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Raccontino
Di Fabrizio (del 26/12/2011 @ 09:00:06, in lavoro, visitato 2221 volte)

L'anno scorso postai una favola natalizia per i più piccoli. Quest'anno è il turno di quelli un po' più grandicelli. Lo spunto viene da un commento su un altro blog.

Immagine da cavallomagazine.quotidiano.net

Discutevo il mese scorso con amici, che mi raccontavano di aver visto in Turchia, a Creta ed in Macedonia fiere di cavalli gestite da Rom e si vantavano di averle riscoperte andando tanto lontano.

Rispondevo che sino a 10 anni fa, esisteva qualcosa di molto simile in un posto niente affatto esotico, in centro a Monza, proprio accanto alle mura del carcere vecchio (non ci siamo mai fatti mancare niente!).

A vederlo non era niente di particolare, soprattutto da vuoto: un vasto piazzale cintato e coperto da tettoie. I miei figli quando erano piccoli marinavano la scuola (adesso sono cresciuti e posso dirlo) per andarci con me il giovedì mattina.

E lì incontravano con stupore un vecchio rom malmesso e semianalfabeta, che avevano conosciuto al campo sottocasa, che da una vita faceva l'allevatore di cavalli, che trattava alla pari con commercianti e nobili amanti dei cavalli. La trattativa terminava immancabilmente nell'osteria vicina, a vino e salamelle.

Fuori dal recinto, un piccolo mercato con oche, galline e conigli, coltelli a serramanico (la passione di qualsiasi ragazzino), borracce, ed il vecchio che ci spiegava la differenza tra una sella inglese e una americana.

Il mercato dei cavalli ha chiuso, ha chiuso anche l'osteria delle salamelle, anche il tabaccaio. Nessuno di loro era ricco, ma si campava e ci si conosceva (ci si rispettava) tutti: rom, nobili, gagé, bambini... anche se non escludo che lontani dalla fiera riemergessero vecchie discriminazioni.

Presto arriverà un centro commerciale, che strozzerà i negozi superstiti.

Il vecchio vive tuttora in un campo regolare, ai margini di quello che potrebbe diventare un vasto parco urbano. I suoi parenti sono diplomati operatori del verde, ma la loro cooperativa da anni non ha commesse, anche se il lavoro sarebbe sotto casa.

Cinque anni fa presentammo un progetto al comune, perché in questo parco, al posto di un'altra speculazione edilizia, si potesse installare una stalla a norma, con maneggio annesso, per organizzarvi visite scolastiche e gite a cavallo nel costituendo parco. Avevamo a disposizione le persone più esperte nel ramo in città, avremmo potuto persino dare lavoro a qualcuno che non fosse rom.

Nessuno si occupò di questo progetto, in compenso il comune vuole chiudere il campo. Il vecchio, con figli e nipoti, ha trovato una cascina nel pavese dove sistemarsi e credo che per loro sia la soluzione meno dolorosa.

A me spiace non solo per dover perdere dei vecchi amici che hanno insegnato ai miei figli ad amare tutti gli animali.

Spiace perché quando si parla di cultura e di possibilità di esprimersi, pensiamo alla musica, alla poesia, ma lo è anche una vita di lavoro passata ad allevare cavalli. Era uno scambio, come lo è la cultura, come lo è il lavoro, perché è lo SCAMBIO che permette alle tradizioni di rimanere vitali e rinnovarsi. E pure di accrescere tutti quanti operino questo scambio.

Dicono che la mia città sia inclusiva, che da sempre dia attenzione al lavoro e al soldo. Se davvero fosse così, come l'ho conosciuta da quando ci sono nato, non mi dispiacerebbe, neanche con la sua nebbia e le sue durezze.

Sarebbe un esempio europeo, come Monaco di Baviera, dove i Turchi che ho conosciuto spazzini 30 anni fa, oggi dirigono supermercati ed agenzie viaggi. Come Marsiglia, che ha lasciato una palude schifosa come la Camargue ai gitani, che l'hanno resa una meta turistica internazionale.

E mentre noi gagè sogniamo la Turchia o la Camargue, spendiamo i soldi per andarci ed essere parte (anche solo per un attimo) di questi paradisi perduti, facciamo in modo che chi potrebbe ricreare da noi quelle atmosfere sia obbligato ad andarsene.