
Ci sono pagine di Storia dimenticate, come quella del Porrajmos, il genocidio 
nazista del Popolo Rom.
Matteo, Angela e Nazifa Bebé seguono le tracce lasciate da nonno Gabriel, che 
portano fino a Lodz e all'Obóz Cygański, il "lager degli zingari"...
Mondadori Junior Oro
In libreria: da oggi
Anteprima
Dal Capitolo 11
Rupa che non aveva ali 
(...) - Beh, cosa aspetti? 
Seduta su una delle assi di poppa del barcone, il cui fondo era ancora umido per 
la pioggia del giorno prima, Angela attendeva impaziente che cominciassi a 
leggere il seguito della storia di Nanosh. Ma io continuai per qualche istante a 
fissare il panorama che si scorgeva oltre la sponda opposta del fiume, un campo 
incolto costellato da radi cespugli e, più in là, il solito groviglio di strisce 
d'asfalto soffocate dal traffico e la distesa di palazzi grigi e anonimi che si 
smarriva a perdita d'occhio. 
Quando poco prima avevamo superato il boschetto di aceri, alcuni piccoli 
gabbiani erano scesi in picchiata sulle acque dell'Aniene, prima di impennarsi 
di nuovo verso l'alto e di scomparire alla nostra vista. E all'improvviso ero 
stato colto da una strana sensazione. Quella di trovarmi in un posto 
lontanissimo e sperduto, una terra straniera e di nessuno dove fino a pochi 
giorni prima non mi sarei mai sognato di posare i piedi. 
- Hai mai pensato che è come se noi e Nazifa Bebé vivessimo in due città 
diverse – chiesi ad Angela – anche se tra Ponte Mammolo e le nostre case ci sono 
solo poche centinaia di metri di distanza?
Lei scosse la testa. Poi sussurrò: - Però ho pensato che anche oggi, intorno 
ai rom, sono state costruite delle barriere impenetrabili. Solo che queste 
barriere non somigliano a quelle cinte dal filo spinato di Litzmannstadt o di 
Auschwitz, ma sono dentro ciascuno di noi e si chiamano paura e pregiudizio. 
Per qualche istante riflettei sulle sue parole. Poi le passai il quaderno che 
Mariam ci aveva consegnato e lasciai che fosse lei a leggere a voce alta il 
secondo capitolo del racconto di nonno Gabriel.
- Quando i soldati dalle facce di lupo fecero scendere dai camion Nanosh e la 
sua gente – cominciò – la notte si stava stingendo in un'alba nebbiosa e livida. 
Fu poco dopo che il piccolo rom vide da vicino, e per la prima volta nella sua 
vita, la ciminiera sbuffante di una locomotiva a vapore.
Per tutto il tempo in cui Angela continuò a leggere, io rimasi in assoluto 
silenzio, con le ginocchia sollevate sul petto e le braccia allacciate intorno 
alle gambe. 
Nanosh e la sua kumpanìa erano stati portati in una stazione ferroviaria, 
dove ad attenderli c'erano altri soldati con le divise nere, che li avevano 
obbligati a salire sul primo vagone di un lunghissimo treno merci. I portelloni 
non erano stati chiusi subito e il bambino, stretto con sua sorella Mirsada tra 
suo padre e sua madre, aveva potuto vedere centinaia e centinaia di altri rom 
che incolonnati in lunghe file venivano fatti salire sul treno, mentre l'aria si 
riempiva delle grida assordanti dei soldati e dei gemiti disperati dei vecchi e 
dei bambini. 
Faceva un freddo cattivo. 
Ma Nanosh, che aveva messo Nùvero al riparo sotto la sua giacca, non riusciva 
a capire se era per quello che Mirsada e Keja erano scosse da lunghi brividi, o 
se era perché i beng, i diavoli, avevano deciso di uscire dalle pieghe più 
oscure della terra per inghiottire i rom, il "Popolo degli Uomini". 
Quando ormai quasi tutti erano stati fatti salire sul convoglio, davanti ai 
vagoni era comparsa un'ultima colonna di prigionieri, formata quasi 
esclusivamente da bambini e da donne. Nanosh aveva riconosciuto una di loro, la 
più anziana di tutte, che aveva la pelle del viso scura come un pezzo di cuoio e 
lunghe trecce bianche che le ricadevano sul petto magro. Si chiamava Rupa ed era 
una paramisaris, una narratrice di swatura e di paramitsha, le antiche storie e 
fiabe dei rom Lovara. 
Qualche mese prima la kumpanìa di Nanosh e quella di Rupa si erano accampate 
insieme, vicino a un campo di trifoglio. E quella notte la vecchia, seduta 
sull'erba davanti al fuoco, aveva fumato la pipa con gli altri anziani e aveva 
raccontato ai bambini la leggenda di Vadni Rasa, l'oca selvatica che, come i 
rom, non stava mai ferma nello stesso posto, perché inseguiva il respiro del 
vento ovunque esso andasse a posarsi. 
Nanosh aveva pensato che se Rupa avesse posseduto le stesse ali di Vadni 
Rasa, di certo si sarebbe librata in volo e sarebbe fuggita lontano. Ma Rupa, 
come tutti loro, non aveva ali. E quando uno degli ufficiali l'aveva brutalmente 
spintonata, si era voltata verso di lui e l'aveva colpito sul viso, 
maledicendolo a gran voce. Era stato allora che Konstant aveva coperto con 
entrambe le mani gli occhi di Mirsada, perché non vedesse quello che stava per 
succedere. 
L'ufficiale aveva afferrato l'anziana donna per una delle lunghe trecce, e 
mentre lei continuava a dibattersi e a gridare l'aveva costretta a mettersi in 
ginocchio. Poi aveva estratto una pistola dalla fondina e gliel'aveva puntata 
sulla sua fronte. 
Un attimo dopo, mentre il fischio della locomotiva annunciava che da lì a 
poco i portelloni dei vagoni sarebbero stati chiusi e che il treno si sarebbe 
mosso, il fragore dello sparo si era spento sotto i tetti delle pensiline e Rupa 
si era rovesciata a terra senza più voce e senza più vita. (...)