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Francia
Di Fabrizio (del 30/04/2009 @ 09:47:38, in Europa, visitato 2202 volte)

Da Roma_Francais

Marsiglia
Chkamebo?
Una testimonianza che fa vergognare...
Chkamebo?

In Kosovo, come in tutti i paesi abbonati alle grandi tragedie, c'è sempre una parola per significare l'assurdo. In albanese, si può dire Chkamebo?, che significa "Che si può fare?" La prima volta che ho sentito questa parola, era nel 2003 in un Kosovo che iniziava a sollevarsi dalla guerra. Abnora, una piccola bambina di otto anni il cui padre era sparito dopo un'incursione effettuata dalle truppe paramilitari serbe, il fratello ucciso da un colpo in testa ed il cugino trovato in fondo ad un pozzo, aveva terminato questo elenco con la parola: Chkamebo?

La seconda volta, è stato ieri a Marsiglia, dalla bocca di questo padre di famiglia rom d'origine kosovara, venuto in Francia per chiedere asilo e gettato col resto della sua famiglia, come un pacchetto di biancheria sporca dinanzi alla porta del Centro di Cure di Médecins du Monde (MDM), dai camion del servizio sociale (Service d'aide médicale d'urgence SAMU). Ennesimo episodio di una serie che ci riguarda da dieci giorni.

Da qualche mese, la famiglia di origine rom, composta da 22 persone di cui 15 bambini, è fuggita dal Kosovo e dalle persecuzioni per venire in Francia, attraverso una parte dell'Europa, stipata su un camion barcollante ed è arrivata in Ungheria dove hanno chiesto loro, conformemente alle convenzioni di Dublino, che depositassero una domanda d'asilo, domanda che fu in seguito rigettata.

Sono allora ripartiti su un vecchio camion traballante in direzione della Francia, questa terra ancora ingiustamente conosciuta per il suo rispetto dei "diritti dell'Uomo".

Presso Aix en Provence, sono stati fermati dalla polizia che sequestra l'autocarro, piazza i suoi uomini di guardia prima di rilasciarli muniti di un decreto di ricondotta alla frontiera, senza spiegare loro che potevano fare ricorso entro 48 ore. I figli di età tra i 16 mesi e i 15 anni furono nel frattempo rinchiusi in un pensionato separatamente e senza la loro madre. Pensionato da cui fuggirono per ripartire in famiglia in direzione di Marsiglia.

Venerdì 10 aprile, sono quindi 22 persone di cui 15 minori per la maggior parte molto giovani e due adolescenti che, dopo una notte passata sul cemento, aspettavano davanti al centro di Médecins du Monde a Marsiglia per "chiedere asilo". Non hanno capito che il rifiuto dell'Ungheria voleva dire l'ennesimo rifiuto in tutti gli altri stati europei. Ma nessuno si era preso la pena di spiegarglielo.

Neanche sapevano che MDM non gestisce le domande d'asilo. MDM è un'organizzazione medicale che realizza cure. Cure per i "sans papier", cure per i "senza diritti", per chi non ha nessun'altra possibilità di riceverne se non lo facciamo noi. Cure per quelli che hanno la sfortuna di nascere altrove e la cattiva idea di pensare che possono trovare una protezione in Europa.

Cominciamo quindi con quello che sappiamo fare e che è la nostra missione: curarli, in particolare i bambini, di 11 mesi, 2, 4, 6. e 8 anni, che dopo settimane di notti all'aperto soffrono di esaurimento, rinofaringiti acute, bronchiti e otiti.

Alle 16.00, un alloggio d'urgenza è finalmente proposto per il fine settimana di Pasqua, fine settimana in cui due dei bambini più piccoli saranno ospedalizzati d'urgenza. E' l'inizio di una lunga settimana di negoziati per trovare una soluzione d'alloggio fino a quando il loro ritorno sia organizzato perché è la sola alternativa che si offre loro.

Allora, venerdì 18 aprile apertura del CASO. I camion di SAMU senza una parola ci lasciano 15 minori e 7 adulti davanti alla porta, obbligandoci una volta di più ad assumerci una missione che non è la nostra, ma la loro, oltre a quelle accumulate delle autorità responsabili, cioè la prefettura, il Consiglio Generale, la DASS (DIRECTION DES AFFAIRES SANITAIRES ET SOCIALES).

Tutti mostrano una bella unanimità nel loro rifiuto di garantire un tetto a queste famiglie. Gli uni hanno come pretesto che i bambini "non sono maltrattati dai genitori", gli altri che sono "senza documenti" o "accompagnati dai loro genitori". Quanto alla DASS, le casse sono vuote, In breve, nessuno è responsabile, né debitore di trovare loro un tetto.

Alle 16.00, una soluzione provvisoria viene trovata per sei di loro a partire dall'indomani. Sotto condizione, ben inteso. Devono quindi firmare una lettera nella quale si impegnano ad accettare di ritornare da dove provengono. Ma anche lì, è complicato. La prefettura chiede che la lettera indichi "o di ritornare in qualche altro paese in cui avremmo la nazionalità". E poi, la firma non ha l'aria autentica. E comunque, la lettera è in francese, lingua che non comprendono. In ogni caso (ripetiamo "in ogni caso"), per gli altri 16 e soprattutto gli 11 bambini, non c'è una soluzione.

Alle 18.00, i capi famiglia decidono quindi di reinstallarsi in un hangar abbandonato di fronte al Centro di Médecins du Monde. Una notte in più sul marciapiede per sei di loro. E probabilmente molte altre ce ne saranno per gli altri 18.

Simili in questo a migliaia di altre famiglie con bambini che sono fuggite dalla guerra e si ritrovano a dormire sui marciapiedi delle nostre città, vittime del gioco di ping-pong delle autorità e di una politica che si incaponisce a fare della solidarietà un delitto.

Alle 18.00, quando la famiglia s'installa in mezzo a rifiuti e rovine, MDM decide di fare quello che abbiamo l'abitudine di fare... a Kabul o Baghdad, in stati destrutturati e deprivati. Cioè: assicurare la copertura dei bisogni fondamentali di fornitura di acqua alla distribuzione di pannolini per i più piccoli senza dimenticare prodotti alimentari e sacchi a pelo.

Il 19 aprile, i reclami dei vicini hanno suscitato l'intervento della polizia che si manifesta a tre riprese nello spazio di 24 ore. I poliziotti chiamati per un "furto con scasso" sono venuti con un cane. Ma non entrano nell'hangar non volendo spaventare i bambini. Alla fine della conversazione, sono loro che, mostrando in ciò più tolleranza dei vicini, reagiscono come "padri di famiglia" e si dichiarano costernati da ciò che vedono.

E' finalmente la Protezione Civile che si che infine si muove dopo mezzogiorno e dichiara il luogo "insalubre", ne mura l'ingresso e propone al gruppo una notte presso un albergo, notti che diventano due dopo una negoziazione.

Due notti in albergo... Quello che lo stato di salute dei bambini non aveva permesso, è stato reso possibile dai reclami dei vicini. E' vero che loro, i piccoli kosovari, non votano.

Alle 21.00 li accompagniamo. Là, gli cedono i nervi, ci dicono che non ne possono più di questi rimpalli successivi ed insensati che li hanno condotti una notte sul marciapiede, cinque in un centro d'alloggio d'urgenza in mezzo a carcerati e senza fissa dimora, poi, ancora una notte sul cemento sotto la pioggia. Ora, due notti in albergo, e dopo? Cosa stanno diventando?

Non è mancato il coraggio per arrivare sino a qui. In questa Europa che non li vuole, che rifiuta loro la possibilità di immaginarsi un avvenire.

Un servizio d'alloggio per le urgenze che getta chi ha in carico sul marciapiede, nello stesso modo che si sbarazza dei suoi rifiuti.

Istituzioni che richiedono ad un bambino ammalato di essere maltrattato (ma il marciapiede non basta) a conformità di legge, o orfano prima di vedersi eventualmente offrire un'accoglienza rispettabile.

Bambini che si sballottano dal marciapiede all'albergo e dall'albergo al marciapiede.

Un'assistente d'urgenza motivata da criteri elettoralistici ma non dallo stato di salute che undici bambini malati ed esauriti non hanno potuto ottenere.

Il maltrattamento istituzionale non potrebbe dunque essere alla stregua del maltrattamento parentale, un motivo legittimo di assistenza?

Quella sera, all'albergo dove solo i reclami del vicinato avevano permesso che fossero portati, non volevano che una cosa: lasciare la Francia ed andarsene in Italia, dove hanno dei parenti, sempre in cerca di un sogno improbabile, quello di un avvenire su una terra dove la loro vita non sia minacciata.

Un sogno promesso dall'annientamento sulle frontiere di un'Europa sorda, muta e cieca.

Noi, Médecins du Monde, siamo colpevoli del delitto di solidarietà, rivendichiamo il dovere dell'assistenza alle persone in pericolo ed abbiamo lasciato a posto la nostra coscienza.

Cendrine LABAUME Coordinatrice MDM Marsiglia

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