Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
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L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.

Wim Wenders
-

\\ Mahalla : VAI : Italia (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 29/08/2008 @ 00:20:05, in Italia, visitato 1998 volte)

Da Vita - 29 agosto 2008

Parla Eva Rizzin della neonata Federazione Rom e Sinti Insieme

Eva Rizzin, 30 anni, è un vulcano d'energia, con un curriculum in continuo aggiornamento. Laureata in Scienze Politiche con bacio accademico, un anno fa ha discusso una tesi di dottorato in geopolitica sull'anti-ziganismo nell'Europa unita. È qualcosa che la tocca in prima persona: la Rizzin è nata a Udine da mamma sinta e ne va fiera. È anche per questo che la sua lotta contro le discriminazioni e per i diritti di rom e sinti va oltre l'Accademia e la vede quotidianamente impegnata sul campo. Nel 2005 ha fondato OsservAzione, centro di ricerca-azione contro la discriminazione. Appena gliel'hanno proposto, non ha esitato un attimo ad accettare la proposta di entrare a far parte della neonata Federazione Rom Sinti insieme.

Vita: Eva, ci spiega perché nasce quest'esperienza?
Eva Rizzin: La parola chiave è partecipazione. Rom e sinti devono diventare soggetti attivi delle politiche che li riguardano. Per troppi anni in Italia sono stati fatti programmi di stampo assistenzialistico e di "segregazione culturale". Esiste un vero e proprio problema di rappresentatività politica, una questione che, invece, da anni è stata superata in alcuni paesi dell'Est Europa. La Federazione si è costituita il 18 maggio 2008, dopo più di un anno di lavoro del Comitato rom e sinti insieme. Ne fanno parte già 22 associazioni con sede in dodici regioni italiane.

Vita: Perché avete scelto la formula della federazione?
Rizzin: Esiste una profonda ignoranza riguardo a rom e sinti. Il nostro mondo viene considerato come se fosse un blocco unico. Siamo gli "zingari", i "nomadi". Non si conosce la pluralità di gruppi, l'eterogeneità che ci distingue l'uno dall'altro. Io, ad esempio, mi sono laureata con una tesi sulla cultura della mia comunità, i gackane eftawagaria. D'altra parte, coinvolgiamo anche chi non è rom o sinti, non vogliamo escludere nessuno, ma cooperare, lavorare assieme. Va chiarito anche che non pretendiamo di rappresentare tutti i gruppi di rom e sinti in Italia, ma solamente le associazioni che aderiscono alla Federazione.

Vita: Ci sono anche conflitti tra i diversi gruppi. Ad esempio, rom e sinti italiani sono spesso ostili verso i rom immigrati... Come farete a mettere tutti d'accordo?
Rizzin: Non sarà un'impresa facile. È paragonabile al fare l'Europa unita. Siamo un piccolo mondo, è come se fossimo tanti Stati, ciascuno con la propria storia e cultura. Tanto per cominciare, la pluralità dei gruppi è rappresentata ai vertici della Federazione: il presidente è Nazzareno Guarnieri, rom italiano, i vice presidenti sono il sinto italiano Gabrielli Radames e il rom immigrato, Demir Mustafà.

Vita: Perché in Italia la voce di rom e sinti non si è levata prima, per rivendicare una partecipazione attiva sulle politiche che vi riguardano?
Rizzin: Da dicembre 2006 la situazione per le nostre minoranze è sempre più preoccupante, con sgomberi e atti di violenza gratuita. Nasce in questo contesto l'idea di reagire in modo unitario e propositivo. La Federazione si propone di costruire un dialogo diretto con le istituzioni, per promuovere una società aperta e interculturale, l'affermazione della cultura della legalità, il contrasto agli abusi di potere.

Vita: Il clima politico attuale non sembra favorevole al dialogo. Riuscite a farvi ascoltare?
Rizzin: È molto difficile, ma non impossibile. Purtroppo alcuni passi avanti che erano stati fatti un anno fa, ora sono stati azzerati. In luglio 2007 abbiamo contribuito alla presentazione della proposta di legge 2858 per l'estensione della legge 482 del 1999 sulla tutela delle minoranze linguistiche storiche con il riconoscimento anche delle minoranze rom e sinti. Solo a gennaio 2008, poi, abbiamo partecipato a una Conferenza europea sulla popolazione rom organizzata dai ministeri dell'Interno e Solidarietà sociale. È stato un momento di incontro costruttivo e partecipato: prefetti, politici, forze dell'ordine, organizzazioni internazionali, istituzioni, tutti insieme per affrontare le problematiche concrete che ci riguardano ed elaborare delle risposte condivise.

Vita: Come vi state muovendo?
Rizzin: Non ci diamo certo per vinti. Crediamo che la questione rom e sinti sia trasversale agli schieramenti politici: non è un fatto di destra o sinistra. Alle ultime elezioni il presidente Nazzareno Guarnieri era candidato per l'Udc, Dijana Pavlovic, consigliera della Federazione, per la Sinistra arcobaleno. In campagna elettorale, poi, abbiamo inviato a tutti candidati premier una lettera in sette punti che riteniamo importanti per la tutela dei nostri diritti. Ora abbiamo chiesto un incontro con il ministro dell'Interno, mentre siamo già stati ricevuti dai prefetti di Milano e di Roma.

Vita: In quali circuiti internazionali siete inseriti?
Rizzin: Abbiamo partecipato, il 21 febbraio 2008, all'audizione del Comitato dell'Onu per l'eliminazione della discriminazione razziale. Le Nazioni Unite hanno criticato severamente il trattamento dei rom e sinti in Italia. Il 10 luglio eravamo presenti al meeting Osce a Vienna sulle politiche per l'integrazione, per parlare della situazione italiana. Io sono intervenuta come responsabile della Federazione per il settore Diritti e Legislazione, Razzismo e Discriminazione. Ciascuno di noi si occupa di un'area specifica.

Vita: Quali soluzioni proponete?
Rizzin: Beh, non c'è una ricetta valida per tutti. Si deve sempre partire dal dialogo e partecipazione dei diretti interessati. Di certo prendere le impronte digitali ai bambini, come ha proposto Maroni, non contribuirà all'integrazione nelle scuole. Bisogna invece analizzare quali problematiche impediscono ad alcuni minori di avere un'istruzione. Inoltre, vanno riconosciuti i mediatori rom e sinti, perché i bambini delle nostre minoranze non vengano visti sempre come un ostacolo, ma come una ricchezza. Proponiamo poi un centro di orientamento professionale per adolescenti e adulti, tra i cui obiettivi c'è il recupero e reinserimento nel mondo del lavoro, la progettazione di interventi formativi per il recupero dei lavori tradizionali, la creazione di centri di lingua romanì e di storia e cultura di rom e sinti. Quanto alla casa, vogliamo il superamento dei campi nomadi, con soluzioni abitative adattate alle diverse situazioni, dalla casa alla microarea. E chiediamo la modifica del Testo Unico 380 del 2001 che considera abuso edilizio la sosta di roulotte o case mobili su terreni agricoli.

 

Intervengono:
Gian Carlo Corada - Sindaco di Cremona
Marco Niada - Corrispondente da Londra de "Il Sole 24 Ore" e autore di "La nuova Londra - Capitale del XXI secolo" - Garzanti editore
Dijana Pavlovic - Attrice e mediatrice culturale della comunità Rom
Ivan Scalfarotto - Partito Democratico

Modera il dibattito:
Alessandra Coppola - "Il Corriere della Sera"

MILANO - MM Lampugnano (mappa) alla libreria della Festa Democratica

sabato 6 settembre 2008 alle 21.00
 

 
Di Fabrizio (del 22/08/2008 @ 12:41:27, in Italia, visitato 1529 volte)

Ricevo da Agostino Rota Martir

Alzati gli occhi verso i loro elettori, Gasparri e Giovanardi così predicavano:

Beati voi ricchi, perché finalmente è ormai nostro il Regno dell'impunità e dell'affarismo.

Beati voi che ora siete sazi,
perché ora più nessuno potrà criticare o fermare la nostra abbondanza.

Beati voi che ora beatamente banchettate,
perché saranno altri a piangere e a dover tirare la cinghia.

Beati voi quando gli uomini ci ammirano e quando ci esalteranno adulandoci e i nostri avversari saranno visti come scellerati, a causa della nostra propaganda.

Ma guai a voi, poveri, vi dichiariamo guerra,
perché ora avrete ciò che vi meritate: la smetterete di rovistare nei cassonetti...sarete finalmente identificati e multati!

Guai a voi affamati perché non potrete più infastidire la gente per bene mendicando ai semafori delle nostre ricche città, vi denunceremo e poi prenderemo i vostri figli.

Guai a coloro che vivono piagnucolando le loro miserie, perché saranno consolati dall'esercito che proteggerà la giusta quiete delle nostre città e per il loro bene prenderemo le loro impronte.

Guai coloro che oseranno parlare male di noi, che siamo i nuovi messaggeri della vera divina Provvidenza, perché i nostri guardiani dell'ordine non permetteranno più che falsi profeti disturbino la sicurezza della nostra patria e si permetta di mettere in dubbio i nostri valori cristiani occidentali.
Meriteranno la sorte degli antichi profeti, come fecero i nostri padri verso costoro.

(dal vangelo della casa della libertà)

 
Di Fabrizio (del 20/08/2008 @ 15:55:04, in Italia, visitato 1905 volte)

Ricevo da Roberto Malini

COMUNICATO STAMPA - 19 agosto2008

Oggi, martedì 19 agosto, intorno alle ore 15, a Pesaro, di fronte al teatro Rossini, davanti alla gelateria "Lo Zio Marco" il giovane Ionut Grancea, 17nne Rom romeno, fratello dell'attivista Rom del Gruppo EveryOne Nico Grancea , è stato aggredito da un italiano mentre chiedeva l'elemosina di fronte al locale.

Il ragazzo è stato avvicinato dall'uomo, sui 35 anni, che, uscendo dalla gelateria, lo apostrofava con parole minacciose: "vattene subito di qui!". "Ho risposto che non stavo facendo niente di male, che sono povero e sono costretto a mendicare per sopravvivere" è riuscito a raccontare in preda al panico il giovane Ionut agli attivisti del Gruppo EveryOne che lo hanno soccorso. "Mi ha detto ‘vattene o ti brucio vivo". Alla minaccia, è seguito un violento pugno all'altezza della tempia sinistra e un breve inseguimento, con l'obiettivo di pestare a sangue il giovane.

"E' l'ennesimo, vergognoso episodio di violenza razzista che si verifica in Italia" commentano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, i leader del Gruppo EveryOne. "Negli ultimi tempi, fra Rimini, Pesaro e Fano si sono verificati gravissimi episodi di intolleranza razziale mai stigmatizzati dalle Istituzioni locali: il pestaggio di una ragazzina Rom incinta sulla passeggiata, di fronte a decine di italiani indifferenti; un giovanissimo Rom romeno schiaffeggiato, insultato e minacciato da razzisti italiani, sempre davanti a testimoni senza alcuna volontà di difenderlo; l'attivista Nico Grancea, membro del nostro Gruppo, minacciato di morte. E' necessario che le istituzioni, le autorità e la stampa locale assumano una posizione forte e smettano di voltare la faccia dall'altra parte di fronte ad azioni che ci riportano agli anni dei manganelli e dell'olio di ricino" continuano i rappresentanti di EveryOne. "Nessuno dei tanti che gustavano il loro gelato mentre Ionut veniva preso a pugni ha mosso un dito per fermare l'aggressore, né si è alzato dal proprio tavolo per soccorrere il ragazzo: la gente continuava indifferente a conversare, come niente fosse, e questo è un particolare ancora più raccapricciante".

Dopo l'intervento dei Carabinieri, che hanno identificato l'aggressore, rilevandone i dati grazie alla segnalazione della famiglia del ragazzo aggredito, Ionut è stato condotto al pronto soccorso dell'Ospedale San Salvatore dolorante, in preda a vertigini e in forte stato confusionale: per lui un "trauma contusivo della guancia e della regione zigomatica sinistra con arrossamento abraso, dolore e vertigini a seguito di percossa" e 5 giorni di prognosi.

"La città di Pesaro deve ritrovare il suo spirito democratico e accogliente", proseguono gli attivisti "perché nonostante le lodevoli promesse del sindaco Luca Ceriscioli relative all'avvio urgente di un programma di integrazione e sostegno, finora la piccola comunità Rom romena che vive in città ha subito ogni genere di vessazione e umiliazione e vive tuttora in condizioni di povertà ed emarginazione gravissime, nonostante la commissione del Parlamento Europeo in visita ai campi Rom d'Italia abbia scelto i suoi membri quali esempi della condizione di persecuzione cui è soggetto il popolo Rom nel nostro Paese. Oltretutto" affermano ancora Malini, Pegoraro e Picciau "è stato comunicato dalle autorità alle famiglie Rom di Pesaro che a fine agosto, contraddicendo le promesse del sindaco, verranno messe in mezzo alla strada. Ebbene, in quelle famiglie vi sono donne e uomini sofferenti di gravi patologie oncologiche e cardiache, bambini anche di pochi giorni e persone in condizioni di grave denutrizione. Questo sgombero contro cui il nostro gruppo si oppone con indignazione causerebbe un'ulteriore tragedia e un'ulteriore dimostrazione di natura xenofobica di fronte alla quale il sindaco Luca Ceriscioli non può restare indifferente. Ricordiamo" concludono "che la Questura della città di Pesaro ha affisso per le strade della città marchigiana, e nelle botteghe, locandine che ricordano gli anni delle leggi razziali. Una di queste locandine invita la cittadinanza a chiamare le autorità nel caso vedano per le strade nomadi. Questo in contravvenzione delle direttive del Parlamento Europeo, della Costituzione italiana e delle convenzioni internazionali che proteggono i diritti dei popoli e tutelano i diritti umani".

Il Gruppo EveryOne porterà all'attenzione immediata della Commissione Europea, del Parlamento Europeo e del Consiglio UE, il grado di indifferenza, approssimazione e negligenza con cui spesso autorità e istituzioni locali italiane reagiscono di fronte a episodi di matrice puramente razzista, lesivi dei diritti fondamentali e della dignità dell'individuo, come quello di oggi, e nel frattempo invita il sindaco Ceriscioli a condannare pubblicamente il gesto, esprimendo solidarietà al ragazzo e a tutta la comunità Rom colpita".

Per ulteriori informazioni:
Gruppo EveryOne
Tel: (+ 39) 334-8429527 – (+ 39) 331-3585406
www.everyonegroup.com :: info@everyonegroup.com

PS: Su Il Resto del Carlino

 
Di Fabrizio (del 20/08/2008 @ 08:43:13, in Italia, visitato 6442 volte)

Premessa: Articolo difficile da tradurre, come molti di quelli del Guardian, quindi scusate se ci sono delle imperfezioni (potete sempre leggerlo in lingua originale). Da leggere, anche se lunghetto, perché è un giornale di solito serio, perché ci sono molte testimonianze di Rom in presa diretta, e ovviamente per capire come siamo visti all'estero, oltre i confini di una stampa nazionale cloroformizzata. Ci sono alcuni punti che non mi convincono, ad esempio l'immagine di maniera di Napoli e soprattutto di Scampia, descritte come si fosse in set televisivo o come se il giornalista giocasse a fare l'esploratore appena arrivato che trancia giudizi senza sapere di cosa parla. Fatemi sapere, se volete.
Fabrizio

Da Roma_Italia

The Guardian
E' un'immagine che ha scioccato il mondo: due giovani Zingarelle sono rimaste adagiate morte per tre ore su una spiaggia italiana mentre, a pochi passi, una coppia spensierata faceva un piacevole picnic. Dan McDougall è andato nei campi Rom di Napoli per incontrare la madre delle due ragazze morte e ha trovato paura ed amarezza - ed un paese in pericolo di dimenticare il suo passato di estrema destra. Nelle foto: dentro al campo

Dan McDougall
The Observer, domenica 17 agosto 2008

Una giovane nel campo Rom illegale a 10 Km. da Pisa. Il campo è composto principalmente da Rom della Bosnia e del Kosovo. Photograph: Robin Hammond

Tirandosi i capelli l'un l'altro, i bambini Rom si azzuffano quando è il loro turno di passare i polsi scarni sopra le candele funerarie accese. Davanti allo stesso santuario Ortodosso, la loro nonna recita le preghiere al Signore in lamentosa lingua Romanì.

"Am Mora Dat con san ando cheri." Le parole lasciano la sua bocca con un bisbiglio mentre si fa il segno della croce e bacia un crocefisso d'oro che ha al collo. La bambina più piccola, non avrà più di quattro anni, fa la linguaccia e un gesto a V per vaffanculo e scappa fuori.

Il soffitto umido del prefabbricato di due stanze che gli Zingari chiamano casa sta per collassare. I fogli di cellophane alle finestre, guardano verso le pareti grigie del più malfamato carcere di Napoli, e sono così fragili vacillano nella debole brezza. Ci sono materassi dappertutto, per terra, appoggiati per proteggere dagli spifferi. Come i loro abitanti, sono sottili e lisi. L'unica concessione alla modernità è una gigantesca consolle nell'angolo, che fa fuoriuscire un DVD di registrazioni distorte di canzoni folk balcaniche. Il risveglio a cui stiamo assistendo nel più noto campo Romanì di Napoli è proseguito per 10 giorni. L'alcool è sparso per la stanza; nauseabondo straripa da tazze di plastica e bottiglie di Peroni, un bastardino mezzo cieco dorme adattandosi tra i resti di un migliaio di sigarette arrotolate.

Accanto ad un ritratto a seppia del riverito frate cappuccino, Padre Pio, una confusa stampa digitale della tredicenne Cristina e dell'undicenne Violetta Djeordsevic - le due sorelle la cui morte improvvisa nelle poco profonde acque di una spiaggia pubblica sulla costa amalfitana il mese scorso, hanno incapsulato la minaccia del razzismo nella moderna Europa. E' una tragedia che ha focalizzato l'attenzione internazionale sul bordo stracciato della più caotica città d'Italia. La gioventù e la bellezza delle ragazze nelle foto, stranamente, è come uno shock. Sinora, come molti, avevo visto soltanto i loro corpi prostrati, coperti da un corto telo da spiaggia, da cui fuoriuscivano soltanto i piedi, sulla spiaggia trasandata di Torregaveta, un decrepito sobborgo marino del golfo di Napoli.

La mattina del 17 luglio Cristina e Violetta, assieme alle loro cugine Manuela e Diana, erano andate come al solito dal misero accampamento in cui siamo seduti ad una delle spiagge di Napoli più popolari. Camminando per due miglia sino al più vicino mezzo di trasporto pubblico, e saltando a bordo del treno locale che fiancheggia le scogliere litoranee attorno alla città, le ragazze progettavano di vendere dei gingilli - piccole tartarughe di legno intagliate da migranti Nigeriani - ai turisti della baia. A Torregaveta, dopo una lunga e calda giornata senza vendite, le sorelline si sfidarono l'un l'altra tuffandosi dagli scogli in mare. Violetta saltò per prima e sparì, affondando tra le onde. Cristina, la più grande, si tuffò per salvarla. Sono annegate entrambe, una vicina all'altra.

Quello che è accaduto in seguito ha scioccato il mondo.

Le ragazzine sono state recuperate dal mare da un passante e più tardi dichiarate morte da un bagnino che ha prestato soccorso, mentre Manuela e Diana piangevano, battendo i loro piccoli pugni sui cadaveri.

Quando è arrivata la polizia, le loro cugine, turbate e sotto shock, sono state portate via per contattare i parenti. Sono stati usati due teli da spiaggia per coprire le due ragazze morte. Ed allora è successo qualcosa di straordinario.

La vita di spiaggia è ricominciata attorno ai corpi per tre ore sino a quando si è presentata un'ambulanza. Nell'immagine più toccante di tutte, una coppia mangiava con indifferenza il picnic osservando la scena. Un'altra lì accanto si lanciava un frisbee. L'indifferenza, ripresa da giornali e TV di tutto il mondo, è stata per l'elite liberale del paese la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La più alta autorità cattolica a Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, è stato il primo a precisare la grettezza dei sentimenti umani rappresentati dal comportamento di Torregaveta. "Cristina e Violetta" ha detto ai media italiani, "non hanno trovato altro che pregiudizio nella vita ed indifferenza nella morte; una verità imperdonabile."

A Roma, il governo si ritraeva. Maestri della realpolitik, sapevano che le morti di Cristina e Violetta, entrambe nate in Italia, ma di sangue completamente Rom, era arrivata in un brutto momento per la nazione, costretta nei mesi recenti a difendersi dai vicini europei dalle accuse di discriminazione contro Zingari e immigrati. Il Primo Ministro Silvio Berlusconi, balzato al potere per la terza volta con un programma sottilmente travestito anti-immigrati, era nel mezzo di un programma controverso ma populisti di prendere le impronte ai 150.000 Rom del paese, alcune famiglie delle quali sono in Italia dal medio evo. Secondo alcuni critici è diventato impossibile sottacere i toni fascisti di queste azioni, e puntualizzano il fatto che le prime espulsioni di Zingari ebbero luogo nel 1926 sotto Benito Mussolini. Gli eredi politici del dittatore, i "post-fascisti" di Alleanza Nazionale, sono ora partner di coalizione del governo Berlusconi.

A maggio di quest'anno, voci di rapimento di una bambina da parte di una Zingara a Napoli, innescarono un orgia di violenza contro i campi Rom di delinquenti che brandivano mazze ferrate, che diedero fuoco alle roulotte e spinsero via gli Zingari dalle loro baraccopoli in dozzine di assalti, orchestrati dalla violenta e conosciuta mafia locale, la Camorra. La risposta del governo Berlusconi? "Questo è ciò che accade quando gli Zingari rubano i bambini," ha scrollato le spalle Roberto Maroni, ministro degli interni ed alleato chiave di Berlusconi.

Per i 10 milioni di europei liberamente etichettati come Rom o Zingari, la vita è una processione senza fine di marginalizzazione e pregiudizio. Rinchiusi in accampamenti in tutto il continente, si stima che l'84% dei Rom in Europa viva sotto la linea di povertà. Forse ancora più scioccante è la mancanza di una foto più dettagliata. L'indifferenza e la riluttanza ufficiali da parte dei Rom stessi significa che i dati sull'aspettativa di vita, mortalità infantile, occupazione e tassi di scolarizzazioni sono dispersi. Tuttavia tutti sembrano più bassi di quelli della società maggioritaria.

La difficile situazione dei Rom è stata parte della vita europea sin dalla loro misteriosa migrazione dal Rajasthan attorno all'anno 1.000dc. La regina Elisabetta I fu la prima che cercò di espellere i Rom dall'Inghilterra. L'imperatore tedesco Carlo VI ordinò il loro sterminio nel 1721. In parte dei Balcani, i Rom furono venduti come schiavi sino alla metà del XIX secolo. Nel XX secolo, centinaia di migliaia di Rom perirono nell'Olocausto nazista, conosciuto dagli Zingari come il Porrajmos o "Divoramento". Perché Rom come Cristina e Violetta sono nate a Napoli ha più a che fare con l'eredità moderna nei Balcani. Nei primi anni '90, migliaia di Zingari attraversarono l'Adriatico dopo lo scoppio dei combattimenti in Yugoslavia e la pulizia etnica in Bosnia. Per molti degli Zingari, la maggioranza dei quali erano immigrati illegali, la Napoli senza legge era il posto dove potevano sparire nel caos.

Sono le 6,30 del mattino nel centro storico coperto di graffiti della vecchia Napoli. Due giovani preti passano rapidamente su una vecchia Vespa giallo canarino, il motore scoppietta per le strade silenziose. Passando col rosso e fiancheggiando l'entrata barocca della cappella di San Lorenzo Maggiore, i seminaristi accostano e abbandonano lo scooter. Sono in ritardo per le preghiere del mattino. Sotto le strette stradine acciottolate, lontano sotto di loro, c'è il porto e il Mediterraneo azzurro.

Scintillando all'alba, le acque della baia si allungano a ovest, verso la massa scura del Vesuvio e di Campi Flegrei, i "campi brucianti", i terreni vulcanici che i Greci una volta pensavano fossero i cancelli dell'inferno.

Qui la mattina arriva lentamente. Gli anziani, le cui fronti spiegazzate sono bruciacchiate e incrinate come terra asciutta, sono i primi ad emergere, seduti su sedie di plastica bianca per le strade strette fuori dai loro appartamenti mentre il baccano delle mogli filtra all'interno e continua con le faccende domestiche mattutine.

Armati di acqua saponata e spugne, un gruppo stracciato di operai municipali cerca di rimuovere centinaia di manifesti apparsi in città nottetempo. "Diritti per tutti". "Bianchi, neri, gialli, rossi. Stop apartheid now," proclamano sotto crude immagini di impronte digitali. Sotto i nuovi manifesti giacciono altri vecchi sbiaditi che chiedono la deportazione di massa degli Zingari e degli immigrati di Napoli.

"L'Italia è divisa su queste ragazze, sul destino dei Rom. E' stata punta la coscienza della gente. Puoi vederlo sui muri della nostra città," dice Francesca Saudino, la nostra guida del primo mattino e attivista della campagna di difesa legale con base a Napoli, assieme a Osservazione, un gruppo nazionale di pressione per i diritti dei Rom. "La reazione alla morte di queste ragazze va oltre qualsiasi cosa mai accaduta prima. L'avvenimento ha mostrato un realismo sociale che parte da lontano nel nostro paese: molti della classe lavoratrice pensano che i Rom non siano di più che animali, ed il governo sta usando questa xenofobia per avere voti e popolarità. La gente è confusa. Le morti di queste bambine rappresenta qualcosa di più, forse una lotta per l'anima d'Italia."

Stiamo capitando a Scampia, la zona di edilizia popolare più dura e senza legge d'Europa. Il tassista, riluttante a portarci là, non è socievole. Ci ha caricati "tripli" e non si stanca di ammonirci, sputando fuori le richieste ad ogni semaforo tra il fumo della sua sigaretta.

Scampia è la patria delle malfamate torri conosciute come Le Vele, il posto dove molti tossicodipendenti di Napoli vanno in cerca di eroina, crack e cocaina meno costose d'Europa. Una terra di outsider e fuorilegge che vivono ai margini della società, il quartiere è anche la casa della maggioranza dei Rom della città. All'ingresso municipale della proprietà, con un cenno all'Inferno di Dante, qualcuno con una bombola spray di vernice rossa ha scritto"Abbandonate ogni speranza voi che entrate."

La nostra prima vista è una serie di automobili bruciate. Sembra di essere nel quartiere Farza di Kabul. Gli edifici sembrano assediati da un disastro naturale. La maggior parte degli ascensori sono rotti. Tubazioni rotte fanno fuoriuscire acqua ovunque e i cortili esterni sono coperti di immondizia sino al ginocchio. L'aria odora di pneumatici bruciati. Dagli appartamenti grigi dei palazzi multipiano, diverse sentinelle esplorano le strade per segnalare la polizia o squadre antidroga. Scampia è stata a lungo una base chiave per il braccio narcotico della Camorra.

Il nostro guidatore ci lascia nel mezzo di Via Cupa Perillo accanto alla carcassa di una Fiat Punto. Segna l'ingresso al "Campo Autorizzato", l'unico campo Rom ufficiale di Scampia - circa duecento roulottes e prefabbricati messi insieme su uno sputo stretto di terra, oscurati dalle mura del noto Carcere Di Secondigliano. E' il posto dove sono nate Cristina e Violetta e dove hanno passato tutta la loro vita.

"E' una palude recuperata," dice Francesca. "Circa 700 Rom vivono senza acqua potabile, bagni, fognature, raccolta dell'immondizia, riscaldamento a norma o posti dove cucinare."

Quando stiamo per entrare, i bambini stanno giocando accanto agli escremento fuoriusciti da una toilette comunale a cielo aperto. In piedi nel centro della strada mal asfaltata ci sta aspettando Miriana Djeordsevic, la madre delle due ragazze. Addobbata in nero con leggere pantofole di seta ai piedi, stringe l'ultima fotografia delle sue figlie. L'atmosfera intorno è tesa. Nei giorni precedenti la morte delle ragazze, la famiglia estesa di Miriana era stata obbligata a fornire le impronte alle autorità. Nelle recenti settimane, i gruppi Rom di qui avevano protestato, indossando i triangoli neri che erano il segno che gli Zingari erano obbligati a portare nei campi di concentramento.

In casa di Miriana, ci viene offerta della vodka, versataci da un uomo tatuato coperto da catene e braccialetti d'oro. Ghignando attraverso i denti anneriti non offre presentazioni. La maggior parte delle donne di questo campo lavora come giornaliere nell'agricoltura, le altre, le anziane e i bambini, mendicano. Ma qualcuno degli uomini conduce uno di più grande traffici di automobili rubate dell'Italia meridionale. Altri, più nascosti, guadagnano dal vendere droga e violenza. Guardandosi attorno nella stanza è chiaro che questa economia in nero non produce benessere o salute o lusso, solo simboli di potere, salute ed avanzamento sociale tra gli uomini. I loro bambini semi-nudi e le moglie sembrano come donne e bambini nell'Africa sub-sahariana.

"Le ragazze sono annegate nel mare," mi dice fermamente Miriana. "Ci sono state chiacchiere sui giornali, che sono state uccise, che non c'è stato funerale. Sono annegate in mare, giocando innocenti com'erano. Il vero crimine è cosa è successo attorno a loro. Quella gente al mare, ha ignorato le bambine, come se fossero cani bagnati dal Mediterraneo. Le mie figlie non erano sotto-umane."

Miriana mi porge un'altra fotografia di Violetta. Posa con un vestito rosa crespato. "Voleva diventare ballerina. Non voleva andare a scuola. Voleva solo essere bella. Cristina aveva una cattiva influenza su Violetta.. Non le piaceva la scuola. Odiava vivere nel campo. La nonna ha detto che cercava solo di trovare il suo posto da qualche parte, ma non sarebbe diventata una donna forte. Aveva la voglia e la determinazione. Soprattutto voleva poter andare nei negozi della città, scegliere i vestiti senza essere cacciata dalla polizia. Ritagliava i vestiti dalle riviste e sopra vi incollava la sua testa. Era il suo modo di scappare. Violetta guardava solo. Adorava la sua sorella grande."

"Nei giorni seguenti la loro morte, un prete cattolico ci ha visitato e s'è scusato per la gente alla spiaggia, dicendo che non avevano capito la situazione. Gli ho chiesto perché gli Italiani ci odiano, perché guardavano i corpi delle due ragazze morte spalmandosi la crema solare e non ho avuto risposte. Ha pianto e mi ha detto che anche i Rom sono figli di Dio. Gli ho detto che non sembrava. Siamo quelli che gli Italiani rimproverano per la povertà fuori dal campo. Quella è colpa loro, non nostra, non delle mie figlie."

Miriana ha a malapena 30 anni, ma sembra di dieci più vecchia. Si è sposata a 14 e madre di cinque nei primi vent'anni, è scappata da giovane al confine serbo-bosniaco, sperando in una nuova vita in Italia. Tre dei suoi figli sopravissuti non sono andati a scuola. Il più piccolo non ha il certificato di nascita. Loro semplicemente non esistono. Una delle ultime cose che fecero a Cristina e Violetta fu prendere loro le impronte. "Cristina e Violetta diedero le impronte poco prima di morire. Violetta era sconvolta. Corse fuori e iniziò a piangere. Pensava che la polizia fosse venuta per portarla via. Cristina era arrabbiata e fregò l'inchiostro dalle dita. Aveva capito tutto. Sapeva che eravamo trattati da animali. E' morta sapendo che non aveva speranze di una vita migliore."

Più tardi, mentre camminavamo attorno al campo, abbiamo incontrato sguardi intimidatori. Un uomo ha sputato ai miei piedi. La presa delle impronte, parte di più vasti severi provvedimenti verso i 3,5 milioni di recenti immigrati economici, ha portato un atmosfera di retorica isteria sul crimine e la sicurezza, e lasciati i Rom più amareggiati di prima. Le organizzazioni cattoliche dei diritti umani hanno condannato la presa delle impronte agli Zingari come "evocante ricordi spaventosi" della persecuzione nazista. Il capo rabbino di Roma ha insistito questa settimana che "dev'essere fermata ora". Amos Luzzato, ex capo dell'Unione Italiana delle Comunità Ebraiche, ha detto che la politica delle impronte ricorda "i giorni in cui non potevo andare a scuola, e la gente mi indicava dicendo -Guarda mamma, è un Ebreo-. Questo è un paese che ha perso la sua memoria."

Ma Massimo Barra, capo della Croce Rossa Italia, che ha monitorato il processo, settimana scorsa ha insistito che lo scopo era di integrare i Rom nella società italiana. Se ai bambini verranno prese le impronte, sarà fatto "come un gioco", ha detto. "Stiamo costruendo ponti, non muri."

Ufficialmente, le ragioni del programma delle impronte appare abbastanza semplice: permetter al governo di compilare un censimento accurato ed assicurare che i bambini zingari vadano a scuola. Ma i gruppi dei diritti umani sono preoccupati. Come parte delle misure anti-immigrazione, il primo ministro ha anche istituito commissari speciali che "trattino" con gli Zingari nelle tre maggiori città - Napoli, Milano e Roma.

Secondo Francesca Saudino, la presa delle impronte è al cuore dell'angoscia e del disincanto provato dai Rom. "La destra italiana rimprovera ai Rom la maggior parte dei crimini da strada, in particolare sui bambini mandati dagli adulti a rubare," ci ha detto. "Questa è un'inesattezza isterica. Si stimano 152.000 Rom nei 700 campi in Italia ed il Ministro degli Interni spera di smantellarli tutti. Il 30% hanno la cittadinanza italiana, ma il resto sono migranti, molti dalla Romania e dai Balcani. Sospettiamo che gli Zingari vengano identificati solo così da essere espulsi."

Ha aggiunto: "Un terzo dei bambini napoletani non va a scuola del tutto o deve ripetere l'anno. L'analfabetismo qui è a livelli di Terzo Mondo. I bambini che vivono nelle periferie, nei quartieri spagnoli e a Piscinola, San Giovanni a Teduccio, Poggioreale, Secondigliano e Torre del Greco, sono tutti uguali, odiano la scuola, i loro maestri e la selettività del sistema. Odiano anche l'Italia e gli Italiani. Molti sono figli di immigrati Russi, ma non vengono loro prese le impronte o trattati da fuorilegge. Non si può avere una legge per i Rom e una legge per chiunque altro."

Al centro dell'argomento, secondo i gruppi dei diritti umani, ci sono diversi politici chiave . Uno di loro è Umberto Bossi, capo della Lega Nord, un piccolo partito di ex fascisti rinnovati, forze anti immigrati e tradizionali conservatori. Bossi è emerso come influente, il giocatore chiave nel ritorno di Silvio Berlusconi al potere durante le recenti elezioni e molti ritengono continuerà a fare la voce grossa. A Bossi e ad altri tre membri del suo partito sono stati offerti posti nel nuovo gabinetto, incluso il Ministero degli Interni, che sorveglia la politica e la sicurezza domestica. Bossi è quello che una volta sostenne di voler sparare ai battelli che portavano gli immigrati sulle coste italiane.

La Lega Nord è apparsa nei primi anni novanta come il partito che richiedeva la secessione dell'Italia del nord più agiato dal resto del paese. Il partito in questi giorni ha abbassato i toni della retorica secessionista. Invece, chiede una maggiore autonomia e la "devoluzione" dei poteri dal governo centrale alle regioni. Bossi è stato nominato Ministro delle riforme nel nuovo governo, una piattaforma ideale per cambiare la legge e dare più autonomia al nord.

Un altro gabinetto è andato al folcloristico Roberto Calderoli della Lega Nord, ricordato per essere apparso in TV con una T-shirt blasonato di una vignetta del profeta Maometto, e per organizzare parate con maiali dove i musulmani vorrebbero costruire una moschea. L'altro principale alleato di Berlusconi al governo è Alleanza Nazionale, un partito formato dai successori fascisti di Mussolini. Il suo leader, Gianfranco Fini, che ha lottato per distanziarsi dal suo passato neofascista, è diventato presidente della Camera dei Deputati.

Tuttavia Giuliano Ferrara, ex ministro per i rapporti con il Parlamento del primo governo Berlusconi ed ora redattore prominente ed opinionista TV, reclama che la crescita della destra è un mito. "Era interamente prevedibile che una volta che Berlusconi fosse tornato al potere, sarebbe apparso un coro greco per ammonirci tutti che la democrazia italiana era in pericolo, che l'Italia voleva introdurre le deportazioni di massa e i campi di concentramento," ha detto. "In realtà, le violenze contro immigrati e Zingari sono state limitate." Il vero problema," dice Ferrara, è che l'Italia, più di ogni altro paese in Europa, ha dovuto far fronte con un afflusso di immigrati che finiscono a vivere in povertà ai margini delle città - i margini dove vivono i più poveri. Non c'è persecuzione etnica in Italia," insiste Ferrara. "Fare confronti con quanto successe agli Ebrei, che furono sterminati, è irresponsabile."

Ironicamente, l'Europa si presume sia nel mezzo del "Decennio dell'Inclusione Rom", un progetto lanciato dalla UE nel 2005 quando i governi dei paesi con la più vasta popolazione Rom - Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Macedonia, Montenegro, Romania, Serbia and Slovacchia - concordarono di eliminare il divario nell'istruzione, impiego, salute e alloggio. Chiedete agli stessi Zingari, vi diranno che ha avuto scarsi effetti sulle loro vite. L'Open Society Institute, fondato dal miliardario George Soros, che ha largamente appoggiato i Rom, disse in un recente rapporto che molti governi vedevano la risposta al problema Rom intermini di "misure sporadiche" più che di politiche coerenti. Quando gli fu chiesto qual'era il cuore del problema, un membro del Parlamento Europeo rispose: "Guarda. Noi vogliamo aiutarli. Non manchiamo di leggi o di soldi. Il problema è la volontà politica in paesi come l'Italia e, ultimamente, gli stessi Rom - molti non vogliono essere parte della società, anche se la società sta tentando di aiutarli. Non c'è fiducia, solo amarezza e scetticismo. Nel caso dell'Italia, da ambo le parti."

"Mi chiamo Veronica Selimovic e sono italiana," piange la piccola zingara a piedi nudi mentre salta agilmente tra il fango e le pozze d'olio nel Campo Nomadi Aurelia ai margini di Roma. I giovani stanno tra i relitti delle automobili e carrozzerie arrugginite, fumando sigarette di contrabbando. Tutt'intorno a noi ci sono pneumatici bruciati, cartucciere, preservativi. Gli Zingari sono agitati. Sembrano pronti a partire nel mezzo della notte, dicono per una buona ragione. La figura politica che ora presiede sui loro campi, è Gianni Alemanno di Alleanza Nazionale, che ad aprile è stato eletto sindaco di Roma. Come ha assunto la funzione, i suoi supporter hanno fatto il saluto romano, cantando "Duce, Duce".

Maneggiando una fotografia in bianco e nero di suo padre, gli occhi glaucomici della sessantenne Satka Selimovic lacrimano mentre lei ricorda la sua vita ai margini della società italiana. "Sono nata in Italia, vicino a Venezia, dopo la II guerra mondiale. La mia famiglia pensava che la vita ci avrebbe offerto una seconda possibilità. Ho raccontato la stessa cosa ai miei bambini, che la vita sarebbe cambiata in meglio e loro lo raccontano a Veronica, la mia nipotina. La gente dice che siamo astiosi e da rimproverare perché di auto-isoliamo, ma noi diciamo ad ogni nuova generazione di Rom che saranno inclusi ed accettati, ed ogni volta assomiglia a un tradimento."

 
Di Fabrizio (del 18/08/2008 @ 08:54:34, in Italia, visitato 1720 volte)

Ricevo da Roberto Malini

La Croce Rossa definisce le condizioni dei Rom in Italia "peggiori che in Uganda"

Roma, 17 agosto 2008. Gli effetti del caldo hanno colpito in modo grave gli insediamenti Rom in Italia, favorendo il diffondersi di infezioni micotiche e batteriche e aggravando malattie respiratorie, cardiache, dell'apparato digerente e neurologiche. L'assistenza sanitaria per i Rom è praticamente inesistente, così come vengono loro negati farmaci essenziali, che solo in alcuni casi vengono prescritti dai medici, ma a pagamento. Per alleviare gli effetti di alcune patologie, sarebbe necessario aumentare il consumo d'acqua, ma nessuna misura è stata presa dalle istituzioni per adeguare gli insediamenti alle esigenze di acqua potabile. Al contrario, le famiglie Rom vengono sgomberate a un ritmo quotidiano dai microinsediamenti, rendendo sempre più grave, fra l'altro, il problema della carenza idrica. E senza acqua, oltre che senza cibo e farmaci, i bambini, gi anziani, i più deboli si ammalano in modo grave e muoiono. Massimo Barra, presidente della Croce Rossa Italiana (organizzazione che solo di rado diffonde notizie sanitarie che possano incrinare l'immagine delle Istituzioni razziste) ha dichiarato all'AGI che le condizioni dei Rom nella Capitale sono peggiori di quelle dei villaggi poveri dell'Uganda: "Recentemente sono andato a visitare un gruppo di donne sieropositive che vivono alla periferia di Kampala, in Uganda, le ho trovate in una condizione migliore. L'Italia, però, prosegue una persecuzione che non tiene conto in alcun modo dei diritti umani dei "nomadi". Anziché adottare - di fronte all'aumento esponenziale della mortalità, dell'insorgere e dell'aggravarsi delle patologie da precarietà - misure sociali e sanitarie, continua a dedicare ingenti risorse all'attuazione di sgomberi senza alternative abitative, di misure poliziesche e militari, nonché di un'inutile schedatura, effettuata con approssimazione nei confronti di comunità che vengono cacciate da un luogo all'altro. La presenza della Croce Rossa dà l'illusione di un programma di assistenza ai Rom che in realtà non esiste ed è ormai intollerabile che l'Unione europea e le Nazioni unite, nonostante le parole e i proclami spesi, restino a guardare - come settant'anni fa - la distruzione di un popolo e di un modello di civiltà, rispettosa dei diritti umani, che l'Europa vorrebbe incarnare.

*E' un'iniziativa del Gruppo EveryOne rivolta agli attivisti, agli "amici dei Rom" e soprattutto ai giovani giornalisti che rifiutano l'asservimento dell'informazione e della cultura al potere e sono disposti a rischiare (anche la carriera, ma non la coscienza) per mettersi al servizio della verità. Da parte nostra, offriremo loro la possibilità di incontrare testimoni, visionare documenti e visitare i luoghi della persecuzione, per riferire ai cittadini ciò che davvero accade al popolo Rom nel nostro Paese. Tel: (+ 39) 331-3585406 - (+ 39) 334-8429527 - www.everyonegroup.com :: info@everyonegroup.com

 
Di Fabrizio (del 13/08/2008 @ 14:50:35, in Italia, visitato 1793 volte)

Ricevo da Maria Grazia Dicati

La disobbedienza dei rom - Enrico Miele - da il Manifesto, pag. 1 del 13/08/08 (disponibile online domani)

ROMA - "Siamo tutti identificati". Saranno rimasti sorpresi i volontari della Croce rossa sentendo la risposta dei 40 rom che occupano lo stabile di via delle Cave di Pietralata, nella zona Quintiliani a Roma. Lunedì mattina la Croce rossa si era presentata nel vecchio capannone del quartiere a est della capitale. Nella lista degli operatori quel campo non era ancora stato censito. Quello che la Croce rossa non sapeva è che lì abita una comunità di rom rumeni, presente in Italia da oltre otto anni. "Siamo tutti iscritti negli elenchi dell'Asl, abbiamo la tessera sanitaria prevista per i neo-comunitari e non capiamo la ragione di un'ennesima identificazione" rispondono gli occupanti ai volontari. Che fanno marcia indietro, con l'impegno di ripassare a settembre. Una sorpresa, ma relativa. "Controlli ne subiscono spesso da parte delle forze dell'ordine" dice Claudio Graziano, responsabile solidarietà dell'Arci che sostiene l'occupazione dei rom. "Questo non è il classico insediamento, qui hanno un progetto di autorecupero dello stabile per ricavarne abitazioni". L'Arci ha già raccolto 1500 firme tra gli abitanti del quartiere. Nel capannone occupato non ci sono soltanto rom ma anche italiani. "Il loro è un progetto comune - precisa Graziano - con un'area di verde pubblico per il quartiere, come previsto dal sistema Sdo e mai realizzato". Lo Sdo (sistema direzionale orientale) è il progetto di riqualificazione dell'area est della capitale. Previsto fin dal '90, non è mai stato portato a termine. "Ci chiediamo perché la Croce rossa sia venuta - conclude il rappresentante dell'Arci - qui i rom sono responsabilizzati e i bambini vanno a scuola accompagnati direttamente dai genitori". La comunità rom ha occupato l'area lo scorso 14 febbraio perché minacciata di sgombero nel precedente campo di fortuna in via dei Quintiliani. Un gesto per rispondere alle proprie necessità abitative. Un'occupazione che ha "migliorato la qualità della vita di oltre 60 persone" come sottolinea anche il movimento romano di lotta per la casa, sceso ieri in difesa della comunità. Con il sostegno delle associazioni del territorio (Arci, bottega "Tutti giù per terra", DiversaMente e altre) il campo rom ha avviato un dialogo costruttivo con le istituzioni del V municipio di Roma, la parrocchia e le scuole del quartiere. Insomma, un caso d'integrazione reale che andrebbe valorizzato. La reazione avuta dai rom sorprende il presidente della Cri, Massimo Barra: "È la prima volta che succede. La natura dell'insediamento è indifferente per noi, in quanto la nostra missione è fornire assistenza umanitaria. I problemi li pongono gli assistenti e non gli abitanti. Temo gli intellettuali o i burocrati, non i rom". In realtà il censimento dei campi nomadi è facoltativo. Chiunque ha la possibilità di sottrarsi, se vuole. A maggior ragione se, come nel caso del campo in via Quintiliani, i rom sono già registrati presso l'Asl e posseggono la regolare tessera sanitaria prevista per i cittadini dei paesi recentemente entrati nella Ue (Bulgaria e Romania). "Se il censimento è facoltativo significa che non si può imporre. Ed allora dov'è il problema se una comunità decide di sottrarsi? - si chiede Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell'Arci -. Se i rom di via Quintiliani hanno già assistenza sanitaria perché dovrebbero sentire l'esigenza di prendere la tessera della Croce rossa?". Nel frattempo, anche se i riflettori sul censimento negli insediamenti abusivi si sono abbassati, l'operazione della Croce rossa prosegue. Fino a oggi a Roma sono stati venti i campi nomadi visitati dai volontari. Le persone identificate sono 620, appartenenti a 123 diversi nuclei familiari. Tra loro i minori sono 288.

 
Di Fabrizio (del 11/08/2008 @ 00:15:54, in Italia, visitato 1532 volte)

Ricevo da Maria Grazia Dicati

ciao Fabrizio, ti invio due articoli pubblicati da Repubblica: uno si riferisce alla cronaca di una bomba molotov lanciata contro i sinti a Firenze che non ha avuto il clamore dei media e l'altro un commento di Adriano Prosperi su questa vergognosa vicenda

Molotov contro i sinti
Sono sbucati dal buio alle 22, attraversando una strada che taglia i campi intorno al parcheggio. Con il volto coperto, a bordo di un quad, una moto a quattro ruote, hanno lanciato una molotov. Un assalto incendiario, repentino, messo a segno da due persone contro una delle auto della carovana di nomadi in transito a Stabbia, che lunedì sera aveva fatto tappa in una piazzola della zona industriale nella frazione del Comune di Cerreto Guidi. Tutti di etnia sinti e con la cittadinanza italiana, erano arrivati alle 19 con una ventina di auto.

Dalle forze dell´ordine avevano ricevuto le autorizzazioni per sostare una notte, con la promessa di ripartire dopo poche ore, nella mattinata. La bottiglia scagliata dalle due persone a bordo del quad non è esplosa, la fiamma dello stoppino non si è propagata alla benzina. L´impatto con l´auto ha provocato solo un´ammaccatura e un po´ di spavento per i sessanta sinti che si erano fermati per la notte in uno dei grandi parcheggi di via della Repubblica e che in quel momento erano lontani dai veicoli.

Alle indagini stanno lavorando i carabinieri di Cerreto Guidi e il nucleo operativo di Empoli. Dalle prime testimonianze raccolte fra i nomadi, che ieri all´alba sono subito ripartiti dirigendosi verso Pisa, a gettare la bottiglia incendiaria sarebbero stati in due. Una delle ipotesi porterebbe a un gruppetto di ragazzi italiani del posto, altre parlano di una bravata di due giovani, un balordo attacco sferrato per noia e andato a vuoto.

Ma che ha spinto Pietro Suchan, il pm d´urgenza che coordina le indagini, a ipotizzare i reati di detenzione e porto di armi da guerra e tentato incendio doloso. Sono queste le accuse intorno a cui ruotano le indagine e per ora a carico di ignoti. La procura della Repubblica non contesta l´aggravante della discriminazione razziale che, però, non è escluso possa emergere nelle prossime ore.

L´episodio ha sollevato le reazioni del mondo politico toscano. Il vicepresidente della Regione, Federico Gelli, ha parlato di un «segnale grave, anche per una regione come la Toscana che si è sempre distinta per civiltà e per capacità di accoglienza e integrazione», sottolineando che si tratta di «un episodio da non sottovalutare» per le possibili implicazioni razziste. E una «ferma condanna» è quella espressa dal presidente del consiglio regionale, Riccardo Nencini, che invita a «tenere alta l´attenzione contro derive xenofobe»

L´attacco ai nomadi nella zona industriale di Stabbia preoccupa anche il sindaco di Cerreto Guidi, Carlo Tempesti: «Non capisco a chi potessero dare fastidio. Sapevano di non potersi accampare, ma avevano ricevuto l´autorizzazione per la sosta dai nostri vigili urbani e dalle forze dell´ordine. Da quello che mi hanno detto i carabinieri potrebbe trattarsi anche di una ragazzata, ma se si trattasse di odio razziale sarebbe molto grave, il frutto delle politiche che in questo momento, nel nostro Paese, non vanno certo in direzione dell´accoglienza».
di Mario Neri Repubblica 30 luglio 2008

Lo stato dei diritti in Italia
Qui si commenta una non notizia, un silenzio. Si dice: cane che morde uomo non fa notizia. E' la massima fondamentale del mondo dell' informazione: quel che è abituale, ripetitivo, fissato nelle regole della natura e non vietato dalla legge non fa notizia. Applichiamo la regola a un fatto dei nostri giorni. Un fatto a tutti gli effetti grave - una tentata strage - che però non ha fatto notizia. Ecco il fatto: nella tarda serata di lunedì 29 luglio anonimi attentatori a bordo di un "quad" hanno lanciato una bottiglia molotov contro roulottes in sosta nell' area industriale di un piccolo centro toscano. L' atto criminale è rimasto solo potenzialmente assassino perché la molotov non è scoppiata. Un caso fortunato, che non riduce la responsabilità di chi ha tentato di uccidere. Eppure la notizia, emersa per un attimo nella cronaca (ad esempio, su Repubblica del 30 luglio, sezione Firenze, pag. 7), è affondata immediatamente nel silenzio. Chi scrive queste righe ha tentato di capire meglio i fatti e soprattutto i silenzi attraverso un contatto diretto con gli abitanti di un luogo che gli è per ragioni biografiche specialmente familiare. Ma si è dovuto arrendere davanti a gente distratta, disinformata, simpatizzante più o meno apertamente per gli attentatori. Molti affettavano di non sapere, pochi ammettevano che si era trattato di cosa spiacevole, ma minimizzando: una ragazzata, un gesto innocuo, che aveva fatto pochi danni (appena una carrozzeria ammaccata). Il resto, il pericolo corso da una famiglia, lo spavento di bambini e adulti, la loro rapida decisione di fuggire dal luogo dell' aggressione, non sembrava suscitare nessuna partecipazione. Bilancio: solidarietà evidente con gli autori dell' attentato, ostilità verso chi ne era stato minacciato. Quasi un clima mafioso. Ma a differenza dei casi di mafia, in questo caso omertà e silenzio locali hanno avuto un riscontro nazionale. Il silenzio è rapidamente calato sul caso . E le indagini ufficiali, che di norma qualcuno deve pur svolgere, non avranno vita facile. L' enigma ha una soluzione facilissima. Nel luogo dell' attentato era in sosta per la notte una carovana di automobili e roulottes di nomadi sinti. Solo per caso non ci sono stati dei morti: nelle roulottes c' erano dei bambini. E ancora una volta, come accadde anni fa al criminale che, non lontano da quel piccolo centro toscano, pose in mano a una piccola mendicante zingara una bambola carica di esplosivo, i potenziali assassini sono stati coperti dalla solidarietà collettiva . Chi conosce la banalità del male, la quotidiana serpeggiante avanzata della barbarie che precede e sostiene le modificazioni profonde dei rapporti sociali, tenga d' occhio l' episodio. O meglio: annoti il silenzio che ha inghiottito quella che solo per caso è stata una mancata tragedia. Ne è stata teatro una regione - la Toscana - che è d' obbligo definire «civile». Non si sa bene perché. «Civile» appartiene all' esercizio dei diritti e dei doveri di cittadinanza. Da quando la specie umana ha riconosciuto in documenti solenni che non deve esistere nessuna differenza di dignità e di diritti tra i suoi membri, la civiltà si definisce dall' assenza di razzismi e dalla lotta contro le discriminazioni di ogni genere. E la cultura che si studia e si insegna ha la sua misura fondamentale nell' educare ai valori della cittadinanza attiva. Certo, la Toscana ha un patrimonio grande di cultura. La sua economia ne vive: cultura di terre incise dal lavoro come da un sapiente bulino, disegnate nelle opere di una grandissima tradizione pittorica. Bellezze naturali e bellezze d' arte vi sono inestricabilmente legate. Anche patiscono insieme le minacce del mercato. Per esporre meglio la merce si affaccia periodicamente nelle opinioni locali la proposta di eliminare dalla vista dei clienti le presenze sgradevoli: i "vu cumprà", i mendicanti, gli storpi e naturalmente gli zingari. "Corruptio optimi pessima", diceva la massima antica: la caduta è tanto più pericolosa quanto più dall' alto si precipita. Gli abitanti della regione che vanta tra i suoi titoli di nobiltà la prima abolizione legale della pena di morte oggi ospitano e nascondono un virus antico e pericoloso. Non sono i soli. E non basterà il voto di condotta restaurato nelle scuole a educare i futuri cittadini se chi getta una bottiglia molotov contro gli zingari viene impunemente vissuto dalla collettività come «uno di noi»: noi in lotta contro loro - i diversi, i senza diritti. Un' ultima osservazione: l' ostilità nei confronti dei nomadi, degli zingari, è antica e diffusa, in Toscana come in tutta Italia. Ma nessuno aveva mai pensato di ricorrere alle molotov contro di loro. E' un salto di qualità senza precedenti, il gradino più alto toccato da aggressioni e tentativi di linciaggio che non fanno nemmeno più notizia. E una cosa è evidente: non ci saremmo mai arrivati senza la campagna di diffamazione e di criminalizzazione condotta da partiti politici di governo e senza la recente legittimazione giuridica della discriminazione nei confronti delle presenze «aliene» - zingari, immigrati clandestini, esclusi dalla comunità («extracomunitari»). Il cattivo esempio viene da chi ha la responsabilità di governare gli umori collettivi e non sa rinunziare a eccitarli. Se quella molotov fosse esplosa, oggi saremmo qui a contare le prime vittime di una campagna irresponsabile alimentata dall' alto. Chi favoleggia di proteste in difesa dei diritti di libertà in Cina cominci a prendere sul serio quel che si dice nel mondo sulla situazione dei diritti umani in Italia. –
Repubblica — 09 agosto 2008 ADRIANO PROSPERI

 
Di Fabrizio (del 06/08/2008 @ 08:56:08, in Italia, visitato 3461 volte)

28 luglio 2008 - Nei mesi scorsi l'Italia è stata sotto i riflettori per l'aumento degli attacchi e la crescita del pregiudizio razziale contro le sue comunità Rom e Sinti.

Opera Nomadi è la principale organizzazione che lavora con le comunità nomadi in Italia. Molti dei suoi componenti sono Rom e Sinti. Guida progetti sull'istruzione, la sanità, l'abitare e le relazioni comunitarie nelle città italiane, incluse Milano, Roma, Napoli e Padova.

Matilde Ceravolo, dell'MRG, ha parlato col Vice Presidente dell'Opera Nomadi, Maurizio Pagani (in foto), sul peggioramento della situazione per i Rom in Italia.

Quali sono le vostre relazioni con le autorità locali italiane?

I sindaci italiani tendono a delegare il lavoro con le comunità Rom a terze parti, spesso OnG. Il problema è che non coinvolgono o consultano le comunità stesse. Buona parte del lavoro dell'Opera Nomadi è facilitare il dialogo e la mediazione culturale.

Recentemente il lavoro è diventato sempre più difficile. Ci sono delle distinzioni tra le città, che dipendono dalla posizione politica dei sindaci, ma generalmente ci sono forti contraddizioni nelle politiche sociali implementate da tutti i partiti. Riguardo le comunità nomadi, il contesto politico e sociale è andato sempre più peggiorando durante gli ultimi due anni.

Può spiegare come la situazione delle comunità Rom e Sinti sta peggiorando in Italia? Cosa sta causando questa situazione?

Da luglio, il governo ha adottato misure discriminatorie, ad un livello mai visto nel passato. Le comunità Rom e Sinti si sentono minacciate ora come mai prima. Crediamo che ci sia un serio rischio di discriminazione etnica e che ci stiamo avvicinando verso il disegno di politiche pubbliche discriminatorie.

Tuttavia, questo non dev'essere visto soltanto come una parte di un'ondata anti-nomadi. Quanto sta accadendo adesso è parte di più vaste politiche migratorie. Negli ultimi anni, il dibattito politico sulla migrazione ha assunto forti toni demagogici. L'Italia è stata sul lato sbagliato di massicce migrazioni dall'Est Europa, soprattutto dalla Romania, da quando quel paese ha raggiunto la UE. Molti di quei migranti erano Rom rumeni, a cui è stata data l'unica possibilità di sistemarsi in campi alle periferie delle città, creando nuove baraccopoli. La presenza di queste comunità di Rom rumeni ha poi creato forti conflitti sociali nelle periferie, e questo ha recentemente attirato più attenzione sui Rom e si è trasformato in una crescente ondata di razzismo.

Campo di Rom rumeni, Milano - Paolo Poce

Ma la vera ragione per cui accadono questi esplosivi conflitti sociali è che l'improvvisa migrazione dalla Romania non è stata gestita adeguatamente. Non ci sono state politiche dell'emergenza, sono state abbandonate le politiche dell'integrazione. Le istituzioni non hanno facilitato il processo, non hanno offerto soluzioni, ed hanno terminato discriminando i migranti su base etnica. Le questioni sociali affrontate dai Rom sono state trattate come qualcosa di differente dall'assistenza sociale a cui hanno diritto gli altri cittadini.

Qual'è la sua opinione sulle misure che sta adottando il governo, come registrare tutti i Rom e prendere le impronte digitali ai bambini?

Avevamo in precedenza denunciato i Prefetti di Roma, Milano e Napoli a cui è stato dato il ruolo di "Commissari Speciali sull'Emergenza Rom" col compito di sviluppare il censimento della popolazione Rom, dicendo che questo non sarebbe stato un comune censimento della popolazione, ma sarebbe stato basato sull'etnia... Avevamo ragione.

Metà della gente Zingara nel paese sono cittadini italiani, che hanno gli stessi documenti di ogni altro cittadino italiano. Nondimeno, come parte di questo censimento, è richiesto loro di mostrare i loro documenti, che vengono fotografati e tenuti in uno speciale archivio parallelo, differente dal registro civile usato per tutti gli altri, Sfortunatamente, anche la Croce Rossa Italiana sta partecipando al censimento.

Riguardo alle impronte, anche se molto ne è stato scritto, al momento è accaduto in pochi casi, con l'eccezione di Napoli. A Roma, il Commissario Speciale ha avuto il coraggio di dichiarare che rifiutava di prendere le impronte, tranne in casi eccezionali, dove fosse altrimenti impossibile identificare la persona.

La società civile, e specificatamente l'Opera Nomadi, cosa stanno facendo per rispondere a questa situazione?

Abbiamo immediatamente preso alcune azioni legali. Sono informato di due casi in Lombardia dove sono stati citati i diretti responsabili della presa di impronte (polizia e carabinieri). L'Opera Nomadi sta appoggiando una famiglia di Rom italiani fornendo assistenza legale al caso.

Abbiamo anche deciso di denunciare pubblicamente la sfaccettatura discriminatoria di questa misura. Critichiamo la mancanza di politiche pubbliche effettive nell'affrontare i problemi delle comunità nomadi. Siamo a conoscenza che i problemi esistono, ma sinora non abbiamo visto nessuna politica volta ad affrontare problemi come l'accesso all'istruzione, al  lavoro, alla casa, di queste comunità. Abbiamo scritto al Prefetto di Milano offrendo di incontrarsi e discutere tutti questi argomenti. Stiamo ancora aspettando una risposta, e siamo ancora aperti al dialogo.

La società civile generalmente ha  esercitato una pressione critica su chi deve prendere le decisioni. La "Federazione Rom e Sinti", che include rappresentanti di ogni comunità, è stata molto attiva.

Roberto Maroni, Ministro degli Interni, sta presentando la presa delle impronte come un'azione umanitaria. Ha dichiarato che lo scopo è fornire cittadinanza a quei bambini che sono stati "venduti, abbandonati, lasciati a chissà chi". Può commentare?

In Italia abbiamo un immenso problema dei bambini nati senza cittadinanza. Riguarda principalmente i Rom dell'ex-Yugoslavia, che non hanno assolutamente documenti d'identità o cittadinanza. Non viene neanche assegnato loro un certificato di apolidia. Stimiamo che siano circa 15-20.000. Opera Nomadi non può ma accoglierebbe con favore una decisione che garantisse loro la cittadinanza.

Sfortunatamente, quello che il signor Maroni suggerisce, riguardo solo i minori che sono stati vittime di violenze terribili, che sono stati allontanati dai genitori dai tribunali, o quelli che non hanno famiglia. Secondo l'Osservatorio Minori, nel 2007 c'erano 8.000 casi simili nei registri (il numero reale è chiaramente superiore). Molti di questi casi sono di stranieri, ma i Rom sono probabilmente non più di poche centinaia. Molti di questi bambini vengono dal Maghreb. Sono messi sotto la protezione dei servizi sociali, ma perdono la loro condizione quando compiono diciott'anni. A loro non viene fornito nemmeno un permesso di lavoro, e spesso rimangono senza cittadinanza.

Campo di Rom rumeni, Milano - Paolo Poce

In questa situazione, che il signor Maroni voglia loro garantire la cittadinanza è certamente una buona notizia. Nondimeno, dev'essere chiaro che è solo una forma di protezione per un gruppo molto specifico. Non cambia il fatto che la legge italiana sulla cittadinanza abbia bisogno di una riformulazione radicale. Non è accettabile che famiglie che sono qui da 4 generazioni non possano ancora ottenere la cittadinanza.

Due notti fa un campo Rom ha preso fuoco a Roma. Il giorno prima i corpi di due ragazze Rom che erano annegate sono state lasciate nell'indifferenza sulla spiaggia di Napoli. E' questa la cima dell'iceberg del razzismo contro i Rom?

Io penso si debba essere molto prudenti con affermazioni simili. Nello stesso modo in cui il rigetto dei Rom è diventato molto più visibile, è anche vero che parte dei media e della società civile è troppo incline ad interpretare ogni fatto come una manifestazione di razzismo. E' molto importante verificare la credibilità delle informazioni prima di darle per assodate. Per esempio, non c'è prova che al campo sia stato dato fuoco di proposito. Al momento, sembra più probabile che sia stato solo un incidente.

Riguardo al caso delle due ragazze affogate. Sfortunatamente, credo che sia un sintomo della nostra società malata. Non credo che l'episodio sia accaduto per l'etnia delle ragazze. Lo stesso sarebbe probabilmente successo con chiunque altro.

 
Di Fabrizio (del 01/08/2008 @ 09:04:39, in Italia, visitato 2021 volte)

Ricevo da Roberto Malini

Sei un antirazzista? Compra un disegno di Rebecca Covaciu. Partecipa alla Resistenza solidale

... e aiutami a far circolare questa "colletta per un'Italia migliore"...

Si parla e si scrive di Rebecca Covaciu a ogni latitudine. La vicenda umana e artistica della giovanissima pittrice Rom è ormai nota in tutto il mondo. Ha abbandonato la Romania con i suoi cari, con il proposito di sfuggire la miseria, per trovarsi in Italia, al centro di un mondo ostile. La persecuzione razziale l'ha seguita lungo tutta la penisola, dalla Milano dei pogrom nei campi alla Napoli dei roghi. Tutto contro i Rom. Quante volte ha sentito la minaccia "Andatevene via, zingari!"? Troppe volte. Rebecca però, ha sempre sperato in un'Italia migliore, più umana, solidale e accogliente. Crede nonostante tutto all'intima bontà dell'uomo, come Anna Frank. A Genova, ha vinto il Premio UNICEF per l'Arte legata all'Intercultura ("Porto sempre con me la medaglia!"). A Milano, è stata picchiata e ha visto i suoi fratelli presi a schiaffi, insultati e spinti al suolo "come succedeva agli zingari quando c'era Hitler..." commenta la ragazzina prodigio. Sempre nel capoluogo lombardo, suo papà, Stelian, l'uomo più buono e pacifico del mondo è stato pestato selvaggiamente da agenti di polizia. Rebecca disegna spesso le loro divise e, nelle sue opere, le creature che indossano quelle divise sembrano - a lei che è nata nella Transilvania del Conte Dracula - demoni, vampiri. Adesso Rebecca e la sua famiglia vivono in un paesino agricolo del Sud Italia. Papà e mamma stanno cercando un lavoro, aiutati da Giancarlo, il loro angelo custode.

Mentre aspettano la buona notizia, un posto da operaio per papà, da badante per mamma... è prezioso ogni aiuto, perché - nonostante tutto il mondo parli della piccola artista Rom - i Covaciu sono poveri. Agli amici che aiuteranno la sua famiglia, anche con somme piccolissime (da inviare a Stelian con il servizio Western Union), Rebecca regalerà un disegno della serie "I topi e le stelle": "Siamo tutti stelle, ma alcuni di noi sono costretti a vivere come topi" dice Rebecca, spiegando il titolo della serie. Aiutare Rebecca significa contribuire alla sconfitta della forma più odiosa di razzismo, perché un giorno Rebecca aiuterà il suo popolo, con l'arte e con la sua vivissima intelligenza: se potrà crescere serena e studiare... non vi saranno limiti, davanti a lei. Ricevere un disegno di Rebecca, inoltre, significa acquisire un'opera d'arte che un giorno potrebbe avere un valore inestimabile, perché Rebecca è una giovane artista di talento che diventerà una grande pittrice e la sua arte non sarà dimenticata. Chi desidera aiutare Rebecca e la sua famiglia, mi scriva e gli invierò il numero di telefono di Stelian Covaciu, a cui potrà mandare direttamente il contributo.

Roberto Malini - roberto.malini@annesdoor.com

www.annesdoor.com

 

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