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Di Fabrizio (del 04/11/2005 @ 11:48:40 in Regole, visitato 2018 volte)
Pubblicato ieri su Il
Giornale online
Impiccalo più in alto - di Filippo Facci
Non conosco nessuno che se incontra degli zingari non stia particolarmente attento al portafogli. Se una ragazza scorge una figura nell'ombra di un giardinetto pubblico, così pure, diventerà più guardinga se il tizio si rivelerà un extracomunitario, e un'anziana signora stringerà bene i cordoni della borsa se gli capiterà di viaggiare in metropolitana in mezzo a un gruppo di romeni. Prima che xenofobia, è statistica: la quota di extracomunitari implicati nella criminalità è più alta rispetto a quella degli italiani.
Ciò posto, la frase del ministro guardasigilli «chi giudica deve tener presente il comune senso di giustizia che il popolo avverte» (Giornale di ieri) è ugualmente sbagliata e pericolosa. Il «comune senso di giustizia caro al popolo» è storicamente quello della forca, dei linciaggi, del giudizio sommario, qualcosa che tende a comminare carcerazioni sulla base di approssimazioni mediatiche. Se poi il magistrato che ha scarcerato un rapinatore albanese in Veneto si chiama Carlo Nordio, toga da tutti stimata e non propriamente un giudice sociologo,
personalmente non ho dubbi sul fatto che il medesimo si sia limitato ad applicare la lettera della legge. Stesso discorso valga per la nomade romena accusata di aver tentato di sequestrare un bimbo, poi scarcerata e in parte scagionata. Il garantismo comporta dei rischi. L'assenza di garantismo, molti di più.
Altro parere2 da Paniscus
o da Kelebek
Di Fabrizio (del 31/08/2010 @ 09:57:20 in blog, visitato 2508 volte)
Premessa: Filippo Facci mi piace per come scrive,
meno come persona (anche se devo ammettere di non conoscerlo personalmente);
forte con i deboli e debole con i forti, sempre pronto a cambiare idea a secondo
del vento che tira, è l'esempio classico del tipo di "intellettuali" (di destra
e sinistra) che ci siamo sempre trovati in Italia. Comunque, conosce bene i suoi
lettori, e quanto segue ne è un esempio
il Post (in una risposta ai commenti, Facci chiarisce che l'intervento è
stato pubblicato su Libero)
28 AGOSTO 2010
Il punto di partenza è questo: che cosa uscirebbe da un sondaggio sui
pregiudizi degli italiani sugli zingari? Ma non solo degli italiani. Azzardo una
risposta. Uscirebbe che una percentuale quasi totale, da destra a sinistra,
dall'alto in basso, pensa che si tratti di un popolo di ladri, di rapitori e se
va bene di accattoni. Credo che si debba prenderne atto: nei loro confronti
sopravvive l'unica forma di razzismo puro presente oggi in Italia, mentre tutto
il resto è xenofobia. Esistono rom onestissimi, accampamenti stanziali che non
hanno mai creato problemi: ma non gliene frega niente a nessuno, probabilmente
neanche a me. Non c'è futuro per i rom, intesi come nomadi, come zingari, come
volete: non c'è da nessuna parte. Dati alla mano, i rom corrispondono a un
problema sociale e purtroppo criminale: è difficile fingere che buona parte di
loro non tenda a compiere reati con regolarità, a non integrarsi nella comunità
che li circonda, a non scegliere uno stile di vita alternativo per sé e
soprattutto per i figli. L'allargamento della Ue e le nuove ondate migratorie
non sono una causa, ma una conferma. Per via della loro astrazione e separatezza
– espressione che ad alcuni ricorderà qualcosa – i rom sono perlopiù disinseriti
da qualsiasi circuito culturale che non sia quello compassionevole o amante
delle sottoculture: basti che l'Olocausto nazista dei rom resta l'unico, con
quello ebraico, che i nazisti delegarono a motivazioni esclusivamente razziali.
Ma pochi amano ricordarlo. I rom furono sterminati in quanto razza inferiore
destinata non alla sudditanza, come altre, ma alla morte e basta. Furono
imprigionati, seviziati, sterilizzati, utilizzati per esperimenti medici e
infine gasati. Ad Auschwitz sopravvissero solo quattro zingari maschi, e il
celebre dottor Mengele amava iniettare la malaria ai piccoli rom. L'Olocausto
ebraico prende il nome di Shoah, quello degli zingari si chiama Porrajmos, che
significa Distruzione. Ma questa è considerata, appunto, sottocultura, roba da
preti, roba che adesso non c'entra niente. Può essere. Io, del resto, non sto
facendo del pietismo: sto solo cercando di elencare dei fatti con sovrumana
freddezza. Ed è un fatto, pure, che la maggior parte dei rom dipende dalla
beneficenza statale e che i loro livelli di scolarità sono inesistenti, spesso
vivono in caseggiati senza né acqua né elettricità, i loro mestieri tradizionali
sono scomparsi, campano spesso di furti ed elemosina e in parte di economia
marginale, tipo raccolta di ferro vecchio e cartoni, vendita per strada di
fazzoletti e di fiori. Qualcuno fa ancora il giostraio, trascina piccoli circhi,
le famiglie Togni e Orfei sono di origine sinti. La gente comunque non li
sopporta, e anche i più tolleranti – a parole – girano al largo, se li
incrociano, stringono i figli contro di sé e con essi i cordoni della borsa. E
io non sono migliore di altri. Resta il fatto che non esiste un altro popolo per
il quale siano state organizzate delle ronde mirate, per il quale sia stato
appiccato il fuoco alle tendopoli. Non importa la differenza tra un romeno, un
rumeno, un rom, un rom romeno, un rom non romeno, un rom polacco, uno zingaro,
un sinti, un gitano, un semplice nomade. E' un razzismo che non fa
discriminazioni.
Potete contestualizzarlo, spiegarlo, ma si chiama razzismo: credo l'unico –
vero – che ci è rimasto. Da noi si tende a gridare al razzismo per ogni
sciocchezza, a confondere con questo termine ogni intolleranza, distinguo,
pregiudizio o anche solo giudizio. Ed è insopportabile. Ma ciò non toglie che
questo sia razzismo e basta. E non è che i giornali, tutti i giornali, non ne
tengano conto nell'inseguire gli umori popolari. Nel maggio 2008 tutti i
maggiori quotidiani scrissero che al quartiere Ponticelli di Napoli avevano
tentato di rapire una bambina: non era vero, ma per ritorsione – di un fatto
falso – una ventina di giustizieri aggredirono un romeno che non c'entrava
nulla, e pestarono e accoltellarono un operaio che aveva un lavoro regolare e
che non viveva neppure in un campo nomadi. Poi, a Catania, due rom si fecero
quattro mesi di galera per un altro rapimento farlocco: assolti, ma sui giornali
neppure una riga. Ricordo che rilevai la cosa sulla prima pagina del Giornale e
debbo dire che raramente, in lettere o mail di commento, mi era capitato di
rilevare tanta freddezza o aggressività da parte dei lettori. Ricordo pure che
menzionai che La Fondazione Migrantes (centro studi della Cei) aveva
commissionato una ricerca all'università di Verona circa i tentati rapimenti
addebitati ai rom dal 1986 al 2007, e che l'esito spiegava questo: «Non esiste
alcun caso in cui viene commesso un rapimento, nessun esito corrisponde a una
sottrazione dell'infante effettivamente avvenuta». La freddezza che ne ricavai
fu anche maggiore.
Ora non mi aspetto niente di meglio, eppure io, ripeto, non sto difendendo i
rom: a meno che il semplice parlarne in termini crudi, e cercar di chiamare le
cose col loro nome, non sia reputata una difesa d'ufficio. Quindi non mi si
dicano, ora, cose tipo «prenditeli a casa tua», o più spesso «se li prendano in
Vaticano» – come ho letto in molti commenti sul web. Io non li voglio a casa
mia, il Vaticano non so. Ma almeno si dica la verità, dopodiché ricominciamo a
discuterne. Si può scegliere se abbinarvi un aggettivo (per esempio:
giustificato, indotto, cercato, inevitabile, giusto) ma razzismo rimane. Anche
il mio.
Prima di salutarvi, una citazione da un paragrafo di un
articolo che
parlava di sport:
[..] La tessera "ad personam" introdotta dal Viminale non piace ai fronti più
irriducibili delle tifoserie italiane. "Ci vogliono schedare come gli
zingari? – afferma un tifoso dell’Atalanta dopo gli incidenti dell’altro
giorno a Bergamo in occasione della festa di Sant’Alessandro, "e noi facciamo
casino".
con due rapide osservazioni: perché il primo paragone che
viene in mente al tifoso è quello degli zingari? E' più impattante il casino che
fanno i suoi amici, o quello degli zingari? Ci sarebbero molte altre cose da
estrapolare da quella semplice frase. Le lascio a voi.
Di Fabrizio (del 18/12/2011 @ 09:14:50 in media, visitato 2297 volte)
Filippo Facci come scrivevo
più di un anno fa, è uno scribacchino atipico: voltagabbana, a tratti
servile, e con un ego sovradimensionato, ma ammettevo che quando scrive del
tormentato rapporto tra rom, popolazioni autoctone e razzismo lo fa con una
lucidità rara.
Un suo nuovo scritto pubblicato da
Il Post mi conferma questa impressione, e vi invito a leggerlo con
attenzione.
Ma qua, partono i necessari distinguo:
- Neanche a me piace l'abitudine, tutta italiana, di schierarsi per forza
tra guelfi e ghibellini. Però... se nell'arco di pochi giorni le
piccole, quotidiane violenze che segnano il NOSTRO rapporto con chi
percepiamo come straniero, hanno due picchi violenti come quelli di Torino e
Firenze, è doveroso interrogarsi sulle cause politiche di quel titolo:
Siamo razzisti? Sì. I vari Berlusconi, Borghezio e
compagnia, avranno pure delle responsabilità nel cambiamento antropologico
in senso razzista dell'Italia. Provo a spiegarmi meglio: il razzismo non può
essere una scusa per giustificare le colpe di chi ha avuto ruoli di
responsabilità negli ultimi decenni, casomai ne è una delle cause.
- Non si tratta del gesto di un folle: che sia un corteo di incendiari
(come a Torino, a Ponticelli, a Opera), o si tratti di responsabilità singole (Carreri a Firenzi,
Breivik a Oslo). Si è formato in tutta Europa un quadro che giustifica la
follia, la noia, il bisogno di distinguersi, ad esprimersi in atti violenti
verso determinate categorie, guardacaso Rom, Sinti, stranieri, portatori di
handicap.
- Facci scrive "la ragazzetta di Torino è una mitomane che sconfina
nel cretinismo: il contesto disegnatelo voi." Chi reggeva le torce
accese, chi minacciava i giornalisti a Torino, gente matura magari, faceva
parte dello stesso contesto di quella ragazzina. Per comodità li
classifichiamo come mostri, ma i mostri veri sono la camorra, che per
liberare un'area edilizia appetibile ha mandato
in riformatorio senza prove una ragazza madre, e dato fuoco a rifugi di
poveracci. Mostro è chi a Opera aizzò la folla già scalmanata di suo, e
l'anno dopo incassò la carica di sindaco.
-
Essere zingari è un'aggravante? Ho paura di sì. Facci ha il coraggio di
ricordare come l'immagine della zingara rapitrice di bambini sia una
colossale bufala storica. Se di coraggio di uno scrittore vogliamo parlare,
in fondo non gli costa niente, ma di sicuro non è una posizione comoda per
chi si rivolge a lettori di destra.
- Smontato uno stereotipo, però ricade (preso dal suo eccesso di realismo)
in un altro: quello dello zingaro ladro. Si dimentica che di ladri in
circolazione abbiamo un vasto campionario, e che senza scomodare i suoi
compari di casta/classe (non di schieramento, il fenomeno riguarda tanto destra che
sinistra), c'è chi lo fa in maniera
più o meno furba. Sfugge a Facci, come a tanti altri, che non è l'etnia,
ma la condizione di vita. Nel comodo delle nostre case con porte blindate ed
antifurto, siamo pronti ad idealizzare la Palestina, l'Egitto, il Sud Africa
o la Colombia... un giro in quegli slum ci mostrerebbe un'umanità dolente e
piene di speranze che ruba, figlia, si ammala e muore con
percentuali del tutto simili ai Rom e Sinti nostrani. Ma senza andare nel
"terzo mondo", un giro in qualche quartiere USA del "primo mondo"
restituirebbe la medesima realtà. Ma quelli, sono i poveri lontani, i loro
odori e le loro grida diventano innocuo esotismo.
- Allora, quello che scandalizza il benpensante, di destra e di sinistra,
non è il furto, ma la sua necessità (che deve anche essere prossima,
altrimenti non se ne accorge). Perché tutti amiamo crederci buoni,
democratici, autosufficienti. Ma il pensionato beccato al supermercato con
due scatolette di tonno nascoste nella giacca, ci porta la miseria allo
specchio, chi ruba per fame in un mondo di prosperità lo fa perché ha sua
volta è stato deprivato (derubato) dei valori occidentali di vita, compreso
il pieno accesso ad istruzione, casa, lavoro, sanità. Invece, fiduciosi nel
NOSTRO progresso, non solo vogliamo essere ricchi, ma pure amati dai poveri, perché così la NOSTRA coscienza (di classe?) non ci pone domande scomode.
Paradossalmente, diventiamo cattivi quando questo ci è negato.
- Facci cita il Porrajmos, un olocausto dimenticato e tutto particolare.
Lo fa, sapendo quanto la nostra sia una bontà di facciata, per cui VOGLIAMO
DIMENTICARE i nostri antenati che fecero del Porrajmos, della Shoa, ma anche
dei massacri in Africa e nelle Americhe: non un isolato episodio di
razzismo, ma un sistema pianificato di arricchimento, sterminio e terrore. Ci stupiamo
che qualcuno sia sopravvissuto, emigri perché non abbia più di che vivere e
soprattutto abbia l'ardire di presentare il conto. Cosa che possono fare gli
Israeliani, forti di uno stato e di un esercito mica male, non i Rom e Sinti
che vivono tuttora in eterno dopoguerra. E allora, dagli allo zingaro!
- VOGLIAMO DIMENTICARE, e l'abbiamo fatto, come eravamo nel dopoguerra o
quando si emigrava, perché nuovamente ci vergogniamo della povertà. Razzismo
ha tanti significati e radici, questo è quello attuale. Ma ricorda un
articolo del
Corriere (uscito in concomitanza con quello di Facci) che c'è un
ulteriore differenza: il nomadismo. Che secondo il Corriere
può aprire le porte dei cieli (spero che qualche zingaro si sia fregato la
chiave per tempo) e secondo il più realista Facci non ha più ragione di
essere. Il Corriere ricorda come furono nomadi anche gli Ebrei, ma
dimentica che tutti i popoli che diedero vita agli stati moderni lo sono
stati, finché non fecero a botte per trovare una terra dove potersi fermare.
Potersi fermare, non dimentichiamolo, significa avere la possibilità di
cacciare qualcun altro. Non chiamiamolo NOMADE, allora, chiamiamolo
SGOMBERATO. Se ci intendiamo sulle parole, forse saremo già in grado di
intravedere le soluzioni.
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