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Di Fabrizio (del 03/06/2005 @ 22:42:01 in scuola, visitato 3735 volte)
Da: Jerusalem Post Gli Zingari di Gerusalemme
"Per gli Arabi siamo i Nawari, che significa "sporchi Zingari" dice Sleem. "Per gli Ebrei e per le autorità, noi siamo Arabi. Abbiamo perso su tutti i fronti." --- Amoun Sleem, direttrice di Domari, la Società degli Zingari di Gerusalemme, è una donna eccezionale. Leggete tutto l'articolo. A people apart "Fammi una domanda, fammi una domanda!" insiste Leila, orgogliosa di mostrare che finalmente capisce l'inglese. "Ho otto anni. Frequento terzo grado" continua felice. Heba, otto anni, è concentrata sul suo disegno. Non ha mai lasciato Gerusalemme, ma sta disegnando un veliero sulle onde e un sole sorridente in alto sul foglio. Leila, Heba e altri due bambini, sono nel Gypsy Community Center, aperto solo due mesi fa in un'appartamento di tre stanze a Shuafat, confortevole e illuminato. Per la prima volta, la comunità zingara si è organizzata proattivamente per badare a se stessa. Due volte alla settimana, il centro offre corsi di alfabetizzazione per dieci adulti. I bambini frequentano tre volte a settimana, per fare i compiti e scappare dalla strada; qui in inverno stanno al caldo. In un angolo, un vecchio computer, e Yassir, di quasi cinque anni, pigia con entusiasmo sulla tastiera. Al muro sono appesi frammenti di arazzi e di gonne ornate, accanto ai disegni dei bambini che ritraggono le loro famiglie nei costumi tradizionali. Sempre accanto alle pareti, diverse rababbah, tradizionali strumenti zingari a corda, che i bambini provano a suonare. Il centro offre anche gingilli, tele, ceramiche, marmellate e olive schiacciate sotto olio. Tutto materiale in vendita. "Mi piacciono gli Zingari," discorre Leila. "Mi piace la scuola. Mi piacciono le maestre. Mi piacciono i bambini piccoli, ma quelli grandi, no. Mi chiamano con brutti nomi. Anche gli insegnanti" Amoun Sleem ha 32 anni, è la direttrice di Domari, la società degli Zingari di Gerusalemme ed ha fondato il centro. Oggi, come quando era una bambina, il tempo sembra essersi fermato. Ancora oggi, mentre cammina nelle strade della Città Vecchia, i passanti la chiamano "Nawariya", un peggiorativo di Zingara. A volte, le sputano contro. Sleem, di una assertività sfacciata e di una bellezza esotica, ha dedicato la sua vita personale e professionale al progresso della causa degli Zingari o, come meglio si riferisce a lei stessi, dei Domi. Gli Zingari sono forse il gruppo sociale più emarginato nella Gerusalemme di oggi. Oppressi dalla povertà e da conflitti interni, sono marginalizzati socialmente e politicamente invisibili. Il Ministero degli Interni non riconosce i Dom come entità religiosa o culturale e sono genericamente indicati come "Arabi" sui loro documenti. "Per gli Arabi siamo i Nawari, che significa "sporchi Zingari" dice Sleem. "Per gli Ebrei e per le autorità, noi siamo Arabi. Abbiamo perso su tutti i fronti." Secondo il procuratore Omri Kabiri, che offre servizi legali a Domari e alla comunità praticamente a costo zero, lo stato di Israele non è disposto a riconoscere formalmente le minoranze. Nella pratica, non interferisce nelleesigenze di gruppi come i Drusi, i Beduini o gli Armeni. Se ottenessero un riconoscimento, gli Zingari avrebbero accesso a numerosi servizi, dalle cure mediche, ai fondi per il mantenimento della loro cultura o della religione, ecc. Ma finché non appariranno come categoria censita, nessuno saprà quanti siano. Sabine Hadad, portavoce del Registro della Popolazione, parla di "diverse dozzine" a Gerusalemme Est, anche se, secondo il Dom Research Center, con sede a Larnaca (Cipro), a Gerusalemme ci sono circa 1.000 Dom, e tra 1.000 e 4.000 vivono nella West Bank e nella striscia di Gaza. Il primo importante passo, secondo Amoun Sleem, è un censimento nazionale. Ma il principale problema resta quello della povertà. La più parte della comunità vive a Bab el-Huta, un povero agglomerato di casa vicino alla Porta del Leone. Bambini poveramente vestiti si aggirano tra pile di immondizia per la strada, mendicando o vendendo ciondoli. Alto l'abbandono scolastico, soprattutto tra le ragazze, anche se la comunità beneficia di personale che controlla la frequenza scolastica e di autisti per i bus scolastici. Il tasso di disoccupazione è alto. Molti fanno affidamento sulla Previdenza Sociale e i tagli effettuati negli ultimi due anni hanno avuto serie conseguenze sulla comunità. Le ragazze si sposano presto, di solito a 16 anni. "Le donne non hanno vita facile" dice Sleem. "Non hanno prospettive o sogni. Otto, dieci figli e niente soldi." Sleem si è creata da sé una vita differente. Sua madre morì quando aveva sei anni, lasciando suo padre con otto tra fratelli e sorelle da crescere. Da giovane, come molti altri bambini, fu mandata a chiedere la carità, ma rifiutò. Ricorda: "E' una cosa umiliante. Così presi delle cartoline da vendere ai turisti. Qualcosa dentro di me diceva che era possibile agire e creare le cose in maniera più onesta e decente" Sapeva che la scuola le avrebbe dato il biglietto per uscire dalla povertà. Ma sapeva anche che suo padre, col suo lavoro di custode al Ministero degli Interni, mai sarebbe stato in grado di fornire a lei e alle sorelle quadreni e matite. Così comtinuò a vendere le sue cartoline. Ricorda ancora le umiliazioni a scuola, non differenti da quelle che subisce oggi Leila. "La maestra ci chiamava di fronte alla classe e, di fronte a tutti, controllava se avevamo i pidocchi o eravamo sporchi. E gli altri bambini ridevano quando ci chiamava Nawari." All'età di 12 anni, lasciò la scuola, ma nessun assistente sociale venne a controllare perché una studentessa così brillante e motivata avesse abbandonato lo studio. Ritornò a scuola un anno dopo, completando il ciclo di studi e diplomandosi in business administration. Trovò lavoro come manager presso l'Ostello Olandese sul Monte degli Ulivi. Imparò inglese e olandese fluentemente. I visitatori europei contribuirono a formare la sua coscienza politica e sociale. Cominciò a pensare che poteva sviluppare consapevolezza e rispetto di sé nella sua comunità. La sua fiducia crebbe e attualmente sta completando un corso in business administration all'Università Ebraica. Sleem fondò Domari nel 1999; la prima organizzazione di questo tipo nel Medio Orinte, dedicata alla crescita politica, sociale, culturale e ai bisogni sanotari della comunità. Per storia e cultura, gli Zingari non ragionano in termini territoriali e non fanno riferimento ad un'unica patria. In diversi angoli del mondo, non si chiedano chi sia il regnante, ma vogliono che sia permesso loro di mantenere la loro cultura e creare un futuro migliore per i propri figli. A Gerusalemme, sono riusciti abilmente a mantenersi estranei al conflitto israeliano-palestinese. Ma Sleem ritiene che gli Ebrei [...] dovrebbero capire gli Zingari. Anche noi siamo stati perseguitati." Nota inquietanti similitudini tra le loro due storie. Entrambi sono stati la classe "altra - impossibilitati a stanziarsi, cacciati, oppressi. Come gli Ebrei, gli Zingari hanno sviluppato strategie per vivere con i "gadjé" - i "GOY", i "non-Zingari" - e sopravvivere in difficile equilibrio con la società circostante, spesso confinati in ghetti e accampamenti recintati. E come gli Ebrei, sono stati isolati di Nazisti perché fossero sterminati. Secondo [...] lo US Holocaust Memorial Research Institute di Washington il numero di vite perse dagli Zingari nel 1945 oscilla "tra mezzo e un milione e mezzo." Ma gli Ebrei, spalleggiati dal loro stato e più potenti politicamente, hanno ottenuto pù riconoscimento. Per una stridente coincidenza, il mese stesso che la Germania celebrava gli Ebrei uccisi dai nazisti, iniziava il rimpatrio forzato di decine di migliaia di Zingari profughi dal Kossovo (cfr. Germania ndr.), dove le loro case sono state distrutte e sono esposti a un'esistenza in pericolo, senza aiuti dalla Germania o dalle Nazioni Unite. La dottoressa Katalin Katz, della Hebrew University's School of Social Work, ha compiuto una ricerca sugli Zingari in Europa. "Le strutture, l'autorità e la gerarchia sono alieni ai loro valori e stile di vita. Non hanno un'autorità centrale per cui battersi o dichiarare guerre. Ma nell'ultima decade, le cose hanno iniziato a cambiare." Cambiano anche qui. Dice Sleem: "Ho imparato da mia nonna, che se hai prurito, puoi solo grattarti da te, e nessun altro sa dove sia il tuo prurito." Vede particolarmente significativi i cambiamenti che avvengono nel suo centro di Shuafat. perché mostrano che gli Zingari hanno iniziato a muoversi fuori dal loro "ghetto" nella Città Vecchia per mischiarsi con gli altri gruppi. Qualche anno fa, Domari propose assieme al MATI, il Jerusalem Business Development Center, di fare formazione professionale per uomini e donne della comunità, nel campo del catering e della cosmetica. Circa una dozzina vi hanno preso parte. Sleem nota anche una crescita della considerazione per la scolarizzazione nella comunità. Cresce il numero delle ragazze che completa la scuola dell'obbligo e tre di loro frequentano l'università. Aumentano i matrimoni misti con gli Arabi Palestinesi e si comincia a discutere di pianificazione familiare. Sleem è compiaciuta per questa crescita comunitaria, ma spera anche che la cultura tradizionale possa sopravvivere. Sono in pochi ad indossare i costumi tradizionali o parlare la lingua originale, solo poche donne ricordano le canzoni che si cantavano ai matrimoni. Vorrebbe organizzare un campo estivo, portare i bambini in spiaggia o in piscina e insegnare loro giochi e canzoni. Ma non ci sono i soldi. Allen Williams, filantropo di Larnaca, ha dato i soldi per pagare l'affitto e le misere spese operative del centro. Il personale è formato da qualche volontario, dall'Inghilterra e dagli USA, altre risorse non ci sono. Sleem oscilla tra la frustrazione e l'ottimismo. A volte, emerge l'amarezza "Noi siamo per i diritti umani, ma nessun gruppo sui diritti umani si interessa a noi. Si occupano delle donne Beduine, e noi? Non siamo spazzatura!" Indica un uccellino che sta cinguettando "E' un segno del Signore che le cose vanno bene? So che è stupido, ma sono continuamente preoccupata e spaventata, mi sembra di vivere in un circolo vizioso." Non tutti i suoi sforzi sono ben accolti. Sleem ha ricevuto diverse critiche nella sua comunità. Nel 1968, l'allora sindaco Teddy Kollek concesse a un membro della comunità il permesso di operare come "mukhtar" e di essere il tramite ufficiale con la municipalità. Una posizione che col tempo non è più stata ufficialmente riconosciuta, ma che mantiene un notevole prestigio interno. Sleem ritiene che, risentito a causa della sua proattività e dell'alto profilo perseguiro, il mukhtar abbia deciso di non presenziare alkl'inaugurazione del centro. (il mukhtar non ha ritenuto fornire un suo commento al Jerusalem Post) Ci sono tanto uomini che donne che si oppongono all'idea che una donna, per giunta non sposata, possa assumere un ruolo preminente nella loro comunità conservatrice e tradizionale. L'anno scorso, per diversi mesi sono circolate voci che Sleem fosse una collaborazionista di Israele. La sua vita era, letteramente, a rischio. Lentamente, i progressi compiuti dal centro, mostrano che i suo sforzi sono più accettati. Il procuratore Kabiri è convinto che il riconoscimento degli Zingari come minoranza nazionale sia cruciale e farà un appello in questo senso all'Alta Corte di Giustizia. "E' importante determinare se gli Zingari siano, in effetti, una nazione" osserva. "E sarebbe basilare una decisione legale in merito, qui in Israele. Noi, il popolo ebraico, siamo stati accomunati dalla dispora e ci siamo dichiarati popolo. Siamo tra quelli che devono mostrare più sensibilità verso il bisogno di un altro popolo di ottenere riconoscimento e auto-definizione" Per saperne di più: - Domari Society - La loro Europa Si ringrazia la mailing list di Roma Network.

Gli Zingari di Gerusalemme: il Popolo Dimenticato
By Amoun Sleem
Una banda di ballerini e musicisti itineranti assunti da un re persiano? Una
casta di artisti, che difesero la loro patria contro l'invasione degli Unni nel
V secolo? Oppure un certo numero di tribù inviate dalla Persia ad un generale
turco-persiano e che mai fecero ritorno? Come e quando gli Zingari iniziarono la
loro migrazione, e come finirono a Gerusalemme da ogni dove? Agli inizi del
XVIII secolo, gli storici stabiliscono che il popolo zingaro ebbe origine da una
casta di artisti che si autodefiniva Dom (che nella loro lingua comune significa
"uomo"). I Dom di Gerusalemme sono tra le diverse comunità di Zingari che si
sono insediati in Medio Oriente. Come i Rom ed i Lom, la loro controparte in
Europa e Armenia, i Dom hanno una loro auto-consapevolezza pesantemente
influenzata dal paese che li ospita. In mezzo alle teorie sulle origini della
loro partenza dall'India, i Dom di Gerusalemme offrono una leggenda che li
radica saldamente al Medio Oriente.
Tanto tempo fa, c'erano due tribù guidate da due cugini residenti in Siria.
Un cugino, dopo aver ucciso il re, suscitò l'ira di sua sorella. Nel cercare una
rivincita, l'addolorata principessa mise le due tribù una contro l'altra ed
istigò una guerra tra loro, che causò la morte di entrambe i cugini. La
principessa non era ancora soddisfatta ed emise un decreto che obbligava a
vagabondare el deserto nelle ore più calde del giorno, cavalcando soltanto asini
e guadagnandosi da vivere soltanto con la danza e la musica. Da allora, alcuni
Dom si diressero in India, Iraq e nuovamente in Siria. Riconoscendo la Siria e
non l'India come la loro antica patria, i Dom alterarono la natura di "uomo" cui
si riferisce il loro nome in favore di un'identità mediorientale. Oggi i Dom
vivono in diversi paesi del Medio Oriente e la loro cultura si è mescolata con
quella degli arabi attorno.
Come in altri paesi, i Dom di Gerusalemme hanno accettato la lingua e la
religione del paese dove vivono. Sono musulmani e parlano arabo come pure il
Domari - il loro linguaggio nativo. Il Domari è una lingua distinta dal Romanì e
dal Lom. I suo stretti contatti col Punjabi furono chiave determinante nella
lontana eredità indiana, tuttavia l'effetto significativo dell'arabo sulla
lingua parla all'effetto dell'ultima patria dei Dom. Qualsiasi sia l'adattamento
nella religione, lingua o altro, gli Zingari di tutto il mondo mantengono
caratteristiche loro proprie ed i Dom non fanno eccezione.
I Dom di Gerusalemme rimangono una comunità infusa dai ritmi e dalle canzoni
di tradizione zigana, ma hanno abbandonato lo stile nomadico in favore di una
vita più sedentaria. Hanno fatto di Gerusalemme la loro casa da oltre 400 anni.
Originariamente stanziati in un'area fuori dalla Città Vecchia chiamata Wadi
Al-Joz, i Dom si sono poi spostati in un piccolo quartiere chiamato Burj Al-Laqlaq
all'interno delle mura della Città Vecchia. Minoranza etnica, la comunità Dom ha
sofferto in silenzio i decenni del conflitto arabo-israeliano. Il loro numero è
diminuito significativamente durante le battaglie attorno alla fondazione dello
stato di Israele. L'esodo maggiore è avvenuto durante la guerra del 1967, che ha
spinto quasi la metà dei Dom a cercare rifugio in Siria, Libano e persino in
India.
Nonostante una profonda identificazione con la cultura mediorientale, le
rimanenti 200 famiglie hanno subito severe discriminazioni da parte di
israeliani e palestinesi. Lodati una volta nella poesia persiana come
intrattenitori senza pari, una serie di cambiamenti culturali, politici ed
economici ha portato i Dom ad essere visti come deprecabili mendicanti. La
vergogna di essere Zingaro viene istillata in giovane età quando i bambini
iniziano la scuola. Anche se i Dom si considerano Palestinesi, la loro non
appartenenza all'etnia araba porta che il 60% non ha terminato le scuole
elementari. Senza specializzazioni e percorso scolastico, i Dom sono rinchiusi
in un circolo di povertà e derisione. Le generazioni più giovani preferiscono
assimilarsi completamente ai vicini Arabi. abbandonando i vestiti tradizionali,
la lingua, i costumi e qualsiasi altra cosa li possa distinguere come Zingari.
Il Centro Domari a Gerusalemme Est è stato fondato per contrastare il
deterioramento di una comunità una volta vibrante e restaurare il suo orgoglio.
Fondata nel 1999, l'organizzazione aiuta lo sviluppo economico, fornisce
supporto a donne e bambini ed agisce per la preservazione della cultura.
Principalmente donne e bambini frequentano classi, programmi di formazione, di
consulenza ed assistenza. Il Centro Domari presta particolare attenzione nel
ricostruire l'autostima dei membri più giovani, fornendo programmi per leggere e
scrivere per l'infanzia, corsi di lingua e cultura Domari ed altri supporti
scolastici. La speranza è che questo porti i Dom di Gerusalemme fuori dal loro
status di "intoccabili" attraverso l'educazione e l'autostima.
Amoun Sleem is the founder and director of the Domari Society of Gypsies in
Jerusalem. As a gypsy, she has shared the difficulties and challenges of her
community and is focused on helping her people succeed. She can be reached at
domari@alqudsnet.com
sullo stesso argomento, leggi
QUI
Da
British_Roma (riassunto)
Le comunità Domari nella Turchia Orientale, sono tra le meno conosciute delle
comunità zingare nel mondo. Largamente assenti dalle ricerche, sono rimaste
"nascoste" alla vista di studenti ed accademici occidentali, sino a ché una
lettera di missionari americani alla fine del XIX secolo descrisse con pochi
dettagli la loro presenza in queste terre. Da allora poco altro è stato
redatto, nei tempi recenti uno studio di Ana Oprisan del 2006, ed ancora la
comunità non solo persiste, ma esibisce una forte auto-identità, mantenendo il
proprio linguaggio e cultura, come pure la propria identità confessionale.
Questa comunità rimane per l'esterno un'entità confusa, oggetto dei medesimi
pregiudizi che circolano sugli Zingari. Etichettati come bugiardi, venali,
ignoranti, i loro quartieri sono visti come posti pericolosi dove avventurarsi,
e questi pregiudizi persistono nell'isolare, marginalizzare ed escludere la gran
maggioranza dei Dom, che rimangono limitati economicamente e socialmente in una
maniera simile a quella delle fasce povere della popolazione o dei migranti. I
Dom nella Turchia Orientale sono il gruppo più marginalizzato ed escluso, quello
verso cui si può agire con impunità. E' frequente la mancanza dei servizi
basici, come l'accesso alla scolarizzazione, sanità ed impiego, e sono comuni
casi di trattamento arbitrario da parte delle autorità statali. Le autorità
locali semplicemente negano la loro esistenza nella diffusa convinzione che i
Dom più che un gruppo etnico siano una sottoclasse criminale nella società turca
nella regione.
La posizione marginalizzata che occupano i Dom è anche quella che inibisce i
rapporti con la crescente consapevolezza Romani, atomizzando i diversi elementi
della società Domari in gruppi disparati, spesso in competizione tra loro per le
risorse limitate o le opportunità di lavoro (nel campo dell'agricoltura, o
fornendo musica per le altre comunità come i Kurdi). Non esistono festival
musicali o versioni audio delle loro musiche e canti e si può dire che i Dom
della Turchia Orientale siano tra i gruppi più invisibili.
Nella città vecchia di Diyarbakir ce ne sono almeno 14.000, molti dei quali
parlano ancora la loro lingua originale. Ci sono altre comunità più piccole in
altre città e villaggi, la maggior parte vive in cattive condizioni. Nella
regione c'è un significativo livello di persecuzioni, abusi e perfino omicidi;
come nel caso dei bambini pastori uccisi nei giorni precedenti a quando i
villici dovevano pagarli, o alle donne Dom sposate a Kurdi, uccise quando è
stata scoperta la loro identità. Particolarmente virulenti i pregiudizi della
comunità kurda nella regione ed inoltre i cambiamenti nelle occupazioni
tradizionali significano che molti dei Dom musicisti non hanno più lavoro di
fronte al rinforzamento della cultura kurda. La zurna (un oboe orientale) e il
davut (il tamburo usato dagli Zingari in Turchia) nelle cerimonie matrimoniali
vengono sostituiti dal sax e dalle canzoni di Ahmed
Kaya, i musicisti Dom ai matrimoni diventano così una memoria del passato.
Impoveriti e senza educazione scolastica, i Dom hanno appena iniziato ad avere
contatti con le altre comunità zingare in Turchia. Molti Rom neanche sanno
dell'esistenza dei Dom, della loro vita di paura e miseria, della loro lingua
che mantiene molti imprestiti con l'tigine Hindu e del loro arrivo in Turchia
200 anni prima dei Rom.
Adrian Marsh, MA -
Researcher in Romani Studies -
University of Greenwich
Originally published in Swedish in 'É Romani Glinda', February 2007.
More information from domaristudies@mac.com.
sui
Dom in Medio Oriente
Desideriamo invitarvi a partecipare alla serata "LE COMUNITA'
"ZINGARE" E I BEDUINI DELLA PALESTINA" con la proiezione dei
documentari: UP FRONT, Media Sadaa - Alternative
Information Center e JAHALIN - Co-diretto
e prodotto da Talya Ezrahi, Lewie Kerr & Kamal Jafari - Alternative Information
Center - organizzata dall'Associazione La Conta, che ci
sarà, con ingresso libero e gratuito, giovedì 5 aprile 2012 alle 21,00,
alla CGIL - Salone Di Vittorio in Piazza Segesta 4 con ingresso da Via
Albertinelli 14 (discesa passo carraio) a Milano.
Parteciperà all'incontro Gabriella Grasso del Gruppo ISM Milano
(International Solitarity Movement) che presenterà i documentari UP
FRONT e JAHALIN e ci parlerà, tra l'altro, del rischio che corrono i beduini
della Palestina di essere scacciati per sempre dalle valli del deserto tra
Gerusalemme e Gerico ed ERICA RODARI, scrittrice e studiosa,
che coordinerà la serata. Introduce Fabrizio Casavola.
UN FRONT Media Sadaa - Alternative Information Center
Tre donne, di diversa età, luoghi e ambiente, che sono comunque collegate dal
loro potere, dalla loro indipendenza e soprattutto - dalla forte volontà di
creare un cambiamento. Amoun Sleem, una delle tre donne, appartiene ai Domari,
comunità degli zingari di Gerusalemme.
JAHALIN - Co-diretto e prodotto da Talya Ezrahi, Lewie Kerr & Kamal
Jafari - Alternative Information Center
I beduini Jahalin vivono nelle valli del deserto tra Gerusalemme e Gerico,
dediti all'allevamento di ovini e caprini, la loro principale risorsa economica.
A metà degli anni 1990, una decisione del governo israeliano di espandere
l'insediamento di Ma'ale Adumim, ha portato ad una serie di sgomberi che
minacciavano di spostare 3000 persone, forti dalla loro casa nel deserto e
distruggere il loro modo di vita tradizionale. Il film racconta la storia della
loro lotta per rimanere sulla loro terra.
Di Fabrizio (del 08/03/2009 @ 09:39:16 in Italia, visitato 2024 volte)
Rom e Sinti: un libro da leggere, una cena da gustare, una festa da
provare
sabato 14 marzo
Auditorium San Fedele via Hoepli 3 a b MILANO (mappa)
h. 18.00
Presentazione del libro a cura di Giorgio Bezzecchi, Maurizio Pagani e Tommaso
Vitale, I rom e l’azione pubblica. Pagine: 288. ISBN: 978-88-7039-0377. Milano,
Teti Editore
Fra gli autori saranno presenti:
Giorgio Bezzecchi (Opera Nomadi di Milano),
Alberto Giasanti (Università di Milano Bicocca),
Maurizio Pagani (Opera Nomadi di Milano)
Antonio Tosi (Politecnico di Milano)
Amun Sleem (Presidente della Domari Society di Gerusalemme).
Tommaso Vitale (Università di Milano Bicocca)
Discutono:
Giacomo Costa s.J.
Moni Ovadia
h. 20.00
Buffet a cura della Cooperativa Romano Drom.
h. 21.00 (Cine Teatro San Fedele)
Overture: Breve esibizione del maestro di fisarmonica Jovica Jovic e
presentazione del suo ultimo album Impronte nomadi (edizioni musicali Opera
Nomadi di Milano/SIAE).
Monologo: Dijana Pavlovic
Concerto: Roberto Durkovic e musicisti rom (special guest: Enrico Nascimbeni)
Nel corso della serata saranno raccolti fondi a sostegno della Domari Society,
associazione di Dom (i gruppi zigani del Medio Oriente) per solidarietà con le
famiglie zigane nella Striscia di Gaza.
Organizzato da: Opera Nomadi, Fondazione Culturale San Fedele,
Aggiornamenti sociali, Popoli, Consorzio SiR (Solidarietà in Rete)
Aiuto!!!
Cerchiamo un aiuto per pubblicizzare l'evento.
Cerchiamo persone che durante la serata ci aiutino a raccogliere i fondi in
solidarietà
INFO:
segreteria@operanomadimilano.org
Di Fabrizio (del 07/04/2011 @ 09:33:43 in lavoro, visitato 1869 volte)
Da Amoun Sleem
Devo dirvi che oggi come Laboratorio del
Centro Domari siamo
stati scelti per fornire il più famoso hotel di Gerusalemme, l'American Colony
Hotel, il che mi rende molto orgogliosa delle nostre donne zingare e del
nostro design di qualità. Molti dei nostri cuscini avranno posto in questo
hotel. Dobbiamo credere sempre nel nostro buon gusto, ed un giorno saremo là!
Amo essere zingara.
Galleria fotografica

Ieri dopo pranzo ho visto qualcosa che mi ha commosso e ricordato i miei
genitori, dandomi una grande Lezione nel pensare alle tante madri che ho
conosciuto. La Lezione mi è arrivata da piccoli animali. Avevo preparato in
un piatto il cibo per la nostra "mamma gatto", ma lei al posto di mangiarlo, ha
chiamato i suoi micini e si è seduta guardandoli mangiare. Ho apprezzato l'anima
madre, che mi ha ricomposto con ciò che sono...
Amoun Sleem - direttrice e fondatrice del
Domari Center
Da
Mundo_Gitano
Por:
Terra Actualidad - EFE GITANO E PALESTINESE, DOPPIA DISCRIMINAZIONE
[05-06-2008] A Gerusalemme, dove le identità hanno una rilevanza speciale,
circa 170 famiglie coniugano le loro radici Gitane con la loro condizione di
palestinesi in un esercizio di equilibrismo che li lascia nella terra di
nessuno.
Le autorità israeliane li trattano come qualsiasi altro arabo, mentre la
maggioranza dei palestinesi li percepisce con gli stessi stereotipi che
perseguitano i Gitani ovunque siano.
Serva come esempio che il termine arabo per Gitano, "nawar", è peggiorativo e
di solito accompagnato da uno sputo a terra.
Loro, i Gitani dell'est del Mediterraneo e del Medio Oriente, si
autodenominano Domari (da "Dom" che significa uomo nella loro lingua nativa) e
sono in maggioranza musulmani, a differenza dei Rom, che si stabilirono in
Europa e professano il cristianesimo.
La loro presenza a Gerusalemme è documentata dal XIX secolo, dove oggi si
ripartiscono tra Bab Hutta - un umile quartiere dentro la cittadella murata -,
Ras Al-Amud o Silwan.
A prima vista, niente li distingue dai loro vicini: parlano arabo, vivono
nella parte palestinese della città ed non si sono neppure liberati dall'esilio
nei conflitti bellici con Israele.
Durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967, arrivarono in Giordania non meno
che 34.000-35.000 gitani che risiedevano a Gerusalemme.
Il Centro d'Investigazione Domari riconosce la difficoltà di dare il numero
di Gitani che oggi vivono nei territori palestinesi perché molti rifiutano di
definirsi come tali.
Si calcola, tuttavia, che siano circa 7.000 tra Israele ed i territori
palestinesi, più della metà di loro nella striscia di Gaza, dove storicamente
hanno tenuto molti contatti coi loro compagni di origine e diaspora egizi.
"Abbiamo lo stesso problema del resto dei palestinesi: l'occupazione
israeliana", sentenzia Abdelhakim Salim, il muktar (una specie di notabile) di
questa comunità a Gerusalemme.
Non è del tutto così. I Gitani si confrontano con danni sociali specifici che
vanno oltre gli arresti, registri all'alba e barriere al movimento, che racconta
il muktar.
Per iniziare, i Domari della cittàsanta viveno in media in locali di otto
persone dove entrano solamente 700 dollari (450 euro) al mese.
Inoltre, lamentano indici di analfabetismo (circa il 40%) ed assenteismo
scolare molto superiore a quello dei palestinesi, uno dei popoli più capace di
leggere e scrivere nel Medio Oriente.
Le droghe inoltre causano stragi tra i giovani, si suppone il 75% dei Gitani
di Gerusalemme, spiega Imad Jauny, direttore esecutivo di Burj Al Luq Luq,
un'istituzione che tenta di evitare che i bambini e gli adolescenti che non
vanno a scuola passino tutto il giorno per la strada.
"La loro autostima come collettivo è molto bassa. Lo vediamo nella gente
con cui lavoriamo", aggiunge Jauny prima di indicare che il 90% dei
frequentatori del suo centro sociale sono Gitani.
Per cambiare questo ordine di cose, Amoun Sleem creò nel 1999 il Centro
Domari, col quale prova a migliorare il livello di vita della comunità Gitana e
frenare la progressiva sparizione della loro cultura.
Sleem teme che l'eredità Gitana muoia schiacciata tra l'indifferenza delle
autorità israeliane, "che rifiutano di considerarci come minoranza in una città
che ne è piena", e l'assimilazione interessata dei palestinesi.
Tutto questo con il tempo contro, così che solo alcuni anziani sono capaci di
esprimersi in Domari, mentre i balli e i vestiti propri sono quasi finiti
nell'oblio.
"Io non mi considero palestinese. Non mi vergogno a definirmi Gitana di
Gerusalemme. Viviamo qui da duecento anni e stiamo perdendo le nostre
tradizioni", lamenta la fondatrice di questa società che l'anno scorso visitò lo
scrittore israeliano e Premio Principe delle Asturie Amos Oz.
E' una delle ultime sfide di un collettivo discriminato per partita doppia -
tanto come Gitano che come palestinese - che cerca il suo posto come minoranza
dentro una minoranza.
Segnalazione di Paolo Ciani
GLI ZINGARI IN LIBANO, COMUNITA' AI MARGINI
In Europa li chiamiamo Rom, in Medio Oriente Dom. Ma per i popoli arabi sono
semplicemente "nawar". Sono zingari, una volta nomadi, ora stanziali, in Libano
sono tra le comunità più emarginate. DI BARBARA ANTONELLI
Roma, 15 Luglio 2011 – Nena News – Sono 2,2 milioni in tutto il Medio
Oriente, tra Libano, Giordania, Territori Palestinesi, Turchia, Iran e Iraq.
In Libano sono una delle comunità più emarginate. Rom in Europa, Dom in Medio
Oriente è il nome che designa le comunità "zingare"*. I loro
antenati, secondo la teoria ormai accettata, sono migrati verso ovest,
dall'India, più di 1000 anni fa. Quando si parla di loro nei paesi arabi, ci si
riferisce a "nawar". Un termine che se usato per designare queste comunità,
assume una connotazione negativa, spesso associato a sporcizia, pigrizia, furto,
elemosina e una moralità discutibile. Vale a dire che, anche il più povero tra i
libanesi, si sente superiore ad un Dom.
Si calcola, secondo uno studio fatto nel 2000, che nel paese dei Cedri, ve ne
siano circa 8000; famiglie numerose con una media di 7, 8 bambini per nucleo,
vivono ai margini delle città, in baraccopoli, in prossimità di altri gruppi
marginalizzati dalla società, come i profughi palestinesi o i libanesi poveri.
A differenza dei profughi palestinesi e dei beduini però, con i quali vengono
spesso erroneamente confusi, sono stati "naturalizzati" dal governo libanese nel
1994; ma la cittadinanza non gli assicura l'accesso ai più basilari diritti
umani. Né li tutela dall'emarginazione e la discriminazione. Sono infatti più
poveri dei profughi palestinesi, secondo una recente ricerca della ONG Terre des
Hommes (basata su interviste a comunità in 4 diversi luoghi del paese dei Cedri)
in collaborazione con la libanese Insan; se infatti secondo i dati rilasciati
dall'American University di Beirut, in media un profugo palestinese in Libano
vive con 2,7 dollari al giorno, il 30% dei Dom sopravvive con meno di 1 dollaro
al giorno. Un alto tasso di disoccupazione, dato che oltre il 44% non lavora, e
il resto sopravvive tra elemosina e "lavoretti" improvvisati, tra cui suonare a
feste e matrimoni.
Un popolo nomade che dopo la naturalizzazione è diventato stanziale, come i
beduini, stabilendosi in ricoveri precari, fatti di latta, zinco, e legno. Il
36,4% di loro non riceve acqua potabile e la maggior parte delle abitazioni non
è connessa al sistema fognario. Circa il 68% dei minori di 18 anni non ha mai
messo piede in un'aula scolastica. Sono i minori i più vulnerabili nella
comunità Dom: esposti a violenze, malnutrizione, condizioni di lavoro precarie,
quando non pericolose, sfruttamento.
Secondo il direttore della ONG Insan, Charles Nasrallah, "l'accesso di queste
comunità all'assistenza legale, al sistema sanitario ed educativo e ad
un'adeguata quantità di cibo, non è garantito". Problemi a cui si aggiunge la
marginalizzazione sociale. Ignorati dai libanesi, ma anche dalle ONG e dalle
agenzie umanitarie.
E non è un caso che poco si sappia su di loro, e che in questo senso la
ricerca congiunta di Insan e TDH rappresenti uno dei pochi documenti disponibili
su questo gruppo etnico. Uno studio volto ad individuare bisogni e necessità
delle comunità Dom, ma anche a valutare l'impatto sulla società libanese e la
percezione che se ne ha.
Come risposta all'emarginazione, i Dom hanno interiorizzato gli stereotipi
negativi che gli sono stati "appiccicati" addosso in questi anni, tanto da
rifiutare la loro cultura e le loro tradizioni, sottolinea la ricerca. Secondo
TDH, i pregiudizi contro questa comunità sono un macigno tale che i Dom stessi
desiderano lasciarsi alle spalle la loro "identità etnica". Lo dimostra il fatto
che la lingua Domari, ciò che li accumuna ad altre comunità in tutto il Medio
Oriente (sebbene coesistano altri dialetti), quindi il marchio indelebile della
loro identità, sta rapidamente lasciando terreno all'arabo. Tra gli
intervistati, metà degli adulti, ma solo un quarto dei bambini, parlano il
Domari; una lingua, di cui non esistono né libri, né testimonianze (i Dom in
Medio Oriente usano infatti l'arabo per scrivere). Nena News
* Dom è una parola di origine indiana; secondo lo storico
britannico Donald Kenrick, , la coesistenza di entrambi le parole si deve al
fatto che la prima lettera era pronunciata "dr"; ma altri studiosi rifiutano
tale tesi.
NDR: Contemporaneamente è uscito un articolo (in inglese) sui Dom del
Libano su
MiddleEast.com
Di Fabrizio (del 09/07/2010 @ 09:16:24 in media, visitato 2076 volte)
Da
British_Roma
Middle East Online -
By Iqbal Tamimi
Un viaggio che dura da 1000 anni
Il giornalista zingaro che mi ha insegnato sugli Zingari in Medio Oriente
- Jake Bowers, editore di Gypsy Roma Traveller: Non sono pigro e non vivo nel
retro di un Carrozzone
02/07/2010 - La sua vita è sempre in movimento come una stella del cinema o una
celebrità, se la sua fortuna fosse stata differente, avrebbe potuto essere uno
di loro. Ancora, non è mai stato accolto col tappeto rosso. Ciò che rende la
vita di Jake Bowers (vedi
QUI ndr) totalmente differente dalle celebrità, anche se viaggia come
loro, è il fatto di essere uno Zingaro. E' schiacciato in uno stampo non
comodo costruito dai media per chi fa parte di gruppi minoritari. Il mio stampo
è la mia kefia e quello di Jake è un carrozzone. Bowers è un Viaggiante, un Rom
in pace con tutte le frontiere e confini, ed il mondo è la sua casa.
Cosa rende questo Zingaro britannico così differente dai 300.000 altri
Zingari GB? Jake mi ha detto "I media principali ammoniscono la gente su di noi,
siamo descritti come pigri, non istruiti, che vivono nei carrozzoni, criminali,
non credibili perché gli Zingari rapiscono i bambini." Bowers è uno Zingaro
ed un giornalista di talento. Non è pigro, da sostentamento alla sua famiglia,
paga le tasse e ha un lavoro regolare. Non è sporco, è brillante e si comporta
come un vero gentleman alle conferenze dove è invitato come relatore. Da
quanto ne so, non vive in un carro, anche se mi ha detto che gli piacerebbe
vivere in una casa mobile trainata da un cavallo. Non ha lasciato la sua
carovana perché scontento di quello stile di vita, l'ha abbandonato per amore di
sua moglie che veniva da un altro ambiente e trovava difficile collegare
l'asciugacapelli.
Bowers ci ha accompagnato in macchina, usando il navigatore satellitare per
trovare la strada attorno a Bristol, di conseguenza non si fida delle stelle per
conoscere la strada, né usa i tarocchi per prevedere il futuro, altrimenti
avrebbe saputo quanto è difficile trovare un parcheggio. Non è un criminale,
altrimenti non sarebbe diventato editore-capo della prima rivista di questo tipo
in GB. E' un giovanotto istruito che ha buon gusto nelle arti ed una buona
conoscenza delle società e della storia che mi ha chiarito su alcuni gruppi
zingari nel Medio Oriente in Siria, Iraq e Turchia ed anche a Gaza in Palestina
(vedi
QUI ndr). Si può aver fiducia in lui perché mi è stato presentato dal
mio caro amico Mike Jempson, un accademico e giornalista che ha dato un pezzo
della sua vita per il giornalismo investigativo e per difendere gli sforzi dei
giornalisti nel creare gruppi e sindacati che proteggano i loro diritti nel
mondo.
Bowers è un giornalista che sta combattendo la cattiva immagine data dai
media sugli zingari, perché sono una minoranza vittimizzata e perché è uno di
loro ed è molto fiero della sua ascendenza.
La GB ospita 300.000 Zingari, anche se non sono rappresentati nei media che
si diverte a bullarsi di loro. E' per questo che pubblica il Gypsy Roma
Traveller, la prima rivista zingara in GB e forse nel mondo, il cui scopo è
informare sulla storia, la vita e le arti degli Zingari che ancora soffrono i
travisamenti dei media, come le altre minoranze.
Durante il seminario tenutosi a Bristol mercoledì 30 giugno, il secondo di
una serie sponsorizzata dall'Economic and Social Research Council per
indagare sulle barriere poste dai media riguardo l'assunzione dei neri e dei
membri di minoranze etniche, Bowers era invitato come relatore ed ha condiviso
con noi le diapositive con i titoli apparsi in una sola settimana sui principali
mezzi d'informazione in GB, incluso l'ampiamente distribuito Sun, che
incriminano e discriminano gli Zingari.
Ha anche condiviso con i presenti le foto e le copie dei manifesti che
vietano agli Zingari l'ingresso in differenti posti, pub compresi, incolpando
gli Zingari per i problemi sociali. Il punto da lui sottolineato è che gli
Zingari sono uno dei più grandi gruppi di minoranza nel mondo, con una
popolazione di 12 milioni, in viaggio da 1.000 anni, che soffrono tuttora gli
stereotipi dei media. Ci sono gruppi minoritari che non sono rappresentati per
niente dai media, ed altri che sono male rappresentati. Il razzismo dovrebbe
essere affrontato dai media e tutti hanno il diritto ad essere rappresentati.
Iqbal Tamimi -
Director for Arab Women Media Watch Centre in UK
iqbal.tamimi@ayamm.org
Da
Roma_Daily_News (altre notizie su
Amoun Sleem)
GoJerusalem.com
Un centro comunitario preserva il patrimonio culturale dei circa 1.500 Dom
che da centinaia di anni vivono nella Città Vecchia di Gerusalemme.
Amoun Sleem ricorda quando mendicava con altri giovani per le strade della
Città Vecchia, un modo tradizionale con cui guadagnavano un po' di soldi per le
loro famiglie. Ma un giorno comprese che la sua vita, e quella della comunità,
doveva cambiare, e lanciò una campagna per migliorare la sorte di un gruppo che
molti gerusalemiti neanche sapevano esistesse nella città.
"Decisi che questo non era ciò che volevo," dice Sleem (in foto), il cui vero
nome, che significa speranza, è legato a quello che lei e gli altri suoi
collaboratori stanno tentando di dare ai
circa1.500 zingari che vivono a Gerusalemme da oltre 500 anni, come dice
lei. Con radici in India, Persia, Turchia e nei Balcani, questo gruppo è noto
come la comunità Dom della città, molti dei quali sono musulmani, a differenza
dei Rom europei che sono cristiani. Ci sono comunità dom sparse in tutto il
Medio Oriente.
Di quanti sono rimasti a Gerusalemme - molti scapparono durante o dopo la
Guerra dei Sei Giorni - quasi tutti vivono in un'enclave vicino alla
Porta dei Leoni, come la famiglia di Sleem, che ha mantenuto la stessa casa
per 200 anni. Mentre in precedenza gli zingari si spostavano da un posto
all'altro, oggi hanno adottato uno stile di vita più sedentario, e Sleem dice
che "avere una stabilità è meglio del vagare."
Molti componenti della comunità hanno lasciato il linguaggio nativo domari
per l'arabo. Ora Sleem ed i suoi collaboratori stanno lavorando per preservare e
migliorare la comunità, soprattutto attraverso le donne e i bambini, per
superare la povertà e l'analfabetismo, mantenendo vive le tradizioni.
Assieme alle donne, tradizionalmente escluse dalla forza lavoro, Sleem ha
fondato nel 1999 a Gerusalemme la
Domari Society, ed un Centro Comunitario nel 2005, nel quartiere di Shuafat.
Al centro, corsi di cucito ed altre attività, viene venduto
artigianato ed altri oggetti. Intanto, Sleem e la sua squadra di lavoro si
rivolgono alla loro comunità per migliorare la loro sorte. Programmi pomeridiani
forniscono assistenza, sono state ridotte le tasse scolastiche, e quando inizia
la scuola vengono distribuiti nuovi zaini e materiale scolastico. "Li incoraggia
ad andare a scuola," dice Sleem, "possono sentirsi come tutti gli altri
bambini."
Le donne apprendono mestiere attraverso corsi da parrucchiera, ad operare in
piccole attività come il catering o la produzione artigianale, ed aiutate a
condurre le loro famiglie, di solito estese. Sogna che "anche gli zingari aprano
un'attività propria,... magari un ristorante," offrendo piatti come il kishk,
uno yogurt che contiene bulgur (grano cotto e spezzato, ndr), ed il loro
tea tipico. "In questo momento mi sento come se la mia società stesse tornando
lentamente alle sue radici," dice.
Quando oggi vede giovani zingari a mendicare, Sleem ricorda se stessa a
quell'età. "Mi si spezza il cuore, ma fornisce anche una sfida per lavorare più
duramente... Dobbiamo continuare a provare, e nulla ci fermerà fino a
raggiungere i nostri obiettivi e le speranze," dice. "E 'una specie di sogno per
me, e non mi arrenderò fino sentirò di avercela fatta".
To arrange a visit to the Gypsy Community Center, call +972-(0)54-206- 6210.

Non che si stia bene, ma anche con l'affitto da pagare e il conto in rosso,
si può vivere una tranquilla e calma ignoranza. Forse, anche se non hai
una casa e non hai un conto. Poi, ti svegli una mattina e, vedi una tromba
d'aria che si avvicina, è la GUERRA che torna. A dire il vero, la guerra
c'è da un po' di tempo: è come quei fulmini improvvisi con cui il tornado ti
dice: "Eccomi, sono QUA." (ma, mi chiedo, se non mobilitavano gli
USA si continuava a dormire?)
Scrivo di questa impotenza da osservatore. Perché una volta, tanti e tanti
anni fa, le comunicazioni non erano istantanee come oggi, e il quadro di
Guernica sollevava ancora scandalo e indignazioni REALI. Oggi, io posso solo
immaginare che i bambini gasati nelle foto che stanno circolando, siano REALI (e
la cosa dovrebbe farmi orrore),
ma non ne ho alcuna certezza, né tantomeno ho la certezza di chi possa aver
compiuto una strage simile (so solo che non è la prima strage e non sarà
l'ultima), So che se potessi, in certi momenti vorrei cancellarmi la
memoria, perché l'orrore dell'oggi e del domani non si sommi a quello che sono
riuscito ad anestetizzare negli anni scorsi.
Ottant'anni dopo Guernica, scrivo, al computer, collegato in tempo REALE a
ogni fonte possibile di informazione, della mia IGNORANZA. Ignoranza,
...disperata, perché non solo non ho i mezzi per capire, ma se anche ne fossi in
grado (o volessi cullarmi in qualche certezza) questo mondo e questa
informazione (reale?) mi/ci hanno tolto qualsiasi capacità di reagire.
Condivido una riflessione di Tahar Lamri:
Guardo i notiziari della televisione siriana e vedo che
l'esercito siriano avanza e vince sulle orde di jihadisti e takfiristi venuti da
ogni dove. Vince su queste orde che comunque hanno sconfitto l'Unione Sovietica
in Afganistan e gli Stati Uniti in Iraq. L'esercito siriano opera lontano dai
titoloni dei giornali e dalle esperterie degli esperti. Forse fra qualche ora,
forse qualche giorno, questo esercito sarà polverizzato dalla potenza dei
potenti. Forse non ci sarà più - il difficilmente difendibile - Bashar Al-Assad.
Forse, come sappiamo da altrove, allora si aprirà in Siria la guerra dei "tawaif",
cioè le varie comunità che compongono il popolo siriano: sunniti, alawiti,
sciiti, drusi, ismaeliti, ortodossi, melchiti, armeni, cattolici, maroniti,
caldei, assiri, curdi... e che, da sempre, convivono su quella terra
condividendo i loro 32 antipasti, bevendo il maté o qualche Barada fresca sotto
i gelsomini. Si sa, la convivenza non è necessaria né possibile sotto la
democrazia delle bombe. Noi, avremo, come sempre, quel senso di impotenza che ci
accompagnerà per un po'. Poi dimenticheremo.
Sunniti, alawiti, sciiti... Succede con tutti gli stati, non
solo in Medio Oriente. A guardarli da vicino sono entità geografiche tracciate
coi righelli, e dentro ci trovi di tutto, popoli i più diversi, arrivati chi
prima e chi dopo. Perché i confini sono statici, i popoli no. Cosa ne sappiamo
di loro?
Apro una parentesi a tal proposito: già in Italia si sa poco del popolo rom,
che pure è un ingrediente fondamentale di ogni stato-macedonia. Figuriamoci se
si sa qualcosa dei
Dom, o Domari. Sono il corrispondente mediorientale del popolo rom, e sono
lì presenti, ed ignorati, da circa un millennio. Sono pochi, pochissimi,
ignorati e discriminati come da noi. Al di là della conoscenza accademica, venni
a contatto con la loro esistenza FISICA, una decina d'anni fa, in occasione di
un'altra guerra scatenata da (una scusa? una certezza? difficile da dire...).
Erano sempre gli USA che stavano regolando i conti col loro ex alleato Iraq.
I Dom, in Iraq, c'erano come tutti gli altri popoli e, per quanto Saddam
Hussein non fosse l'esempio del padrone di casa che ognuno vorrebbe, avevano
trovato il modo di conviverci. Furono le bombe USA, fu l'arrivo al potere degli
sciiti (cioè, quelli che gli USA temevano), che fecero terra bruciata attorno a
loro. E dieci anni fa, con ritardo di mesi, mi arrivavano le notizie del loro
nuovo migrare in cerca di lidi tranquilli. Cioè: SIRIA, Aleppo.
Credo che la sfiga sia un tratto genetico inscritto in questa gente
condannata ad un continuo migrare: stanno scappando nuovamente,
chi in Libano e chi in Turchia, nei campi profughi o all'addiaccio. REALI,
loro, forse più dei dispacci d'agenzia o delle dichiarazioni dei politici.
REALI, perché il migrare sotto le bombe o inseguiti dalla cavalleria, è nel loro
DNA, ma anche nella nostra memoria (con l'affitto da pagare e il conto in
rosso).
Segnalazione di
9 mesi fa
Vol 3, article posted August 2013
- Rifugiati siriani ignorati: gli zingari by Kemal Vural Tarlan,
Documentary Photographer
Il 17 dicembre 2010, in Tunisia un giovane laureato, venditore ambulante, diede
inizio a quella che è conosciuta comunemente come "Primavera Araba". Questa
rivolta partita da una strada araba si diffuso poi in tutto il Medio Oriente.
Come risultato, diversi regimi dittatoriali nel Medio Oriente, al potere da
quasi mezzo secolo, persero uno a uno il potere. Quando i disordini arrivarono
nel 2011 in Siria, si ipotizzava che anche il regime Baas sarebbe caduto
rapidamente. Al contrario, il regime siriano è tuttora in piedi, dati alcuni
motivi come la religione, la diversità etnica della Siria, la posizione
geografica, i collegamenti politici tra i diversi gruppi sotto il regime Baas e
la stabilità internazionale.
Il conflitto è ora al terzo anno ed ha causato oltre 70.000 morti in Siria.
Milioni tra i vari gruppi etnici hanno dovuto lasciare le proprie case e città.
Oltre un milione di Siriani hanno lasciato il paese per fuggire nelle nazioni
limitrofe, e alcune sono stati obbligati ad immigrare in città relativamente più
sicure fuori dalla Siria. Oggi, stanno cercando di sopravvivere in campi e
appartamenti nei paesi vicini. Per oltre un anno, ho condotto un documentario
fotografico riguardo ai Siriani conosciuti come "ospiti" in città vicine ai
confini siriani, e come rifugiati o richiedenti asilo dalla legge
internazionale. Li ho fotografati mentre lavoravano nelle fattorie o mentre
sudavano dalla paura attraversando quotidianamente i campi minati, nelle loro
tende o in lacrime in un appartamento. Più recentemente, ho provato a
fotografare ogni momento della loro vita, come testimonianza di una storia. La
realtà del popolo siriano in questa stessa regione, assieme e divisi in diverse
etnie, fedi e culture.
In mezzo a questi popoli e comunità, c'è un antico gruppo che non solo vive qui
dal Medio Evo, ma anche diffuso in tutto il mondo. Ci sono centinaia di migliaia
di zingari, conosciuti come Dom, Dummi, Nawwar, Kurbet e Zott, capaci di parlare
diverse tra le lingue locali, oltre al curdo, il domari, il turco e l'arabo.
Questi gruppi zingari vivono nomadicamente in tutta la Siria e si sono
stabiliti, insediati ed integrati con le popolazioni locali. All'inizio del
secolo scorso, furono divisi da confini artificiali tra le nazioni. Anche
vivendo in paesi diversi, sono rimasti in comunicazione per via parentale, e tra
parenti ci sono stati anche matrimoni. Con lo scoppio della recente guerra
civile, sono stai esposti a discriminazione da parte delle altre popolazioni e
hanno cercato di scappare nelle città dove vivevano altri parenti. C'è una
semplice realtà per loro, anche se vivono in paesi diversi; condividono il
medesimo destino. Hanno una bassa qualità di vita, sono umiliati, disprezzati,
discriminati e ostracizzati sul lavoro da gruppi predominanti rispetto agli
zingari.
Gli zingari che hanno vissuto in Siria negli ultimi due anni, si sono trovati in
una guerra dove non avevano un lato in cui schierarsi. In un'area abbandonata,
una stazione dalle parti di Gaziantep, ho incrociato un gruppo che cercava di
vivere in tende di teloni e plastica. Il campo è abitato principalmente da donne
e bambini. Gli uomini si sono spostati più vicino alla città, nella speranza di
un lavoro. I bambini corrono all'interno delle tende, al cui interno ci sono
solo alcune coperte, con un pezzo di pane secco in mano. Vengono da Aleppo. "I
ribelli erano entrati in città. L'esercito ci disse che aeroplani da guerra
stavano per bombardare le nostre case e che dovevamo andarcene. Così abbiamo
abbandonato le nostre case e i nostri averi e siamo partiti. Le notizie arrivate
sinora dicono che adesso è tutto bombardato. Non abbiamo più una casa." dice la
ragazza, tatuata sul volto e sulle mani. Poi ho chiesto: "Con quale fazione
stavate?" Risponde: "Per noi non faceva alcuna differenza. Le nostre case sono
bombardate, eravamo tristi e miserabili, ed ora tutti siamo senza cibo."

Ho discusso con un uomo di nome Hasan sui Dom della Siria. Hasan ha 17 anni, è
sposato e ha 2 figli. Ha piazzato la tenda in una quartiere di Nizip dove vivono
i Dom. Lo hanno aiutato a piantare la tenda. Dentro vivono in 9 in tutto,
inclusi suo suocero, sorelle e fratelli. Hasan parla fluentemente domari, curdo
e arabo. Ammette di essere un Domari. Gli zingari venuti dalla Siria non possono
parlare turco. Si presentano come Turchi e quelli che parlano il turco sono
soprattutto Curdi e zingari del Turkmenistan. Indica un'altra tenda e dice: "Non
credergli, dicono di essere Curdi, ma sono parenti miei e vivevano per strada
dietro la mia casa ad Aleppo." Abbiamo continuato a parlare dei suoi parenti
dentro e fuori la Siria.
Da Hasan e da altre persone con cui ho parlato, ho ottenuto queste informazioni:
Latakia è dove gli zingari lottano per sopravvivere, ci sono attacchi aerei
regolari. Dicono che la gente emigra nelle città della Siria Occidentale, come
Sham, o in città controllate dalla comunità-società curda, come Afrin, Kobani o Qamishli.
Quanti di loro sono artigiani come dentisti, fabbri, circoncisori, intessitoti
di setacci, musici e lattonieri, non riescono ad esercitare i loro mestieri per
l'industrializzazione, la modernizzazione della produzione e le leggi. Hasan in
Siria lavorava nelle costruzioni, se c'era bisogno di lui per lavorare in
Turchia ci andava. "I lavoratori turchi prendono 80 lire (1 lira turca
= 0,33 euro, ndr.), però noi lavoravamo
per 40, anche se per noi non c'era molto lavoro. Di solito lavoriamo una volta
alla settimana. Presto, la mia famiglia si trasferirà a Mersin, dove i bambini e
gli adulti raccoglieranno le fragole. Sembra che questa guerra non debba finire
mai e, quando lo farà, andrò ad Aleppo."
Un affollato gruppo di richiedenti asilo, sotto un mandorlo appena fiorito ai
bordi del deserto, si irrita quando mi vedono dietro all'imam Keskin della zona
di Urfa. Non dicono che poche parole, anche se sono sicuri che non sono un
dipendente pubblico. Le anziane lanciano maledizioni contro quanti ritengono
abbiano causato "la loro situazione attuale" [...]. Mentre sto per andarmene,
una di loro mi urla contro di "non fare sapere dove sono loro, scattando foto."
Due giorni prima le tende degli zingari sono state date alle fiamme nel vicino
distretto di Yenice, dalla polizia che agiva in seguito alle lamentele dei
residenti. Nelle cronache non ci sono stati riferimenti agli zingari, solo un
accenno sulla stampa nazionale a "bruciate le tende dei Siriani". I richiedenti
è da due giorni che stanno cercando di scappare dalla polizia. Le autorità
locali hanno impedito loro di fermarsi con le tende nel distretto, sia per i
pregiudizi, che per le lamentele e l'inquinamento visivo.
Ultimamente, gli zingari in cerca di asilo che dalla Siria fuggono nel nostro
paese, cercano rifugio in appartamenti non rifiniti, capannoni e nei quartieri
poveri. I loro parenti, che vivono qui, hanno piantato delle tende vicino alle
mura delle loro case, anche se non hanno pane da condividere. Assieme vanno per
le strade a raccogliere cartoni, beni fatiscenti e un pezzo di pane. Ma molti di
loro sono ancora accampati in tende di emergenza, vicino a città, paesi e
villaggi lungo il confine tra Mardin e Antakya.
Sono stati accusati di furti e immoralità, discriminati dagli Arabi, Curdi e
Turchi che risiedono nei campi, anche se riescono a mimetizzarsi in quegli
stessi campi per la loro capacità di parlare quelle lingue, dopo essersi
inseriti regolarmente. D'altra parte sono discriminati ed esposti ai medesimi
pregiudizi da chi gestisce i campi, fin quando questi ultimi non riescono a
demotivarli a sostare lì.
La maggior parte di loro è fuori dai campi ed è tornata nuovamente ad uno stile
di vita nomade, per non essere umiliati dai "gagé" e non essere rinchiusi dietro
il filo spinato. Partiranno per lavorare come joppers (braccianti o manovali
senza qualificazione, ndr.)
nelle regioni mediterranee ed interne anatoliche, come forza lavoro a buon
mercato, quando le temperature si alzeranno. Si dice che lavorino in queste aree
per 5 lire turche a testa per giorno.
Concludendo, gli zingari sono state le vittime della "guerra civile" iniziata
tra diversi gruppi etnici che avevano convissuto. Gli zingari nei Balcani hanno
patito particolarmente la disintegrazione dei paesi del blocco comunista. In
Iraq, migliaia di zingari sono stati obbligati all'immigrazione dalle bande
armate degli sciiti radicali, per "la loro insufficiente fede nell'islam".
Allora, molti si rifugiarono in Siria. Durante le rivolte in Medio Oriente,
entrate ora nel terzo anno, gli zingari si sono ritrovati nel mezzo dei
conflitti, ripetendosi la storia. Le notizie provenienti dalla stampa
riferiscono che le loro condizioni di vita stanno diventando sempre più
problematiche.
Le nuove autorità di questi paesi hanno intrapreso una nuova strategia di fronte
a queste rivolte: solo promesse evasive a minoranze etniche e religiose, zingari
compresi. Finché queste tematiche verranno trascurate dai politici, e verranno
trascurate l'uguaglianza religiosa ed etnica, oltre alla pace, la struttura
multiculturale del Medio Oriente continuerà a deteriorarsi.
YOUR MIDDLE EAST Gli zingari d'Irak - incontro con un popolo in
isolamento - di
Nizar Latif (giornalista freelance da Baghdad)
Il villaggio di Fuwwaar si trova presso la città di Diwaniyah, 180 km a sud
di Baghdad, ma rimane isolata dal mondo esterno - parte è dovuto al suo stile di
vita zigano e parte alla considerevole presenza dei militari, che
controllano il traffico in entrata e in uscita.
Uomini armati osservano con attenzione chi entra, in cerca di prostitute e
altri piaceri proibiti. Gli stranieri che tentano di entrare nel villaggio
vengono uccisi, sulla base di semplici sospetti, da militanti dei gruppi armati.
Fuwwaar assomiglia ad un sito archeologico nel deserto; abbandonato dalla
gente e con poche case - distrutte o in via di distruzione. Rimangono rifiuti e
poche persone, devastate da migliaia di anni di guerra. Una famiglia qui e una
lì. Le pareti delle case sono di fango e il tetto, le poche famiglie che ne
hanno uno, è di argilla. Le case rimanenti sono aperte al sole e alle
intemperie. Il villaggio manca di scuole, centri medici o di acqua potabile.
C'è una lotta in corso. Sono stati messi in discussione e combattuti da
tutti: lo stato, il governo, la costituzione, la legge, religione, costumi,
tradizioni e persino la società. La lotta segna i loro volti e corpi. Sono
invecchiati molto più velocemente rispetto alla loro controparte nella società
maggioritaria.
Sono vivi ma sopravvivono. La loro unica colpa è di essere nati così. Gli
zingari, in Irak in generale e a Diwaniyah in particolare, affrontano il
confinamento sociale e la mancanza di servizi. Il capo degli zingari di Diwaniyah,
che per ragioni di sicurezza si fa chiamare Abu Saleh, ci dice: "Patiamo
numerosi problemi e questioni: soprattutto la non esistenza di qualsiasi
servizio. Non c'è acqua, elettricità o altri servizi, oltre al confinamento
sociale e alla malevola percezione degli zingari nella società. D'estate
soffriamo la calura, in queste povere case senza elettricità. Alcuni bambini per
rinfrescarsi si gettano nelle acque dei liquami. Il nostro unico accesso
all'acqua viene dagli scarichi contaminati per uso non-domestico."
Tutta la regione affronta difficoltà simili, puntualizza Abu Saleh,
specialmente dopo l'assalto armato al villaggio di cinque anni fa.
"Ma non abbiamo altra scelta," aggiunge. "Quanti sono emigrati avevano
possibilità finanziarie ed erano di famiglia benestante, con i mezzi per
guadagnarsi da vivere. Noi non abbiamo una professione, né un lavoro, né un
salario o qualche altra fonte per guadagnarci da vivere."
Dice che la prostituzione e le altre forme di corruzione sono terminate
cinque anni fa, e che le famiglie che gestivano queste attività sono emigrate.
Quelle che ora sono qui, dice, sono estremamente povere e non hanno lavoro né
altri mezzi per vivere.
"Mendicano per mangiare!" dice. "Sono le stesse famiglie che si sono
insediate nel villaggio negli anni '70 e sono rimaste sino a oggi."
Il problema degli zingari riguardo il lavoro va oltre la mancanza di
competenze o i contatti con i reclutatori. Viene loro rifiutato a causa
della stigmatizzazione sociale. Socialmente, sono disprezzati e gli stranieri
rifiutano di socializzare con loro. Sono spalle al muro sul piano sociale,
tribale, religioso e governativo, e non viene loro permesso di condurre i propri
affari. Sono anche esclusi dai servizi della sicurezza sociale, lanciati dal
governo iracheno a protezione dei poveri nel paese.
Abu Aysir siede accanto alla strada che attraversa il villaggio, vende della
verdura appoggiata a terra. Serve per mantenere la sua famiglia di due mogli e
quattro bambini. "Nonostante tutte le sofferenze, l'assenza di servizi, la
disoccupazione, la povertà e tutte le nostre difficili condizioni," dice "la
verità è che non abbiamo praticato il terrorismo o agito contro la sicurezza del
paese."
"Non abbiamoi mai preso partito, anche nelle circostanze più dure, causando
problemi, il ché ci rende molto patriottici," aggiunge, "eppure ci sono stati
dei martiri tra il nostro popolo, che hanno perso la vita in atti di terrorismo
e violenza. Neanche per un giorno abbiamo pensato di ricorrere alla violenza e
al terrorismo, non ci apparttengono. E oggi qui, viviamo nella marginalizzazione
e nel totale disprezzo delle nostre esigenze di base, come la disponibilità di
un minimo di lavoro, di cui vivere. Non è giusto che beviamo acqua sporca dal
torrente, senza acqua potabile, elettricità e altri servizi."
Gli zingari sono stati soggetti di numerosi brutali attacchi da parte di Al
Qaeda e di militanti sciiti, in diverse città dell'Irak. Attacchi che hanno
lasciato migliaia di morti; donne, bambini e uomini, senza alcun intervento da
parte del governo, che è rimasto in silenzio.
Una giovane di ventotto anni, Shakir, dice: "Cinque anni fa, fanatici delle
milizie sciite hanno lanciato centinaia di attacchi contro il nostro villaggio,
e hanno bruciato le nostre case. Con le loro spade hanno macellato brutalmente
le nostre donne, uomini e bambini. Hanno smembrato i loro corpi e tagliato le
teste dalle nuche. Nel contesto sociale delle tribù arabe, tagliare la testa
dalla parte posteriore del collo rappresenta il più basso grado per morire e che
il valore è zero. E' una forma di odio e disumanizzazione essere uccisi
brutalmente. Questi militanti sciiti si distinguevano nell'ucciderci e
torturarci."
Aggiunge: "Il governo e i funzionari iracheni furono ciechi e sordi ai
crimini brutali di cinque anni fa. Secondo me, li hanno persino appoggiati, dato
che la maggioranza dei politici sono fanatici sciiti." Secondo Shakir, dozzine
di famiglie lasciarono il villaggio per stabilirsi in città più sicure, e molte
di quelle rimaste hanno perso, almeno, due o tre componenti, uccisi dalle
milizie estremiste sciite.
La famiglia di
Abu Saleh è tra queste. Ha diviso il resto del suo clan in 22 piccoli gruppi,
mandandoli a mendicare, una dura soluzione, ma l'unica che permettesse di
mantenersi uniti.
"Ho diviso il mio clan in piccoli gruppi, composti da una o due famiglie, e
li mandati in diverse provincie irachene," spiega. "Era l'unico modo per
guadagnare qualcosa senza essere riconosciuti dalle milizie che cercano sempre
di ucciderci, o da altra gente che potesse riconoscerci e rifiutarsi di darci
qualcosa. Uno zingaro non è in grado di ottenere un lavoro, perché la gente
comune si sentirebbe in disgrazia e disonorata, se lo facesse. Inoltre, il
governo iracheno è sempre più dominato da islamisti fanatici, e mai assumerebbe
degli zingari. Ci trattano come animali."
Il gruppo sarà via per un mese e oltre. Al loro ritorno nel villaggio,
dovranno condividere quanto guadagnato con le altre famiglie che mancano di un
reddito. Prima del 2003, Fuwwaar ospitava oltre 1.700 zingari. Oggi sono meno di
200.
"L'isolamento mi fa sognare il momento che sentirò di appartenere al resto
della razza umana e dell'umanità," dice Sama, 22 anni. "La solitudine di questo
posto senza vita, ti fa vivere un dolore e una pena che uccidono lo spirito. La
sera vado verso il deserto qua vicino e penso a cosa ci riserva il futuro. La
scena di bambini miseri e vecchie stanche seduti in circolo di fronte a una
delle case del villaggio, che ricordavano i giorni passati e ora, mentre si
chiedevano dove sarebbero finite, tra le altre cose, è stato una dei motivi che
mi ha spinto a lasciare la mia amara realtà e cercare la solitudine, solo per
scoprire che noi tutti non siamo responsabili della tragedia che stiamo
vivendo."
Perché pagare per errori mai commessi, si chiede. Ma è anche preoccupa anche
di lasciare la comunità, perché neanche fuori ci sarebbero garanzie di successo.
Dov'è la speranza, si chiede.
"Abbiamo il diritto di rimproverare i nostri antenati?" si chiede un'anziana
che da giovane vendeva il proprio corpo. "No, non li biasimo. Siamo destinati ad
essere zingari ed in questo modo dobbiamo vivere."
Molte delle donne del villaggio sono disposte a fare tutto il necessario per
provvedere alle loro famiglie. Dentro il villaggio possono lavorare e sentirsi
rispettate, lontano dagli insulti e dalle umiliazioni del mondo esterno. Dice Um-Suhair,
sarta: "Qui c'è un'infinità di donne che sanno cucire e tessere benissimo, e
sono pronte a lavorare in qualsiasi professione decente, per guadagnarsi da
vivere e aiutare le loro famiglie. Soffriamo la percezione della comunità, in
quanto siamo considerate estranee al quadro dello stato e dell'umanità, inoltre
non siamo Iracheni. Il mio lavoro sono il cucito e la maglieria, ma gli affari
non sono più quelli di una volta. L'immigrazione, la povertà e l'indigenza
prevalente nel paese, trasformano ogni attività artigianale in fallimentare e
non redditizia."
La sofferenza si estende alle strade che portano al villaggio, dice, e degli
attacchi da parte delle tribù che lo circondano, che rendano pericoloso entrare
ed uscire dal villaggio. Molte donne sono state violentate o uccise.
Gli zingari iracheni, conosciuti anche localmente come Kaulia, hanno radici
che affondano in India e Spagna. Secondo il ministero iracheno dei diritti
umani, questi zingari formano una minoranza etnica tra le 50.000 e le 200.000
persone. Sono insediati in villaggi e insediamenti, di solito isolati ai margini
delle città e paesi, sono presenti nelle provincie di Baghdad e AlBasra,
Ninawa e Diyala, inoltre in alcuni villaggi delle pianure del sud, come
Al-Muthanna and Diywaniyah.
Erano tribù nomadi sino agli anni '70, l'Irak riconobbe loro la cittadinanza nei
primi anni '80. Erano parte della comunità irachena, in quanto si occupavano
dell'intrattenimento. Le piccole comunità hanno tradizioni e costumi molto
differenti dal resto del paese.
Ma, nonostante il loro rifiuto da parte della società, l'arte zingara ha
catturato l'interesse degli iracheni e trovato una strada attraverso la TV e le
stazioni radio, queste ultime popolari soprattutto nell'Irak rurale. Prima che
arrivassero alle trasmissioni TV, gli Iracheni avevano l'abitudine di chiedere
agli zingari l'intrattenimento per le feste di matrimonio e le celebrazioni
all'aperto, dove le donne zingare ballavano e cantavano dietro compenso. Le
femmine zingare diventarono delle star nella scena artistica irachena. Le
canzoni zingare sono parte fondamentale di quelle irachene, e i cantanti zingari
sono sinonimo di cantanti folk. Raramente c'è una festa senza che venga
suonata una melodia gitana.
Dice Laith Abdul Latif, ricercatore ed esperto di genealogia: "Il termine Al-Kaulia
si applica alle tribù indiane le cui donne guadagnavano di vivere con
l'adulterio, la danza nr il clero durante i servizi religiosi, altre cercando
piacere. Altre provenivano dal tempio indiano di re Kaul, da cui il nome. Le
origini degli zingari Kauli vengono dall'India."
Nonostante il fatto che parlino arabo e che siano musulmani, come loro stessi
dichiarano, continua Laith Abdul Latif, la carnagione scura e i tratti affilati
li distinguono dal resto della popolazione. Gli zingari si lamentano della
discriminazione riguardo a terminologia, le loro caratteristiche di spicco
indiane, e le loro pratiche della danza, prostituzione, intrattenimento e di
affittare le donne. Dice Widad Hatem, presidente della commissione sui diritti
umani della provincia di Diwaniyah: "Dalle ricognizioni che effettuiamo attorno
al villaggio degli zingari, abbiamo scoperto diversi problemi che sono gli
stessi degli altri residenti nella regione: assenza di elettricità e acqua
potabile, disoccupazione dovuta a discriminazione etnica e disprezzo sociale. In
quanto funzionari, assieme alla commissione sui diritti umani, dobbiamo fornire
soccorso alla regione, assieme ai servizi necessari, quali energia elettrica,
acqua potabile e presidi medici."
Aggiunge che, la chiave è spostare l'interesse dalle autorità preposta e
dalla presidenza del consiglio, verso la direzione del prendersi cura e
interesse di questo gruppo sociale, che ha sofferto sia il disprezzo comunitario
che le difficoltà di vita.
"L'area è stata rifornita di tre serbatoi di acqua potabile, installati in
diverse posizioni del villaggio. Inoltre, la direzione municipale sta
progettando di rimuovere i detriti ed eseguire la manutenzione stradale. I
nostri sforzi congiunti, combinati con quelli delle organizzazioni della società
civile, cercano di introdurre agevolazioni per cucito e tessitura, laboratori,
un progetto di riciclaggio dei rifiuti o qualsiasi altro schema nell'area,
perché la loro interazione con la società esterna non passi attraverso
sofferenze o molestie, dovendo mendicare - una pratica che blocca qualsiasi
strada.
Ma dice che il lavoro nel cercare di migliorare le loro condizioni è reso più
difficile a causa dello stigma sociale. Vede barriere, non solo politiche, ma
anche con i leader civili e politci. E' dice che tutto è diventato più
impegnativo dopo la partenza delle organizzazioni USA che avevano contribuito
sinora. Ora si sta affrontando una battaglia in salita nell'aiutare un gruppo
così marginalizzato, in un paese dalle poche risorse.
"Ciò che mi rattrista," dice, "è quando si parla degli zingari, si parla di
loro come qualcosa di sporco e ripugnante. Siamo tutti esseri umani e dovremmo
essere trattati ugualmente. Questo dice l'Islam."
Voice of America I Dom: rifugiati invisibili dalla Siria -
Cecily Hilleary -
March 22, 2013
Una famiglia dom si accampa, Turchia meridionale
Oltre 70.000 persone sono state uccise e centinaia di migliaia lasciate senza
casa dalla guerra civile in Siria, che sta spargendo miseria tra tutti i gruppi
etnici e religiosi della nazione.
Ma c'è una minoranza etnica che ha subito oltre la propria quota di
sofferenza - sia durante i combattimenti odierni e nei secoli precedenti - e
pochi fuori dalla Siria ne conoscono qualcosa. Il gruppo è quello dei Dom ed è
presente in Siria da prima dell'impero ottomano.
Spesso etichettati col peggiorativo "zingari", i Dom prendono il nome dalla
loro lingua, il domari, che significa "uomo". Si sono aggiunti all'esodo di
cristiani, musulmani ed altri Siriani, rifugiatisi in Giordania, Libano, Turchia
e altrove. Ma dovunque vadano, si trovano di fronte ad un benvenuto men che
tiepido. Come ci ha detto una fonte: "Sono le persone più disprezzate del Medio
Oriente."
Chi sono i Dom?
Complicati ed incompresi, i Dom sono presenti in Medio Oriente da almeno un
migliaio di anni. La maggior parte delle informazioni su di loro proviene dalla
lingua stessa, il domari, una variazione dell'hindi. E' simile al romanì, la
lingua dei Rom europei, il che suggerisce una comune radice indiana.
Sia il romanì che il domari sono disseminati di imprestiti da altre lingue,
riflesso di una storia di migrazione dall'Iran e altrove. A parte questo, si sa
poco della loro origine - o manca l'accordo tra gli studiosi.
Durante il periodo ottomano, i Dom si spostarono liberamente in tutto il
Medio Oriente come nomadi "legati al commercio", fornendo servizi alle comunità
ovunque si insediassero. La caduta dell'impero ottomano in seguito alla I guerra
mondiale, portò alla formazione degli stati nazionali con confini propri, cosa
che limitò notevolmente i movimenti dei Dom.
In Siria, e altrove nella regione, vengono chiamati Nawar - probabilmente una
parola derivata da "fuoco", riferita al loro lavoro tradizionale come fabbri
ferrai. Ma negli anni la parola "Nawar" si è evoluta in peggiorativo, finendo
coll'indicare una persona
ignorante e incivile.
I Dom si differenziano anche in base alla regione abitata o al lavoro svolto.
Ad Aleppo e Idlib, sono chiamati Qurbat e lavorano come fabbri o
dentisti non diplomati. I cosiddetti Riyass vivono a Homs e Hama,
dove vendono manufatti o come intrattenitori alle feste. Alcune donne, chiamate
Hajiyat, danzano nei
night
di Damasco, mendicano o predicono il futuro.
I numeri
"La popolazione ufficiale dom potrebbe essere superiore alle stime,
perché molti di loro si descrivono come Curdi, Arabi o Turcomanni."
Kemal Vural Tarlan
E' quasi impossibile stimare la popolazione dom in Siria, in quanto spesso
nascondono la loro identità per paura di essere stigmatizzati. Secondo
International’s Ethnologue
sarebbero 37.000 i Dom siriani che parlano il domari, assieme all'arabo. Ma per
il giornale siriano Kassioun nel 2010 forniva il doppio di quel numero.
Kemal Vural Tarlan
è un fotografo, documentarista, scrittore e attivista che si focalizza, dice, su
quanti vivono ai margini della società, principalmente Dom e Rom. E' anche
autore del sito
Middle East Gypsies.
Dice che i Dom sono visti come estranei e intrusi, perciò sono quasi
universalmente discriminati, Quindi spesso nascondono la loro origine etnica,
attraverso ciò che chiamano la capacità dell'invisibilità,
che li aiuta a spostarsi dentro e fuori le comunità.
La popolazione dom ufficiale potrebbe essere di parecchio superiore alle stime,
perché molti Dom si descrivono come Curdi, Arabi o Turcomanni," dice Tarlan.
Qualunque sia il loro numero, ne vivono in Siria più che da qualsiasi altra
parte del Medio Oriente.
Fotogalleria
Dom rifugiati in Turchia
La Turchia è stata la patria degli "zingari" sin dall'epoca
bizantina, e nel 2005 l'ACNUR
stimava la popolazione Rom-Dom in 500.000. Kemal Tarlan ha passato diverso
tempo nelle ultime settimane sul confine, per documentare l'afflusso dei Dom
dalla Siria. I Dom si sono insediati nelle città della Turchia meridionale di Kilis, Gazientep and
Shanliurfa.
"Inizialmente hanno potuto registrarsi nei campi profughi ufficiali," dice, "ma
ora non è più possibile, perché sono pieni."
Alcuni Dom sono andati ad abitare con el famiglie in città. Quelli che non hanno
un posto dove andare, vivono in tenda come nomadi. Tarlan dice che ricevono poca
assistenza dal governo, così mendicano per sopravvivere o cercano lavoro nei
campi.
"Ma la maggior parte è disoccupata," dice, e questo ha portato a tensioni
locali. Recentemente, dopo che i cittadini di Shanliurfa hanno iniziato a
lamentarsi dell'aumento dei piccoli furti, le autorità hanno
smantellato e dato alle fiamme un'improvvisata tendopoli. I mezzi di
comunicazione si riferivano a loro come "i Siriani". Ma Tarlan dice che la
maggior parte erano Dom.
Nel Libano
"Vivono tutti in condizioni disastrose. Non trovano lavoro, eccetto che nel
riciclo destinato alla discarica: alluminio, ferro o cartone; giusto di che
sopravvivere."
Catherine Mourtada, Tahaddi
Con Beirut a sole 65 miglie di distanza, molti Dom da Damasco sono scappati in
Libano. Catherine Mourtada è cofondatrice di
Tahaddi (Sfida) una OnG
che offre assistenza ai diseredati di Beirut, tra cui ci sono molti Dom.
"Sono esclusi dal normale sistema scolastico, anche perché non soddisfano i
criteri di ammissione o perché le scuole pubbliche sono piene. Così, vengono da
noi," dice Mourtada.
Mourtada ha visto crescere il numero dei Dom provenienti dalla Siria, che
cercano di rimanere presso i loro parenti libanesi.
"Sono già molto poveri, e ora devono accogliere altri membri della loro famiglia
molto poveri, che arrivano dalla Siria, quindi per loro è molto dura. Vivono
tutti in condizioni terribili," dice. "Non trovano lavoro, eccetto che
nel riciclo destinato alla discarica: alluminio, ferro o cartone; giusto di che
sopravvivere."
In alcuni casi, i Dom di Beirut sono costretti a mandare via i loro parenti
siriani. "Così devono trovare da qualche parte una stanza in affitto. Sono
fortunati se riescono a trovare un bagno o acqua corrente," continua Mourtada.
Dato che in Libano non ci sono campi profughi ufficiali, come invece in
Giordania o in Turchia, Mourtada dice che i Dom hanno iniziato ad insediarsi in
tendopoli nella valle della Bekaa.
In Giordania
Nel 1999, Amoun Sleem fondò la
Domari Society,
un centro culturale ed educativo nel quartiere di Shu'fat a Gerusalemme Est. Dom
lei stessa, racconta di aver sperimentato sulla propria pelle la
discriminazione, la marginalizzazione culturale e la povertà che per molti Dom
sono il risultato dell'analfabetismo.
Dice: "Ogni volta che un disastro colpisce il Medio Oriente, nessuno si da
pensiero di quale sarà l'impatto sui Dom."
Sleem aggiunge di aver ricevuto notizie su molti Dom rifugiati che vivono nel
campo di Zaatari o nelle sue vicinanze, a Mafraq, in Giordania. Sta tentando di
ottenere un permesso per visitare il campo, ma per questo sta incontrando
diverse difficoltà. Nel contempo, sta cercando di incoraggiare le famiglie Dom
giordane ad ospitare i rifugiati.
"Non è molto facile," dice, "ma se accadesse, sarebbe davvero una cosa molto
buona."
Da
Info-Palestine
lundi 19 mai 2008
Marie Medina - BabelMed
I Gitani di Gerusalemme sono così poco numerosi che se ne conosce a
malapena l'esistenza. Di fronte all'analfabetismo ed alla discriminazione,
questa comunità ultra-minoritaria rischia a breve di perdere la propria cultura.
"Da qui a qualche anno, la cultura dom può sparire se non si fa niente per
proteggerla" si inquieta
Amoun Sleem, che dirige l'associazione Domaris: società dei gitani di
Gerusalemme.
Photo Zohar Mor
Settimana scorsa ha organizzato uno spettacolo di danze gitane: Ayameni
Goldeni (Quei belli occhi), a Gerusalemme e Tel Aviv. Qualche bambino zigano
vi ha fatto una breve apparizione ma nessuno degli artisti adulti in scena erano
dom: tre erano di origine americana, la quarta israeliana. "Non ci sono più
artisti professionisti nella comunità dom di Gerusalemme", ricorda Michaela
Harari, una delle quattro danzatrici.
Come la maggior parte della comunità, gli artisti sono emigrati in Giordania
al tempo della guerra dei Sei Giorni (1967). Restano oggi qualche musicista e
danzatore che vivono nella Striscia di Gaza e che, prima del blocco israeliano,
si produceva nei matrimoni in Egitto.
Secondo Amoun Sleem, si contano oggi 7.000 Dom in Israele e nei Territori
palestinesi , contro oltre 42.000 sull'altra riva del Giordano. Questa
immigrazione massiva s'è rivelata "dannosa per la cultura" di
Gerusalemme, rimarca.
"La danza ed il canto sono la nostra ricchezza" osserva Abdelhakim
Salim, mouktar (capo) della comunità dom di Gerusalemme, ricordando come il
divertimento è una delle maniere dei gitani per guadagnarsi il pane.
È del resto questo talento che sarebbe all'origine dell'emigrazione dei
gitani, secondo un resoconto che è fra le diverse - e contradittorie -
spiegazioni, teorie e leggende. Nel Libro dei Re (verso l'anno 1000), il poeta Firdousi narra che un sovrano persiano aveva invitato migliaia di artisti di una
tribù indiana a prodursi alla sua corte.
Abdelhakim Salim
Abdelhakim Salim racconta un'altra storia, quella di un ragazzo molto povero
che era cresciuto vicino ad un fiume ed aveva adottato un coccodrillo come
animale di compagnia. Un giorno, per mostrare ad un amico che aveva domato il
sauro, il giovane aveva messo la sua mano nella bocca dell'animale, che lo
divise. Morale: "la gente della nostra Comunità farebbe non importa cosa per
divertire la platea e guadagnarsi la vita", conclude il mouktar.
Dopo la Persia e la penisola arabica, dove sarebbero arrivati come anfitrioni
pubblici o valorosi guerrieri, secondo le diverse versioni, gli zigani hanno
proseguito la loro strada. Alla fine, alcuni hanno guadagnato la Palestina e
l'Africa del Nord (i Dom), altri hanno superato il Caucaso ed il Bosforo
per raggiungere l'Europa (i Rom). I primi sono diventati musulmani, i secondi
cristiani.
Le prime prove scritte della presenza dom a Gerusalemme risalgono al XIX
secolo. La Comunità si è resa sedentaria inizialmente fuori dalla Città Vecchia.
Ma oggi, vive principalmente dentro le mura, nella zona svantaggiata di Bab
Hutta. Secondo il centro sociale di Burj Al Luq Luq, 170 famiglie vi abitano,
composte da sette persone in media, con 700 dollari (450 euro) mensili per
focolare.
Molti adulti sono illetterati e numerosi allievi abbandonano la loro
scolarità in corso. "Molti nostri bambini sono per strada", deplora il
mouktar Abdelhakim Salim. Tre mattine alla settimana, Burj Al Luq Luq accoglie i
bambini da 7 a 15 anni che non vanno più a scuola; il 90% di loro è costituito
da Dom, indica Imad Jaouny, direttore esecutivo del centro sociale.
Quest'accoglienza, come pure le attività sportive (calcio, basket), tenta di
sottrarre i giovani "dalla cultura di strada", che li espone numerosi rischi,
fra cui la droga. La dipendenza è un problema che riguarda particolarmente la
Comunità dom, afferma Imad Jaouny.
Quando cercano lavoro, i membri della Comunità pagano il prezzo dei loro
studi accorciati, ma anche dei pregiudizi di cui sono oggetto. La parola araba
che designa un gitano, "nawar", è di solito utilizzata come un insulto.
La loro dignità ne non esce indenne. Rari sono coloro che rivendicano la loro
identità dom.
Tutti parlano l'arabo, pochi maneggiano il domari. La "nostra lingua non è
in buono stato ora", sottolinea Amoun Sleem. Gli oratori dom scivolano fino
a tre o quattro parole arabe per frase. La "nostra lingua può scomparire da
qui ad alcuni anni", si preoccupa il direttore della Società dei gitani di
Gerusalemme, che ha organizzato corsi di domari.
Anche le espressioni artistiche sono deprezzate. La musica, ad esempio.
"La gente la vede come musica al ribasso", rileva Amoun Sleem. "I dom
hanno vergogna a promuoverla".

"Stanno perdendo la loro cultura", nota la danzatrice Michaela Harari.
Per incoraggiare i bambini a riappropriarsi della loro cultura, la Società dei
gitani ha approntato dei corsi di danza. Sono frequentati da una mezza dozzina
di ragazze, dai 5 ai 12 anni. È questa piccola troupe che ha fatto una breve
comparsa in Ayameni Goldeni. Ha interpretato una danza chiamata El-Gazawi.
Come la maggior parte delle arti zigane, questa coreografia adotta un
elemento del folclore locale - in questo caso palestinese - e lo adatta
interamente instillandovi là uno stile proprio. Michaela Harari distingue due
particolarità della danza domari: schemi ritmici sofisticati, che sono forse
un'eredità indiana, e movimenti segnati delle anche, che si trova in tutte le
danze orientali.
Amoun Sleem auspica che i Dom trovino il loro orgoglio in questa cultura
della fusione, che sia con le arti o con l'artigianato. Poiché appaiono in
generale fra le comunità più povere, - infine, soprattutto le donne - hanno
sviluppato un certo talento per il riciclaggio. "Le donne hanno il regalo per
fabbricare qualcosa a partire da nulla", spiega senza scherzare il direttore
della Società dei gitani.
Le generazioni precedenti utilizzavano questo "savoir-faire" per decorare il
loro interno e fabbricare gioielli. Il centro domari situato a Shuafat, nel
sobborgo di Gerusalemme, incoraggia la nuova generazione a ricollegarsi a questa
tradizione. Le donne possono vendere le loro produzioni per migliorare i redditi
del loro focolare. Con pezzi di vecchi abiti, preparano ad esempio delle borse o
dei plaids in patchwork.
Un modo, ben modesto, di riparare una cultura che si sta perdendo.
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