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La redazione
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\\ Mahalla : VAI : Italia (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 13/11/2008 @ 09:50:56, in Italia, visitato 1900 volte)

Da ReteRom

18 novembre - ore 17.30 TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO Via Castellaneta, 10 - Roma

Incontro con:
Beppe Rosso e Filippo Taricco, autori del libro La città fragile.
Najo Adzovic, autore del libro Il popolo invisibile.
Francesco Careri, autore del libro Walkscapes. Camminare come pratica estetica.

Proiezione del video:
"Savorengo Ker: la casa di tutti" presentato alla XI Biennale Architettura di Venezia nell'ambito della mostra L'Italia cerca casa - Padiglione italiano.
Regia e montaggio di Fabrizio Boni.
Immagini di Donatello Conti, Frediano Iraci Sareri, Aldo Innocenzi, Francesco Careri, Azzurra Muzzonigro.

Beppe Rosso legge:
"Seppellitemi in piedi", primo capitolo del libro La città fragile. Zingari romeni scappati dal loro villaggio in fiamme e accampati nella periferia di una metropoli; ragazze albanesi rapite di casa e gettate sui marciapiedi; italiani che vanno in rovina e sono costretti a vivere in strada. Vite consumate nella violenza di uno spazio aperto con i tentativi di abitarlo, i gesti quotidiani e il bisogno di ritrovare una dignità e un'ironia per stemperare il dramma.
Tre racconti in cui la città fragile si sovrappone alla città di sempre collocandosi al centro della narrazione, e la vita, quella più vera e umana, prende la parola al di sopra e dentro il brusio metropolitano.

Al termine scambio interculturale di sapori e saperi

INGRESSO LIBERO
TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO
Via Castellaneta, 10 - Roma
info 0645460705
www.teatrobibliotecaquarticciolo.it

 

Ricevo da Eugenio Viceconte

(L'avevo anticipato QUI)

(2008-11-10)- L’ampia ricerca "Adozione di minori rom/sinti e sottrazione di minori gagé" commissionata dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell’Università di Verona e alla direzione del Prof. Leonardo Piasere, si articola in due studi volti a rispondere a differenti ma complementari interrogativi.

L’uno –– in corso di pubblicazione presso CISU – volto a verificare quanti bambini figli di rom o sinti siano stati dati in affidamento e/o adozione dai Tribunali per i Minori italiani a famiglie gagé, condotto da Carlotta Saletti Salza. L’altro – già edito dallo stesso editore col titolo "La zingara rapitrice. Racconti, denunce, sentenze (1986-2007) – sui presunti tentati rapimenti di infanti non-rom da parte di rom, condotto da Sabrina Tosi Cambini.

Il progetto di ricerca "Adozione dei minori rom e sinti" prevedeva la raccolta il più esaustiva possibile di dati documentati relativi all’affidamento e all’adozione di minori rom e sinti a famiglie non rom da parte dei tribunali dei minori italiani, nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005, nonché un’analisi dei dati raccolti. La scelta è stata quella di condurre una ricerca sull’affidamento e sull’adozione dei minori rom e sinti a partire dai dati relativi alle dichiarazioni di adottabilità che sono registrati presso le sedi dei tribunali minorili e dalle informazioni raccolte nei servizi sociali di territorio, comunali e ospedalieri, in materia di allontanamento dei minori dal nucleo famigliare. Quindi, sono stati raccolti i dati relativi alle dichiarazioni di adottabilità presso otto (Torino, Bologna, Bari, Lecce, Trento, Firenze, Venezia e Napoli) delle ventinove sedi dei tribunali minorili e sono stati svolti colloqui con i servizi sociali di riferimento. Complessivamente, i casi di minori rom e sinti dichiarati adottabili sono oltre duecento.

I dati raccolti in ciascuna delle sedi dove si è svolto il lavoro di ricerca mostrano differenze rilevanti legate al contesto storico e sociale all’interno del quale, nel corso degli anni, si sono inserite le differenti comunità rom e sinte. Per fare un esempio, vi sono situazioni nelle quali troviamo una mancanza di tradizione del lavoro dei servizi sociali (come a Lecce, dove assistiamo a una pericolosa inversione di ruoli dal momento che l’Autorità Giudiziaria minorile si sostituisce alla tutela sociale che dovrebbero invece esercitare i servizi di territorio) e contesti nei quali invece i servizi sociali vantano una sorta di specializzazione nel lavoro con le comunità rom (vedi il caso di Firenze, Torino, Venezia), con una pericolosa stigmatizzazione della cultura da parte dei differenti operatori coinvolti.

Nel complesso, l’analisi dei dati mostra la facilità con la quale, nelle diverse realtà analizzate, la tutela sociale (dei servizi di territorio) e civile (dell’Autorità Giudiziaria) scivolano nell’indifferenziare l’identità di un minore rom con quella di un minore maltrattato. Come se la cultura "altra" potesse fare del male al bambino. Questo è ciò che pensano molti degli operatori incontrati. Tutti i minori rom, in quest’ottica diventerebbero dei bambini maltrattati. L’intervento di tutela operato in molti contesti diventa quindi quello di allontanare, togliere il minore dal suo contesto famigliare, per educarlo, come se la cultura rom non avesse un modello educativo o, per lo meno, come se la cultura rom non avesse un modello educativo valido. I concetti impliciti che precedono questa riflessione propria di molti operatori così come di molti magistrati minorili, vedono il bambino rom come soggetto di una situazione di pregiudizio solo e proprio perché è rom o perché vive su quel pezzo di terra dove si trova il "campo nomadi". Precisamente, i presupposti impliciti di molti operatori sono che:
- la cultura rom è da considerarsi "mancante", sempre e comunque, con tutti i bambini;
- nella cultura rom vi è un’assenza delle capacità genitoriali;
- da parte dei genitori e/o della famiglia rom vi è un’assenza della tutela dell’infanzia.

Sono proprio questi i presupposti in funzione dei quali l’intervento di tutela sociale e/o civile del minore rom diventa facilmente quello di tutelarlo dalla sua famiglia o dalla sua cultura. Cosa accade allora ai minori rom? La ricerca svolta evidenzia che la difficoltà di molti operatori nel riconoscere l’identità del bambino rom, il suo modello educativo, porta a gravi situazioni in cui di fatto il minore non viene tutelato. I circa duecento casi riscontrati di dichiarazione di adottabilità, infatti, denunciano un grave "pregiudizio" (così come inteso dal codice civile) nel quale si troverebbe questa volta non il minore rom, ma il contesto istituzionale che ruota intorno a quella che dovrebbe essere la tutela di qualsiasi minore. Una tutela dalla quale il minore rom, paradossalmente, resta escluso.

Abbiamo quindi situazioni nelle quali i minori trovati in strada da soli o con gli adulti di riferimento vengono allontanati dai genitori e poi inseriti in comunità. Una volta in comunità il provvedimento del Tribunale dei Minorenni dispone che i minori non possano più incontrare i propri famigliari, fino al termine dell’istruttoria. Concretamente questo vuol dire che potrà accadere che i bambini non possano più incontrare i propri genitori per lunghi mesi, con gravi conseguenze nella loro relazione. Gli avvocati che seguono questi casi affermano che, probabilmente, in questi casi, il reale interesse dei vari operatori coinvolti è di trovare il maggior numero possibile di minori per le famiglie non rom che fanno domanda di adozione. Come reagire di fronte a queste gravi denunce? Oppure abbiamo casi in cui i minori vengono allontanati dalla famiglia perché i servizi sociali valutano che le condizioni abitative del nucleo, ovvero quelle del "campo nomadi", non sono adeguate alla tutela di un minore. Ancora, molte volte ci troviamo di fronte a casi di allontanamento che avvengono con molta violenza, sulla base del mero pregiudizio personale di un operatore qualunque che scrive che quel minore non è tutelato perché "mangia con le mani" o "non indossa il pigiama per andare a dormire". Con quale presunzione noi non rom continuiamo a immaginare che il nostro modello di vita sia il migliore e quello ideale? E, soprattutto, chi lavora nel sociale non dovrebbe avere una formazione adeguata per lavorare con soggetti che appartengono a culture differenti?

Talvolta la responsabilità della mancata tutela del minore viene data alla cultura, talaltra alle istituzioni, che non sarebbero in grado di offrire a questi nuclei situazioni abitative appropriate. In entrambi i casi, il risultato è che non viene salvaguardato l’interesse del minore di vivere nella propria famiglia. Accadrebbe lo stesso se si trattasse di minori italiani?

Non si vuole qui escludere che possano esserci situazioni di abbandono dei minori rom, non si vuole accusare gratuitamente il lavoro degli operatori, ma si vuole mettere in evidenza la contraddizione nella quale invece cadono in molti (sia gli operatori sociali che della magistratura minorile), identificando sempre il minore rom come abbandonato, potremmo dire, "alla" e "dalla" sua cultura.

Possiamo aggiungere quindi che il tema attorno al quale si sviluppare questa analisi è quello di tutela. Qual’é la nostra concezione tutela e qual’é quella dei romá? Cosa accade al bambino rom mentre per l’operatore si sta verificando una situazione di maltrattamento? Da questo interrogativo si apre una riflessione su due aspetti:


- sulla definizione di quella che viene genericamente definita come la soglia in funzione della quale l’operatore, genericamente inteso, stabilisce che il minore si trova in una condizione di "pregiudizio". Una soglia viene banalmente interpretata e descritta con un criterio di tolleranza personale: per qualcuno sono i piedi scalzi, piuttosto che il furto o l’accattonaggio o l’appartenenza alla cultura rom, senza riconoscere che il "pregiudizio" dovrebbe essere quello ravvisato specificatamente nell’interesse di ciascun minore. Quello che accade è che i minori rom verranno segnalati all’Autorità Giudiziaria in funzione del grado di tolleranza personale degli operatori sociali, che, come quella di molti cittadini, è molto bassa.

- L’altro aspetto riguarda l’applicabilità della norma giuridica italiana a un contesto culturale differente, un tema che in Italia resta poco approfondito. Al centro di quest’analisi vi è una discussione sulla definizione dei margini dell’applicabilità della norma giuridica a un minore il cui contesto famigliare potrebbe non riconoscere la stessa norma e le sue finalità. In funzione di quali criteri potremo definire l’abbandono di fronte a un minore che appartiene a un contesto culturale differente da quello nel quale è stata elaborata la norma giuridica? Alcuni magistrati portano riflessioni interessanti a questo proposito, affermando che di fronte al minore straniero occorre sempre considerare e decodificare il contesto culturale dal quale proviene, ma il tema resta ampiamente marginale nell’ambito della magistratura minorile. Il risultato è che pochi magistrati minorili riconoscono la necessità di decodificare il contesto culturale del minore e che in molti invece ritengono non opportuno riconoscerne la specificità dettata dall’appartenenza culturale. Questo è quanto emerge nell’ambito del lavoro di ricerca svolto.

Quale soluzione proporre? Frequentemente la cultura non-rom si presenta come "egemone", più forte di quella dei romá, identificati come appartenenti a una minoranza culturale. Se davvero si riconosce come tale, la nostra cultura dovrebbe prendersi la responsabilità di assumere fino in fondo questo ruolo, creando quegli strumenti che potrebbero anche tutelare il minore rom e la sua famiglia. Questo vorrebbe dire disporre di quegli strumenti di conoscenza che si avvicinino il più possibile al contesto culturale del minore, con il risultato di mettere il minore in una condizione che lo veda tutelato da entrambe le parti: per la magistratura minorile e per la sua famiglia.

Dovremo infine smettere di pensare alle cultura rom come una cultura statica e immutabile, come se i minori fossero destinati alla povertà materiale e culturale dei loro genitori. Se molti romá oggi vivono nei "campi nomadi" è perché si tratta di una chiara scelta delle amministrazioni comunali di mantenere queste comunità in una condizione di grave precarietà sociale e civile. Se i minori rom oggi non sono tutelati e c’è un sistema giudiziario minorile che non li tutela la responsabilità è solo nostra.

La seconda indagine "Sottrazione di minori gagé" originariamente copriva il ventennio dal 1986 al 2005, ma per i fatti successivamente accaduti si è protratta fino al 2007. I casi sono stati individuati e analizzati partendo dall’archivio Ansa e arrivando alla consultazione dei fascicoli dei Tribunali, adottando, oltre a quella giuridica, più prospettive: etnografica, dell’antropologia giuridica ed etnometodologica.

Per dare un quadro del lavoro svolto, possiamo dire che la ricerca si è strutturata in tre fasi: individuazione nell’archivio Ansa dei fatti di nostro interesse; studio del corpus ricavato dall’archivio Ansa per individuare i casi; lavoro sui casi: consultazione dei fascicoli processuali, ricostruzione, comparazione. Quest’ultima fase – che partiva, appunto, dalle informazioni contenute nelle notizie Ansa – ha avuto la sua attività principale nel contatto con le Forze dell’ordine, Procure e Tribunali al fine di verificare se il fatto avesse avuto un prosieguo significativo in termini penali. In caso affermativo, si è cercato di ottenere i permessi per la visione dei fascicoli. Alcune volte, è stato possibile avere un colloquio con il PM e con gli avvocati; in altre, la distanza temporale ha complicato questi passaggi. Per molti è stato possibile anche raccogliere gli articoli apparsi sui giornali e anche su Internet.

Nella nostra analisi prendiamo in considerazione ventinove casi, oltre undici di sparizione di minori (dunque, 40 in tutto), sui quali è da subito opportuno indicare il risultato principale della ricerca, e cioè che non esiste nessun caso in cui sia avvenuta una sottrazione del bambino: nessun esito, infatti, corrisponde ad una sottrazione dell’infante effettivamente avvenuta, ma si è sempre di fronte ad un tentato rapimento, o meglio, ad un racconto di un tentato rapimento.

Alla confusione che generano i media al momento della denuncia del fatto, dando come provato e "vero" il tentato rapimento, se non vi è un arresto non corrisponde quasi mai la notizia dell’esito dell’azione delle Forze dell’ordine. Nei pochi casi in cui questo accade, la notizia non è per comunicare che i rom non c’entrano niente, ma è perché l’esito scioglie in sé altri eventi: truffe, fatti drammatici, situazioni che suscitano ilarità.
In maniera random si è cercato anche di verificare se per i casi in cui era stata sporta denuncia, ma in cui i presunti rapitori si erano dati alla fuga, le indagini avessero risolto la vicenda in qualche modo: si tratta di un ulteriore accertamento rispetto al fatto che se non c’è stata più nessuna notizia in merito questo ci può far dire che non si era poi svolto nessun arresto. D’altra parte - come dicevamo e come alcuni casi dimostrano - laddove le Forze dell’ordine tramite le proprie indagini verificano che è stato solo un equivoco, una percezione errata della situazione, la stampa ne dà poca o nessuna notizia.

La comparazione dei casi ci ha aperto a strade particolarmente significative, attraverso le quali si sono potuti individuare gli elementi cardine dei racconti dei tentati rapimenti, che sono pochi e si ripetono come un frame, un canovaccio concettuale con poche varianti: ad esempio, nella grande maggioranza, si tratta di ‘donne contro donne’ ossia è la madre ad accusare una donna rom di aver tentato di prendere il bambino; non ci sono testimoni del fatto, tranne i diretti interessati; gli eventi accadono spesso in luoghi affollati come mercati o vie commerciali; nessuno interviene in soccorso della madre; non di rado appare la paura che vi sia uno ‘scopo oscuro del rapimento’ per cui la presenza di alcuni mezzi e persone nelle vicinanze vengono interpretate dalle madri (o da altre figure) come complici della zingara (ma i controlli lo smentiscono regolarmente).

L’analisi comparativa dei casi, infine, ci porta a poter affermare che laddove vi è la presenza di un infante, l’avvicinamento di una persona rom è subito vissuto come un pericolo per il proprio figlio: lo stereotipo "gli zingari rubano i bambini" risulta essere molto più potente di qualsiasi altro. Non si ha paura, infatti, che sottraggano il portafogli o la borsa (secondo lo schema mentale "gli zingari rubano"), ma che portino via il bambino.

Dai ventinove, estrapoliamo i sei casi che hanno portato all’apertura del procedimento e dell’azione penale, che rappresentano il cuore del lavoro di ricerca e che nel testo vengono presentati e discussi uno ad uno in particolar modo attraverso i fascicoli processuali.
Si tratta di:

Desenzano del Garda (Brescia) 02/12/1996. Sentenza di colpevolezza [art. 56 c.p. (delitto tentato) art.605 c.p. (sequestro di persona)].
Castelvolturno (Caserta) 18/01/1997. Sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.
Minturno (Latina) 30/08/1997. Archiviazione del caso.
Roma 10/10/2001. [Sentenza di colpevolezza art. 56 c.p. (delitto tentato) art. 574 c.p. (sottrazione di persone incapaci)].
Lecco 04/02/2005 (il procedimento penale è in corso – II grado).
Firenze 25/10/2005 (il procedimento penale è in corso – I grado, il PM nell’ultima udienza del 17 ottobre 2008 ha chiesto l’assoluzione).

Lo sguardo critico proprio della disciplina antropologica fa emergere dalle carte e dalle aule del tribunale l’utilizzo delle categorie del senso comune da parte degli operatori del diritto come base attraverso cui adattare la categorizzazione prevista nei codici alle circostanze del caso e la costruzione della credibilità dei testimoni nella quale assume un forte peso la capacità retorica delle due parti, intesa anzitutto come coerenza interna del discorso quale testimonianza dell’accaduto. Il tutto retto anche da un ‘ragionevole’ assunto iniziale: la madre non avrebbe nessun motivo per accusare la zingara di un atto non compiuto, in pratica non avrebbe alcun senso che la madre si fosse inventata tutto, per cui quello che ella dice è di partenza da considerarsi in qualche modo "vero". Non dobbiamo scordarci che ci troviamo davanti a persone appartenenti a gruppi socialmente e giuridicamente deboli: non solo persone immigrate, ma soprattutto e in primo luogo rom (ma chiamati sempre nomadi) e nella maggior parte dei casi "sedicenti". Addirittura nella sentenza di Brescia si legge che la pericolosità sociale della donna è "in una con la sua condizione di nomade". Allo stesso modo per il caso di Roma, non ha nessun peso il fatto che il certificato dei carichi pendenti dell’imputata risulti negativo: la sua condizione di nomade sedicente basta – secondo il giudice - a renderla pericolosa e capace di commettere azioni criminose. Il fatto di essere definite nomadi, giustifica di per sé nei confronti delle imputate qualsiasi decisione a tutela della collettività.

Infine, per quanto riguarda episodi di sparizione di bambini (11 casi analizzati), nella maggioranza molto noti all’opinione pubblica, abbiamo ricostruito i vari momenti in cui i rom e sinti entravano tra i soggetti sospetti e gli esiti degli accertamenti che derivavo dall’attività investigativa (sempre negativi). La drammaticità delle vicende di queste sparizioni si rende ancora più acuta in quelle narrazioni di cui si conosce l’epilogo: l’opposizione fra ciò che è accaduto realmente a questi bambini e l’immaginario stereotipico del rapimento da parte dei rom emerge con una forza squassante. Questi bambini sono stati vittime di una violenza brutale tutta interna ai contesti dove vivevano: pedofili, conoscenti, parenti. Anche a partire da questo, il forte invito è quello di allargare il nostro sguardo, interrogarci e riflettere maggiormente su noi stessi (sempre che questo noi così netto esista...).

Le autrici della ricerca

Carlotta Saletti Salza, dottore di ricerca in Antropologia ottenuto presso la Facultat de Ciències Humanes i Socials – Departament d’Història, Geografia i Art – di Castellón de la Plana (Spagna). Svolge da svariati anni attività di ricerca presso Fondazioni e Univeristà. Ha condotto ricerca etnografica tra le comunità xoraxané a Torino e in Bosnia su tematiche relative all’educazione famigliare e scolastica e sulla rappresentazione della morte.
Sabrina Tosi Cambini, dottore di ricerca in Metodologie della ricerca etno-antropologica presso l’Università degli Studi di Siena, svolge da svariati anni attività di ricerca presso Fondazioni, Istituti e Università; è stata operatrice di strada e da tempo coordina progetti sperimentali di lavoro sociale. Attualmente è docente a contratto di Antropologia culturale presso l’Università degli Studi di Firenze e di Antropologia sociale presso l’Università degli Studi di Verona. (10/11/2008-ITL/ITNET)

 
Di Fabrizio (del 11/11/2008 @ 09:00:49, in Italia, visitato 1765 volte)

Ricevo da RETE MIGRANTI MILANO

Nessuno escluso! Milano città per tutti

Milano è la città in cui viviamo, lavoriamo o studiamo, qualcuno da sempre, altri da tempi più recenti.

E' una città ricca di storia e di cultura, fiorente di attività e piena di opportunità. E’ una città al passo con i tempi, in cui si possono ottenere ottime cure sanitarie e scegliere i migliori istituti educativi. Milano è una bella città, ma per pochi... meglio se in salute e con un cospicuo conto in banca.

Per il resto della popolazione, la grossa fetta dei non privilegiati a cui gli immigrati appartengono di diritto, il presente è faticoso, precario, ed il futuro sempre più chiuso.

In questa città è facile soccombere all'onda mediatica diffamatoria nei confronti del diverso, dell’indifeso, del “senza diritto” perché senza documenti (o viceversa). Non lo è altrettanto riconoscere la ricchezza e il contributo che gli immigrati danno ovunque. Più di altri dovrebbero saperlo i milanesi che oggi si avvalgono, sempre di più, delle prestazioni lavorative e delle qualità umane della popolazione immigrata (contributo al PIL lombardo dei lavoratori stranieri 10,7% - dati Ismu, osservatorio regionale, rapporto regionale sull’immigrazione 04/2008).

E' sufficiente immaginare un solo giorno senza migranti a Milano per avere la percezione dell'ampiezza del fenomeno immigrazione e per rendersi conto della paralisi che ne scaturirebbe.

C'è un profondo divario tra questa visione del migrante come elemento imprescindibile per lo sviluppo dell'economia e della vita cittadina, e dell'immigrato come reietto, ultimo nella scala sociale di una città che con gli “ultimi” sa essere spietata. Senza renderci conto che “ultimi” sempre più velocemente, stiamo per diventarlo tutti.

Le retate sui mezzi pubblici, le ronde notturne, l'espulsione dagli alloggi, le campagne contro le moschee, gli sgomberi violenti, la schedatura etnica di Rom e Sinti, l'esercito nelle strade, la reclusione nei Cpt (Cie), la criminalizzazione degli irregolari, i pestaggi, sono modalità che non si addicono a chi proclama di avere a cuore la sicurezza della comunità.

Coloro che amano davvero questa città sentono l’urgenza e la necessità di costruire un’alternativa a una Milano per pochi e lottano perché il diritto alla salute, all'educazione, alla casa, al lavoro, a un reddito dignitoso, siano diritti di tutti e vengano applicati senza discriminazione.

La Rete Migranti Milano riunisce diverse associazioni di migranti, forze sociali, politiche e sindacali che, superando i particolarismi, lavorano insieme a partire dal rifiuto di questo modello di città.

La campagna aspira a mettere in moto azioni permanenti che puntino a ricostruire il tessuto sociale cittadino, nel tentativo di aprire il futuro e costruire un nuovo modello di città solidale.

Nessuno escluso!

Milano città per tutti

E’ una campagna di denuncia, controinformazione e sensibilizzazione che sveli l’inganno mediatico e persecutorio nei confronti dell'immigrato, capro espiatorio e diversivo perché i cittadini non si occupino della drammatica situazione sociale ed esistenziale in cui si trovano.

Che parte dai quartieri per costruire una rete solidale tra persone, associazioni, comunità di stranieri affinché nessuno debba più sentirsi solo di fronte a questa nuova violenta ondata di intolleranza.

Che propone un dialogo tra le differenti culture presenti in una città già multietnica, affinché si chiudano le porte al razzismo e alla xenofobia.

Un’azione antirazzista permanente, nonviolenta e quotidiana, perché non è con la violenza,il controllo e la repressione, che questa città diverrà più sicura.

 
Di Fabrizio (del 11/11/2008 @ 08:55:50, in Italia, visitato 1789 volte)

Da Roma_Italia

Giovedì 20 novembre 2008 - Ore 10.00
Provincia di Viterbo
Palazzo Gentili - Sala Conferenze
Via Aurelio Saffi, 49 Viterbo (VT)
www.24marzo.it

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA Principi Fondamentali - Art. 3:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


RAZZA = RAZZISMO
Riflessioni a settant’anni dalle leggi razziali

Daniela Santucci, ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità "La biologia delle razze animali"

Marcello Gentili, avvocato penalista "La legislazione razzista italiana del 1938"

Vera Vigevani Jarach, scrittrice e Madre di Piazza di Maggio "La via dell'emigrazione degli ebrei in Argentina"

Giulia Spizzichino, della Comunità ebraica di Roma "La vita nel ghetto di Roma: dalle persecuzioni, alle deportazioni, alle Fosse Ardeatine"

Giorgio Bezzecchi, Presidente Vicario Nazionale dell'Opera Nomadi "Le persecuzioni dei zingari italiani: dalle schedature ad Auschwitz"

Maurizio Pagani, Presidente della Opera Nomadi di Milano "Le politiche pubbliche verso le minoranze zingare"

 
Di Fabrizio (del 10/11/2008 @ 14:09:33, in Italia, visitato 1786 volte)

Da Il Secolo XIX

Uno dei ragazzini aveva subito un furto in casa e ha dato la colpa ai circensi

I luoghi comuni, gli stereotipi sono difficili da cambiare. Un ragazzino di 16 anni giorni fa aveva subito un furto in casa. Con un’ardita associazione mentale ha pensato immediatamente agli zingari. E quando ha visto il cartello pubblicitario di un circo ha dato subito la colpa a loro. E, insieme ad un amico, ha subito escogitato una vendetta: lanciare una molotov contro il tendone.

E’ questa l’assurda motivazione data per “giustificare” una cosa tanto grave. Poteva essere una strage, ma per fortuna non è andata così. Dopo la paura, i lavoratori del circo parlano tranquillamente con i cronisti. «Non abbiamo avuto problemi con nessuno, la gente del posto ci saluta con cordialità, i nostri bambini da una settimana frequentano le scuole della città. Non è la prima volta che veniamo a Sarzana è una città accogliente dove ci siamo sempre trovati bene - racconta una giovane donna con l’aria spaventata che ben interpreta lo stato d’animo dei circensi che poi continua - Questa bravata poteva costare davvero cara: se la bomba fosse stata lanciata di notte avremo potuto bruciare tutti quanti, insieme ai nostri bambini».

«Il nostro è un circo grande, una cittadella recintata - dice Francesca Karoli, contitolare del circo - Quel gesto poteva distruggere le nostre vite, il nostro lavoro di anni di sudore. Giriamo l’Italia da anni e anche i paesi vicini, non ci è mai accaduta una cosa tanto grave. Siamo sconvolti!». Dopo il lancio delle molotov nel recinto dei cavalli tra la gente del circo Karoli si respira un’aria di paura. L’ ordigno è stato gettato poco prima dello spettacolo pomeridiano che ospitava un gran numero di bambini e le loro famiglie. Solo per un caso la bomba non è esplosa: nella stalla, poco distante il tendone già gremito di persone, si trovavano una trentina di cavalli ed è facile immaginare che se i quadrupedi si fossero spaventati per lo scoppio dell’ordigno, all’interno dell’area del circo sarebbe stato il caos.

I responsabili del gravissimo gesto, sono due ragazzini di 16 anni uno residente a Sarzana e l’altro a Vezzano. Entrambi sono subito stati individuati dai carabinieri che li hanno fermati e denunciati al Tribunale dei minori di Genova. La cronaca della terribile giornata ha avuto inizio poco prima delle ore 17, quando i due con gli scooter, si erano fermati in via Silea, proprio dietro il grosso parcheggio della variante Aurelia (ex “area Gerardo”) dove in questi giorni fa tappa il circo Karoli. Uno dei due, acceso l’innesco di una bottiglia incendiaria, l’ha lanciata nell’area delle scuderie, dove si trovavano una trentina di cavalli.

Poi sono fuggiti a tutta velocità. L’azione però è stata vista da un testimone che è riuscito ad annotare – seppur in maniera parziale e confusa entrambe le targhe. Per un caso fortuito la bottiglia, rimbalzata sul tetto della stalla e caduta sul cortile, proprio in mezzo ai cavalli, non s’è rotta e quindi la benzina contenuta non è esplosa.

Uno degli stallieri, vista la fiammata, è subito accorso e ha prontamente spento l’ordigno. Immediata la chiamata al 112. Diramate le ricerche, i due ciclomotori sono stati presto trovati. Infatti, due mezzi corrispondenti alla descrizione e con le targhe compatibili a quelle parziali riportate dal testimone, erano parcheggiati, col motore ancora caldo, uno a fianco all’altro nel parcheggio di Porta Romana. I giovani proprietari erano poco distante, come nulla fosse, a chiacchierare con alcuni amici presso il monumento di piazza Garibaldi, in pieno centro a Sarzana.

Accompagnati in caserma, i ragazzini hanno subito confessato, permettendo anche di ritrovare il panno usato per l’innesco e l’accendino che, insieme alla bottiglia e ai due motorini, sono stati sequestrati. In caserma sono arrivati anche i genitori dei giovani: non volevano credere a quello che avevano fatto i loro figli. I due sedicenni sono accusati di fabbricazione, detenzione e porto materiale esplosivo e tentato incendio doloso.

 

Ricevo da Tommaso Vitale

Il Coordinamento Rom (ACLI; Arci; Associazione Liberi; Associazione Nocetum;  Associazione Oltre il Campo; Aven Amenza;  Caritas Ambrosiana; CGIL Milano; Comitato per le libertà e i diritti sociali; Comitato Rom e Sinti Insieme; Comunità S.Egidio; Fondazione Casa della Carità; Gruppo Abele; Naga;  Opera Nomadi; Padri Somaschi) organizza un

Incontro con le associazioni e con gli operatori del diritto su:
Combattere la discriminazione strutturale contro i ROM: cause strategiche e ruolo della società  civile

con

Lilla Farkas Avvocato esperto in tutela dei diritti umani, Componente del  Network of Independent Experts in the Non-discrimination Field della Commissione Europea e dell’ Hungarian Equal Treatment Authority

e

Mariana Berbec Rostas Associate Legal Officer for Legal Capacity Development Program, Legal Aid and Community Empowerment Clinics  della Open Society Justice Initiative

Camera del Lavoro  di Milano
corso di Porta Vittoria 43
Sala De Carlini
12 novembre 2008 Ore 19.30

L’incontro sarà l’occasione per riprendere la discussione sulla costituzione a Milano di un Osservatorio sui diritti fondamentali, sui possano aderire operatori del diritto, docenti ed  esperti che intendono far valere gli strumenti legali di lotta alla xenofobia, al razzismo e alle discriminazioni e di tutela dei diritti fondamentali.

 
Di Fabrizio (del 10/11/2008 @ 09:46:49, in Italia, visitato 1451 volte)

Da Chiesa Evangelica Zigana in Italia

L'Espresso- Repubblica di Sandro Mortari: Basta raduni dei sinti al Migliaretto
Il Comune ha destinato l’area solo a manifestazioni sportive!

Basta mega raduni al Migliaretto con tanto di tendone sotto il quale si radunano centinaia di persone, come ogni anno succede, sul finire dell’estate, con i sinti evangelici. Porte sbarrate anche per i turisti che arrivando a Mantova in camper decidessero di occupare le piazzole attrezzate con luce e acqua corrente. D’ora in poi quell’area attigua ai campi di calcio, rugby, atletica e agli impianti di tiro a segno e per il motocross avrà un uso esclusivamente sportivo. L’unica eccezione sarà fatta per le roulottes e gli autocaravan degli esercenti che installeranno le loro giostre, bancarelle e attrazioni varie al luna park del Te, in occasione della fiera di Sant’Anselmo. Ma solo per quanto riguarda l’occupazione dell’area attrezzata.

Tutto il resto dell’area (ad eccezione del sedime recintato, considerato ancora aeroporto dall’Ente nazionale per l’aviazione civile) sarà off limits. O meglio, potrà essere utilizzato solo in funzione delle manifestazioni sportive che verranno organizzate dalle società che gestiscono gli impianti sportivi nella zona.

Il giro di vite è stato deciso dalla giunta comunale dopo che il raduno della missione evangelica zigana dello scorso settembre aveva costretto i dirigenti del rugby Mantova e Viadana ad annullare il tradizionale torneo dei due fiumi.

La decisione da parte delle due società sportive era stata presa perché 200 camper e più di 400 persone arrivati da tutt’Italia per il raduno annuale degli evangelici sinti avevano ridotto di molto gli spazi attorno agli impianti sportivi, abitualmente utilizzati da chi li frequenta. Inoltre, vari sopralluoghi della Polizia comunale avevano accertato la pericolosità per la circolazione pedonale e veicolare. Una situazione che solitamente si prolunga per due settimane, da metà a fine settembre. «Era un atto dovuto - dice l’assessore allo sport Fabio Aldini -. Le esigenze delle società sportive andavano salvaguardate. Se l’assemblea della missione evangelica zigana chiederà di venire a Mantova anche l’anno prossimo troveremo un’altra area».

La delibera della giunta comunale parla chiaro: dopo aver stabilito «la vocazione prevalentemente di natura sportiva e ricreativa» del Migliaretto, viene vietato l’utilizzo di quell’area «per qualsiasi manifestazione che non abbia carattere sportivo, ad eccezione dell’area attrezzata per la sosta dei caravan e delle roulottes utilizzate dagli operatori esercenti lo spettacolo viaggiante».
(02 novembre 2008)

 
Di Fabrizio (del 09/11/2008 @ 09:25:42, in Italia, visitato 2324 volte)

(AGO PRESS) "La Zingara rapitrice" è il tema di una conferenza stampa che si terrà lunedì 10 ottobre (alle 12.30 ndr) a Roma presso la sala Marconi della Radio Vaticana. Promossa dalla Fondazione Migrantes, sarà l'occasione per presentare una ricerca commissionata al Dipartimento di Psicologia e Antropologia Culturale dell’Università degli Studi di Verona sui presunti tentati rapimenti, addebitati ai rom nell’arco di tempo che va dal 1986 al 2007 in Italia. I casi sono stati individuati e analizzati partendo dalle notizie fornite dalla stampa nazionale e esaminati attraverso la consultazione dei fascicoli nei diversi tribunali italiani. Il risultato principale che emerge dalla ricerca è che "non esiste alcun caso in cui viene commesso un rapimento. Nessun esito, infatti, corrisponde ad una sottrazione dell’infante effettivamente avvenuta e provata oggettivamente. Anche laddove si apre un processo, il fatto contestato viene sempre qualificato come delitto tentato e non commesso, le cui circostanze aprono ad una complessa valutazione - all’interno della quale possono a volte far capolino le categorie del senso comune - dell’esistenza o meno della volontà dolosa".

Durante la conferenza stampa saranno presentati anche i dati di un’altra ricerca volta a verificare quanti bambini figli di rom e sinti siano stati dati in affidamento e/o adozione dai tribunali dei minori italiani a famiglie "gagè", non zingare.

 
Di Fabrizio (del 09/11/2008 @ 08:52:08, in Italia, visitato 2052 volte)

Ricevo da Flora (QUI il file.pdf)

Università degli Studi di Firenze - Facoltà di Giurisprudenza

Da qualche secolo la coesistenza con "zingari", "nomadi", "Rom" è un problema irrisolto della società europea. Inconciliabile "diversità culturale"? Irriducibile
pregiudizio e intolleranza? Qualunque prospettiva si adotti, è inevitabile osservare come l'azione politica si trovi a ricorrere agli strumenti del diritto, confrontandosi con i suoi vincoli e limiti.

In otto incontri, aperti a tutti, chi voglia comprendere cosa gli Stati hanno fatto, e possono fare, rispetto alla "questione zingara", avrà a disposizione un'occasione di confronto con persone che, da vari punti di osservazione, hanno cercato di interpretare fatti e contesti.

Gli incontri si svolgono presso il Polo delle Scienze Sociali di Novoli, palazzina D5, aula 0.10.
Per informazioni:
Università degli Studi di Firenze
Dipartimento di Diritto Comparato
e Penale, via delle Pandette 35,
50127 Firenze
e-mail: francesca.mariani@unifi.it

LEZIONI APERTE
Venerdì 14 novembre, ore 12.00, "Modernizzazione giuridica e 'questione zingara' nella formazione degli ordinamenti europei", lezione introduttiva di Alessandro Simoni.

Sabato 15 novembre, ore 9.00, "L'identità rom nella prospettiva dei giuristi: esiste una specificità italiana?", lezione introduttiva di Alessandro Simoni.

Giovedì 20 novembre, ore 12.00, "Una libertà ripugnante? Mendicità, Rom e politiche di 'legalità urbana' in Italia, Inghilterra, Francia e Stati Uniti", lezione-discussione con Alessandro Simoni.

Venerdì 21 novembre, ore 12.00, "Una pregiudiziale antizingara nella cultura delle istituzioni?", lezione-discussione con Eva Rizzin, OsservAzione. Centro di ricerca azione contro la discriminazione di Rom e Sinti.

Sabato 22 novembre, ore 9.00, "Le ordinanze 'emergenza nomadi': diritto, anti-diritto o politica?", lezione-discussione con Nazzarena Zorzella, avvocato in Bologna, e Costanza Hermanin, Ricercatrice, Istituto Universitario Europeo.

Giovedì 27 novembre, ore 12.00, "La mitologia antizingara e la macchina del diritto", lezione-discussione a partire dal volume di Sabrina Tosi Cambini, La zingara rapitrice. Racconti, denunce, sentenze (19862007), Roma, CISU, 2008. Partecipano l'autrice e Carlotta Saletti Salza, antropologa, Università di Torino.

Venerdì 28 novembre, ore 12.00, "La costruzione del 'problema zingaro' e la partecipazione politica di Rom e Sinti", lezione-discussione con Nando Sigona, ricercatore presso il Refugee Studies Centre, University of Oxford .

Sabato 29 novembre, ore 9.00, "I Rom e lo Stato. Una prospettiva storico-antropologica", lezione-discussione con Leonardo Piasere, professore di antropologia culturale nell'Università di Verona.

 
Di Fabrizio (del 08/11/2008 @ 09:28:59, in Italia, visitato 2199 volte)

Ricevo da Veniero Granacci

INCONTRO PUBBLICO DI RIFLESSIONE
GIOVEDI 13 NOVEMBRE 2008 –
Ore 21.00
a Metromondo: Via Ettore Ponti, 40 Milano

"Il razzismo è un cancro dell'umanità"
ESPERIENZE DIRETTE DI VITA A CONFRONTO...

Partecipano:
· HADIARA GUIEBRE, sorella di Abdoul, il giovane di origine del Burkina Faso ucciso a Milano;
· PAOLA DELL’ERBA, artista-cantante, argentina;
· DIJANA PAVLOVIC, attrice-mediatrice culturale, romnì serba.
Conduce: PAP KOUMA, scrittore senegalese.
L’incontro sarà preceduto dalla proiezione di un breve documentario a tema, a cura del collettivo Cineforum di Metromondo.

ARCI METROMONDO
Via Ettore Ponti, 40 - 20143 Milano - tel./fax 0289159168
metromondo@tin.it www.metromondo.it

IN COLLABORAZIONE CON ANPI BARONA
http://anpibarona.blogspot.com/

 

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