Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 06/08/2008 @ 09:34:30, in casa, visitato 1902 volte)

Da Roma_Francais

LE MONDE | 31.07.08 | 13h19

LAMEZIA TERME (ITALIE) ENVOYÉ SPÉCIAL - I fiori di plastica abbelliscono le finestre delle baracche. I bambini giocano in mezzo ai contenitori d'acqua. La biancheria asciuga sul filo spinato. Il campo rom di Lamezia Terme, in Calabria, incastrato tra la pendenza della ferrovia, il recinto dell'ospedale ed un muro di 4,5 metri di altezza per 50 di lunghezza, è un ghetto con un solo accesso, il tunnel sotto la strada ferrata.

"Il muro c'era già quando siamo arrivati, ma era più basso", si ricorda Massimo che è cresciuto qui. "Poco a poco, i residenti l'hanno alzato e messo del filo spinato per impedirci di saltare dall'altra parte." Massimo, cognome italiano come tutti quelli della famiglia: Berlingeri. Il muro separa dal resto della città degli italiani da generazioni, con meno diritti e condizioni di vita inumane.

"Zi' Antonio", la memoria del campo, ricorda in dialetto locale e con un forte accento calabrese: "Prima di andare a dormire, chiamo una dozzina di giovani che vengano coi bastoni e mi aiutino a cacciare i ratti dalla baracca." Attorno, si conviene. Se non sono i ratti, sono le blatte. Un alloggio degno: è quello che domandano le 84 famiglie che sono istallate in questo campo "provvisorio" dal 1982.

E se si parla loro del censimento dei Rom in corso, aggirano la questione con un gesto della mano. Qui, dove vive la più forte comunità rom del Sud dopo Napoli, non è questo il problema. Anche se siano riunite tutte le condizioni per accedere agli alloggi sociali, è tutto bloccato. "E' un vicolo cieco", riconosce il sindaco della città, Gianni Speranza. "Il rialloggiamento in stabili ad affitto moderato è la sola soluzione, e finirà per arrivare, ma quel giorno, spiega, temo una guerriglia contro i Rom."

I Rom sono accusati di provocare fumi tossici incendiando i pneumatici per ricavarne materiale da rivendere. Si rimprovera loro di avere trasformato i dintorni del campo in uno scarico di rifiuti ingombranti o tossici. "Più facile per i privati o le imprese girare un biglietto di 10 o 20 euro tra di loro per sbarazzarsi dei rifiuti, che seguire la filiera obbligatoria con i costi che comporta", spiega Antonio Rocca, dell'associazione Ciarapani. Da qui l'amalgama, Rom, criminalità. L'associazione vuole mostrare che esiste un'altra via: ha messo in piedi una cooperativa incaricata dal comune di raccogliere le immondizie. "Grazie al mio lavoro, sono riuscito a trovare un alloggio in città", spiega Massimo, fiero della sua uniforme di spazzino. "Sono dei cittadini. E' scandaloso rinchiuderli in un ghetto, quando avrebbero diritto, come tutti, alla scolarizzazione, alla formazione, alle opportunità di lavoro e ad un alloggio", spiega Marina Galati, presidente dell'associazione. Ma la paura ei Rom, denunciata dalla sinistra, dalle associazioni cattoliche e della difesa dei diritti, allontana tutte le soluzioni. Il muro di Lamezia Terme non è pronto a cadere.

Salvatore Aloïse
Article paru dans l'édition du 01.08.08

PS: Di Marina Galati, segnalo "Fare cittadinanza insieme ai rom"

 
Di Fabrizio (del 08/08/2008 @ 09:36:50, in casa, visitato 2275 volte)

Da Roma_Francais

LE MONDE | 02.08.08 | GENÈVE CORRESPONDANCE



Quando la Russia ha iniziato, giovedì 31 luglio a Ginevra, i suoi esami per passare davanti al Comitato per l'eliminazione della discriminazione razziali delle Nazioni Unite (CERD), due OnG, la Federazione internazionale delle leghe per i diritti dell'uomo (FIDH) ed il centro Memoriale di San Pietroburgo, pubblicano un rapporto dettagliato sulle gravi discriminazioni di cui sono vittime i circa 500.000 Rom di Russia.

Lo studio - "Sgomberi forzati e diritto all'alloggio dei Rom di Russia" - elabora una tabella scura sulla situazione, che riferisce molti casi di espulsioni forzate di interi villaggi, distruzioni di case e di campagne di stigmatizzazione. Il tutto in un contesto di grande miseria sociale, di impunità e di diniego totale da parte delle autorità russe.

I diciotto esperti del CERD, riuniti nella 73^ sessione, dal 25 luglio al 15 agosto, per passare al setaccio gli inadempimenti dei dieci stati firmatari della convenzione ONU sull'eliminazione della discriminazione razziale, tra cui la Russia, avranno così numerose domande da indirizzare a Mosca, continuando l'esame lunedì 4 agosto.

Se la recrudescenza delle aggressioni razziste contro i provenienti dall'Asia centrale e dal Caucaso e contro gli studenti di colore - più 20% in media all'anno - dove le derive della lotta antiterrorismo sono fatti conosciuti in Russia, le gravi discriminazioni che soffrono i Rom, una popolazione sedentarizzata a forza dal 1956, sono, queste, largamente passate sotto silenzio.

Risultato di una missione sul campo che s'è svolta nel maggio 2007, il rapporto della FIDH e del Memoriale, s'è particolarmente fermato sulla sorte dei Kelderari (30 % della popolazione dei Rom) che hanno conservato un modo di vita tradizionale. Ripartiti in un centinaio di villaggi in tutta la Russia, le loro terre sono ormai l'obiettivo dei promotori immobiliari e di altri speculatori.

"A partire dal 1956, i Rom si sono visti rimettere le terre dalle autorità locali e vi hanno costruito case spesso con semplici autorizzazioni verbali. Spesso, non figurano nemmeno sul catasto o sui piani, spiega Olga Abramenko, del Memorial, una specialista sui Rom arrivata a Ginevra per perorare la loro causa, a fianco di altri sei difensori russi dei diritti dell'uomo. I villaggi, che contano dai duecento ai mille abitanti, non hanno né numeri né nome delle strade. Risultato, su decisione di un tribunale, si può ordinare la distruzione delle loro case e la confisca delle loro terre senza alcun rimborso", indica la signora Abramenko.

Così, tra febbraio e giugno 2006, gli abitanti del villaggio di Dorozhnoe (regione di Kaliningrad), che non erano riusciti ad ottenere dei titoli di proprietà, sono stati espulsi. Quarantacinque case sono state distrutte dai bulldozer, le sole due abitazioni risparmiate appartenevano a famiglie "russe". Queste demolizioni sono state accompagnate da una campagna sulla stampa locale che designava gli espulsi come trafficanti di droga.

Tra aprile e maggio 2007, nel villaggio di Chudovo (regione di Novgorod), gli stessi abitanti hanno dovuto distruggere otto case. Sono previste altre quattordici demolizioni. Nel contempo, a Kolyanovo (regione di Ivanovo) in previsione della sistemazione dell'aeroporto, trentotto famiglie hanno accettato le pressioni per cedere le loro abitazioni per somme irrisorie. Numerosi altri villaggi vivono sotto minaccia di espulsione. "Vogliono cacciarci, ma dove andremo? Occupiamo questa terra dal 1972, Abbiamo l'impressione che le autorità vogliano che noi adottiamo nuovamente il nostro vecchio stile di vita nomade", si lamenta Boris Mikhay - leader del quartiere di Mysovskaya, a Tioumen (Siberia), dove sono installate 50 famiglie rom - interrogato da FIDH e dal Memoriale.

Olga Abramenko, che lavora con una dozzina di avvocati reclutati in Russia per aiutare i Kelderari a registrare le loro abitazioni, si appoggia a un muro. Il rapporto redatto dalla Russia in occasione del suo passaggio al CERD, non comporta una linea sui Rom. Di solito le autorità locali negano ferocemente il problema, avanzando argomenti "ultra-legalisti" o igienisti, per giustificare le espulsioni.

Agathe Duparc

 
Di Fabrizio (del 12/08/2008 @ 08:54:01, in casa, visitato 1698 volte)

Da Romano Them

Luglio 2008 - Giesela Kallenbach, membro del Parlamento Europeo, a luglio ha visitato il Kosovo e riportato notizie "più moderate che incoraggianti." Secondo lei, la situazione dei Rom che sono tornati a Mitrovica sud è migliorata solo in parte.

Riporta Kallenbach: "La situazione dei Rom è migliorata solo parzialmente dopo l'esecuzione del progetto di reinsediamento di parte delle famiglie. Sono state costruite case per le famiglie e blocchi di appartamenti, sono stati sviluppati spazi pubblici. Non sono disponibili aiuti agli indigenti. Soltanto 7 bambini Rom vanno a scuola, che è a Mitrovica nord. Questi bambini devono camminare per qualche chilometro ogni giorno per andare a scuola e tornare. Per loro non ci sono facilitazioni dei trasporti. Le promesse 24 ore di supporto medico sono state ridotte a 2 ore al giorno. Non viene raccolta la spazzatura. Non ci sono misure per generare impiego lavorativo o accelerare la crescita economica. I residenti hanno un solo negozio a disposizione. Per ragioni di sicurezza, reale o percepita, non si azzardano ad andare in città per le compere. Molti abitanti lasciano la sera le loro dimore per andare a dormire nella parte nord. Questo perché si sentono minacciati o per non perdere il supporto medico.

L'intero rapporto (formato .doc) è disponibile qui

 
Di Fabrizio (del 24/08/2008 @ 09:10:26, in casa, visitato 2837 volte)

caro Fabrizio, ti segnalo questo articolo pubblicato sul Venerdì di "Repubblica" del 22 agosto: Dopo i mobili, ecco le case da montare.
Potrebbe diventare un sistema interessante non solo per Rom e Sinti stanziali ma anche per tutti noi!
ciao, Maria Grazia Dicati

Dopo i mobili, ecco le case da montare. Ma comprarle è una lotteria. di Riccardo Staglianò
Costruite con criteri ecologici e democratiche, si assemblano in un giorno, hanno tutti i comfort e prezzi competitivi. Nate in Svezia, ma arrivate anche in Gran Bretagna, sono richiestissime. Tanto che, per acquistarne una, bisogna partecipare a una riffa

Vivere in una casa Ikea nel senso dei muri, non dei mobili. Dal contenuto al contenitore è un trasloco anche linguistico. E infatti, entrando in questi sessantadue metri quadrati inondati di luce con il Baltico che scintilla in lontananza, non ti senti intrappolato nelle pagine del catalogo dell’arredamento globalizzato.
La teoria di base è la stessa: bel design a prezzi accessibili. Ma la prassi è diversa e ognuno di questi Bo Klok (in svedese «vivi con intelligenza»), i prefabbricati più insospettabili e affascinanti del mondo, fa storia a sé.

«Solo la cucina e un paio di pezzi sono Ikea» spiega la biondissima Joanna, al quarto mese di gravidanza, mostrandoci le tre stanze, «tutto il resto l’abbiamo comprato altrove». «Più bellezza per tutti» è sempre stato il programma estetico-elettorale del fondatore Ingvar Kamprad. Che nel ‘96 ha deciso di traslare la sua filosofia nell’edilizia. E, invece di chiedere agli architetti da che parte cominciare, ha interpellato l’ufficio statistico nazionale. Kamprad ha scoperto così che nelle grandi città i due terzi delle famiglie (oggi a Stoccolma sono l’85 per cento) erano formate da una, due, massimo tre persone. Cosicché le abitazioni in circolazione, ancora concepite per una natalità subequatoriale, risultavano grandi, inabbordabili, vuote. «Il passo successivo» spiega Martina Holtz, che lavora nel team dei designer che perfezionano le varie soluzioni abitative, «era fissare il prezzo giusto. Abbiamo scelto come salario di riferimento quello di un’infermiera con un figlio a carico. Dai nostri calcoli l’affitto che può permettersi senza troppi sacrifici è oggi di 550 euro». Ovvero la cifra che un inquilino di una Bo Klok base, cinquanta metri quadrati, deve pagare per una specie di super-condominio che comprende luce, acqua e tutto il resto. Oltre ai 50 mila euro iniziali per comprare la proprietà dell’edificio. Ci sono poi i tagli da 62, 73 e 144 metri, con un tariffario che cresce di conseguenza. «A ciascuno secondo i propri bisogni, da ciascuno secondo le proprie capacità»
sembra il sottotesto di un sistema che ricorda più una lezione in socialdemocrazia scandinava che in urbanismo.

Nei mesi scorsi le casette in legno sono sbarcate anche in Gran Bretagna, un centinaio di appartamenti sui 3500 assemblati in totale, a Gateshead, vicino a Newcastle. «Ci espanderemo anche nel resto d’Europa» dice Holtz, «ma abbiamo bisogno di partner immobiliari locali. Dall’Italia sono arrivate varie offerte, ma siamo ancora in una fase di perlustrazione».
I Bo Klok non sono prefabbricati che compri e metti dove vuoi...

continua su Repubblica CASA & DESIGN

 
Di Fabrizio (del 25/08/2008 @ 08:47:21, in casa, visitato 2820 volte)

Da Roma_Francais

BOBIGNY, 22 agosto 2008 (AFP) - Un progetto d'inserimento sociale e professionale è stato proposto a 24 delle 150 famiglie rom del campo di Saint-Ouen (Seine-Saint- Denis), le altre sono state invitate a lasciare la Francia, si è appreso venerdì dal sotto-prefetto del distretto.

"Abbiamo trattenuto 24 famiglie, cioè più di uno centinaio di persone, per rientrare in un progetto d'inserimento sociale e professionale", ha chiarito ad AFP il sotto-prefetto Olivier Dubaut, spiegando che "occorre che questo tipo d'inserzione locale resti a dimensione umana perché l'inserimento funzioni". Altre sette famiglie, "che presentano problemi sanitari", saranno "prese in carico in modo umanitario", ha aggiunto Dubaut. "Le 24 famiglie selezionate dovrebbero potersi installare con le roulottes il 1° settembre su un terreno di Saint-Ouen appartenente alla Rete Ferrata di Francia (RFF), prima di integrare bungalow che saranno situati allo stesso posto", ha precisato. Il sotto-prefetto ha fatto la sua scelta tra le 94 situazioni familiari riportate dagli assistenti sociali incaricati di incontrare le famiglie volontarie. I Rom selezionati sono stati scelti sulla base di diversi criteri: padronanza della lingua francese, sforzo nella scolarizzazione dei bambini, capacità di maneggiare uno dei 62 mestieri aperti ai Rumeni e ai Bulgari dal 1° gennaio 2007. Secondo Dubaut, 663 persone vivono sul più grande terreno di Francia, costituito da un edificio abbandonato e da accampamenti di baracche in legno e lamiere insalubri, senza acqua né elettricità.

 
Di Fabrizio (del 26/08/2008 @ 13:07:11, in casa, visitato 1601 volte)

Da La Repubblica Rom: non solo campi nomadi, la storia di Orhan e Jasa

La famiglia Ibraimov è uno dei primi nuclei che ha ottenuto un alloggio popolare grazie al "progetto rom" del Comune. Un'iniziativa, tra le poche in Italia, che cerca di integrare i rom affrancandoli dalla logica dell'assistenzialismo
di Benedetta Pintus

Nell'Italia dell'emergenza sicurezza la parola rom è diventata sinonimo di criminalità e disprezzo per le regole, ma il calore di una famiglia come quella di Orhan e Jasa spazza via ogni pregiudizio. Il loro piccolo e accogliente appartamento di via Navetta è lontano anni luce dallo stereotipo dello zingaro che vive di furti ed elemosina rifugiandosi in un campo nomadi alla periferia della città. Quelle quattro mura colorate da soprammobili di porcellana e innumerevoli mazzi di fiori variopinti sono il simbolo dell'integrazione e raccontano una storia iniziata in Macedonia e finita a Parma. Dove i coniugi Ibraimov, dopo una vita di stenti tra accampamenti abusivi, edifici occupati e roulotte, grazie al "progetto rom" del Comune, sono riusciti a ottenere un alloggio popolare per potersi finalmente stabilire e crescere in serenità i propri figli.

Madre e padre sono poco più che trentenni, ma le loro spalle portano il peso di anni di sacrifici, celati in fondo allo sguardo stanco di Jasa. "Per me – racconta - arrivare al campo di strada del Cornocchio è stato come entrare in albergo, perché dopo aver vissuto in mezzo alla strada tutto mi sembrava un lusso". Anche se all'inizio mancavano l'acqua e il riscaldamento. "C'era freddo da morire". Ma sempre meglio che dormire in macchina con i bambini piccoli e affamati in attesa che il padre torni dal lavoro. Mai fatto l'elemosina? "Io sono un lavoratore – risponde Orhan – non sono venuto qui per mendicare". Altrimenti sarebbe rimasto in Macedonia, il suo paese d'origine, dove aveva una casa ma, in quanto rom, era comunque discriminato. "Nel nostro Paese i rom sono costretti a vivere in case pericolanti, dove intere famiglie dormono in una sola stanza. Mio padre, pensionato, riceveva dallo stato un contributo di 15 euro al mese. Quella non è vita". Trovare un impiego per Orhan era diventata un'impresa impossibile, così nel 1996 ha deciso di emigrare in Italia con Jasa in cerca di fortuna.

La prima tappa è stata in un campo nomadi di Foggia, dove nel 1998 è nato Gelo, il loro primo figlio. Anche in Puglia, però, trovare lavoro non è facile, perciò i due si spostano con il bambino verso nord e finiscono in un accampamento abusivo in riva a un fiume a Marano di Basilicanova, che presto viene sgomberato. Da quel momento Orhan e sua moglie cercano rifugio in una scuola occupata da altri immigrati e poi nell'ex villa Maghenzani, dove vivranno per tre mesi. Intanto Jasa ha dato alla luce altri due bambini, Leonardo e Bernando, con cui, infine, nel 2002 arrivano al campo nomadi di Parma. Da qui gli Ibraimov fanno domanda per l'assegnazione di una casa popolare tramite il "progetto rom" dei servizi sociali.

Si tratta di un'iniziativa portata avanti dal Comune con l'obiettivo di affrancare i rom dalla logica dell'assistenzialismo. "Cerchiamo di superare il concetto di campo nomade", spiega il coordinatore del progetto Vito Verrascina. "Anche perché negli anni i rom in Italia hanno fatto un percorso che li ha trasformati da nomadi a stanziali. Solo alcuni si spostano per difficoltà o problemi legali. In molti casi sono i rom stessi a chiedere di poter andare a vivere in un appartamento".

Orhan aveva tutti i requisiti per ottenerlo: una famiglia numerosa, un permesso di soggiorno, la residenza da più di due anni, un lavoro continuativo. Il sogno di trovare un rifugio stabile si è realizzato nel 2005. "Siamo stati la seconda famiglia ad andare via dal campo. Ora non torneremmo mai a viverci". Secondo Jasa la situazione è molto peggiorata rispetto a prima: "Quando ci vivevamo noi c'erano regole più severe. Per qualsiasi cosa bisognava chiedere il permesso al Comune. Ora invece chi ci abita fa tutto quello che vuole: si rubano anche le cose tra loro". Molti rom non vogliono stare in appartamento "perché preferiscono essere liberi e non avere regole da rispettare. Vogliono fare feste, grigliate, ascoltare la musica a tutto volume fino a tardi. Il nostro scopo, invece, da quando siamo arrivati in Italia era quello di trovare una casa".

Oggi Orhan si sveglia ogni mattina alle sei: lavora da quasi sette anni come operaio nell'impresa di costruzioni Pizzarotti. Sua moglie Jasa si occupa della casa e dei bambini, che frequentano la scuola elementare: Gelo ha ormai dieci anni, Leonardo otto e Bernando sette. La loro è una famiglia come tante, che tra prezzi in aumento, conti da pagare e visite mediche, cerca di arrivare alla fine del mese con un solo stipendio. "Per la scuola si spende tanto", si lamenta Jasa. Ma sorride quando Bernando mostra con orgoglio il suo nuovo zainetto di Superman. Poi il suo sguardo si fa di nuovo preoccupato. "Ora basta bambini. I bambini costano", dice ricordando con sofferenza i suoi due aborti, l'ultimo due anni fa. "Le famiglie numerose – spiega Verrascina - sono frequenti tra i rom. Spesso i figli vengono usati come strumento per ottenere agevolazioni".

"Molti bambini rom disturbano. Fanno chiasso, chiedono l'elemosina", ammette Orhan. "Ma non è colpa loro. E' colpa dei genitori", gli fa eco Jasa, che racconta le difficoltà che ha incontrato dopo il trasloco a causa dei pregiudizi. "Nessuno ci salutava, c'era molta diffidenza. Parlavano alle nostre spalle e i bambini non potevano neanche giocare in giardino. Una volta i vicini si sono lamentati perché c'era qualcuno che suonava continuamente i campanelli e loro hanno subito accusato ingiustamente i nostri figli". Addirittura una volta qualcuno ha telefonato l'Acer, l'azienda che gestisce gli alloggi popolari, dicendo che in casa Ibraimov si nascondevano famiglie di clandestini. A quanto pare per qualche inquilino del quartiere il solo fatto di avere origini rom è più che sufficiente per sospettare che dietro la facciata di una famiglia per bene si nasconda un covo di criminali. "Il problema – dice Orhan – è che basta il cattivo esempio di uno per gettare cattiva luce su tutti. Ma i rom non sono tutti uguali".

A poco a poco, però, la situazione è migliorata. Gelo, Leonardo e Bernando giocano tranquillamente sotto casa con gli altri bambini di via Navetta e qualche vicino invita anche Orhan e Jasa a prendere un caffè. "Ora - dice lei - salutano anche i bambini, ma io continuo a non parlare con nessuno. Certa gente è peggio degli zingari".
(25 agosto 2008)

 
Di Fabrizio (del 27/08/2008 @ 08:50:54, in casa, visitato 1822 volte)

Da Czech_Roma

Roma Buzz Aggregator - Sistemazione ed alloggio delle famiglie Rom nella Repubblica Ceca

Molte famiglie nella Repubblica Ceca continuano a vivere in condizioni sotto gli standard caratterizzate da infrastrutture e servizi non adeguati, segregazione, disagi e minacce di espulsioni, che spesso portano a forme di ghettizzazione. Di solito, le comunità Rom vivono in case che mancano di fognature, in quartieri ristretti, senza accesso all'acqua potabile, elettricità o servizi di emergenza. Vivere in condizioni che non sono sanzionate legalmente lascia la comunità Rom più esposta a sgomberi forzati dallo stato, un problema riflesso nel numero di reinsediamenti negli ultimi anni. Uno studio recente commissionato dal Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali, portato avanti dalla compagnia privata GAC, riporta che c'erano 310 località Rom socialmente escluse e che il 35% di queste erano emerse negli ultimi 10 anni.

La pratica degli sgomberi forzati e dei reinsediamenti delle comunità Rom, vede le famiglie spostate dalle loro case originarie in altre parti del paese, risultando così la popolazione più segregata ed isolata, inoltre vengono esacerbate le loro basse prospettive di impiego. Un esempio di questi reinsediamenti fu la rilocazione della comunità Rom a Mladá Boleslav, che ha visto una popolazione di circa 3.000 Rom diminuire a circa 300. Similarmente, il reinsediamento delle famiglie Romanì dalla città di Vsetín ha visto 50 famiglie obbligate a lasciare la città perché la loro sistemazione era sotto gli standard, e la maggior parte delle famiglie aveva affitti troppo alti. La sistemazione in località periferiche non è riuscita a incontrare nemmeno le necessità basiche come l'acqua corrente e l'elettricità, portando alla creazione di nuovi ghetti invece di risolvere i problemi abitativi.

Esistono pratiche discriminatorie anche all'interno della ripartizione delle condizioni di alloggio, con le famiglie Rom spesso piazzate in sistemazioni riferite come "appartamenti di infima qualità", o appartamenti "vuoti coi muri", generalmente riservati a chi ha pagato in ritardo l'affitto. Oltre il 50% degli appartamenti "vuoti coi muri" sono abitati da Rom, con la percentuale che in alcune aree sale al 90%. Non c'è trasparenza nel fornire case possedute dai comuni, ed il criterio è spesso indirettamente discriminatorio, il che significa che le famiglie Romanì sono spesso incapaci di ottenere un alloggio adeguato. Uno studio del Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali dimostra che il numero dei Rom in condizioni sotto gli standard sono cresciuti negli ultimi 10 anni, e trovato che non esiste nessun programma globale per combattere la deprivazione sociale.

Il rapporto 2008 di Amnesty International ha mostrato che i dipartimenti alloggiativi nella Repubblica Ceca sono prima di tutto interessati agli aspetti finanziari della vicenda, trascurando grossolanamente il loro dovere e funzione civica, come una corporazione privata senza responsabilità nel bisogno sociale nel campo dell'alloggio. Inoltre Amnesty critica l'incapacità dei lavoratori sociali nell'evitare gli sgomberi forzati di famiglie con bambini, che è riportata come una pratica estesa nell'odierna Repubblica Ceca. Il Comitato ONU per l'Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) ha espresso la propria preoccupazione che le leggi ceche non proibiscano chiaramente la discriminazione razziale nel diritto alla casa, ed il Comitato per i Diritti Umani ha criticato la pratica degli sgomberi assieme all'esistenza dei ghetti Rom nella Repubblica Ceca.

In una dichiarazione congiunta nell'ottobre 2007, riguardo il diritto alla casa per i Rom nell'Europa, il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa e il Relatore ONU per il diritto alla casa, hanno dichiarato che la Repubblica Ceca violava il diritto alla casa riguardo le comunità Rom, criticando i locali uffici pubblici per sostenere l'intolleranza verso i Rom e sviluppare politiche pubbliche per spostare le famiglie Rom dalle città verso aree isolate. La dichiarazione indica che negli anni recenti il tasso di sgomberi forzati di Rom è cresciuto drammaticamente e che la segregazione e la ghettizzazione nel campo dell'alloggio appare essersi intensificato.

Il tema della ricerca di una sistemazione adeguata non ha significato solo per il diritto, ma ha anche un sostanziale impatto per sostenere altri diritti e libertà fondamentali, come il diritto alla privacy, libertà dai trattamenti degradanti, istruzione, impiego, sanità, libertà di movimento ecc. Il diritto ad un alloggio adeguato, come pure gli altri diritti, si trovano nei maggiori strumenti internazionali dei diritti umani, inclusa la Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali e la Revisione della Carta Sociale Europea. Sono pure rilevanti altri trattati ONU, come pure la Convenzione Europea sui Diritti Umani ed altre legislazioni UE riguardo la discriminazione.

Ci sono perciò basi chiare per il rafforzamento del diritto alla casa, ed un bisogno apparente nella comunità Rom ceca di avere protetti e rafforzati questi diritti. La meta generale del progetto sarà di lavorare verso il riconoscimento di questi diritti per la popolazione Rom e di vedere miglioramenti nelle condizioni di vita dei Rom nella Repubblica Ceca. Più specificatamente, il progetto si focalizzerà sull'accesso e il rafforzamento dei rimedi legali per le famiglie che sono state oggetto di discriminazione abitativa o di sgombero forzato. Con la mancanza di aiuto e rappresentazione legale per la comunità Rom, il progetto si focalizzerà nel fornire rappresentazione legale e assistenza alle famiglie coinvolte, allo scopo di assicurare conformità agli standard internazionali di non-discriminazione nella fornitura di alloggi da parte delle municipalità, come pure nel promuovere la sicurezza del possesso per i gruppi vulnerabili e i rimedi dovuti per l'accesso a quanti sono penalizzati da trattamenti simili. Questa azione aiuterà a rafforzare i diritti dei Rom alla casa e potenzialmente incoraggerà lo sviluppo di politiche pubbliche che assicurino la conformità agli standard internazionali.

By Elizabeth Sarah Jones - currently on internship at DZENO

 
Di Fabrizio (del 30/08/2008 @ 17:29:42, in casa, visitato 2377 volte)

Da Roma_Francais

Fine della più grande baraccopoli di Francia

ALLOGGIO. Lo stato evacua il campo rom di Saint-Ouen (Seine-Saint- Denis). Solamente 24 famiglie coinvolte nel progetto di inserimento

Seduti al sole, gli uomini continuano a giocare a carte. Tuttavia, da qui a qualche giorno, la più grande baraccopoli di Francia non sarà che mucchio di rovine e di rifiuti. Da due anni, circa 650 Rom occupano questo terreno situato a Saint-Ouen, Seine-Saint- Denis, nel quartiere dei magazzini in piena riorganizzazione. La città di Parigi, proprietaria del terreno, e quella di Saint-Ouen hanno firmato un accordo per costruirvi alloggi sociali. Indesiderabili, i Rom sono dunque pregati di andare altrove. Ventiquattro famiglie sono state selezionate dalla DDASS per integrarsi in un "villaggio d'inserimento". Gli altri sono invitati a lasciare la Francia.

Delle 633 persone occupanti il più grande terreno libero di Francia, un centinaio sono già partiti per la Romania, giovedì scorso, con un viaggio offerto dall'ANAEM (Agenzia nazionale di accoglienza degli stranieri e dei migranti), che ha retribuito questi "ritorni volontari" con 300 euro per adulto. Domani, una seconda partenza dovrebbe contare nuovamente un centinaio di Rom. Quanti rifiutano questi ritorni riceveranno un'ingiunzione a lasciare il territorio francese (OQTF). Quanto alle voci di un'espulsione dal campo condotta dalle forze di polizia e prevista domani, Paul Planque, primo assistente del sindaco di Saint-Ouen, rassicura "Non siamo assolutamente in una fase d'espulsione".

Accaldate, molte famiglie hanno già lasciato la baraccopoli per altri terreni. A fianco delle baracche di fortuna in lamiera, il vecchio immobile dell'EDF è già praticamente deserto. Al primo piano, la famiglia Covaciu si fa discreta. I genitori ed i loro quattro figli sono tra i fortunati che usufruiranno del "villaggio d'inserimento". Situato in rue de Clichy, sempre nella zona dei docks, questo terreno accoglierà prima di tutto roulottes attrezzate e poi, entro otto mesi, 25 case mobili. "Quando ho appreso la buona notizia, ho pianto dalla gioia, - racconta la madre Violeta. - E' veramente bene per i miei figli". I bambini saranno scolarizzati ed i genitori accompagnati verso mestieri autorizzati. La madre vorrebbe fare lavori di casa, il padre, lavorare nella ristorazione. Sinora la famiglia ha vissuto della vendita di ferraglia e di mendicità.

All'interno della baraccopoli, le selezioni suscitano gelosie e incomprensioni. "Perché loro e non noi?", tuona un giovane la cui famiglia non è stata selezionata. La sua sorellina, Bianca, 8 anni, e secondo tutti, una scolara modello. "Non ha mai saltato un giorno di scuola," sottolinea Coralie Guillot, dell'associazione Parada, che si inquieta per il percorso scolare della bambina: "Bianca avrebbe dovuto rientrare in CE1 tra qualche giorno, la sua scolarizzazione, ben avviata, può interrompersi." "Sulle 94 famiglie che hanno depositato una candidatura, solo 24 sono state selezionate secondo diversi criteri: padronanza della lingua francese, sforzo di scolarizzazione dei figli e capacità di lavorare in uno dei 62 mestieri aperti ai Rumeni e ai Bulgari dal gennaio 2007. Sette altre famiglie con problemi sanitari saranno prese in carico. "Occorre che questo tipo di villaggio d'inserimento resti a misura umana perché l'inserimento funzioni," sottolinea il sotto prefetto Olivier Dubaut. All'interno di progetti simili, solo 21 famiglie sono state selezionate a Saint-Denis, e 18 a Aubervilliers. "E' la soluzione meno peggio," sospira Paul Planque che chiede una conferenza regionale. "L'alloggiamento dei Rom non può essere di sola responsabilità dei comuni. Occorre una visione a scala regionale, soprattutto quando l'Île-de-France è la regione più ricca d'Europa."

Marie Barbier


"6.000 Rom nell'emergenza"
Malik Salemkour è vice-presidente della Lega dei diritti dell'uomo e membro del collettivo Romeurope

Lo sgombero del più grande campo rom segna una svolta?

Si tratta di una nuova tappa della politica dello Stato che accompagna alcune famiglie e ne espelle altre. Non è una novità, l'abbiamo già visto a Saint-Denis e Aubervilliers. A Saint-Ouen, le grida d' allarme delle associazioni e delle famiglie finalmente sono state ascoltate. Solo, sono state scelte appena 24 famiglie su 100. Le altre sono invitate a lasciare il terreno o il territorio. Ma questi cittadini europei, che hanno un progetto di vita in Francia, torneranno inevitabilmente ed in tempi molto brevi.

Qual'è la situazione dei Rom in Francia?

I 6.000 Bulgari e Rumeni  che vivono qua sono praticamente tutti nell'emergenza. Sono i capri espiatori dello Stato. A livello di rispondere all'uguaglianza dei diritti europei, li si tratta come cittadini di seconda scelta. Lo Stato è troppo repressivo, non abbastanza nell'esame individuale.

La metà vive a Seine-Saint-Denis. Come si spiega?

Con le sue officine industriali ed i terreni abbandonati, questo dipartimento accoglie molti mal-alloggiati. Contrariamente ad altri siti, come l'Hauts-de-Seine, l'espulsione non è immediata. Possono sopravvivere.

Cosa pensa dei villaggi d'inserimento?

E' una soluzione transitoria accettabile per rispondere all'urgenza dell'indegnità delle baraccopoli e rimettere queste persone nel diritto all'abitare. Ma non può essere durevole, come le città di transito che sono durate anni. La loro prima richiesta è d'integrarsi, di accedere ad alloggi di diritto comune e ad un impiego, di uscire dal regime transitorio della Romania e della Bulgaria (i rumeni e i bulgari non possono accedere in Francia che a 62 mestieri - NDLR).

Propos recueillis par M. B.

 
Di Fabrizio (del 31/08/2008 @ 08:51:08, in casa, visitato 2442 volte)

Da Roma_Daily_News

Espulsioni Forzate e Diritto alla Casa dei Rom in Russia

Riassunto Esecutivo: I Rom che vivono nella Federazione Russa sono vittime di dure forme di discriminazione razziale, le più flagranti sono gli sgomberi forzati, un fenomeno esteso ed in crescita.

Nel 1956, un decreto del Soviet Supremo proibiva il "vagabondaggio" da parte dei cosiddetti Zingari, obbligandoli a stabilirsi. Dopo il collasso dell'Unione Sovietica, le autorità russe hanno accordato la privatizzazione della terra, ma rifiutato di legalizzare effettivamente gli alloggi delle famiglie Rom sedentarizzate a forza.

Avvantaggiandosi della mancanza della mancanza di documenti sicuri, dell'analfabetismo e dei livelli di povertà estremi nella popolazione Rom, le amministrazioni russe hanno rifiutato di legalizzare l'occupazione delle terre e più spesso l'hanno venduta all'asta al miglior offerente.

I Rom sono incapaci di reagire alle misure di acquisizione delle terre o alle ripartizioni delle porzioni nei programmi generali di progettazione urbana (GenPlan), che spesso sono decise senza consultarli. Di solito non sono considerati quando esprimono lamentele territoriali e senza poteri di fronte ai reclami legali presentati dall'amministrazione.

E' un fatto che l'attuale quadro legale sui diritti di proprietà nella Federazione Russa è particolarmente complesso. La prescrizione conforme dell'articolo 234 del Codice Civile della Federazione Russa sembra essere l'unico rimedio legale disponibile per il precaria situazione dei Rom. Garantisce la proprietà individuale legale  a quanti ne siano stati in possesso apertamente e continuativamente per quindici anni. D'altra parte, di solito i Rom non hanno i documenti richiesti per legalizzare le loro case.

Inoltre, la non registrazione delle loro case impedisce ai Rom l'accesso ad un'ampia gamma di diritti economici e sociali. Effettivamente, la registrazione permanente nella Federazione Russa è obbligatoria, ma pratiche discriminatorie ed un alto livello di corruzione tra gli amministratori locali, spesso privano i Rom della possibilità di ottenere tali documenti. Ciò ostacola il loro accesso all'istruzione, al lavoro e ad altri diritti sociali. Inoltre, gli insediamenti dei Rom sono spesso deprivati di servizi essenziali, come l'acqua, l'elettricità e il gas.

Come risultato, l'unica maniera è di ricorrere ad accordi sottobanco che non offrono garanzia di un indennizzo adeguato o di rilocazione. Sono quindi truffati o diventano vittime di sgomberi forzati quando rifiutano di allontanarsi volontariamente.

Nella maggior parte dei casi, gli sgomberi forzati seguono ad una decisione del tribunale che autorizza l'amministrazione a demolire le case considerate "edifici non autorizzati". In queste decisioni, il diritto ad un equo processo è spesso violato.

Gli sgomberi vengono spesso condotti con violenza. In alcuni casi, i verdetti di espulsione seguono a campagne nei media locali contro l'intera popolazione Rom, che li presentano come trafficanti di droga e criminali. In molti casi, viene richiesto agli stessi Rom di distruggere le loro case. I Rom non beneficiano di alloggio alternativo o di adeguato indennizzo, e sono obbligati a trovare un altro posto dove insediarsi.

In questi casi, i cittadini russi non Rom sono di solito capaci di legalizzare le loro case o ottenere un alloggio alternativo o un adeguato indennizzo, un fatto che conferma la natura discriminatoria degli sgomberi forzati. Questi e la demolizione delle case Rom portate avanti dalle autorità violano il diritto ad un alloggio adeguato, garantito dalla Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali e la Convenzione Internazionale sull'Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale, ratificate dalla Federazione Russa.

 
Di Fabrizio (del 02/09/2008 @ 09:02:01, in casa, visitato 2285 volte)

Domenica scorsa Tom Welschen mi ha scritto un'appassionata lettera a favore della comunità turca di Sulukule minacciata di sgombero. Mi dice di aver "dedicato una grande parte della giornata alla produzione alcuni files sulla situazione nel quartiere" e di sentirsi "un'altra volta impotente e triste, ma facendo questo almeno mi do l'impressione di essere un po' utile e solidale..."

Vi linko il video girato in italiano:

Sulukule - le autorità stanno distruggendo il quartiere dei Rom

Descrizione: succedono delle cose terribili ad Istanbul...le autorità turche hanno mandate delle macchine distruttive nel quartiere Rom...staccano il corrente per almeno 8 giorni....dobbiamo fare qualcosa per salvare Sulukule (Turchia) e tutelare la Comunità Rrom più antica del mondo. (continua)

Per vedere gli altri lavori (in inglese): questo è il link ( appariranno gli 82 video... scegliere l'opzione "più recenti" e vedrete i 4 su Sulukele)


Sempre sul quartiere, le ultime novità da Roma_Daily_News

Today's Zaman Il taglio della corrente elettrica a Sulukule scatena l'ira degli abitanti

Un annuncio del comune di Fatih ad Istanbul che l'elettricità verrà tagliata nel quartiere di Sulukule per otto giorni a causa del prossimo progetto di demolizione dell'area ha scatenato le ire dei residenti nel quartiere.

Giovedì le squadre municipali hanno iniziato a demolire parti del quartiere, abitato soprattutto da Rom, come parte del progetto di rinnovamento dell'area. Gli edifici allineati sulle vie Neslişah e Hatice Sultan sono stati i primi ad essere demoliti. Il comune ha annunciato che il quartiere sarà lasciato senza elettricità per i prossimi otto giorni causa il progetto di demolizione, cosa che ha scatenato una forte reazione tra i residenti.

I residenti dicono che essere lasciati senza elettricità per oltre una settimana creerà una situazione in cui non potranno svolgere le attività basiche quotidiane, notando che ciò è particolarmente problematico perché si sta avvicinando il Ramadan. Dicono: "Non siamo contro le demolizioni nel nostro quartiere. Ma non è normale che l'elettricità venga interrotta per otto giorni mentre si avvicina il Ramadan. Abbiamo preparato molto cibo per il Ramadan. Verrà sprecato se non avremo l'elettricità per i frigoriferi."

Altri residenti hanno espresso il timore che il quartiere sarà bersaglio dei ladri se sarà lasciato senza elettricità. "Come possiamo sentirci sicuri la notte se non abbiamo l'elettricità? Gli scassinatori minacceranno le nostre vite in questo periodo," dicono.

Il progetto di demolizione dell'area continuerà nei prossimi giorni. La Municipalità Metropolitana di Istanbul ha progettato di costruire a Sulukule 620 case nuove, un hotel e un centro culturale e di intrattenimento. Il progetto di rinnovamento del quartiere e di rilocazione dei suoi abitanti ha sollevato l'indignazione dei residenti e dell'UNESCO. Istanbul è attualmente nella Lista dei Patrimoni Mondiali dell'UNESCO e ci si aspetta che prenda le necessarie misure per la protezione dei suoi siti storici, uno dei quali è il quartiere di Sulukule.

30.08.2008 News
BAYRAM EMİR

 

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