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		Coi nomadi la repressione non porta a nulla 
			Di Fabrizio  (del 03/11/2006 @ 10:35:25, in Italia , visitato 2224 volte)
		 
		Da 
l'Espresso - Trentino «Sulle microaree serve maggior convinzione: c’è un progetto pronto da un 
anno e mezzo»«Coi nomadi la repressione non porta a nulla»
 Chiara Zomer
 Nucleo speciale dei vigili urbani: critico Magagni, operatore al campo 
dei Lavini 
 ROVERETO. «Con la repressione non si ottiene nulla. E l’esperienza di questi 
vent’anni dovrebbe avercelo insegnato: non è un caso se ora il problema del 
campo ci è scoppiato in mano». Gianluca Magagni, volontario di Aizo nonché 
operatore al campo nomadi dei Lavini, non approva il progetto 
dell’amministrazione di istituire un nucleo speciale di polizia municipale 
specializzato nella repressione dei campeggi abusivi. L’amministrazione - 
osserva - meglio farebbe a pensare a soluzioni strutturali. Magari cominciando 
da quelle microaree allo studio da due anni.
 L’obiettivo finale sembra essere quello. Sia l’assessore Giovanni Spagnolli sia 
il sindaco Guglielmo Valduga l’hanno detto più volte: eliminare il campo dei 
Lavini e puntare sulle micro aree. Campi cioè dati alle diverse famiglie di 
Sinti perché ci vivano secondo usanze e tradizioni della loro cultura.
 Ma se l’obiettivo sembra chiaro, ad esserlo meno sono i tempi e i modi. Perché 
la giunta ha l’aria di volerci andare con i piedi di piombo - comprensibile: è 
anche una questione di consenso popolare - ma intanto gli zingari aspettano. Ed 
escono sempre più spesso dal campo: «Come Aizo abbiamo consegnato alla Provincia 
il progetto sulle micoraree un anno e mezzo fa, in tempo perché non si arrivasse 
all’attuale stato di emergenza - spiega Magagni - ma ora è necessaria un’azione 
più incisiva. Ed è possibile: in altre realtà le microaree esistono da 18 anni. 
Nella zona di Modena, per esempio, funzionano bene. Ma prima di tutto dobbiamo 
fermarci un attimo e chiederci quali sono i frutti di 20 anni di legge sugli 
zingari. Con il Comune abbiamo avviato un tavolo di lavoro. Ci auguriamo possa 
portare a qualcosa in tempi più ragionevoli rispetto a quelli della Provincia».
 Rimangono, è ovvio, i problemi legati all’integrazione. Distribuire i Sinti sul 
territorio vuol dire metterli a contatti con la popolazione. E non è detto 
vengano accolti a braccia aperte: «Dipende. Il progetto casa ha funzionato bene 
- continua Magagni - Le difficoltà erano legate alla mentalità dei nomadi, che 
vanno seguiti nel pagamento delle utenze, per esempio, che non appartiene alla 
loro cultura. Ma non ci sono stati contrasti con il vicinato. Certo, c’è una 
fatica nel progresso, che pesa su entrambe le popolazioni. Ma non è detto che i 
Sinti debbano vivere tutti in città. Perché non coinvolgere i diversi comuni 
della Vallagarina? L’integrazione in un piccolo centro può essere anche 
facilitata dal controllo sociale che, a differenza delle città, c’è nei paesi».
 Quel che è certo, secondo Magagni, è che il campo non può più essere considerato 
un’opzione: «E’ una realtà dove è impossibile una crescita e dove è più facile 
che nascano devianza e disagio. Queste sono persone che, dopo le medie, vivono 
solo tra loro, con problemi di analfabetismo di ritorno gravi. E’ un luogo dove 
li abbiamo costretti noi a vivere, non è una loro scelta, benché l’Unione 
Europea
abbia più volte bacchettato l’Italia invitandola a dare a questa gente dignità 
abitativa».
 (02 novembre 2006) |