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Bulgaria
Di Fabrizio (del 21/11/2008 @ 09:00:04, in lavoro, visitato 2288 volte)

L'articolo integrale su: Bubkes: The Weblog of Stephen Lewis

Un cancello di ferro lavorato in via Iskar o Eksark Iosef, Sofia, Bulgaria, autunno 1996. L'artefatto è tipico della fine del XIX secolo e dell'inizio del XX secolo di edifici e città in Bulgaria. Molti artefatti simili erano opera di fabbri ed artigiani Rom. La foto è stata ripresa con una macchina 35 mm Minox G-series su Tri-X film. Combina l'atmosfera della Sofia autunnale con la delicata rappresentazione e l'accurata geometria della Minox G.

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Facendo cantare il ferro

Un secolo fa, i Rom erano relativamente bene integrati nel tessuto di molti villaggi e città nei Balcani. Gli insediamenti urbani erano più piccoli e compatti in quei giorni e le distanze etniche, religiose e di classe erano minori. I Rom erano anche più integrati nelle economie urbane, le loro tradizionali capacità come fabbri, oppure di trasportatori erano di centrale importanza nei giorni in cui il metallo si sollevava e veniva piegato. Nei cento anni a seguire, i Rom sono stati spinti nelle periferie delle città bulgare. Le città sono state riprogettate e le minoranze disperse oltre i cordoni sanitari. Le capacità lavorative valutate un secolo fa sono diventate periferiche e sempre più spesso obsolete. Soprattutto, la solidificazione dell'identità nazionale bulgara ha marginalizzato i gruppi minoritari. I componenti delle minoranze che avevano l'opportunità e le risorse per lasciare la Bulgaria partirono. Oltre il 90% degli Ebrei del paese se ne andarono nel 1948. La popolazione turca e musulmana fu periodicamente pressata verso esodi di massa, culminati con la partenza di 300.000 di loro nell'estate del 1989. I Rom furono relegati in blocchi edilizi isolati, l'equivalente bulgaro delle favelas e dei bantustan.

La frase "facendo cantare il ferro" coniuga l'abilità e la passione dei fabbri e dei lavoratori del metallo di un'era passata. La prima volta ho sentito la frase da un Bulgaro turco che era stato imprigionato all'inizio degli anni '50 nell'isola Belane sul basso Danubio, il piccolo Arcipelago Gulag della Bulgaria. Usava quella frase per descrivere la capacità di lavorare il metallo di un compagno di prigionia, Shakir Mustafa Pashov. Pashov era un dirigente comunista rom negli anni in cui l'appoggio ai gruppi minoritari veniva sollecitato dai capi comunisti ed ancora ritenuto ideologicamente accettabile. A seguito dei processi contro il cosmopolitanismo nell'Unione Sovietica ed il processo Slansky nella Cecoslovacchia, i comunisti come Pashov caddero presto in disgrazia. Molti, come lui, finirono in prigione. I caratteristici cancelli in ferro lavorato di Sofia, rappresentano un silenzioso ricordo sia delle generazioni di Sofioti che li attraversarono che del mondo svanito dei fabbri Rom che presero parte alla loro creazione

Lavoratore del metallo, Quartiere di Stoliponovo, Plovdiv, Bulgaria, 1997

Photos and Text Copyright Stephen Lewis 2008