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\\ Mahalla : VAI : Italia (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 23/04/2012 @ 09:02:33, in Italia, visitato 1496 volte)

Corriere Immigrazione

Clelia Bartoli. Razzisti per legge. L'Italia che discrimina. Editori Laterza, pp. 180, 12 euro

Clelia Bartoli è l'autrice di Razzisti per legge. L'Italia che discrimina, saggio che, partendo dal Black Power e dal rapporto MacPherson del '99, analizza il razzismo istituzionale del nostro Paese. La scoperta è che sì, l'Italia è un Paese razzista. Ecco come individuarlo e combatterlo

RAZZISMO ISTITUZIONALE. Esiste un razzismo individuale, che si palesa con atti discriminatori o violenti. E un razzismo di sistema, nascosto tra le pieghe di leggi e istituzioni e che pervade la vita pubblica. Sono passati più di cinquant'anni dal lancio del manifesto Black Power da parte di Stokely Carmichael e Charles Hamilton negli Usa, ma le intuizioni di fondo restano ancora attuali.
La loro analisi verteva su una società la cui maggioranza e minoranza erano entrambe a casa loro, ma le cui istituzioni funzionavano avendo come solo modello la prima. L'America della segregazione razziale non poteva disfarsi degli afroamericani bollandoli come immigrati o clandestini. E per marcare le differenze fece in modo che la legge stessa le creasse, istituisse le distanze tra bianchi e neri assicurando la supremazia ai primi.

Come questo discorso faccia un balzo di cinque decadi e giunga a noi lo spiega Clelia Bartoli nel suo Razzisti per legge. L'Italia che discrimina (Ed. Laterza). Partendo da Potere Nero e dal rapporto MacPherson del 1999, l'autrice si chiede se l'Italia è un paese razzista, analizzando non solo il complesso di politiche, leggi e norme operanti nel campo dell'immigrazione, ma anche la reazione delle istituzioni in casi specifici, di rilevanza nazionale come l'emergenza Lampedusa o locale, come la vicenda dell'assegnazione di un lussuoso attico ad una famiglia rom nel quartiere Libertà di Palermo. La risposta è, come ci si può aspettare, "sì".

Il razzismo istituzionale agisce all'opposto di quello individuale o di gruppo: una legge, una norma non produce violenza, è credibile e induce le vittime a interiorizzare il pregiudizio verso di sé. Fa di più: costruisce la realtà. Se il governo, le istituzioni considerano una minoranza come pericolosa o sgradevole e la confinano in aree ghetto, è molto probabile che questa poi manifesti devianza, "andando così a confermare il pregiudizio che aveva motivato la loro segregazione".

Le riflessioni teoriche accompagnano l'analisi dei fatti di attualità, ma il timore di Bartoli sembra essere anche un altro: che gli immigrati si trasformino in un "nuovo Meridione", lasciati ai margini della società, ma con una distribuzione degli effetti che va ben oltre i soli esclusi. E' un sottofondo, appunto, ma importante, imposta la questione come un affare che non riguarda solo i migranti, così come non ha mai interessato solo il Sud la mafia o l'emigrazione e le conseguenze sono note.

Colpire il razzismo istituzionale significa spuntare un'arma rivolta verso tutta la società, attaccare quel sistema che fomenta il disagio per poi spacciarlo come naturale. Una legge crea sì delle regole, ma impone anche differenze, confini, pregiudizi. Saperlo, aiuta a discernere i meccanismi che inficiano la vita di ognuno di noi.

di Luigi Riccio

 
Di Fabrizio (del 21/04/2012 @ 09:24:29, in Italia, visitato 1165 volte)

La Stampa 19/04/2012 - IL CASO - Una foto scattata durante il reportage di pochi giorni fa nel campo nomadi di via Germagnano per testimoniare le difficili condizioni igienico sanitarie, malgrado mesi di sforzi e promesse MULTIMEDIA

«Sforzi vani senza soldi per le politiche sociali»

NICCOLÒ ZANCAN - TORINO: Quella notte di dicembre si sentivano grida terrificanti: «Zingari, andate via, vi ammazziamo tutti!». Lanciavano bottiglie molotov contro le baracche. Volevano vendicare lo stupro di una ragazzina di 16 anni, che in realtà era uno stupro inventato. Sono passati quattro mesi dal pogrom delle Vallette. Ma Torino non dimentica. Non vuole e non può. «Parlare di questa vicenda mi provoca ancora molto dolore - dice l'assessore all'Integrazione Ilda Curti -, il raid contro il campo nomadi della Cantinassa è stato l'episodio più violento vissuto dalla città negli ultimi anni. Quello che è successo ci costringe a fare i conti con germi che sono fra noi. Germi di insofferenza, di rabbia e di razzismo, aggravati da questo periodo di crisi economica. Ma non dobbiamo stare fuori dai problemi e guardarli da lontano. Andiamoci nelle periferie! Dobbiamo cercare di capire, impegnandoci con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione, perché non si rompa la rete della solidarietà e dell'inclusione».

Di rom, di pregiudizi e del ruolo dei media. Dei problemi nei campi nomadi di Torino. Dei finanziamenti che mancano per politiche sociali più incisive e persino per sgomberare i rifiuti. Di tutto questo si è discusso ieri sera al Museo della Resistenza, in corso Valdocco. Posto quanto mai evocativo, come ha spiegato il giurista Vladimiro Zagrebelsky: «I rom erano nei campi di concentramento con gli ebrei e gli omosessuali. Le ragioni per cui siamo qui è anche storica. Quello che mi colpisce maggiormente è che spesso sono trattati come stranieri e invasori, ma per la maggior parte i rom sono cittadini italiani con diritti uguali ai nostri. Come ci sono i diritti delle persone che vivono a fianco dei campi nomadi.

Siamo di fronte a un problema estremamente complesso». Sul ruolo dei media, in particolare su quello dei quotidiani, è intervenuto Mario Calabresi, direttore de La Stampa: «Io credo che sul tema dell'integrazione, la ricetta di un buon giornalismo sia racchiusa in una sola formula: fornire contesti. Dare spiegazioni, approfondire i temi, ricostruire senza semplificare. Altrimenti si parla solo alla pancia dei lettori e si rischia di mettere in evidenza i peggiori istinti». Il presidente del museo, Gianmaria Ajan, dice: «Siamo di fronte all'immagine di una città assediata, ma non dall'esterno. In questi mesi, con la crisi e la disoccupazione, sta crescendo una forte insofferenza sociale». Ilda Curti: «È la tensione che vivono gli ultimi con i penultimi. Non dobbiamo lasciarli soli».

Mancano soldi per mettere in campo politiche sociali più efficaci. Milano ha già ricevuto 20 milioni di euro, Roma oltre 50, erano i fondi stanziati dal governo per fronteggiare l'«emergenza rom». Ma i 5 promessi a Torino non sono mai arrivati. Adesso non sono più disponibili.

Qui ci sono 800 nomadi regolari e quasi quattromila fantasmi. Una baraccopoli che sta crescendo a dismisura sulle sponde della Stura. Il Pdl ha fatto i conti in tasca al Comune: «Nel 2010 per i 4 campi nomadi autorizzati - spiega Maurizio Marrone -, fra luce, acqua, riscaldamento, pulizie, derattizzazione, manutenzione ordinaria e straordinaria e mediazione culturale si sono volatilizzati 1.240.363,27 euro più Iva. Eppure, a fronte della spesa ingente, i pessimi risultati sono sotto gli occhi di tutti». L'assessore Ilda Curti: «Sono i soldi che servivano per la gestione. Non mi paiono così tanti, anzi...».

 
Di Fabrizio (del 17/04/2012 @ 09:17:57, in Italia, visitato 2013 volte)

Domenica sera è tornato il fuoco, a distanza di 10 giorni, a riprendersi ciò che era rimasto dell'insediamento di via Sacile, che ora non esiste più. Il racconto di chi c'era:

Milanoinmovimento Di nuovo a fuoco il campo rom di Via Bonfadini! Aggiornamenti in diretta e foto. a cura di Karma Mara

23.30 Una cinquantina di persone accetta una sistemazione provvisoria di una notte presso la Caritas.
23.00 Una parte degli abitanti del campo si rifiuta di accettare la soluzione che li vedrebbe per una notte presso la Caritas (che offrirebbe loro un tetto ma non posti letto): la loro preoccupazione è quella di trovare una nuova area e non una sistemazione temporanea per la notte. Chiedono alle autorità la possibilità di accamparsi presso il Parco Lambro o di restare nell'area bruciata.
L'amministrazione rimane ferma sulle sue proposte invitando le famiglie ad accettarle, pena lo sgombero.
La protezione civile porta tea e biscotti, ma nessuna tenda. Gli assessori Granelli e Majorino contatteranno domani mattina le associazioni per cercare di gestire l'emergenza.
22.30 L'amministrazione propone di suddividere gli abitanti del campo in tre grandi gruppi, senza separare le famiglie da sistemare rispettivamente pquesta notte alla Caritas, alla Ceas e dai Francescani di via Saponara. Ancora da capire quale sarà la soluzione per i giorni a venire soprattutto dal momento che l'area non è più considerata agibile ed è stata sigillata.
22.09 Si susseguono le testimonianze, sembra proprio che il tempo intercorso tra le chiamate d'emergenza e l'arrivo dei soccorsi sia stato particolarmente lungo e soprattutto che all'inizio i vigili del fuoco erano in numero e con mezzi palesemente al di sotto delle necessità…come dire: hanno voluto che il campo finisse di bruciare del tutto? Questa la domanda pesantissima che ci si sta ponendo.
21.45 Gli Assessori Comunali, in accordo con gli abitanti del campo, stanno procedendo ad un censimento delle persone per capire quante siano. Si parla di trovare una soluzione per stanotte anche se ancora nessuno dice quale potrebbe essere. Nel frattempo alcune donne del campo contiguo hanno detto agli Assessori che le prime fiamme sono state viste alle 20.00 e la prima telefonata ai vigili del fuoco è stata fatta alle 20.05. Chiedono quindi come mai i primi soccorsi siano arrivati solo alle 20.30 visto e considerato che dovevano giungere da piazzale Cuoco che è a poche centinaia di metri dal campo.
21.33 Sono arrivati gli Assessori comunali Granelli e Majorino. Si attende di capire se e cosa proporranno per affrontare la situazione d'emergenza in atto. Alcuni volontari intanto si sono recati alla vicina parrocchia, sembra per chiedere delle coperte per le persone che hanno perso tutto. Sembra inoltre che poco fa la Polizia abbia portato via un abitante del campo che affemava di aver visto la dinamica che ha portato all'incendio.
21.20 E' di nuovo in fiamme il campo rom di Via Sacile Bonfadini.
Dopo l'incendio di alcuni giorni or sono in questo momento si stanno di nuovo propagando le fiamme.
Le prime voci parlano di un incendio causato da una persona del campo, sembra in stato di ubriachezza, si dice si tratti di un gesto di disperazione e fronte di una situazione ormai ancor più drammatica del solito.
Gli abitanti del campo sono ora in mezzo alla strada, nei pressi di una rotonda dove hanno ripreso a circolare i tir e senza alcun posto dove andare.
C'è un'autopompa dei vigile del fuoco, diverse macchine dei carabinieri, si dice stia arrivando l'assessore Granelli del Comune di Milano.


La sera stessa su Facebook, appare un messaggio di Pierfrancesco Majorino, assessore alle politiche sociali del comune di Milano:
il campo rom di via sacile è andato a fuoco. siamo qui con l'assessore granelli e alcuni volontari che ringraziamo. Stiamo cercando soluzioni per la notte. Aspettiamo già la solita accozzaglia di razzisti che da domani ci dirà di lasciarli,anche i bambini, al loro destino.

La distruzione pressoché totale dell'insediamento, mette anche a tacere i sospetti e le indagini che sarebbero nate dal primo incendio del 4 aprile scorso. Nel frattempo si era anche aperto un dialogo tra occupanti del campo, associazioni ed amministrazione comunale. Sulla situazione attuale:

Milanoinmovimento Aggiornamenti dal campo rom di via Sacile Anna Pellizzone e Karma Mara

Terra bruciata. Quello che rimane del campo di via Sacile sono una distesa di macerie e qualche baracca sopravvissuta. Centinaia di uomini, donne e bambini sono rimasti senza tetto e alla situazione di emergenza immediatamente successiva all'incendio dovrà far seguito necessariamente una soluzione più definitiva. Proprio in queste ore le autorità stanno discutendo come affrontare la situazione.
Le associazioni, che questa mattina erano al campo, hanno chiarito che le persone che ieri sera non volevano in prima battuta passare la notte presso la Casa della Carità di Don Colmegna - anche in seguito ad esperienze passate che hanno visto l'affidamento dei minori ai servizi sociali con separazione dalle famiglie - hanno infine accettato di recarsi al Ceas del Parco Lambro (Centro Ambrosiano di Solidarietà).
Le difficoltà nei rapporti tra la comunità Rom e la Casa della Carità hanno origine durante la precedente amministrazione, quando la fondazione di Don Colmegna, in particolare in occasione dell'incendio al campo Rom di via Triboniano del 2007, aveva avviato una stretta collaborazione con la Giunta Moratti applicando il Patto di Legalità, in linea con il criticato Decreto emergenza - noto come Piano Maroni - dichiarato poi illegittimo dal Consiglio di Stato nel novembre 2010.
Il Decreto Emergenza e tutti i decreti attuativi ad esso successivi prevedevano la nomina di commissari speciali, autorizzazioni di allontanamenti, sgomberi e schedature. Non stupisce quindi che il ricordo di quegli anni abbia spinto molte famiglie a rifiutare di dormire sotto il tetto della Casa della Carità.


Il presunto responsabile dell'incendio sembra sia stato identificato e forse catturato ieri sera in zona Rogoredo in seguito a una collaborazione tra gli abitanti stessi del campo e le forze dell'ordine.
Sempre secondo quanto appreso ieri sera, le famiglie rom questa mattina saranno scortate al campo per recuperare i pochi averi non compromessi dalle fiamme, mentre l'area sarà a breve interessata da una bonifica integrale che aprirà la strada alla ripresa dai lavori di fognatura.
Quello che rimane da chiarire è la ragione del ritardo dei Vigili del Fuoco denunciato da alcuni presenti. Secondo alcune testimonianze raccolte da Milano in Movimento questa mattina tra la chiamata ai pompieri e l'arrivo della prima autopompa è infatti trascorsa circa mezz'ora, nonostante la stazione dei vigili del fuoco si trovi in piazzale Cuoco a poche centinaia di metri dal campo bruciato.

«Siamo andati a chiamarli anche di persona recandoci alla stazione», hanno dichiarato alcuni testimoni, «ma la risposta è stata che per l'intervento era necessario aspettare una chiamata». Chiamata che, come testimoniato dalla foto [...], è stata effettuata alle 20.05.
A breve aggiornamenti su questo sito.


Finalino sconsolato:

Contemporaneamente, sempre a Milano, lunedì mattina si svolgeva una conferenza stampa per illustrare un piano elaborato da Rom, cittadini e associazioni, sul destino di un altro insediamento, comunale stavolta. Un progetto frutto di anni di lavoro.

Scarsa a nessuna attenzione, escludendo una manciata di secondi (vedi dopo 8'45") sul TG regionale. Sembra che i Rom vadano bene quando fanno scandalo, che brucino come in via Sacile o che diano voce all'insoddisfazione del cittadino medio (vedi appena uscito). Cercare assieme soluzioni (e non da ieri) pare destinato a restare una non-notizia.

    Chiudo, con la terza segnalazione dall'insediamento bruciato. Non ho avuto tempo per recarmi lì o sentire i superstiti all'incendio, quindi la parola torna a:

Milanoinmovimento Profughi rom di via Sacile: le soluzioni Pubblicato da Anna_MiM

Dopo gli incontri di oggi, il Comune, insieme alle associazioni di volontariato e alla Protezione civile, ha messo a disposizione le proprie strutture per dare alloggio alle 120 persone evacuate dopo l'incendio che stanotte ha bruciato le baracche del campo rom di via Sacile.
Le strutture messe a disposizione dal Comune hanno carattere temporaneo (dai 6 ai 15 giorni) e sono adatte solo per fronteggiare l'emergenza, ma consentono di non dividere i nuclei familiari e, quindi, di non separare i minori dai loro genitori.
Tra i profughi del campo cento persone si sono rifiutate di accettare le soluzioni proposte dal Comune e hanno trovato rifugio sotto una tettoia nei pressi di viale Forlanini. La polizia, già pronta per lo sgombero, ha poi sospeso l'operazione. Il gruppo di sostegno Forlanini sta provvedendo in queste ore a fornire coperte e vestiario.
In merito alla vicenda, il sindaco Pisapia ha dichiarato: "Occorre innanzitutto trovare i responsabili di questo incendio, perche' pare sia di natura dolosa, e su questo ovviamente ho la massima fiducia nell'attivita' della Procura". Secondo il sindaco, pero', e' necessario "dall'altra parte trovare soluzioni importanti per coloro che abitavano in quel luogo e ai quali adesso dobbiamo offrire ospitalita', ma in un percorso di inserimento".
Nel frattempo, il campo di via Sacile, dove oggi gli abitanti del campo, scortati dalle forze dell'ordine, si sono recati per recuperare i loro averi e dove erano pronti a reinsediarsi, è stato definitivamente chiuso e presto, sull'area interessata dal cantiere della MM per l'allargamento della Paullese, partiranno i lavori.
Attualmente tutta la zona è presidiata dalla Polizia locale e dalle Forze dell'Ordine per impedire l'accesso e garantire la sicurezza e la legalità.
Anche le poche baracche superstiti all'incendio sono state già abbattute nel pomeriggio. [...]

 
Di Fabrizio (del 14/04/2012 @ 09:15:49, in Italia, visitato 1258 volte)

CivitaNews - di dr. Nazzareno Guarnieri

Nell'anno 2003 con altri amici abbiamo avviato il "progetto federazione" al quale abbiamo dedicato tempo e risorse personali per promuovere il suo sviluppo.

Con le iniziative del progetto federazione sono emerse con chiarezza le motivazioni che impediscono il perseguimento di obiettivi utili alla causa romanì italiana, e le difficoltà per una "riforma morale, intellettuale e politica" essenziale allo sviluppo della cultura romanì e alla partecipazione attiva e qualificata di rom e sinti.

Motivazioni e difficoltà anche per la partecipazione attiva di rom e sinti, in questi anni pessimamente interpretata e realizzata, ponendola al rischio di delegittimazione.

Motivazioni e difficoltà che mi hanno convinto alle dimissioni da presidente della Federazione romanì e ad abbandonare la stessa associazione per progettare, con alcuni amici, una radicale evoluzione del progetto federazione con la costituzione di una fondazione, denominata Fondazione romanì Italia con sede legale a Roma in Via Z. Fontana n. 220, per sostenere e/o realizzare azioni di sistema visibili ed utili alla causa romanì.

Una fondazione aperta, con le modalità previste dallo statuto, a tutti coloro che condividono le finalità e lo scopo.

Il materiale di comunicazione della fondazione è stato progettato da un'agenzia di comunicazione gestita da un giovane rom, ed è in corso di realizzazione.

Il 03 Maggio 2012 è stata programmata, a Roma, la presentazione pubblica della fondazione.

 
Di Fabrizio (del 11/04/2012 @ 09:52:12, in Italia, visitato 5798 volte)


VICINI DISTANTI cronache da via Idro
a cura di Fabrizio Casavola
LIGERA edizioni - collana Idee
128 pagine - 14 euro

Dall'Introduzione
Ho fatto un calcolo: quasi metà dei gagé che conosco ha scritto almeno un libro. In compenso l'Italia rimane da anni uno dei paesi dove si legge di meno.

Probabilmente è questo il motivo per cui fino ad ora non avevo mai nemmeno provato a scrivere qualcosa. Silenziosamente divoro libri su libri, ma ancora non ho imparato a farne uno.

E infatti, cercavo di tranquillizzarmi mentre scrivevo queste righe, ci vuole coraggio a definire libro le pagine che avete in mano. Non c'è traccia di poesia, e neanche una trama. Di certo non è un saggio o un testo di studio. Inoltre ricordi e considerazioni non hanno una scansione temporanea lineare, e rischierete di vagare avanti e indietro nel tempo, alla ricerca di una logica.

Se accettate il mio suggerimento, prendetele come una serie di istantanee messe in lettera, non sempre conseguenti, da cui potranno sortire (sempre che lo vogliate) ragionamenti, riflessioni o un semplice cazzeggio. Il tipo di scrittura è molto simile a quella che ho imparato ad adoperare in Internet: più da blog e facebook che da twitter. Amo la sintesi ma il limite dei 140 caratteri non fa per me.

Ci sono poi dei motivi per cui ho deciso di rivolgermi a voi in questo modo:

Come vedrete andando avanti, scriverò di Rom, o almeno di quel poco che conosco di loro, sapendo che posso sbagliare ed essere corretto a mia volta. Quelli di cui parlo non sono Rom immaginari o da rotocalco, ma persone reali con cui ho agito, discusso, riso, litigato per anni.

A volte mi chiedo quanto ha influito la loro cultura orale nel creare questo rapporto, così che non mi limitassi a considerarli solo carne da studiare sui libri, ma persone con una ricchezza interiore da conoscere "sul campo". Purtroppo la bellezza di una cultura orale è impotente di fronte alla protervia degli amministratori e delle "giacche blu". Per questo, circa 10 anni fa cominciai a raccogliere quanti più documenti e testimonianze scritte possibili, sapendo che questo tipo di memoria orale è destinata a soccombere nel confronto con una società esterna molto più numerosa, organizzata e strutturata.

Internet ha fatto il resto, mettendo in rete e rendendo disponibili tutta una serie di informazioni che altrimenti sarebbero rimaste patrimonio di pochi circoli ristretti.
Arrivo al secondo punto. Anche se si crede che le società nomadi (o le comunità straniere in genere: basta pensare a tutto quello che si dice dei cinesi) siano società chiuse ed impermeabili alle novità – progresso – mondo esterno ecc., ho constatato di persona che non è così. Come evolve la nostra società, evolve la loro, al doppio della velocità. Ci mischiamo e interagiamo di continuo, anche senza accorgercene.

La storia dei Rom che segue è scandita da numerosi e ripetuti tentativi di contatto con il mondo dei gagé. Conosco molte persone che hanno raccolto il loro richiamo, ma a livello mediatico e della cosiddetta opinione pubblica è come se si continuasse a vivere in mondi impermeabili.

Prima che risorse, i Rom rappresentano un problema, posto in quartieri problematici a loro volta. Lo sa bene chi conosce via Padova (ed il quartiere attorno a via Idro) che li accoglie da decenni. Ora che qualcosa s'è mosso, ci sono studiosi ed universitari che studiano la via, alcuni li ho accompagnati al campo di via Idro. Magari hanno poi scritto cose bellissime, ma non hanno avuto il coraggio di studiare assieme i due piani del problema, che potrà (può, per i più ottimisti) evolvere a risorsa se viene affrontato nella sua globalità.

Quindi, questa è una storia disordinata di cui sta a voi rintracciare i tanti fili. Una storia che spero possa svelarvi qualcosa su chi rimane sconosciuto e misterioso, nonostante oltre 40 anni di presenza in zona. Racconti, comunicati, frammenti di discorsi, gioie ed amarezze, che sarebbe bello condividere, e magari tramandare.
E', in poche parole, la testimonianza di un tentativo forse unico, di comunicare e crescere con la società esterna, però nel costante rispetto della propria cultura ed identità. Con tutte le contraddizioni affrontate e da affrontare.

E non mancherà qualche incursione nella cronaca nazionale, o nel dibattito eterno su cosa significhi vivere in periferia (su cosa sia la periferia, visto che i centri storici sono ormai quasi ovunque territori residuali e disabitati). Nessuno vive su un'isola.

Leggendo potreste trovarvi a scorgere voi stessi dall'oblò di una roulotte, quasi foste voi per una volta rinchiusi in un campo o in uno zoo.

Tutto questo, avevo bisogno di metterlo su carta. Il resto, le notizie quotidiane dai Rom e dai Sinti di tutto il mondo, potete sempre trovarle sul mio blog [...]

    Non sono bravo nei ringraziamenti: sicuramente vanno agli abitanti del villaggio di via Idro, con cui ne ho fatte di tutti i colori... alle persone ed alle organizzazioni citate (qualcuno/a l'avrò sicuramente dimenticato/a). Un grazie particolare a Stefania Ragusa, che non solo mi ha aiutato nella correzione delle bozze, ma ha anche tentato di spiegarmi qualcosa dello strano mondo dell'editoria.
    Infine, un grazie in anticipo a chi, per qualsiasi motivo, mi darà una mano a presentare queste storie.

Attualmente disponibile presso:

 

  • la Libreria del Mondo Offeso non l'ha voluto (evitate quindi di perdere tempo lì e di farlo perdere a loro)
 
Di Fabrizio (del 07/04/2012 @ 09:32:01, in Italia, visitato 1970 volte)

Da circa un mese, i due fratellini Libero e Il Giornale stanno battendo la grancassa, ripetendo la notizia che con Pisapia (ed in assenza di sgomberi) a Milano sono in aumento i "nomadi". E' il loro marchio di fabbrica: si alternano nel ripetere la cosa, finché qualche altro media, per sfinimento o in mancanza di altro da scrivere, si unisce al coro.

    Leggendo le cronache dalle altre città (grandi e piccole) in Italia, ho invece la sensazione che i cosiddetti "nomadi percepiti" (cioè: mendicanti, lavavetri, mariuoli di vario calibro) siano in aumento un po' dovunque. Figli di questi tempi, credo: nell'attuale situazione economica, non siamo solo noi a perdere il lavoro, fare più fatica a fare la spesa o mandare i figli a scuola. Ma si sa, che il compito della maggior parte dei giornali non è tanto fare informazione, quanto trovare il colpevole, e a Milano si preferisce dare la colpa a Pisapia, piuttosto che a Monti (o al suo predecessore, nessuno ricorda come si chiamasse?)

La soluzione per Milano, apripista Libero e il Giornale, sarebbe riprendere la vecchia e sana politica degli sgomberi ad oltranza che, a detta loro (ma anche del prefetto Gian Valerio Lombardi), in passato aveva ridotto le presenze nomadi in città.

Sarebbe utile ragionare sulle cifre riportate, e capire come vengano fornite. Ad esempio, sulle stesse pagine dei quotidiani da anni si parla si situazioni al limite dell'invivibile dentro TUTTI i campi rom cittadini, dove polizia e carabinieri non riuscirebbero nemmeno ad entrare. Io al contrario posso testimoniare che le loro pattuglie vi entrano regolarmente, anche una volta al giorno, fanno il loro giro ed escono senza problema. Che quelle stesse pattuglie con frequenza quasi mensile compiano una sorta di censimento (rigorosamente prima delle 7.00 e non capisco il perché), ma che nonostante ciò in comune da anni non sanno con quanti rom e sinti hanno a che fare. Quello che ricordo degli sgomberi di De Corato, non è che portarono ad una riduzione delle presenze nomadi in città, ma che si creò un'ondata di "nomadi di ritorno": sempre gli stessi sgomberati ogni volta. I due giornali, con dietro il coro, dimenticano che quella politica ebbe come risultato almeno una cinquantina di insediamenti di fortuna, diffusi in tutta la periferia, dove venivano rimbalzati gli sgomberati.

L'incendio questa settimana nel campo di via Sacile, ha risvegliato il dibattito sul destino di questi insediamenti, e come porvi rimedio. Se l'ex vicesindaco De Corato nostro ne approfitta per ribadire quanto lui era bravo, l'attuale maggioranza -ormai da mesi- prosegue con dichiarazioni (tante) ed atti concreti (meno), apparentemente contraddittori tra loro che, almeno riguardo alla questione degli insediamenti abusivi, sta portando al risultato di avere le stesse presenze di prima, ma più concentrate e periferiche rispetto al passato.

Occorre capire meglio cosa passi per la testa degli attuali amministratori: sicuramente una delle cause della loro indeterminatezza è data dal buco in bilancio della giunta precedente, già denunciato il luglio scorso. La seconda causa è dovuta al fatto che dichiarando la Corte Costituzionale illegittimo il Piano Maroni, sono scomparsi i fondi superstiti. In questa situazione, non conoscendo quanti possano essere i soldi disponibili, le tante e contraddittorie dichiarazioni sono fatte non tanto a ragion veduta, quanto per motivi di propaganda a corto respiro.

    Apro una parentesi: domenica scorsa ero all'insediamento di via Sacile. In quel campo che TUTTI indicano come una bomba ad orologeria sociale, gli abitanti mi mostravano le loro carte d'identità italiane (dato che sono arrivati lì dopo innumerevoli altri sgomberi) - carte d'identità andate bruciate con l'incendio. Buona parte dei maschi adulti ha un lavoro (per quanto in nero), i bambini hanno iniziato ad andare a scuola. Quindi esistono anche dei Rom "abusivi" che sono già sulla via dell'integrazione. Se fosse quello l'obiettivo, sarebbe DOVERE dell'amministrazione aiutarli, trovare qualche modo meno infernale di poter vivere. Ma le risposte ottenute dal comune spesso sono state del tono "vogliamo aiutarvi, ma dovete andarvene".

    Un esempio di cosa manca: il campo è (ovviamente) una gigantesca discarica, il comune non effettua la raccolta dell'immondizia, per paura di trattare TROPPO BENE questa gente (poco importa se le infezioni sono per loro natura antirazziste, e attaccheranno tanto loro quanto il resto degli abitanti). In Francia, anche se un insediamento è abusivo o a rischio sgombero, le municipalità (di destra o sinistra) mettono sempre a disposizione dei cassonetti per la raccolta rifiuti. In via Sacile sono gli OCCUPANTI ad autotassarsi per poter pagare una compagnia privata che provveda.

    Altro esempio: nel campo manca l'acqua, e più volte al giorno le donne fanno un lungo percorso sino ad un parchetto cittadino munito di fontanella, sollevando spesso il ribrezzo degli altri frequentatori del parco. Alcuni OCCUPANTI avevano raggiunto un accordo col proprietario di una casa abbandonata accanto al campo, per ripristinare il collegamento idrico. Ora bastava superare una recinzione divelta per rifornirsi senza scandali. Dopo qualche giorno, è intervenuta la polizia municipale per chiudere il rifornimento dell'acqua così ottenuto.

Questo il panorama di un'integrazione che (discorsi a parte) viene resa impossibile. La giunta attuale non chiede sgomberi, ma il "superamento dei campi"; cosa cambi non è chiaro, in assenza di proposte su dove può finire questa gente. L'alternativa pratica ai disastrosi campi attuali sembrano essere campi ancora più disastrosi.

Luoghi disastrosi per gente altrettanto disastrosa. E qua, occorre misurare l'approccio che si vuole avere con chi ci abita. Se UNA PARTE è gente come quella che descrivevo sopra, quando si tratta di cercare un dialogo con l'amministrazione, i toni tornano a quelli di anni fa: spaccio, prostituzione, ricettazione, furti, ecc. (qualche volta gradirei anche dati e cifre, please), diventano SCUSE per bloccare qualsiasi scelta che non vada oltre la pura emergenza. Scuse, di cui gli house organ comunali, le pagine cittadine del Corriere e di Repubblica, si fanno volentieri altoparlanti.

Con un'aggravante, per tornare al panorama dell'informazione: il progressivo "superamento dei campi", dietro il paravento del ripristino della legalità e del decoro, nasconde ancora, a distanza di anni e di giunte passate, i vecchi appetiti che si chiamano Expo, speculazioni immobiliari varie e, nel caso di via Sacile, i lavori di prolungamento della Paullese che, guardacaso, Pisapia in campagna elettorale si era impegnato a bloccare. Ma, visto che Pisapia per i suoi fan rimane intoccabile (e spesso inavvicinabile), il "lavoro sporco" viene delegato ai Granelli ed ai Majorino del caso.

Quindi: Pisapia come Moratti e sgomberi come "pensiero unico"? Leggo, nelle cronache romane, una descrizione della situazione nella capitale, governata da una maggioranza diversa che sta investendo una marea di soldi per costruire nuovi campi piazzati praticamente nel deserto: Rom, 21 luglio: "Con gli sgomberi i campi sono aumentati da 80 a 269". La gente anche lì rimane sempre quella, cambia il numero e la dimensione degli insediamenti di fortuna (diteglielo voi a De Corato).

E, permettete, destra e sinistra non usciranno da questo pantano (qualsiasi cosa proclamino), se non troveranno il coraggio di "prendere il toro per le corna", anche a costo di scelte impopolari. Scelgano una buona volta: la repressione dura e pura, con la PULIZIA ETNICA delle città. Oppure, prendano atto (magari non lo sanno...) che ci sono centinaia di edifici abbandonati sul territorio, potrebbero risolvere una buona parte del problema o, se restano abbandonati, prima o poi verrà qualche sgomberato ad occuparli. Io non ero ancora nato, ed in un'Italia sicuramente più povera di quella odierna, i vecchi politici di un vecchio centro (poi centro-sinistra), avevano già iniziato a smantellare le coree (molto più estese dei campi attuali), a favore di una politica della casa per le masse di immigrati che si erano riversate a Milano, Roma, Torino ecc.

Sappiate, signori amministratori, che quel che dovreste fare voi (scolarizzazione, facilitare l'accesso al lavoro, ai servizi pubblici e sanitari, dialogare con Rom ed altri cittadini) a Milano ed altrove lo stanno facendo da anni nuclei di volontari, sempre più numerosi e coscienti. Sono il capitale di un'amministrazione senza soldi, signori amministratori, sono i vostri votanti. Non fate la faccia offesa se vi chiedono ASCOLTO e RISPETTO.

E sulle stesse note, vi chiedo di aderire al progetto elaborato da un'altra comunità rom, con la medesima pratica di mediazione sociale diffusa. GRAZIE.


Nel frattempo: Matteo Salvini è sempre stato un ragazzo sveglio ed attivo, uno che la città se la gira da cima a fondo. Giovedì mattina era con i suoi in via Sacile, per dire ai Rom che dovevano andarsene. Mi dicono che la sera sia apparso contemporaneamente in televisione su Matrix, prendendosela con gli zingari ladri, e a Porta a Porta, piangendo sui (presunti) furti della Lega. Schizofrenico grave.

Fonti:

 

Foto di Paul Polansky - MilanoInMovimento: A breve l'intervista integrale a Paul Polansky su questo sito.

All'alba di mercoledì un incendio ha distrutto metà del campo Rom di via Sacile angolo via Bonfadini a Milano. L'area sotto sgombero è destinata alla costruzione di uno svincolo della Statale Paullese e di un tratto di una rete fognaria.

Attualmente la versione ufficiale dei fatti parla di un incendio non doloso provocato da una candela situata all'interno del campo.

Il poeta Paul Polansky, già intermediario per l'Onu e premiato con lo Human Rights Award nel 2004, si trovava nel campo durante la notte in cui le baracche hanno preso fuoco e in un'intervista esclusiva rilasciata a Milano In Movimento dà una versione radicalmente diversa dell'accaduto e in particolare delle cause dell'incendio.

 Guarda la VIDEO intervista in esclusiva di Milano In Movimento.

Ndr: L'intervista è stata concordata e realizzata in collaborazione con la redazione di Mahalla


Nota:

Saluti a tutti,

Volevo scrivere oggi un rapporto su come e perché ci fosse stato un incendio nel campo rom a Milano dove vivevo, ma al suo posto troverete qui sopra un intervista con me in inglese ed italiano che spiega tutto.

Vi chiedo di girare l'intervista a tutti quanti siano interessati ad aiutare questi Rom.. Almeno venti famiglie nel campo ora non hanno un tetto. Stanno scavando tra i resti bruciati in cerca di materassi a molle per farsi nuovi letti. Il comune non ha portato loro nessuna tenda e neanche nuove baracche, come aveva promesso. L'unico aiuto è stato una tazza di Nescafe dopo che l'incendio è stato spento.

Ora all'ingresso del campo ci sono 24 ore su 24 due macchine della polizia. Perché, se è stata solo una candela a far scoppiare l'incendio? Ho intervistato i poliziotti e chiesto loro perché erano lì. Mi hanno detto [che era] per tenere lontani i Rom dal terreno intossicato (bruciato). Ma la polizia permette loro di piantare le tende che si sono procurati su quel terreno tossico, limitandosi ad osservarli dalle loro macchine, dato che i Rom passano tutto il giorno su quel terreno in cerca di quello che hanno perso nell'incendio.

Spero che possiate dare una mano, appellandovi al sindaco di Milano.

Grazie,

Paul

 
Di Fabrizio (del 05/04/2012 @ 09:31:22, in Italia, visitato 2035 volte)

Milanoinmovimento

Questa [ieri ndr] mattina alle 6.30 un vasto incendio ha distrutto metà campo Rom tra via Bonfadini e via Sacile a Milano. Al momento pare non ci siano né feriti, né dispersi, ma l'intera area di circa mille metri quadri è stata invasa dalle fiamme. I vigili del fuoco sono ancora sul posto per domare definitivamente l'incendio.
Il campo, abitato da centinaia di persone, di cui almeno una settantina sono minori che frequentano le scuole della zona, era già stato minacciato da una serie di tentati sgomberi negli scorsi mesi.
Nel primo pomeriggio gli assessori Majorino e Granelli si sono recati in visita al campo per verificare la situazione.

Foto: Agenzia Fotogramma
Video dal campo di Pellizzone, Karma Mara, Monopoli


Altre foto e notizie raccolte sul posto (le foto verranno caricate in seguito)

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Sentite diverse testimonianze, sembra si possa escludere la causa dolosa. L'incendio è scoppiato probabilmente per una candela lasciata accesa.

I vigili hanno operato tutta la mattina, inizialmente con una sola autopompa, poi diventate due ed infine sette quando l'incendio ha minacciato di raggiungere la sede ferroviaria. Il fuoco ha distrutto circa metà del campo, ma buona parte delle baracche superstiti sono inagibili perché inondate dal getto degli idranti, affinché il fuoco non si propagasse. L'area bruciata è stata messa in sicurezza, perché al suolo ci sono diverse sostanze tossiche. Anche a sera l'aria era pesante dei fumi tossici.

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Qualche ferito, in particolare una madre rimasta ustionata alle braccia nel tentativo di salvare figli e nipoti dal fuoco. Si è rifiutata di andare al pronto soccorso ed è stata medicata sul posto in un'ambulanza.

Molti degli abitanti del campo erano già tornati in Romania per le feste pasquali, sul posto ne rimangono un centinaio circa, che per stanotte si ammasseranno nella parte superstite del campo. Diversi di loro hanno perso anche i documenti personali. Oggi in giornata dovrebbe esserci un nuovo incontro tra gli abitanti e gli assessori per valutare il destino di chi è rimasto e dei bambini che nel frattempo avevano iniziato a frequentare le scuole.

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Dato che il comune non ha fornito alcun tipo di aiuto materiale, durante tutto il pomeriggio e la sera sono arrivati materassi, coperte, indumenti raccolti dai volontari del Gruppo sostegno Forlanini ed altri, almeno per provvedere all'emergenza immediata.

Data la persistente situazione di urgenza (ed anche di tensione) si chiede a chi voglia contribuire di farlo in modo coordinato con chi sta già provvedendo, e quindi di mettersi d'accordo con STEFANO NUTINI (333-44.51.206) prima di portare materiale o generi di conforto.

 
Di Fabrizio (del 02/04/2012 @ 09:51:43, in Italia, visitato 7158 volte)

Quello che segue è un lungo documento, frutto di un'altrettanto lungo e complesso confronto tra la comunità rom di via Idro 62 (Milano) e le associazioni ed i volontari della zona, indirizzato al comune di Milano per affrontare e risolvere una lunga situazione di emergenza, prima di tutto sociale e personale, ma anche abitativa e lavorativa. Non vi sfuggirà il particolare di un grande impegno comune dei promotori, per superare oltre ai ghetti fisici anche quelli mentali, ed ipotizzare soluzioni a vantaggio di tutti gli abitanti, Rom e no, della zona.

Vi chiediamo di leggerlo con pazienza ed attenzione e, se lo condividete, comunicare la vostra adesione all'indirizzo mail info@sivola.net, comunicando anche se l'adesione è personale o a nome di un'organizzazione.

Il documento verrà presentato in conferenza stampa lunedì 16 aprile alle ore 11.30, c/o la sala consigliare 321 - via Marino 7 - 3° p. MILANO. ABBIAMO BISOGNO DI RACCOGLIERE PRIMA TUTTE LE VOSTRE ADESIONI. Inoltre, potete ripubblicare il link sui vostri blog, nelle bacheche di Facebook, su Twitter, ogni collaborazione è ben gradita.

Grazie e buona lettura.

 

 

IL VILLAGGIO SOCIALE E SOLIDALE DI VIA IDRO NEL PARCO DELLA MEDIA VALLE DEL LAMBRO

Premessa

La rete delle associazioni
Si è consolidata nei nostri quartieri di Crescenzago Gobba Adriano l'esperienza significativa di una rete di comitati ed associazioni, di scuole e di singoli cittadini che opera per la qualità della vita urbana, per il dialogo interculturale e l'integrazione - interazione civile e sociale tra etnie e culture diverse.

Via Padova, la via del mondo e la sua Festa "Via Padova è meglio di Milano" esprimono luoghi e manifestazioni esemplari di ricchezza culturale ed artistica, di ricerca e comprensione del mondo – a partire dai paesi di provenienza degli immigrati.

La cittadinanza attiva ha saputo, soprattutto negli ultimi anni, sviluppare un contrasto efficace alle politiche di emarginazione e colpevolizzazione degli stranieri e delle minoranze rom e sinti da parte delle amministrazioni della destra leghista e berlusconiana.

Un pool di associazioni, assieme a singoli cittadini, dette vita nel 2009 a un Osservatorio contro i razzismi, che promosse iniziative ed incontri per denunciare gli atti più discriminatori di vero e proprio "razzismo istituzionale". Soprattutto a partire dal pluriennale inserimento scolastico dei bambini, si sviluppò una specie di rete di protezione attorno alla comunità rom di Via Idro.

La politica degli sgomberi, il "Piano Nomadi" e il Campo di transito di via Idro
La politica degli sgomberi dei "campi nomadi" e le ossessive direttive dell'Amministrazione Moratti – De Corato contro i rom diventavano il corollario di una normativa nazionale, con la quale l'allora ministro degli interni Maroni mirava a realizzare un "piano nomadi" trasformando il problema di come migliorare le condizioni di vita e di convivenza dei "campi" in problema di emergenza dal punto di vista dell'ordine pubblico, e quindi isolandolo con interventi speciali chiaramente discriminatori e lesivi della dignità delle persone e del rispetto delle culture diverse. Gli sgomberi rientravano quindi nel novero delle misure repressive senza soluzioni alternative adeguate. A ben poca cosa si sono ridotti i pur previsti interventi di aiuto alle famiglie rom di sistemazione in alloggi popolari o cascine.

Il dato dominante sta nei caroselli di sgomberi a centinaia, nello sradicamento da luoghi che pur precari e/o degradati consentivano un minimo di vita identitaria e comunitaria, la frequenza scolastica dei bambini, una qualche assistenza sanitaria, ecc. Il cosiddetto patto di legalità e il suo regolamento di attuazione (Milano, febbraio 2009), con il Prefetto avente funzioni di Commissario straordinario all'emergenza rom, diventavano gli strumenti attuativi sul territorio del decreto Maroni (2008) – dichiarato finalmente illegittimo sul piano della tutela dei diritti costituzionali dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 6050 del 16 novembre 2011.

La comunità di Rom Harvati di Via Idro è composta da circa 130 cittadini italiani - una trentina di famiglie, che vi risiedono dal 1989. E' storicamente parte integrante dei quartieri di Crescenzago Gobba Adriano.

Nel cosiddetto "Piano nomadi" si prevede che il campo di Via Idro venga trasformato in "campo di sosta temporanea" e quindi di "transito", "attraverso il rifacimento infrastrutturale, la messa in sicurezza e l'ottimizzazione degli spazi, previo allontanamento delle famiglie esistenti" (sottolineatura nostra).

Tale sciagurata politica peggiora la situazione. I diritti e le esigenze della comunità dei cittadini italiani rom sono scese all'ultimo posto. Gli abitanti dei quartieri interessati, molto allarmati per l'eventuale arrivo di centinaia di altri nomadi, esprimono inequivocabilmente la loro contrarietà a fare di Via Idro un campo di transito. E raccolgono 8.000 firme, che non si traducono in manifestazioni di ripulsa razzistica, ma contribuiscono ad allargare e consolidare la consapevolezza che la questione rom non può essere affrontata semplicemente sgombrando e spostando le persone.
Nello specifico di Via Idro, diventa sempre più evidente che sarebbe utile e giusto migliorare le condizioni strutturali dell'area per la comunità ormai stanziale da circa trenta anni e per la salvaguardia dell'ambiente naturale e per il miglioramento della qualità della vita dei quartieri. Infatti sarebbe un segnale negativo, che dopo aver lavorato assieme per decenni sulle tante questioni connesse alla stanzialità (lavoro, scuola, inserimento nel quartiere, ad esempio), questi sforzi ed i risultati ottenuti venissero azzerati.

La sconfitta dell'amministrazione PDL/LEGA - Moratti/De Corato e l'elezione del sindaco Pisapia, il ripristino di un quadro di legittimità costituzionale sulla questione rom (sentenza Consiglio di Stato) impongono un cambio radicale per una politica positiva dell'integrazione e dell'interazione civile sociale e culturale.

La bussola da seguire è la Costituzione, e specificatamente gli artt. 2 e 3 – purtroppo sottoposti a violazioni continue:

    "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale." (Art. 2).

    "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
    E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese." (Art. 3).

In un contesto globale e locale di profonda crisi economica e finanziaria, di peggioramento delle condizioni generali di vita, di perdita del lavoro, di aumento della disoccupazione, di ampliamento delle fasce di povertà, si fa ancor più urgente la necessità di promuovere politiche sociali inclusive, di creare lavoro e stimolare iniziative di solidarietà e cooperazione.

"Emergenza umanitaria in Via Idro"
Come prevedibile, la situazione del campo di Via Idro è peggiorata in questi ultimi mesi fino a diventare "emergenza umanitaria" come viene definita dalle denunce di comitati ed associazioni e da due lettere aperte – una del Comitato per Milano Zona 2 del 9/12/2011 e l'altra a più voci del 15/12/2011 - inviate al sindaco Pisapia e agli assessori alle Politiche sociali e alla Sicurezza e coesione sociale.

Nella lettera aperta del 15 dicembre 2011 (firmata da: Carlo Bonaconsa , Comitato Vivere Zona 2; Fabrizio Casavola, redazione di Mahalla; Laura Coletta, Associazione Elementare Russo; Gabriella Conedera, Scuola Elementare di Via Russo; Cesare Moreschi, Comitato Vivere Zona 2; Giuseppe Natale, ANPI Crescenzago; Antonio Piazzi, ANPI Crescenzago; Paolo Pinardi, Martesanadue), il peggioramento delle condizioni di vita nel campo di Via Idro viene così descritto:

    "…Manca la corrente elettrica da mesi, i frigoriferi non possono funzionare, le fogne straripano, la strada si allaga. Le persone vivono al freddo. La salute è seriamente a rischio. Le prime vittime sono i bambini e gli anziani, i più deboli ed indifesi.
    I responsabili dell'amministrazione comunale sono informati, ma inspiegabilmente non provvedono.
    Per i Rom Harvati, cittadini italiani che risiedono da oltre 30 anni in Via Idro, si sono ulteriormente ridotte le possibilità di lavorare non solo per la crisi generale, ma soprattutto perchè sono vittime – come altri nomadi e minoranze etniche – di politiche centrali e locali di discriminazione e di ingiustizia sociale."

I firmatari della lettera si pongono due preoccupanti interrogativi:

    "Si vuole da parte anche della nuova amministrazione di Milano insistere sul campo di transito in Via Idro, rifiutato sia dalla comunità rom sia da cittadini, comitati, associazioni, partiti e dal Consiglio di Zona 2?
    Perché non si provvede con urgenza a garantire agli abitanti il ripristino delle condizioni di vita umane e ad approntare un piano di riqualificazione da inserire in un progetto di valorizzazione del patrimonio ambientale (Lambro, Martesana, costituendo Parco della Media Valle del Lambro) e della comunità rom, i cui membri già nel passato hanno dimostrato di potere mettere a disposizione esperienza e competenza (cooperative per la cura del verde e di lavori diversi)?"

Si ribadisce poi, da parte dei firmatari , la volontà a farsi "promotori di un progetto generale di riqualificazione e valorizzazione dell'intera area allo scopo di migliorare la qualità ambientale e urbana e le relazioni tra i rom e gli abitanti dei quartieri interessati."

Verso un villaggio rom sociale e solidale

L'area di Via Idro

L'area si colloca in una posizione nevralgica, tra il lungo canale Martesana / la confluenza col fiume Lambro, la tangenziale est e le abitazioni di Via Padova / Gobba. Nel mezzo del costituendo Parco della Media Valle del Lambro, si trova nel punto di confine dei quattro comuni limitrofi: Milano, Sesto San Giovanni, Cologno Monzese, Vimodrone. E' attraversata da una pista ciclo-pedonale che, tra le più lunghe esistenti, collega Milano all'Adda.

Il contesto geo-ambientale ricco di un rilevante patrimonio naturale (acque e verde) e storico-architettonico (ville del lungo Martesana e cascina Lambro del XVII sec. in abbandono e degrado) è anche compromesso dal groviglio viabilistico del nodo di Gobba, dai tralicci degli elettrodotti, dall'inceneritore nel territorio sestese, dal ripetitore Mediaset di Cologno. Vi incombe la minaccia di costruirvi residenze abitative sempre secondo la logica delle cementificazioni diffuse e delle speculazioni urbanistiche. Da oltre 30 anni, è bloccato dai cittadini e dal Consiglio di Zona il progetto della famigerata Gronda Nord, un'autostrada in città di attraversamento della fascia settentrionale dell'area metropolitana milanese già intasata da un sistema pesante di tangenziali ed autostrade.
Da anni, il fiume Lambro inquinato e ridotto a cloaca aspetta di essere bonificato e di ritornare a scorrere pulito e a svolgere funzioni importanti in un ecosistema urbano rigenerato.

L'area è caratterizzata da aspetti e risorse positive e da elementi negativi. Si tratta di puntare sui primi e di annullare o attenuare i secondi, valorizzando la comunità rom che vi abita e sviluppando tutte le potenzialità del contesto e le disponibilità umane sociali e professionali di cui sono ricche associazioni e comitati della cittadinanza attiva.

Il Villaggio rom di Via Idro e la politica di stampo razzista: le diverse fasi
Nell'agosto 1989, l'area di Via Idro viene assegnata ad alcune famiglie di rom - tutti cittadini italiani - costrette a lasciare gli spazi destinati a formare il Parco della Martesana, tra Gorla Turro e Crescenzago. Una trentina di famiglie vi si stanziano dando vita a un villaggio sotto il controllo del Comune di Milano e attraverso uno specifico Ufficio Nomadi. Erano già presenti nell'attuale zona 2 da circa 40-50 anni, prima tra Precotto e Crescenzago, in seguito nell'area compresa tra via Agordat e via Stamira d'Ancona.

Negli anni '70/80 le amministrazioni avevano tentato di promuovere una politica di integrazione nei confronti dei nomadi creando servizi sociali finalizzati all'inserimento scolastico dei bambini, all'assistenza sanitaria e all'orientamento lavorativo.

Nell'ambito dell'impegno politico e sociale e all'interno delle giunte di sinistra, spicca la figura di Carlo Cuomo, assessore ai servizi sociali e al decentramento nel decennio 1975/85, che molto si spende a difesa dei rom e si fa promotore di tante iniziative finalizzate soprattutto alla promozione civile e sociale delle popolazioni zingare e di etnie e culture altre. Tra i fondatori dell'associazione Opera Nomadi, lancia poi un'idea di grande attualità, la Casa dei popoli e delle culture. In qualità di presidente dell'Opera Nomadi, Cuomo lavora molto per la comunità di Via Idro e il suo impegno costituisce un esempio da seguire.

E' soprattutto l'inserimento scolastico dei bambini a raggiungere i migliori risultati, grazie all'impegno delle maestre e all'apertura dell'istituzione scolastica.
I primi tentativi di scolarizzazione risalgono alla metà degli anni '80, progetti pilota che sono poi stati ripresi anche a livello nazionale. Questo fa si che la frequenza scolastica degli alunni di via Idro sia oggi molto alta, praticamente il 90%.

L'inserimento dei bambini rom di via Idro nella scuola di Via Russo è stato un percorso lungo e costellato di difficoltà ma anche di soddisfazioni. Gli insegnanti e tutto il personale hanno dovuto affrontare nel tempo:

  • la diffidenza da parte degli altri genitori verso una realtà da sempre disegnata con pregiudizi e stereotipi;
  • la paura degli stessi genitori rom di fronte ad un differente modello educativo e culturale;
  • l'utilizzo strumentale della scuola come risposta ad alcuni bisogni primari (alimentazione, salute, igiene);
  • la scarsa quantità di risorse utilizzabili;
  • lo svantaggio globale presentato dai bambini e determinato anche da problemi di bilinguismo sottrattivo.

Il tempo, la reciproca conoscenza, gli interventi al campo, le risposte della scuola ai bisogni di questa utenza, hanno permesso una collaborazione più attiva da parte delle famiglie e il crearsi di un rapporto di fiducia senza il quale nessuna didattica può avere luogo.

Nel 1990 viene fondata da alcuni rom di Via Idro la cooperativa Laci Buti, con la collaborazione di operatori sociali e tecnici, a cui si affianca nel 1999 nella cooperativa sociale Laci Buti 2, specializzata nei lavori di manutenzione delle aree verdi e della coltura floreale.

La situazione precipita negli ultimi anni, con l'ultimo governo Berlusconi, per la recrudescenza della politica discriminatoria nei confronti degli zingari e degli stranieri in generale. A Milano, l'amministrazione Pdl/Lega si distingue per l'accanimento contro i campi rom e per la sequela di sgomberi che nel biennio 2009/marzo 2011 arriva a ben 360! Con tale politica razzistica il problema non solo non si risolve ma viene in continuazione spostato e riproposto instillando paura e odio. Diventano enormi i costi morali sociali ed economici. Basti pensare che ogni sgombero viene a costare tra i 20 e i 30 mila euro! I costi complessivi oscillano tra i 7 e i gli oltre 10 milioni di euro!...

Con il decreto e le ordinanze del ministro dell'interno Maroni (2008), viene dichiarato lo stato d'emergenza in Lombardia, Lazio e Campania "in relazione all'esistenza di comunità nomadi nei rispettivi territori", per la pericolosità sociale dei campi rom e per la sicurezza dei cittadini!... Eppure si tratta di un numero molto modesto di Rom e Sinti residenti in Italia: non più di 170 mila persone, di cui la stragrande maggioranza cittadini italiani e il 40% di minori di 18 anni; appena lo 0,02% della popolazione, il più basso d'Europa! E a Milano i nomadi non raggiungono le 2000 unità!
Accanirsi contro queste minoranze è davvero indice di allarmante inciviltà.

I "10-12 milioni di rom europei continuano a essere vittime di gravi discriminazioni strutturali" viene denunciata con la Risoluzione del 25 marzo 2010 dal Parlamento europeo, che "condanna la recente recrudescenza del razzismo contro gli zingari" (la "fobia dei rom"!); e chiede alle istituzioni della UE e ai singoli Stati membri di adottare misure che riconoscano "la piena cittadinanza e la partecipazione socioeconomica dei rom"; che garantiscano le "pari opportunità" per l'inserimento scolastico, per " l'integrazione nel mercato del lavoro", per l'accesso al diritto alla casa; di sostenere " campagne di educazione pubblica alla tolleranza rivolte alla popolazione non rom e riguardanti la cultura e l'integrazione dei rom"; che incoraggino "le autorità locali a fare un uso migliore delle opportunità di finanziamento offerte dai fondi strutturali per promuovere l'inclusione dei rom, compreso il controllo oggettivo dell'esecuzione dei progetti"; che riconoscano "l'importanza delle organizzazioni rom a livello dell'Unione quale elemento indispensabile per garantire il successo delle politiche di inclusione sociale".

Il 21.10.2010, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa emana una Risoluzione di condanna dell'Italia per la sua politica di discriminazione dei rom.
Il 16.11.2011, il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 6050 annulla il piano Maroni e abroga le tre ordinanze del 30.5.2008 di dichiarazione dello stato di emergenza in Lombardia, Lazio, Campania.

In Via Idro la situazione peggiora nonostante che nel gennaio 2008 la Casa della Carità vinca la gara d'appalto e, secondo la convenzione, diventi "gestore" del campo. Occorre chiedersi come mai non hanno funzionato il centro polifunzionale, il presidio sanitario, lo sportello lavoro. La cooperativa non ha più avuto commesse lavorative. E la serra di 270 mq è fuori uso. Forse perché l'obiettivo prioritario era (ed è ancora?) quello di smantellare il campo stabile per la comunità storica e trasformarlo in "campo di sosta" o di "transito"?

Un percorso fattivo e condiviso

Eterogeneità e specificità delle soluzioni
Nell'affrontare la questione rom occorre tenere conto che in tutta Italia, come nella stessa Milano, le comunità presenti sono diverse per storia, tradizioni, presenza, integrazione, bisogni. Non esistono quindi a nostro giudizio soluzioni standard replicabili automaticamente.

Quindi gli scriventi non intendono sottoporre proposte universali, ma che siano invece ragionate sullo specifico delle persone e della zona coinvolte, che siano gestibili, che facciano salvo il principio della coesione sociale. Se poi questo può dar vita ad una discussione più generale sulla mediazione e gestione di situazioni simili, non possiamo che esserne fieri.

Come nel passato, quando i campi sembravano l'unica soluzione per Rom e Sinti, nei ragionamenti attuali sul loro superamento, c'è un vizio di forma. Rom e Sinti non sono stati consultati allora e, ancora oggi, nessuno sente il dovere di discutere assieme a loro le soluzioni che riguarda in prima istanza il loro futuro.

Se i campi sono ghetti istituzionalizzati, ci poniamo alcune questioni:

  1. la vera discriminazione è sempre stata considerare i Rom come cittadini di seconda categoria, senza che avessero voce in capitolo nelle scelte che li riguardavano;
  2. i campi nomadi sono diventati col tempo una fonte di rendita non per chi ci viveva, ma per le associazioni che li gestivano. Associazioni che si sono sempre sentite in diritto di rappresentare le istanze di Rom e Sinti a loro uso e beneficio;
  3. infine, se i campi sono un ghetto, non è abolendoli che si risolve il problema. Sarebbe spostare il problema per l'ennesima volta: lo affermiamo sapendo di alcune famiglie rom che sono andate ad abitare in casa, abbandonate a se stesse, portandosi dietro tutti i loro problemi e trovandosene di nuovi.

Ribadendo che allora per superare le indecisioni del passato e mettere in atto strategie efficaci è indispensabile la PARTECIPAZIONE, come cittadini titolari di diritti e doveri, a tutte le istanze che li riguardano, da quelle centrali a quelle del decentramento.

Il termine campo
Per questo si rende necessario reimpostare il linguaggio e usare parole di senso civile. Il termine "campo" è quello che più si presta a circoscrivere e ghettizzare la vita dei nomadi, e contiene reminiscenze terribili di persecuzioni concentramenti ed annientamenti etnici nel corso degli ultimi secoli, e del periodo dei totalitarismi, in particolare del nazifascismo. Le stesse aggettivazioni - campo di transito, di sosta, di permanenza temporanea - denotano lo stigma dell'emarginazione e della precarietà, dell'allontanamento e dell'espulsione dalla comunità dei cittadini.

Per attuare un'adeguata politica dell'ospitalità e del rispetto delle culture ex-nomadi, dell'integrazione e del diritto di cittadinanza si pone il problema del superamento dei campi e/o della loro chiusura. L'obiettivo del "superamento dei campi" deve coincidere con la finalità di smetterla con i pregiudizi contro questa etnia.
Secondo noi è più corretto ed efficace superare il termine "campo" ed usare parole come "area", "villaggio", "comunità". Occorre chiudere definitivamente con la fase barbara degli sgomberi e perseguire una politica attenta a migliorare le condizioni strutturali degli spazi che ospitano i nomadi, allo scopo di riconoscere – come afferma il Parlamento europeo – la piena cittadinanza e la partecipazione socioeconomica dei rom e di garantire le pari opportunità, nonché consentire la libera scelta rispetto alle modalità di vita stanziali e residenziali. L'obiettivo del "superamento dei campi" deve essere realizzato con il coinvolgimento consapevole e responsabile degli interessati, con la gradualità necessaria e le modalità specifiche più diverse.

Nel caso di Via Idro, ci sono tutte le potenzialità e le positività perché il "campo" venga rispettato per quello che è: una comunità storica e stanziale da 22 anni di cittadini italiani, in un'area da valorizzare nell'interesse generale della comunità metropolitana e dei quartieri interessati.

Qui il "superamento del campo" non vuol dire sostituirlo con quello di "sosta" o "transito", né "chiusura del campo".
In questo caso si tratta di realizzare un progetto di Villaggio sociale e solidale permanente, vero e proprio presidio di un sito strategico del costituendo Parco della Media Valle del Lambro, formato dalla comunità dei rom harvati che scelgono di continuare a viverci assumendosi - assieme alle istituzioni ed enti, associazioni e comitati di cittadini – compiti e responsabilità all'interno di un progetto di lavoro e di cooperazione sociale economica e culturale in diversi settori, in un contesto urbano ampio costituito dai quartieri di Gobba / Crescenzago / Adriano / Via Padova del comune di Milano e dai comuni confinanti di Sesto San Giovanni, Cologno Monzese e Vimodrone.

Un quadro normativo
Prima di elaborare nuove politiche (qualsiasi possano essere), riteniamo indispensabile che l'amministrazione compia un bilancio critico sui risultati e fallimenti del "Piano Maroni", come siano stati impiegati in passato i fondi erogati, quante famiglie rom e sinti ne abbiano effettivamente beneficiato, quali fondi residui sono a disposizione.

Occorre poi dare un quadro normativo certo e rispettoso dei diritti-doveri previsti dalle leggi e dalla Costituzione, perché chi vi risieda sia un cittadino a tutti gli effetti.

Da parte nostra, rimaniamo dell'opinione che, come tutti i cittadini abbiano pari dignità, lo stesso principio valga per le forme dell'abitare, purché queste non portino a violazioni di legge.

L'isolamento e la ghettizzazione non si possono superare imponendo modelli di vita dall'esterno, ma solo con la condivisione e l'interazione.

Costruire certezze
Gli ultimi due anni hanno rappresentato un periodo di grande incertezza per la comunità rom, dovuta al progetto di sostituire quella che a tutti gli effetti è la loro casa, con un campo di sosta a rotazione. Progetto mai attuato, anche perché assurdo, nella nostra zona o altrove. A parte questo, non siamo mai riusciti a capire perché cittadini italiani in zona da sempre avrebbero dovuto andare via, per lasciare il posto a gente che in tre mesi teoricamente avrebbe dovuto trovare casa e lavoro.

Questa incertezza, unita a promesse di finanziamenti dal Comune per chi intendeva lasciare il campo, ha portato qualcuno ad aprire un mutuo per l'acquisto di un rustico da ristrutturare, altri a fare domanda per le case popolari. Sinora alle promesse non sono seguiti i fatti, e tutta la comunità vive nel costante timore di ritrovarsi per strada. Dopo anni di incertezza, gli abitanti chiedono un pronunciamento chiaro e duraturo da parte del comune.

Se invece venissero mantenuti gli impegni di assistere chi ha scelto di essere accompagnato nell'uscita dal campo, e nel contempo venissero allontanati definitivamente da chi ne ha il potere, le poche famiglie degli occupanti abusivi (che hanno comunque residenza altrove), le presenze si ridurrebbero a circa 70/80 unità, dimezzando praticamente l'area sinora occupata e rendendo possibile la trasformazione da campo-ghetto ad un vero e proprio villaggio alle porte di Milano.

Presidio sociale
Qualsiasi siano le politiche future rivolte, nella maniera più condivisa possibile, agli abitanti dell'attuale insediamento, andrà fatta una riflessione critica sul ruolo del PRESIDIO SOCIALE, che in passato avrebbe dovuto fungere da elemento chiave nell'affrontare le diverse questioni dell'abitare, della scolarizzazione, del lavoro e della sanità, Nel contempo riteniamo che l'attività di questo presidio avvenga col supporto dei servizi di zona preposti.

Difatti secondo noi una delle cause delle incertezze ricordate prima, è lo stato di abbandono non solo fisico, ma anche sociale, in cui si soni ritrovati i residenti, in particolare quelli che non avevano possibilità di compiere scelte in autonomia.

Il lavoro
Cominciamo con questo punto, perché molto più di quello dell'abitare, è il prerequisito per una scelta consapevole e duratura, tanto riguardo alla futura integrazione che riguardo all'abitare.

Si tratta di passare da una situazione attuale di sostanziale precarietà finanziaria ed esistenziale, ad una che permetta ai Rom di via Idro di poter decidere in autonomia sulla loro esistenza. Non occorre partire da zero: si tratta di cittadini italiani che già hanno iniziato questo percorso di autonomia, che va ripreso e sostenuto.

Il lavoro, assieme alla formazione e alla scuola, è il pilastro portante del progetto. Si tratta di valorizzare l'esperienza e la professionalità dei rom harvati e di rimettere in attività la loro storica cooperativa Laci Buti.

La cooperativa può operare in diversi settori lavorativi:

- Manutenzione e cura del verde (taglio dell'erba e delle siepi, potatura alberi ecc.), recinzioni, ecc.
- Produzione di verde e piante (ripristino del vivaio e della serra)
- Pulizia di aree urbane
- Sgombero di cantine e magazzini
con personale che ha seguito corsi professionali di operatore del verde.

Nel passato dava lavoro ad una ventina di persone, ma via via col tempo il Comune ha tagliato gli appalti, e l'ultimo anno ha lavorato solo due giorni. Eppure il lavoro è tutto intorno: in quell'area che le forze politiche e le associazioni di zona vorrebbero rivalutare, e via Idro è praticamente un corridoio verde che collega il parco Lambro e il parco del naviglio Martesana al parco della Media Valle del Lambro. Quello che è mancato negli ultimi anni è stata la volontà politica, di mantenere in vita questa esperienza e contemporaneamente di realizzare un polmone verde nella zona, riqualificando tutto il sistema-navigli in vista dell'Expo.

In passato alcuni giovani sono stati assunti all'AMSA, anche se attualmente ne sono rimasti a lavorare solo due. Potrebbe essere un'esperienza da riprendere, soprattutto per quelli che hanno meno di trent'anni.

A queste attività se ne possono aggiungere altre: di fronte alla crisi attuale alcune famiglie hanno ripreso l'attività tradizionale di recupero e riciclo di materiali usati e/o di rifiuti, anche se attualmente non è assolutamente remunerativa. Per questo, grazie all'interessamento di alcuni volontari, si sta progettando di frequentare un corso per operatori di ricicleria (tra l'altro quella di via Olgettina si trova a poca distanza).

Riprendendo l'esperienza di parte di alcune famiglie della tradizionale attività di allevamento di cavalli e di altri animali, che rischia di scomparire, possibilità di ripristino di un'area con maneggio, servizio psico-socio-terapeutico per le persone con handicap, ecc., da inserire nel progetto con funzioni sociali e di tempo libero ed anche terapeutiche.

Le strutture
Come soluzione abitativa indicheremmo quella già presente nel programma elettorale del sindaco, cioè l'autocostruzione di moduli abitativi ad un piano solo e non ancorati al terreno. Per questo ci si ispira a quanto presente nei campi comunali di Muggiano e Chiesa Rossa, recentemente sottoposti a ristrutturazione. Qualora un nucleo non fosse in grado di provvedere in autonomia, si chiede un sussidio simile a quello disposto per chi volesse fare un percorso di uscita dal campo.

Si mira così alla corresponsabilizzazione degli abitanti del campo che potrà esplicarsi non solo nella partecipazione alla gestione del campo, ma anche nell'assunzione di compiti diretti di riqualificazione e di manutenzione dello spazio, sotto la supervisione di tecnici del comune. Per esempio: sistema idraulico, fognario e antincendio, ristrutturazioni in economia, autocostruzione di moduli abitativi, ecc.

Già attualmente esistono professionalità inespresse tra gli abitanti. Si tratta di valorizzarle, volendo anche prefigurare servizi di gestioni e mantenimento diretto, partecipati e senza che il comune debba appaltare esternamente questi servizi.

Qualora, come è nostra speranza, questo villaggio potesse assumere carattere di stanzialità, sarebbe opportuno, sempre nell'ottica dell'ottimizzazione delle spese, progettare un impianto di riscaldamento a metano, o addirittura a pannelli solari.

Manutenzione e riqualificazione
Il progetto prevede l'immediato ripristino delle condizioni strutturali necessarie alla vita normale delle persone: bonifica e cura dell'area, acqua, fognature, elettricità, centro polifunzionale, messa a norma di un sistema residenziale leggero ed ecologico, in sintonia con l'ambiente naturale.
Il campo che sino a 10 anni fa era indicato come un modello, ultimamente ha sofferto di mancanza di manutenzione. Oltre al ripristino della fornitura di corrente elettrica (in via di attuazione) sono necessari alcuni interventi:
- ristrutturazione dei servizi igienici, che cadono a pezzi;
- risistemazione del sistema fognario, perché con la pioggia il campo si allaga;
- collegamento delle bocchette antincendio;
- infine, risistemare le piazzole esistenti, che sono deteriorate e calibrarle per gli occupanti che rimarranno.
Questi sono semplici interventi manutentivi, secondo noi affrontabili con poca spesa se, a differenza del passato, gli appalti dei lavori verranno assegnati con chiarezza e a ditte responsabili.
Occorre inserire nel villaggio la Cascina Lambro. Qualora ci fosse la possibilità fattiva, si chiede il suo restauro per adibirla a sede sociale, centro culturale, archivio storico del canale Martesana e – come proposto da altri – museo della bicicletta, proprio in un punto cruciale della pista ciclabile Milano/Adda tra le più lunghe e significative della Lombardia. Si propone che il finanziamento per questa opera venga attinto dai fondi per l'Expo. In qualsiasi caso le sue condizioni attuali rendono ne rendono urgente la messa in sicurezza.

Centro polifunzionale
Le attività di carattere culturale-artistico-musicale potranno essere proposte anche in ambiti esterni, ma esiste già questa struttura che può fare da incubatore.

Trattasi di un edificio in cemento armato, voluto dal Comune una quindicina di anni fa, sostanzialmente inutilizzato, senza corrente elettrica e riscaldamento.

Già da subito, se venisse reso agibile, esistono progetti e professionalità per utilizzarlo come sede per recupero scolastico, animazione invernale, o corsi professionali (di cucito per le donne, ad esempio). Attività che si intendono estendere anche a chi non abita in via Idro.

Il secondo passo è recuperarlo alla vita di zona, ospitando iniziative proposte dal quartiere. Ulteriore particolare strategico, le varie proposte di utilizzo di questo centro nascono dagli abitanti stessi di via Idro.

Scuola - formazione - cultura
Negli ultimi anni i tagli alla scuola pubblica hanno distrutto la possibilità di aiutare non solo i bambini rom ma tutti quelli che avrebbero bisogno di tempi più distesi e di interventi atti a facilitare la famosa integrazione di cui tanto si parla.

La scuola deve rappresentare all'interno del progetto il trampolino di lancio verso una vita dignitosa ma per fare questo occorrono interventi mirati per una scolarizzazione di qualità dove risorse umane e strumenti non possono mancare.

Anche la frequenza dei corsi di "educazione per gli adulti" (assolutamente gratuiti) siti nel plesso della scuola media Rinaldi possono rappresentare un'occasione di conoscenza e scambio. C'è ancora molta diffidenza e paura da parte della popolazione rom ad utilizzare le risorse presenti nel territorio. Soprattutto le donne andrebbero accompagnate a conoscere i propri diritti e a superare la diffidenza verso il mondo fuori dal campo, diffidenza legittima ma che le priva di possibilità.

A parte ciò, deve trovare risposta l'annosa questione del pullmino scolastico che accompagna i bambini alla scuola Russo. Non si capisce la ragione per cui debba fermarsi all'angolo con via Padova, quando la via Idro viene percorsa anche da camion. In questa situazione, i bambini che frequentano la scuola, devono percorrere andata-ritorno ogni giorno un km. e mezzo, con qualsiasi condizione atmosferica e con rischio per la loro incolumità. Si ricorda che inizialmente il trasporto alunni era stato dato in appalto alla cooperativa Laci Buti.

In sintesi, il progetto assegna all'istruzione, alla formazione e alla cultura, centralità e priorità.
Si deve:

  • consolidare la pluriennale esperienza di inserimento e frequenza della scuola dei bambini rom e valorizzare al massimo la collaborazione soprattutto con la scuola elementare di via Russo;
  • prevedere itinerari di continuità scolastica nelle superiori ed eventualmente un centro di formazione ed aggiornamento professionale in loco, con particolare attenzione alle attività peculiari del villaggio;
  • istituire una biblioteca e un centro di lettura;
  • programmare iniziative culturali artistiche musicali.

Inserimento del villaggio nella vita del territorio
Esso dovrà essere reso evidente sia nell'ipotesi di un progetto di riqualificazione della via Padova, sia nella disponibilità del campo stesso a fornire opportunità di incontro ricreativo, culturale, sociale offerte a tutta la popolazione. La Festa della Via Padova potrà costituire un'ottima occasione per rendere visibile questo legame di appartenenza.

La proposta progettuale verrà sottoposta all'attenzione dei cittadini e delle altre associazioni e comitati con cui è consolidata un'esperienza comune di impegno civile e sociale, con la disponibilità alla massima apertura e alla collaborazione più ampia e plurale possibile.

Si potrebbe valutare la costituzione di una Società di Mutuo Soccorso, a cui aderiscono sia i promotori e i protagonisti del progetto sia altri soggetti ed enti interessati.

Si propone che venga creato un Comitato di coordinamento indirizzo e controllo formato dai rappresentanti dell'amministrazione centrale e di quella zonale del Comune di Milano, dai protagonisti del progetto e, possibilmente, dai rappresentanti del Parco della Media Valle del Lambro e dei comuni di Sesto San Giovanni, Cologno Monzese e Vimodrone.

Un comitato tecnico-scientifico, composto da esperti in campo giuridico, economico e amministrativo, ecologico/ambientale, di marketing e comunicazione ecc., ha il compito di sviluppare tutte le fasi del progetto e di sovrintendere alla loro realizzazione.

Enti pubblici e privati, con i quali allacciare relazioni di collaborazione e a cui rivolgersi per il reperimento di risorse economiche e finanziarie: Consiglio di Zona e Comune di Milano, Provincia, Regione, Unione Europea, Fondazione Cariplo, Banca Etica, aziende della green economy.

Consiglio di Zona
Nella previsione di una ridefinizione e compiti del decentramento, è da prevedere un coinvolgimento diretto del Consiglio di Zona che dovrà considerare il villaggio di via Idro uno spazio di convivenza da adottare e dovrà anche assumere, con le modalità da individuare, compiti di vigilanza, gestione, offerta di servizi vari.

I soggetti promotori e protagonisti
Si assegna un ruolo centrale alla cooperativa rom Laci Buti, che deve operare in collaborazione con le associazioni e i comitati di cittadini che aderiscono al progetto e cooperano alle attività e alla vita del villaggio.

Oltre alla cooperativa Laci Buti e alla comunità rom, i soggetti promotori coincidono con i firmatari della lettera aperta del 15 dicembre 2011 e i rappresentanti di: Anpi di Crescenzago, Associazione elementare.russo, Comitato Vivere Zona 2, Legambiente Crescenzago, Mahalla, Martesanadue.

Primi firmatari:
ANPI Crescenzago - Associazione elementare.russo - ComitatixMilano Zona 2 - Comitato Vivere Zona 2 - Comunità Rom Via Idro - Cooperativa Laci Buti - Legambiente Crescenzago - Mahalla - Martesanadue - Sitart

Adesioni:
Luca Bravi (Università Leonardo da Vinci - Chieti) - Marcella Cavagnera - Gabriella Conedera - Stefania Benedetti - Alessandra Reale - David Giannetti - Laura Quagliolo - Piero Leodi - Angela Tropea - Elisabetta Michelini - Doriana Chierici Casadio - Marcello Zuinisi (Associazione Nazione Rom) - Marcel Costache (Romano Euro-Drom Pavia) - Stefania Cammarata - Enrica Bruzzichessi - Paolo Matteucci - Alberto Ciullini - Eleonora Casula - Barbara Breyhan, danzatrice (Sesto Fiorentino) - Carmela Tommaselli (Arezzo Ballet) - Laura Coletta - Aldo Bonora - Silvana Calvo - Radames Gabrielli - Alessandro Morazzini - Barbara Nardi - Fiorella D'Amore - Ludovica Barassi - Pietro Mervic - Alberto Maria Melis - Margherita Cavallo - Giulia Mucelli - Irene Marfori - IdeaRom onlus Torino - Carlo Berini - Marco Gimmelli - Francesca Barile - Luigi Colaianni - Agnese Cerasani - Roberta Sasso - Giuliana Gemini - Monica Flann - Paolo Pinardi - Giancarlo Ranaldi - Spazio Mondo Migranti (Parabiago) - Roberto Malini, Dario Picciau, Matteo Pegoraro (gruppo EveryOne) - Sergio Franzese - Luciano Muhlbauer - Luca Klobas - Erica Rodari - Ivana Kerecki - Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia onlus - Veronica Mognoni - Stefano Nutini - Gruppo Sostegno Forlanini - Deborah Besseghini - Sandra Cangemi, giornalista, Milano - Alessandra Bearzatto - Carlo Stasolla - Silvia Gobbo - Alberto Proietti

 
Di Fabrizio (del 02/04/2012 @ 09:35:26, in Italia, visitato 1485 volte)

Segnalazione di Stefano Nutini, da Sbilanciamoci.org. Articolo di Vito Francesco Gironda

L'idea dello ius culturae - lanciata dal ministro Riccardi - è ambigua e pericolosa, perché rischia paradossalmente di alimentare il conflitto multiculturale

Alcuni giorni fa Andrea Olivero ha riproposto sulle pagine di Europa l'idea dello ius culturae quale criterio di definizione di un'auspicabile riforma della cittadinanza italiana. Lanciata dal ministro Andrea Riccardi, la nozione di ius culturae sembra essere diventata l'asse consensuale per praticare una via italiana all'integrazione.

Di cosa si tratta? A volere ragionare in termini generali, il concetto richiama agli effetti propositivi e "assimilazionistici" di una "seducente" cultura italiana. Si immette nel discorso pubblico una concezione stato-centrica e "assimilazionistica" di cittadinanza, secondo un'idea di presunzione di appartenenza, in base alla quale la nascita sul territorio veicolerebbe, nel lungo periodo, quei legami culturali che si suppone costituiscano la base della cittadinanza. Come dire, i diritti di cittadinanza sono collocati nell'ambito della specificità culturale di una comunità nazionale, la quale promuove una concezione particolaristica dell'individuo e delle sue relazioni sociali. Seguendo tale prospettiva, l'inclusione si determina attraverso una sorta di "adeguamento" valoriale alla cultura del paese ospitante. A prima vista sembra un discorso molto lineare. Eppure, guardando bene, emerge una serie di ambiguità concettuali su cui sarebbe opportuno riflettere serenamente.

La prima ambiguità riguarda la nozione stessa di cultura nazionale. In base a quali contenuti qualificanti e qualificati si delinea lo spazio culturale nel quale si definisce un'immaginata concezione di appartenenza culturale? Se il ministro Riccardi ha in mente una sorta di Leitkultur (cultura dominante) all'italiana, allora dovrebbe essere molto esplicito e chiarire senza mezzi termini cosa intende. A me sembra che la concezione di ius culturae sia viziata da un eccessivo monoculturalismo che funziona come un dispositivo che fa dipendere la grammatica dei diritti alla rinuncia delle identità culturali nella sfera pubblica.

Su questo terreno si riscontra la seconda ambiguità concettuale dello ius culturae. Perché parlare di modello italiano per l'integrazione e non dire chiaramente che la via da praticare è quella dell'assimilazione. Perché parlare d'integrazione che rimanda più specificatamente all'inclusione nel tessuto economico-sociale, al riconoscimento delle differenze culturali, alla valorizzazione e accettazione del pluralismo culturale, quando, alla fine, si guarda esclusivamente alla cittadinanza come processo di adeguamento valoriale alla cultura dominante, qualunque poi sia il significato ascritto a quest'ultima.

La classe politica e la tecnocrazia di governo non dovrebbero limitarsi a costruire neologismi astratti, ma dovrebbero prendere sul serio l'ipotesi che tanto l'opinione pubblica nazionale quanto le comunità di stranieri residenti hanno il diritto di capire nel concreto di cosa si discute. Si tratta di comunicare sul piano fattuale quello che si pensa fare, evitando, così, inutili incomprensioni. Anzi, l'idea stessa dello ius culturae paradossalmente rischia di alimentare il conflitto multiculturale perché, piuttosto che ricercare regole e pratiche di coesistenza tra le diverse culture, tende a legare l'uguaglianza delle opportunità di partecipazione alla cultura dominante del paese ospitante. Mettere in moto forme e processi di negoziazione sull'identità culturale è una questione molto complessa.

 

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