 di LUIGI PANELLA
su Repubblica (15 novembre 2013)
 di LUIGI PANELLA
su Repubblica (15 novembre 2013)
Domenico Spada, tra gli uomini di punta della boxe italiana a livello mondiale, 
si racconta. Di etnia rom, mille mestieri, l'ombra della discriminazione sempre 
presente, ma anche un grande riscatto sul ring e nella vita, con l'apertura di 
una palestra tutta sua e un possibile futuro da attore. "L'Inno di Mameli che 
suona per gli altri è anche il mio, darò il titolo del mondo all'Italia"
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Lo sguardo determinato non lascia 
spazio a movimenti delle palpebre, tipico di chi guarda avanti, concentrato 
sull'obiettivo, sempre deciso a saltare gli ostacoli. E Domenico Spada, uno dei 
pochi pugili in grado di dare lustro al panorama professionistico italiano, di 
ostacoli ne ha dovuti scavalcare parecchi prima di affermarsi come pugile e come 
uomo. A febbraio dovrebbe vedersela con il messicano dal pugno di pietra Marco 
Antonio Rubio (50 ko su 58 incontri vinti) per il Mondiale ad interim dei medi: 
"Rigorosamente all'estero, in Italia è difficile organizzare un match di quel 
livello, è difficile reperire soldi". In alternativa, il suo manager Franco 
Cherchi potrebbe offrigli una chance europea contro l'ucraino Maksim Bursak. 
L'asta per il match è fissata per metà dicembre.
All'estero. Perché Spada come pugile ha già dato tanto all'Italia, ricevendone 
in cambio poco. Si è battuto due volte per il titolo del mondo dei pesi medi, 
non accadeva dai tempi di Vito Antuofermo, il Paisà che fu capace di resistere 
quindici round all'assalto del 'meraviglioso' Hagler nonostante il volto 
devastato (ci vollero 33 punti di sutura). Ha perso entrambe le volte ai punti, 
non senza recriminazioni, contro il tedesco Zbik, ma è dovuto andare nella tana 
tedesca dove se non si vince per ko è tosta strappare il verdetto. Stesso 
discorso quando è andato in Inghilterra per l'Europeo: Barker è un bel pugile, 
ma l'arbitro gli ha dato la possibilità di fare ostruzionismo, poi i tre giudici 
hanno fatto il resto. 
In attesa di cogliere l'attimo fuggente in chiave iridata, Domenico si è anche 
dedicato a prendere a calci le discriminazioni, lui che è di etnia rom. E non 
sono stati isolati gli episodi su qualche brutta frase riferita alle sue 
origini. 
"Non mi piace la gente ignorante, irrispettosa delle culture degli altri. Quando 
sento pronunciata con rabbia, abbinata alla volgarità, la parola 'zingaro', quel 
tono dispregiativo, non ci vedo più dalla rabbia. Sono parole che fanno più male 
dei pugni".
Anche perché essere rom non significa essere delinquente...
"Io in vita mia non ho rubato nemmeno un centesimo. Ho preso la licenza media, 
poi prima di fare la boxe a livello professionistico ho fatto di tutto. Dal 
pasticciere al muratore, al parrucchiere".
Il parrucchiere?
"Si, ha capito bene, ma non tagliavo i capelli, ero shampista... Ho sempre 
cercato di aiutare in tutti i modi la mia famiglia. Io, i miei genitori, papà 
faceva il muratore, e cinque sorelle. Tutti in un appartamento di 40 metri 
quadrati. Va anche detto che nella nostra cultura, ma questo aspetto sta 
cambiando, le donne non lavorano. Quindi il peso economico della casa era tutto 
su me e mio padre. In casa e non in roulotte? Altro luogo comune, nella roulotte 
non ci ho vissuto un giorno in vita mia".
Si batte contro lo stereotipo del pugile violento, senza cultura, che fuori 
dal ring non riesce ad affermarsi
"Certo, basta. E' come la questione del rom sul ring. Viene strumentalizzata, 
l'inno di Mameli che suona per i calciatori è lo stesso che viene eseguito prima 
di un incontro titolato. La mia famiglia ha dato tanto alla bandiera. Tra i miei 
cugini Michele Di Rocco è attualmente campione d'Europa, Pasquale Di Silvio è 
stato campione italiano, Romolo Casamonica ci ha rappresentato alle Olimpiadi".
Ma torniamo al fatto della strumentalizzazione
"Sì, le cito qualche nome. Il grande Charlie Chaplin, la bella Rita Hayworth, il 
carismatico Yul Brinner, Andrea Pirlo, Joquim Cortez. Sono tutti di etnia rom, 
ma nessuno lo sottolinea. Poi magari sali sul ring, e tutti a ricamarci... La 
mia gente è partita dall'India tanti secoli fa, ma ormai sono 600 anni che siamo 
in Italia. Mio nonno Alizio ha fatto la Seconda Guerra Mondiale, è stato 
prigioniero per anni, insomma...".
Ma la grande risposta è l'apertura di una palestra tutta sua
"La Vulcano Gym, a Santa Maria delle Mole. L'ho aperta anche grazie all'aiuto 
dei miei genitori. Ci vengono pugili amici, ma anche e soprattutto tantissimi 
amatori. Avvocati, dottori, studenti, tanta gente che vuole mantenersi in forma 
e ama quel grandissimo sport che è la boxe".
Vulcano è il suo nome di battaglia, chi glielo ha dato?
"Me lo ha dato il padre del romeno Simon. Da dilettante avevo sconfitto il 
figlio ma lui era rimasto colpito dal mio modo di combattere".
Da dilettante come mai non è andato alle Olimpiadi?
"Avevo vinto il titolo italiano nel 1999, poi feci quattro tornei vincendone 
tre, battei il campione del mondo juniores, ma al momento delle selezioni per le 
Olimpiadi di Sydney, il ct di allora, Patrizio Oliva, scelse Di Corcia".
E come andò a finire?
"Di Corcia fu battuto da Simon, proprio lui...".
A proposito di dilettanti, che pensa di Russo e Cammarelle, agli onori della 
cronaca spesso più di lei?
"Non voglio fare polemica, ma restando dilettanti saranno sempre pugili 
incompleti. Stanno facendo come facevano i pugili sovietici o come fanno i 
cubani: prendono lo stipendio dallo stato (azzurri quasi tutti nelle forze 
armate, ndr) e non passano prof. Certo, vanno alle Olimpiadi e quindi la 
federazione pugilistica li tutela, ma non va dimenticato che anche noi 
professionisti quando combattiamo per un titolo le tasse alla Fpi le paghiamo 
eccome...".
Nuova provocazione. Altri pugili, a nostro avviso non al suo livello, hanno 
avuto chance più importanti sul ring della Capitale
"Provocazione che raccolgo volentieri. Nella precedente amministrazione 
comunale, nel mio sogno di combattere per il titolo a Roma, ho avuto quattro 
anni di promesse puntualmente disattese, chissà perché... (ghigno). Ora spero 
che con il sindaco Marino cambi qualcosa".  
Qualcuno dice che lei ha la faccia d'attore?
"Sicuramente la pensa così Aureliano Amadei, il regista di '20 sigarette'. Con 
lui ho girato un documentario che si intitola 'L'incontro della vita', stiamo 
attendendo che possa venire distribuito, questione di fondi"
Dunque le piacerebbe lavorare nel cinema?
"Perché no. In fondo la passione per il cinema è un po' una tradizione di 
famiglia. Da bambino ho partecipato al film di Sergio Rubini 'Il viaggio delle 
sposa'. Parecchi miei parenti hanno avuto parti con Sergio Leone, Pier Paolo 
Pasolini. Sono stati accanto ad attori come Marcello Mastroianni e Alberto 
Sordi".
Visto che ha sempre denotato una certa precocità, il piccolo Spada è subito 
salito sul ring?
"No, ma ci ho messo poco per capire la strada maestra, visto che già dai novizi 
primeggiavo. In precedenza ho provato a giocare a pallone con una società 
oratoriale, la Juvenilia 88, ma non era cosa per me".
Altra curiosità, Spada nella vita privata?
"Sto da anni con Claudia che presto sposerò, abbiamo tre figli maschi".
E se uno dei tre volesse diventare pugile?
"Non mi opporrei, anche se mi piacerebbe una società più meritocratica, ma qui 
non parlo solo di boxe. Vorrei andasse avanti chi lo merita, con le proprie 
forze. E' una società ideale, lo so. Ma io ci credo".