava il razzismo alla luce della violenza nazifascista e riconduceva i conflitti razziali a nozioni scientificamente false proliferate nell'ignoranza, la razza come categoria scientifica e analitica per leggere il razzismo ha solo di recente trovato nuova legittimità in Italia e nell'Europa continentale. In particolare grazie all'iniziativa di editori sensibili - tra questi senz'altro ombre corte - e il contributo di studiosi e studiose che, riprendendo gli insegnamenti di Frantz Fanon e delle correnti più radicali del movimento per i diritti civili americano, hanno assunto nello studio del razzismo una dimensione di attivismo volta al cambiamento.

In questo senso la razza, finalmente dismessa la sua supposta connotazione biologico-naturalista è stata assunta come costruzione sociale capace di ridefinirsi al mutare delle congiunture storico-politiche. È una categoria sociale "simbolica" ricorda Petrovich Njegosh, che mostra al contempo indiscutibili ricadute materiali pesando sulla vita dei soggetti in termini di opportunità, condizioni di vita e aspettative. Stabilisce cioè privilegi e forme di subordinazione che investono l'intero corpo sociale. Sebbene, dunque, socialmente costruita, la razza si presenta come concreto dato di realtà che occorre "nominare" per svelarne il potenziale di violenza. Così facendo diventa possibile rovesciare l'idea ancora oggi dominate del razzismo come vizio ideologico o patologia sociale legata all'ignoranza, da "curare" attraverso l'istruzione e l'educazione.

Il volume, all'interno di un approccio teorico eterogeneo complessivamente riconducibile all'americanistica, riflette sulle significazioni del termine razza tra Italia e Stati Uniti. Più precisamente, all'interno di una dimensione comparata assume la traduzione tra sistemi linguistici e culturali differenti come punto d'osservazione privilegiato per cogliere i punti di contatto tra un paese storicamente attraversato dal razzismo come gli Stati Uniti e l'Italia che dietro la vulgata di un "colonialismo minore" e degli "italiani brava gente" ha per lungo tempo rimosso dalla narrazione nazionale il passato colonial-razzista.

I saggi - che si occupino di letteratura, fumetti, cinema, poesia, linguaggio romanzesco o più complessivamente della cultura di massa - si concentrano sulla funzione svolta dal linguaggio nella strutturazione delle relazioni sociali e dell'identità razziale in Italia. In questo senso, mostrano la razza in traduzione come strumento di mediazione culturale, come dispositivo di addomesticamento che riporta personaggi, linguaggi e modi di fare all'interno di stereotipi riconoscibili nel nostro paese (è il caso di alcune traduzioni di poesia afroamericana, del doppiaggio cinematografico o della reazione italiana al fenomeno Obama che ha dato origine al volume). Nello stesso tempo vengono evidenziati esempi storici che testimoniano una continuità nella costruzione del racial thinking tra Italia e Stati Uniti. Il Dictionary of Race or People che per tutta la prima metà del Novecento ha orientato le scelte statunitensi in materia di immigrazione e naturalizzazione, sulla base di una precisa differenziazione razziale che insisteva sull'inferiorità degli europei meridionali e orientali, trovava fondamento "scientifico" nella teoria delle "due Italie" di Alfredo Niceforo e negli studi della scuola italiana di antropologia positivista da Sergi a Lombroso.

L'intera storia italiana e la costruzione della sua identità nazionale, sin dagli anni immediatamente successivi all'unificazione, è dunque opportunamente reinterpretata in relazione alla categoria di razza, intesa precisamente come supremazia "inalienabile" della bianchezza assunta quale principio dell'ordine sociale. È "Il capitalismo razziale moderno", per riprendere l'efficace definizione di Cedric Robinson che, dentro la più complessiva costituzione coloniale della modernità capitalistica e della costruzione degli stati nazionali, funziona, anche in Italia, come dispositivo strutturante della narrazione nazionale.

Peccato che il volume trascuri quasi del tutto questo aspetto. La costruzione dell'italianità e i connessi processi di "sbiancamento" non vengono infatti qui legati al piano più complessivo dei rapporti sociali e produttivi, cosicchè la razza è assunta esclusivamente "come rappresentazione culturale, linguistica e identitaria". Viene cioè perso di vista il nesso inscindibile tra classe e razza che connette il razzismo e i processi di razzializzazione con i rapporti di produzione e le loro trasformazioni storiche. E non si tratta, in questo senso, di assumere un punto di vista economicista, né di rimandare a un approccio deterministico; al contrario tale sguardo permette di ripensare i rapporti di produzione a partire dal processo di razzializzazione insistendo sulla loro inevitabile "articolazione" o "surdeterminazione" nel contesto sociale capitalistico. Si tratta, seguendo Marx, di analizzare il capitale come rapporto sociale e fare della lotta al razzismo un progetto complessivo contro lo sfruttamento e dunque di liberazione.

È la costruzione di un comune terreno di lotta fra coloro che sono "razzialmente neri" e la più ampia composizione del lavoro vivo contemporaneo. E fare, riprendendo l'insegnamento delle lotte anticoloniali e di quelle antirazziste in America, degli studi su razza e razzismo, non un progetto di educazione universale, ma un terreno di militanza politica per la trasformazione radicale.