di Monica Febbo, 01/03/2014 - 08:27 su
LinguaMigrante
''Il dialogo interculturale non è un vezzo, è una necessità del nostro tempo. 
(...) il dialogo interculturale è impossibile senza un riferimento chiaro e 
condiviso a valori fondamentali, quali la democrazia, i diritti umani e il primato del 
diritto.
(Consiglio d'Europa, Libro bianco sul dialogo interculturale, 2008)''
"Le categorie di spazio e di tempo, ad esempio, 
sono concepite in modo culturalmente diverso e da ciò derivano,
talvolta, differenti modalità di approccio e di risposta
alle esperienze e agli apprendimenti che la scuola propone. 
similmente, sul versante delle capacità di astrazione e simbolizzazione,
vi sono specificità particolari, per cui gli studenti sinti e rom
potrebbero faticare molto a memorizzare, 
ad attribuire a dei simboli significati e concetti. 
Questa caratteristica contribuisce a rendere difficoltoso l'apprendimento della 
letto-scrittura,
problematicità derivante anche dal fatto
che nelle culture di provenienza le lingue madri sono prevalentemente orali.''
Si potrebbe riassumere con le due citazioni sopra riportate (da: Linee guida per 
l'integrazione 2014 - MIUR), stringatissime e poste su due piani paradossali, il 
testo emanato in questi giorni dal MIUR. 
Un testo che si autoannuncia come qualcosa di fortemente rivoluzionario e 
innovativo.
Estrapolando solamente queste due affermazioni si direbbe che segue piuttosto la 
dicotomia di pensiero che contrassegna da tempo il sistema scolastico e non 
solo. Non in secondo luogo è da tenere in considerazione la mancanza di 
tangibilità con un reale quotidiano che, con tutta certezza, non è stato 
valutato interpellando i diretti interessati, cioè gli insegnanti, "in prima 
linea" in quanto attori di didattica, sapere, ricettori reali di un mondo che 
cambia, spettatori di un susseguirsi generazionale che non doveva e non deve 
essere mai messo in secondo piano.
La marcata incompetenza in fatto di materia scolastica, è da ribadirlo, lo 
mostra il secondo passaggio riportato.
Vero e proprio atto lesivo e non solo nei confronti di categorie che con dovizia 
di dettaglio vengono elencate come a farne un discorso maggiormente assimilabile 
a una sorta di novello Manifesto della razza degli studenti. Prospettiva di 
certo non tranquillizzante. Quanto una tacita negazione di studi in merito alla 
linguistica, ai processi cognitivi e all'alfabetizzazione, percorso in salita 
che ha visto confutare le teorie esposte a Teheran negli anni '60 dove il 
problema era inteso, come qui brutalmente esposto ovvero come Coscientizzazione 
e che prende cioè le mosse dall'esperienza concreta.
L'aspetto duplice dell'affermazione del MIUR mostrerebbe invece delle 
potenzialità non irrilevanti se si avesse la volontà di portarle a risultati 
d'ordine pratico, come nel caso dell'aritmetica e di processi di memorizzazione 
intuitivi già presenti nella mente del bambino ancora prima del suo ingresso a 
scuola.
Senza contare che l'accettazione di un giudizio così lapidario porterebbe di 
certo a una condanna senza appello di adulti analfabeti ancora presenti nelle 
nostre comunità del benessere.
L'oralità che è tipica appunto in colui o nelle comunità che fanno minor ricorso 
alla lettera scritta non presuppone distinzioni tali da far credere 
scientificamente che i processi cognitivi del bambino come dell'adulto siano 
compromessi e impediscano dunque il leggere e lo scrivere come appunto immagini 
simboliche da decodificare.
IIn secondo luogo, è stato dimostrato che oggigiorno il registro linguistico del 
testo scritto mostra sempre più una capacità di flessibilità tale da poterlo 
mettere spesso a confronto con il parlato. Se si pensa a un testo per una 
conferenza o un convegno, sembrerà di assistere a una vera e propria 
trascrizione della voce del relatore, molto più che nel caso di una chat o di un 
sms. Dunque, evitando pericolose ghettizzazioni della lingua soprattutto a certi 
gradini della conoscenza di essa, scomodando trattati che stabilivano 
grossolanamente dogmi pedagogici e d'ordine pratico che non fanno altro che 
ghettizzare l'alunno in una sorta di stato di reclusione ed eterna gabbia nei 
confronti di una comunità scolastica, che sia adulto o minore, da cui egli 
stesso certo non potrà sottrarsi, se non da quell'assassino di se stesso che gli 
altri ne fanno, criminali di un sapere imprescindibile perché da intendersi come 
vitale necessità e pari diritto a essere liberi.