Rom e Sinti da tutto il mondo

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\\ Mahalla : VAI : Italia (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Marco Nieli (del 26/11/2005 @ 03:04:46, in Italia, visitato 2003 volte)
25 novembre 2005.

Continua l'odissea degli sgomberati rumeni di Casoria, via Lufrano (3 novembre).
Da circa un mese le famiglie rom rumene sgomberate da via Lufrano a Casoria si aggirano sul nostro territorio in cerca di un riparo e di una sistemazione per le donne incinte, i neonati e i vecchi spesso malati e invalidi. Un gruppo di circa 30 persone è stato a Catania e sgomberato anche da lì ha poi tentato a Torre del Greco, a via dei Monaci, dove ha cercato rifugio dal tempo inclemente di questi giorni in uno stabile abbandonato. La polizia è prontamente intervenuta e ha minacciato di cacciarli da lì domenica mattina.
Tra di loro vi sono neonati con bronchite e altre patologie, donne incinte e malati.
 Un altro gruppo ci telefona da Bari, dove non trova una sua collocazione e chiede di ritornare a Napoli.
Il terzo gruppo, di circa 60 persone, è a Scampia, in parte tra gli Slavi e in parte ospiti dei Gesuiti e della chiesa evangelica nel campo, ma in attesa di un'accoglienza con più prospettive.

Intanto le istituzioni latitano come al solito, e lasciano che le situazioni si incancraniscano nel consueto rimpallo di responsabilità. Era stata promessa un'accoglienza temporanea dal Comune di Napoli, ma tutto è caduto nel nulla. Il Prefetto di Napoli che aveva incontrato padre Zanotelli la settimana scorsa aveva promesso un'area verso Caserta, ma anche di questa promessa sappiamo più niente.
Ma possibile che ogni volta dobbiamo arrivare alla tragedia per ottenere che si smuova qualcosa e che in un paese che si vuole civile e "cristiano", tutti (compresa la chiesa istituzionale) chiudano la porte in faccia a dei poveri "cristi" come i Rom, sofferenti, bisognosi e discriminati, ormai ridotti come dei fantasmi o degli stracci di esseri umani dopo 20 notti passate all'adiaccio?
Anche lo sgombero di Torre del Greco si annuncia, come quello di via Casoria, uno sgombero all'acqua di rosa: qualche vigile andrà lì a imporre la "legalità" su questi morti di fame, come ha insegnato Cofferati a Bologna, ma sicuramente non risolverà il problema: esso si sposterà in giro per la città o l'hinterland, come già tante volte visto in passato.
Eppure in un paese dove metà Sicilia ha avuto il condono per le case abusive in cambio del voto a una classe politica corrotta e ormai fuori della storia, dove il Presidente del Consiglio si fa costruire una villa faraonica in barba a tutte le leggi ambientali e fa le leggi continuamente a uso e consumo suo e della sua camerilla di potere, davvero possiamo credere che si applica la legalità quando si va a sgomberare questi ultimi tra gli ultimi da uno stabile abbandonato? Non corrisponde forse questo piuttosto a un'astuta mossa elettorale mascherata da accanimento legalitario, visto che sgomberare i rom è l'unica cosa che ormai questa classe dirigente riesce a fare per recuperare qualche voto?

INVITIAMO TUTTA LA SOCIETA' CIVILE, IL MONDO DELLA POLITICA, DEI MEDIA, DELL'ASSOCIAZIONISMO, A TENERE ALTO IL LIVELLO DI GUARDIA SULLA SITUAZIONE DEI ROM RUMENI DI CASORIA, OGGI A VIA MONACI, TORRE DEL GRECO. NON SI PUO' FARE PASSARE COME ORDINARIA AMMINISTRAZIONE QUESTO SCEMPIO CONDOTTO SULLA VITA DELLE PERSONE, IN NOME DELLA LEGALITA' E DELLA CIVILTA'.
Ai giornalisti: conferenza stampa domani mattina (stamattina ndr) a via dei Monaci, TORRE DEL GRECO, ore 11, OPPURE CHIAMARE AL 081447497 / 3382064347.
 
Di Fabrizio (del 25/11/2005 @ 14:40:43, in Italia, visitato 1808 volte)

da Tommaso Vitale

IMMIGRAZIONE - Il Coordinamento Bicocca per la Pace aderisce alla manifestazione che si terrà a Roma il 3/12/2005 per la libertà e i diritti dei migranti. Il Coordinamento invita studentesse, studenti, lavoratrici e lavoratori dell’Università degli studi Milano Bicocca e la cittadinanza, all’incontro con DARIO FO e alcuni tra i promotori milanesi dell’iniziativa.

Le politiche intraprese fino ad ora in materia di immigrazione realizzano un “progetto mulitietnico” carente e contraddittorio, si avvalgono di strumenti che impediscono percorsi reali di cittadinanza, e in modo inaccettabile arrivano a negare l’attenzione necessaria ai diritti inalienabili di ciascun essere umano.

I Centri di Permanenza Temporanea rappresentano il luogo emblematico dell'insensato scontro tra identità e accoglienza, tra conservazione e interculturalità, e costringono la coscienza civile e politica di tutte e tutti a riflettere sulla necessità di un proprio contributo per il cambiamento.

L’aumento della partecipazione delle cittadine e dei cittadini – migranti e non – che vivono il territorio implica il superamento di leggi che continuano a produrre clandestinità ed esclusione.

L’estensione del diritto di voto, la libertà di circolazione delle persone e l’approvazione di un disegno di legge organico sul diritto d’asilo sono alcune delle proposte in tal senso.

Se ne discute con
Dario Fo

No_CPT

clicca sull'immagine per il comunicato ufficiale

Martedi' 29 novembre p.v. nell'aula 8 dell'edificio U6 dell'Università di Milano - Bicocca a partire dalle ore 16.30.

Intervengono
Alberto Giasanti - Università di Milano Bicocca
Luciano Muhlbauer - Consigliere regionale
Tommaso Vitale - Università di Milano Bicocca

coordinamento.pace@unimib.it
www.studentibicocca.it/pace

 
Di Fabrizio (del 25/11/2005 @ 04:03:46, in Italia, visitato 1854 volte)
ricevo da Manlio Mele

MILANO E I ROM
L'INTEGRAZIONE POSSIBILE

Incontro pubblico

Mercoledí 30 novembre, ore 20:00 - Presso la sede della UIL Via A. Campanini, 7 - Milano

Intervengono:

GIUSEPPE LARAS
Presidente dell'Assemblea dei Rabbini d'Italia

SANTINO SPINELLI
Vice Presidente del Parlamento della Romaní Union Internazionale
Docente di Lingua e Cultura romaní presso l'Università degli studi di Trieste

MANLIO MELE
Segreteria dell'Associazione Radicale Enzo Tortora

Introduce:

LEONARDO DONOFRIO
Segretario Generale della UIL-Scuola Milano

Modera:

DANIELE NAHUM   
Segreteria dell'Associazione Radicale Enzo Tortora
 
Di Marco Nieli (del 24/11/2005 @ 09:21:31, in Italia, visitato 1715 volte)
Cari compagni e amici,
desidero darvi un aggiornamento della situazione rumeni di Casoria, a circa 20 giorni dallo pseudo-sgombero.
Sebbene non se ne parli più sui media e le istituzioni ci abbiano del tutto abbandonato, la situazione mi pare ancora drammatica.
Abbiamo circa 60 persone a Scampia (tra baracca degli slavi, chiesa dei Gesuiti e chiesa degli evangelici); circa 30 a Torre del Greco in uno stabile fatiscente, minacciate dalla polizia e altre 11 a Bari che chiedono di tornare. Parecchi sono in giro per l'Italia, senza sapere dove andare e cosa fare, aspettando ancora una risposta dalle istituzioni.
Con il freddo incipiente e la pioggia, la situazione si fa sempre più critica. Già una bambina, Rebecca, è stata ricoverata da noi per disidratazione al Cardarelli (in seguito è emersa una immunodeficienza congenita, su cui il freddo o le infezioni avrebbero potuto essere fatali); un altro bimbo disabile e debole di cuore, Emanuel, che aveva quasi avuto un collasso a Gianturco per la paura, sta rifacendo le analisi al Policlinico, in preda a crisi di pianto e ansia; infine, diversi neonati in strada soffrono di bronchite cronica, che potrebbe degenerare.
Vorrei allertare gli avvocati Valle e Simona dello studio Coccia, perché, nel caso malaugurato di una sciagura si prendessero i provvedimenti legali del caso: si tratterebbe di omicidio colposo per i responsabili di quest'azione così idiota e dalle cosneguenza così drammatiche.
Nel frattempo, vorrei ancora una volta sollecitare le istituzioni a non ignorare oltre questo dramma silenzioso che si compie sotto i nostri occhi e a predisporre un'accoglienza d'emergenza per questa gente, indifesa e smarrita sul nostro territorio, che almeno in quello schifo di baracche aveva un punto di riferimento in un ambiente così differente e potenzialmente ostile a loro.
Vorrei inoltre invitare i giornalisti a non dimenticare le dramnmatiche conseguenze di quello che Zanotelli ha definito uno sgombero degno di un regime dittatoriale del sud del mondo.
A tutti gli altri amici, operatori sociali e compagni vorrei dire di non abbassare la guardia e se possibile di farsi venire idee su possibili soluzioni di accoglienza temporanea, in vista di prospettive più solide che ancora non si intravvedono però all'orizzonte.
Ma la Chiesa che aspetta ad aprire le porte, visto che non lo fa il Comune di Napoli o la Provincia?
Prego tutti di farsi sentire sull'argomento e fare proposte concrete,
ciao e buon lavoro a tutti,

Marco Nieli,
vicepresid. Opera Nomadi di Napoli
 
Di Fabrizio (del 24/11/2005 @ 02:22:35, in Italia, visitato 4041 volte)
I carabinieri fiorentini  indagano sui furti nelle case. Anche l'edizione locale della Repubblica vigila (23 novembre 2005). Peccato che sia una bufala degli anni '20.
 
Di Fabrizio (del 22/11/2005 @ 09:00:14, in Italia, visitato 3677 volte)
Milano, 2 novembre 2005

Caro Yuri,
ti scrivo perchè sei Sinto, attivamente impegnato nell'associazionismo e anche eletto al Comune di Mantova nelle liste di Rifondazione Comunista.
Dagli sgomberi doppi di Cusago e di Bologna è passato quel po' di tempo necessario per passare dalla riflessione alle strategie politiche da adottare.
Lasciami dire che secondo me Cofferati a Bologna non aveva altra scelta: i Rom rumeni erano accampati su un terreno a rischio allagamento, e sarebbe stato criminale non intervenire per tempo.
Leggo però su Repubblica, che i superstiti allo sgombero si sono spostati di 200 m. sempre sul Lungoreno, col risultato che niente è cambiato.
Non sta a me giudicare se dietro le parole di "ordine e sicurezza" si celano le solite preoccupazioni elettorali. Quello che anche tu saprai benissimo, è che occorrono risposte politiche, e qui possono aprirsi due percorsi diversi:
1) rincorrere i ragionamenti già fatti da molti altri, e fare il tifo per Cofferati, Albertini o per i loro oppositori;
2) chiarire che quanto sappiamo da giornali e tv, è solo la punta di un iceberg, ci sono sgomberi di Rom e Sinti in tutta Italia, nel silenzio più assoluto.
Silenzio dovuto al fatto che non sono coinvolti sindaci noti, e neanche le tanto sventolate paure dei loro votanti.
Come dar voce alle centinaia di famiglie, rom e sinte, a cui nessuno presta attenzione?
Dal punto di vista strategico, non si può essere soggetti politici credibili, difendendo l'abusivismo edilizio, ma è fuori di dubbio che oggi qualsiasi cittadino italiano che subisca uno sgombero, non vede danneggiate le sue proprietà, non viene lasciato in mezzo alla strada e, a meno di urgenze non rinviabili, non si procede ad autunno inoltrato.
Aggiungo che nella maggior parte dei casi, non stiamo parlando di lavori sardi alla villa di qualche presidente di consiglio, ma di persone che:
- agiscono in stato di necessità;
- spesso si trovano su terreni di proprietà, acquistati da anni, con una legge sui suoli che è invece cambiata solo di recente.
Come vedi, non chiedo altro che il rispetto del diritto comune, perché senza quello non esiste legalità. Quel diritto che è anche il sottile confine che separa i pelosi appelli al buon cuore degli amministratori, dalla richiesta di quanto è dovuto ad ogni persona: il diritto significa rispetto.
L'errore di chi si appella al buon cuore, è sostanzialmente di credere che la comunità degli stanziali debba "sacrificarsi" per far star meglio i Rom e i Sinti, non capendo che loro hanno le capacità di poter progredire con le loro gambe e le loro teste, e quando sta meglio uno, sta meglio anche l'altro. Meno sgpmberi dettati dalla paura di perdere voti, significano anche meno sfollati incattiviti im giro per le strade.
Ti chiedo di fare quanto possibile, perché le organizzazioni nazionali di Rom e Sinti escano dal loro mutismo, e promuovano un forum o un tavolo di trattativa.
Vedo che nella civilissima Gran Bretagna questi problemi sono dibattuti ormai da 10 anni, la comunità dei Nomadi e Viaggianti (Rom e Travellers) è più esigua di quella italiana, ciononostante, in 10.000 rischiano di finire per strada e interi villaggi, scuole, servizi autogestiti sono a costante rischio di demolizione da parte delle ruspe.
E poi, se ti ricordi quel film che abbiamo visto assieme, io c'ero quando al campo dei rumeni le ruspe hanno spazzato via coperte, culle, documenti, e le famiglie giravano sotto la pioggia a raccogliere quello che restava. Mi ricordo i capifamiglia che minacciavano di far esplodere il quartiere dando fuoco a loro stessi e alle bombole del gas. Ho visto che le persone più pacifiche quando perdono tutto e anche la pazienza, diventano terribili.
Con questo, l'ultimo argomento: credo sia tempo che le organizzazioni di Rom e Sinti debbano esprimersi chiaramente a favore dei loro fratelli che arrivano come profughi politici ed economici, rifiutando la divisione tra diritti per gli italiani e diritti differenti per gli stranieri.
Era un concetto che esprimevi anche nel tuo programma elettorale, dove campeggiava la scritta DIVERSO. Se non lo fate voi, che siete il popolo più internazionale che esiste, come sperare che lo facciano altri?
Con stima e affetto
Fabrizio Casavola

2295550
Carissimo Fabrizio,
il problema degli sgomberi sui Rom Sinti esiste dal loro arrivo in Italia, nel 1400 circa. Lo sgombero non è l’unico metodo per cacciare via i Rom e i Sinti dalle città e dai paesi, ci sono anche altri metodi: le diffide, i cartelli di divieto di sosta ai “nomadi”, …
In Italia c’è almeno uno sgombero al giorno. In questo periodo dove i Rom e i Sinti “fanno notizia” tanti “politici” ne approfittano per rilanciarsi politicamente, perché cacciare i Rom e i Sinti dal proprio territorio purtroppo vuole dire voti.
Come nel caso di Bologna, dove i Rom sono stati sgomberati a detta del Sindaco per motivi di sicurezza, ma dopo pochi giorni apprendiamo da un quotidiano nazionale che i Rom si sono solo spostati di duecento metri, quindi fa parte del gioco approfittare del momento per apparire sui mezzi di comunicazione.
Credimi non è un problema di destra o di sinistra perché il problema è presente in tutti quei luoghi dove non esistono progetti di mediazione culturale con i Sinti e i Rom protagonisti. Inoltre, non mi dimentico che il governo Dalema, centro-sinistra, nel dicembre 1999 ha escluso i Sinti e i Rom dalla legge per il riconoscimento delle Minoranze Etniche Linguistiche Nazionali.
Il problema l’ho vissuto sulla mia pelle, quando ho deciso di candidarmi in Consiglio Comunale. Per due anni abbiamo contattato tutti i partiti del centro sinistra per chiedere di inserire un Sinto nelle liste elettorali e solo Rifondazione Comunista ha avuto il coraggio di accettare, tutti gli altri partiti hanno dato una risposta negativa.
Quando sono stato eletto in Consiglio Comunale l’impatto con la città è stato buono e tanti giornali, sia locali sia nazionali, hanno dato risalto alla mia elezione. Oggi, alcuni partiti della sinistra si sono detti interessati a candidare una Sinta per il Consiglio Provinciale di Mantova.
Hai perfettamente ragione quando denunci l’inerzia delle organizzazioni nazionali che difendono i diritti dei Rom e dei Sinti. Sono totalmente incapaci a strutturare percorsi condivisi per affrontare il problema. A volte mi chiedo chi ha veramente a cuore i problemi che migliaia e migliaia di famiglie vivono quotidianamente. Personalmente sono molto deluso dall’Opera Nomadi Nazionale, non sta facendo niente per aiutare queste persone disperate. Pensa che all’interno dell’Opera Nomadi addirittura contestano quello noi di Mantova facciamo in molte regioni italiane, dove i Rom e i Sinti sono pesantemente discriminati.
Famiglie intere hanno investito tutto quello che avevano per acquistare un piccolo appezzamento di terra e i Comuni non fanno altro che ostacolare la loro aspirazione ad uscire dalle logiche assistenziali e ghettizzanti del “campo nomadi”.
Ora tanti accusano di abusivismo edilizio i Sinti e i Rom, ma nessuno parla di una legge, il testo unico 380 (legge sempre emanata da un governo di centro-sinistra), che in un giorno ha trasformato tutti gli insediamenti esistenti in abusi edilizi. La legge precedente, 47/1985, permetteva ad una roulotte o casa mobile di sostare su un terreno agricolo. Grazie al centro-sinistra in un giorno si è distrutto tutto quello costruito in tanti anni di sacrifici da migliaia di famiglie di Sinti e di Rom Italiani.
I problemi sono drammatici e per trovare soluzioni dobbiamo lottare uniti, ma non è semplice essere uniti. Carlo Berini ha cercato più volte di far riflettere tutte le organizzazioni e in special modo l’Opera Nomadi Nazionale, sarebbe più semplice lavorare insieme, si avrebbe più forza, ma le risposte sono state sempre negative, ognuno vuole crescere solo il proprio orticello.
Non vorrei che in futuro succedesse quello che sta succedendo in Francia in questi giorni, perché una minoranza che è continuamente cacciata e discriminata può arrivare all’esasperazione e usare strumenti di lotta simili per difendersi. Mi ricordo bene le scene del film “Zingari in carrozza” di Claudio Bernieri (speriamo che cambi il titolo, la parola zingari non mi piace proprio), dove vi sono intere famiglie di Rom Rumeni che si oppongono allo sgombero, minacciando di far esplodere le bombole del gas e di bruciarsi vivi sulle barricate. L’Italia deve smetterla di far finta che i Rom e i Sinti non esistano.
Bisogna ricordare che i Rom e i Sinti, insieme agli Ebrei, sono state le uniche popolazioni perseguitate per motivi razziali dal nazismo e dal fascismo. Sono morti nei campi di concentramento e nei campi di sterminio almeno cinquecentomila Rom e Sinti e non c’è mai stato nessun riconoscimento, anzi sono ancora cacciati e discriminati. Mentre per gli Ebrei si sostiene giustamente lo stato di Israele, per noi Sinti e Rom si fatica a regolarizzare un piccolo terreno acquistato dopo tanti, tanti, tanti sacrifici.
Però mi consolo pensando che esistono persone come te che dedicano volontariamente il proprio tempo per far conoscere a tutti i numerosi nostri mondi di Rom e di Sinti Italiani ed Europei. Per questo ti ringrazio.

Con affetto, Yuri Del Bar

La lettera aperta, con la risposta e alcuni commenti, è anche su http://sucardrom.blog.tiscali.it/xt2295550/

 
Di Fabrizio (del 20/11/2005 @ 18:40:50, in Italia, visitato 3624 volte)
PER LA LIBERTÀ E I DIRITTI DEI MIGRANTI

per la chiusura dei Cpt e l’abrogazione della Bossi-Fini

 

Milano e l’Italia sono cambiate, sono diventate multietniche. Sono tre milioni i nuovi cittadini e le nuove cittadine in Italia. A Milano rappresentano il 14% della popolazione e oltre un alunno su dieci nelle scuole milanesi è figlio di migranti. Eppure, le politiche susseguitesi in questi anni hanno continuato a trattare i/le migranti come cittadini di serie B, sottoposti ad una legislazione speciale e differenziata, costretti al lavoro sottopagato o in nero, periodicamente vittime di campagne xenofobe e securitarie.

 

Leggi razziste come la Bossi-Fini, portando alle estreme conseguenze la logica delle legislazioni precedenti, compresa la Turco-Napolitano, producono e riproducono clandestinità, emarginazione e negazione di diritti. Simbolo umanamente e politicamente più ripugnante di quelle politiche sono i Cpt, galere per migranti che non hanno commesso alcun reato.

 

Il 3 dicembre si terrà a Roma una manifestazione nazionale per la libertà e i diritti dei migranti, organizzata da un ampio arco di reti e associazioni di migranti e antirazziste. Come organizzazioni e persone che a Milano si sono battute e si battono per la chiusura del Cpt di Via Corelli, per l’abrogazione della razzista Bossi-Fini e per una città dell’inclusione e dei diritti sociali e di cittadinanza per tutti e tutte, riteniamo fondamentale partecipare a questa manifestazione.

 

È giunto il momento di chiudere quella stagione e di aprirne una nuova. Di chiudere i Cpt, di abrogare le leggi che fabbricano clandestinità ed esclusione, di riconoscere il diritto di voto e la libertà di circolazione, di fare finalmente un legge sul diritto d’asilo. Ma sarà possibile soltanto con la mobilitazione e la partecipazione della società civile. Ecco perché facciamo appello ai/alle migranti, alle forze sociali e politiche, ai cittadini e alle cittadine di Milano a partecipare alla manifestazione del 3 dicembre. 

 
3 DICEMBRE 2005
MANIFESTAZIONE NAZIONALE - ROMA

(ore 14.00 – p.zza della Repubblica)

 

treno da Milano: euro 30 – partenza da staz. Centrale ore 7.10 (appuntamento ore 6.40)

(ritorno ore 22.40 da Roma)
 

prenotazioni: 02.541781 – 02.55231531 – 02.58320431

 

Acea Onlus, Arci Milano, Arci Blob, Arciragazzi Milano, Arci Metromondo, Ass. Alfabeti Onlus, Ass. "Amici della casa Marta Larcher", Ass. Dimensioni Diverse, Ass. La Camera Chiara, Ass. Megachip Lombardia, Ass. Interculturale Todo Cambia, Attac Milano, Azad per la libertà del popolo kurdo, Bastaguerra Milano, Berretti Bianchi, Centro delle Culture, Comitato Pace Intercomunale exmagentino, Comunità kurda Milano, Coordinamento Bicocca per la Pace, CS Leoncavallo, Filef Lombardia, Fiom Milano, Marcia Mondiale delle Donne, Naga, newsletter Ecumenici, Opera Nomadi Milano, Partito della Rifondazione Comunista, Partito Umanista, SinCobas, Social Press, UnAltraLombardia, Verdi

 

Luciano Muhlbauer (cons. reg. Prc), Mario Agostinelli (cons. reg. Prc), Carlo Monguzzi (cons. reg. Verdi), Bebo Storti (cons. reg. PdCI), Piero Maestri (cons. prov. Prc), Gigi Malabarba (capogruppo Prc Senato), Vittorio Agnoletto (europarlamentare GUE – Sinistra unitaria europea), Augusto Rocchi (segr. Prc Milano), , Stefano Costa (portavoce Fed. Verdi Milano), Antonio Oldani (Assessore ai Problemi Immigrazione, Sedriano), Enrico Coviello (Assessore agli stranieri, S. Donato Mil.se), Luca Prini (capogruppo Prc, CdZ 3), Tommaso Vitale (Università di Milano Bicocca), Alberto Giasanti (Università Milano Bicocca), Maurizio Pagani (Opera Nomadi), Marco Bersani (Attac), Fabrizio Casavola (Mahala), Paolo Limonta (Azad), Roberto Firenze (resp. dip. movimenti Prc MI), Marco Dal Toso (resp. comm. giustizia e problemi dello stato Prc MI), Renato Pomari (direttivo Prc Monza)

 
Di Fabrizio (del 12/11/2005 @ 12:37:34, in Italia, visitato 1877 volte)
comunicato stampa

11 novembre '05 - Progetto Carcere

Emergency lancia un programma di attività umanitarie anche in Italia. Il 10 Novembre Emergency ha sottoscritto un Protocollo d’intesa con il Provveditorato per l’Amministrazione Penitenziaria del Lazio, che segna ufficialmente l’avvio del nostro Progetto Carcere.
Il Protocollo prevede, per un periodo sperimentale di un anno, la possibilità per Emergency di condurre propri volontari - specialisti medici e paramedici - all’interno dei due grandi Istituti della capitale, Rebibbia Nuovo Complesso. e Regina Coeli. La modalità degli interventi è affidata a intese dirette (sottoprotocolli) con la Direzione degli Istituti.
Cosa faremo? Oltre a fornire più ampia possibilità ed esecuzione più rapida per visite e interventi specialistici, potremo fornire farmaci, presidi speciali, protesi, facilitare ricoveri per interventi nelle strutture pubbliche esterne, sollecitandone la disponibilità o provvedendo alla ricerca di soluzioni alternative. E’ già pronto il sottoprotocollo con Rebibbia, discusso il 27 settembre in una prima riunione operativa con i medici interni. Ora, con la firma del documento, le procedure saranno presto avviate anche a Regina Coeli.
Nella realizzazione di questo programma Emergency fa tesoro, tra l’altro, di anni di esperienza accumulata in Afganistan (soprattutto a Kabul) e in altri Paesi, dove abbiamo aperto nostre cliniche nelle carceri e curato migliaia di pazienti detenuti.
Se tra un anno ci saranno valutazioni concordemente positive sul lavoro svolto, Progetto Carcere potrà essere allargato agli altri Istituti del Lazio. Il suo scopo immediato è per noi quello di eliminare sofferenze ingiuste e inaccettabili per qualsiasi essere umano. Emergency, ben consapevole che in una società civile il rispetto dei diritti di tutti debba essere sempre garantito, intende richiamare le Istituzioni ad assolvere il proprio dovere e il proprio compito e in nessun modo intende sostituirsi ad esse.
La necessità di una profonda ristrutturazione della Medicina Penitenziaria d’altra parte è avvertita da tempo: nel 1999 il governo in carica aveva adottato un decreto legislativo (n. 230/99) che trasferiva dal Ministero della Giustizia (Medicina Penitenziaria) a quello della Salute (Servizio Sanitario Nazionale) l’intera funzione sanitaria nel carcere. Dal 1 Gennaio 2000 il decreto aveva avuto una parziale attuazione, limitata ai soli settori della prevenzione e dell’assistenza ai detenuti tossicodipendenti. Poi, fino ad oggi, più nulla. Con conseguenze disastrose sulla qualità dell’assistenza, in progressivo e rapido deterioramento.
Progetto Carcere è il primo intervento umanitario programmato in Italia, dopo anni di lavoro per la cura e la riabilitazione delle vittime civili delle guerre. Dal 1994, anno della nascita di Emergency, ad oggi abbiamo portato il nostro impegno e le nostre risorse in vari Paesi del mondo, dall’Afganistan al Sudan, dalla Cambogia all’Iraq, alla Sierra Leone, senza dimenticare Angola, Ruanda, Eritrea, Palestina, costruendo ospedali e centri di riabilitazione e curando circa 1,4 milioni di persone.

Roma, 11 novembre 2005

Per ulteriori informazioni:
Nicola Milillo,
press@emergency.it
Tel. 02-86316.372,
Cell. 335-470.471
 
Di Marco Nieli (del 10/11/2005 @ 10:24:17, in Italia, visitato 1750 volte)

Ciao, 
vi invio il programma di un'iniziativa che stiamo preparando sul concetto di muro, insieme alle Donne in Nero.
Venite numerosi.
Marco Nieli.


Donne in Nero di Napoli

 STOP THE WALL
ImmaginiMaterialiVisioniParole

contro i muri che dividono i popoli e le persone

MURI costruiti per separare ed escludere, per controllare e tenere in ostaggio intere comunità Palestinesi, Saharawi, Rom

VENERDI' 11 NOVEMBRE 2005

Proiezione non-stop dei film
"Route 181"  " Una storia Saharawi" “I figli del vento”
 ore 19.00- 22.00

Foto di Bruna Orlandi
Consultazione di documenti, mappe, cartine geografiche e altro materiale informativo 
 
 Dibattito a cura delle Donne in Nero

ore 20.30 CINEMA MODERNISSIMO, via Cisterna dell'Olio, Napoli

Spazio Videodrome

Ingresso libero

 
Di Fabrizio (del 10/11/2005 @ 09:04:19, in Italia, visitato 2669 volte)

Intervista a Tommaso Vitale, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale,
Università degli Studi di Milano – Bicocca (tommaso.vitale@unimib.it):

Per gentile concessione dell'autore. L'intervista è riportata in "Il Porrajmos dimenticato" Edizioni Opera Nomadi ed è scaricabile in formato pdf


Mi sono avvicinato alla questione dei Rom a Milano per motivi di ricerca scientifica molto distanti dai temi del multiculturalismo, a partire da una riflessione sui conflitti urbani. Nello specifico stavo conducendo una ricerca sulla “proprietà privata” e mi domandavo se, come e quando la pubblica amministrazione arroghi a sé la facoltà di sottrarre un bene privato. Una ricerca classica sugli strumenti dell’azione pubblica, distante perciò dai temi della povertà e dell’esclusione all’interno di cui abitualmente si parla dei nomadi.

Nel 1999 si avvertiva, in giro per l’Italia, quello che i sociologi definiscono “panico morale”: momenti di effervescenza in cui tutti identificano un nemico rispetto a un contesto locale. Un nemico interno, o più facilemente esterno. Un nemico che, moralmente, è identificato come cattivo. Precisamente, come dice Marcello Maneri riprendendo Stanley Cohen, il panico morale è dato da attivazioni mediatiche, ondate emotive nelle quali un episodio o un gruppo di persone viene definito come minaccia per i valori di una società; i mass media ne presentano la natura in modo stereotipico, commentatori, politici e altre autorità erigono barricate morali e si pronunciano in diagnosi e rimedi finché l’episodio scompare o ritorna ad occupare la posizione precedentemente ricoperta nelle preoccupazioni collettive. In quel periodo alcuni rom furono nuovamente identificati come cattivi e quindi nemici, e in conseguenza di ciò, in diverse città tra cui Milano, vennero eseguiti degli sgomberi punitivi, motivati da ragioni relative alla sicurezza della comunità.

Assistetti personalmente allo sgombero di via Barzaghi (una via di Milano, dietro il cimitero Maggiore) e rimasi colpito da due aspetti: innanzitutto erano state distrutte delle roulotte; in secondo luogo erano state distrutte le roulotte che non avevano ruote. Abitualmente è davvero difficile per l’amministrazione pubblica “attentare” alla proprietà privata, anche se questa è posta in una zona illegittima. Ad esempio, un Comune non può distruggere un’automobile, anche fosse molto malridotta. Può farla rimuovere, al limite, ma non distruggere. Gli è impedito in chiave amministrativa; è necessaria un’autorizzazione specifica, e la responsabilità del decisore politico. In via Barzaghi, invece, ho potuto constatare, e ne rimasi estremamente colpito, come certi effetti personali, ma sarebbe meglio dire effetti e affetti, venissero distrutti dalle ruspe senza alcuna prudenza. In altre parole, non mi colpiva tanto lo sgombero in sé, o il registro securitario all’interno di cui era inquadrato, ma il fatto che non vi fosse il rispetto delle proprietà dei Rom, e che dunque non vi fosse rispetto, in questo caso, per l’istituto giuridico della proprietà privata. Mi stupì che non si sia usato il repertorio della requisizione, o altri strumenti a disposizione dell’amministrazione, e che si utilizzasse invece il repertorio troppo immediato della distruzione.

Da questo episodio, dunque, ho cominciato a ragionare anche su altre modalità di trattamento amministrativo che interessano i Rom. E ho scoperto, ad esempio, che ci sono alcune amministrazioni, come il Comune di Milano, che quando approntano delle soluzioni, giuste o sbagliate che siano, per questa popolazione, lo fanno in una maniera sistematicamente "differenzialista”. È stato così quando hanno fatto il campo per i macedoni in via Novara nel 1998 o quando hanno istituito il campo di via Barzaghi/Triboniano nel 2001. Prescindendo dal problema se questi campi siano opportuni oppure no, è un dato di fatto che la amministrazione pubblica abbia dato vita a due strutture che non prevedono i requisiti minimi di abitabilità. Il fatto che, anche in presenza di un atto dell’autorità pubblica, questi assembramenti di persone non prevedano i requisiti minimi di abitabilità, prima di tutto gli allacciamenti elettrici e fognari, mi sembra indice di qualcosa di profondo, che non può essere trascurato. Intendiamoci, non stiamo parlando del fatto che non si voglia qualcuno, perché a quel punto lo si “caccia”, lo si espelle. Il fatto di cui sto parlando è profondamente diverso: nel caso dei campi di via Novara e di via Triboniano si sono disposte, da parte della pubblica amministrazione, due strutture per qualcuno che si è deciso lì dovesse abitare. Ma queste strutture pubbliche di accoglienza sono state costruite prive di impianti elettrici e di impianti fognari. Il punto che ci deve far riflettere è che questa prassi non è accettabile all’interno del nostro ordinamento giuridico poiché l’abitare in Italia è una condizione normata nel dettaglio. Eppure, nel caso dei Rom, la prassi di allestire dei campi senza requisiti minimi di abitabilità è esercitata sistematicamente, e non solo a Milano: in diverse città, spesso al di là del colore politico della giunta.

Su questo punto credo si debba essere precisi, e non fare troppi giri di parole. Se c’è qualcuno, un gruppo o un individuo per il quale è possibile costruire un habitat che non abbia energia elettrica e fognature, significa che quel qualcuno, gruppo o individuo, è considerato in maniera differenziale rispetto agli altri. Ci tengo molto a questa parola: “differenziale”. E’ un termine che emerge dal dibattito sull’Olocausto nella società moderna.

Se si costruiscono delle case popolari, queste per legge devono possedere i requisiti di abitabilità. Si possono costruire degli obbrobrii che vengono criticati a lungo: è una questione di merito sulla qualità e l’opportunità dell’intervento pubblico ed attiene alla sfera del un giudizio politico sulla politica sociale. Nel caso dei campi per i Rom, però, il problema non è se un campo è bello o brutto, se è funzionale o meno, se è collocato nel luogo più opportuno o meno, se è una forma di intelligenza o di stupidità sociale. Il problema è se questi campi rispettano i criteri minimi di abitabilità: reti elettriche e fognarie. Se non li rispettano, ciò mi pare un segnale molto grave, perché si presume che esista un gruppo sociale, degli esseri umani, che non appartengono alla ‘comune umanità’. ‘Comune umanità’ in questo caso, significa fruire di una condizione abitativa, bella o brutta che sia, che rispetti quei requisiti di abitabilità considerati propri e degni della condizione umana. Sono due, ripeto, questi requisiti minimi. L’espletamento delle funzioni superiori, la comunicazione e l’espressione delle attività intellettuali, e quello delle funzioni corporali. In questo senso oggi, nella nostra società, l’accesso all’energia elettrica è proprio della ‘comune umanità’: sfido chiunque a dire che non ci troviamo nella ‘società dell’informazione’ o nella ‘società delle reti’, alle cui basi c’è la risorsa energetica. Allo stesso tempo, è proprio della condizione umana l’espletamento e la gestione, per così dire organizzata e addomesticata, dei bisogni corporali. Non rispettare queste condizioni significa considerare le persone a cui gli habitat sono destinati, alla stregua di animali, estranei alla ‘comune umanità’. A queste persone sono implicitamente attribuiti dei requisiti che sono propri degli animali, dei quali si prevede che di giorno agiscano grazie alla luce del sole e che di notte si orientino al buio, ed espletino le funzioni corporali all’aria aperta. Per questo gli animali non hanno bisogno della rete elettrica e fognaria. I requisiti di animalità sono attribuiti di fatto dal trattamento amministrativo che spesso subiscono i Rom. Certo, si può obiettare che quegli habitat siano stati costruiti così in emergenza, e che poi “i Rom si sarebbero arrangiati”: ma l’arrangiarsi non rientra nella legalità, e un’amministrazione non può programmare una modalità di risoluzione illegale. È un’obiezione insostenibile. Evidentemente, nei confronti dei Rom, scatta un’idea differenzialista per la quale essi manifestano esigenze tutte diverse dalle nostre, intendendo per nostre le esigenze della ‘comune umanità’. Si potrebbe dire che l’amministrazione comunale a Milano non aveva i soldi per fare gli allacciamenti alla rete fognaria ed elettrica (per altro allacciamenti non particolarmente costosi). E che perciò ha preferito procedere per piccoli passi: “meglio poco che niente”. C’è ad esempio chi sostiene che ciò avviene ed è avvenuto perché le urgenze sono altre, ad esempio dare un tetto a chiunque ne abbia bisogno; e che di fondo, pur se ingiusto, elettricità e fogne non siano priorità. Ma le amministrazioni, lavorando in regimi di scarsità, funzionano sempre per priorità e non fanno mai più di quanto sono costrette a fare dal loro ruolo amministrativo. L’amministrazione più progressista, così come l’amministrazione più conservatrice, tenderà sempre a fare il minimo indispensabile a cui è costretta e vincolata da una scelta politica. Il problema è proprio quale è il livello minimale dell’intervento amministrativo. E soprattutto: per chi valgono i requisiti minimi e indispensabili delle necessità vincolanti fissati per l’abitabilità? Quando si tratta di esseri umani, però, vi sono delle condizioni sotto le quali non si può andare. In sede di diritto, le amministrazioni non possono spingersi a fare qualcosa che sia contrario a degli assunti fondamentali, anche di fronte a un’urgenza. La mia impressione è che in diversi schieramenti politici, anche di sinistra, così come in alcuni gruppi di volontariato sociale, si condivida l’idea che possano esserci delle abitazioni senza elettricità e fognature.

Su questo ho indagato a Milano; perché è questo il problema.

Viene detto che “comunque si deve tener conto di certe differenze culturali”. Alcuni gruppi politici, quelli più a destra, dicono che Rom e Sinti sono abituati a ‘vivere nel vento’, e dunque hanno una cultura peculiare: in sociologia chiamiamo questo atteggiamento ‘differenzialismo culturalista’. Un’accezione multiculturale talmente forte tale per cui due individui non condividono niente: ‘Io ho bisogno della fogna perché appartengo a una cultura, mentre tu che non ne fai parte non ne hai bisogno’. C’è poi un differenzialismo di tipo biologico, secondo cui vi sono persone, esseri umani, che non hanno requisiti di umanità severi come i nostri. Per “razza”, i Rom non avrebbero bisogno di energia elettrica e fogne.

Che si tratti di differenzialismo biologicista o culturalista, il problema non cambia.

Formalmente, nessuna amministrazione, da nessuna parte del mondo, potrebbe porsi il problema dell’adeguamento delle proprie regole e dei propri standard sulle strutture ed infrastrutture materiali alle esigenze, più o meno immaginate, di una minoranza culturale. Se in Italia arrivasse una minoranza che dice: io non ho bisogno delle fogne, quindi posso costruirmi delle case senza fognature. No: in Italia la legge prescrive l’obbligo delle fognature, e dunque un’abitazione non può non avere un allacciamento fognario. Se l’abitazione non ha le fogne, non ha i requisiti minimi di abitabilità. Punto e chiuso: dal punto dell’amministrazione pubblica dovrebbe essere irrilevante la presunta cultura del gruppo che abita una casa. Se quell’abitazione non può essere abitata, e se non può essere allacciata alla fognatura, va sgomberata. Punto e a capo, chiuso. Neppure una malga per le mucche, in montagna, può essere priva di fogne. Se anche Rom e Sinti facessero una richiesta del genere, e sono ben lungi dal farla, lo stato di diritto italiano non potrebbe accoglierla. Anzi, lo Stato nelle sue articolazioni territoriali dovrebbe rispondere: ‘No, dovete abitare in strutture che siano pertinenti rispetto ai requisiti minimi di abitualità, che sono comuni per tutti’. Prendiamo i centri di permanenza temporanea per clandestini, come quello di via Corelli a Milano: possiamo considerarli crudeli, possiamo essere contrari oppure favorevoli; mi risulta però che tali centri rientrino nei criteri minimi di abitabilità.

Per i Rom invece no, per i loro campi, spesso, questi criteri non sono previsti.

Come è possibile, mi chiedo, che siamo arrivati al punto di accettare, favorevoli o contrari alla loro presenza, condizioni di abitabilità che non rispondono ai parametri minimali di ciò che oggi è considerato comune all’umanità?

In sociologia, l’abitare è considerato una condizione di consistenza di una persona: la persona può essere individuo in pubblico soltanto se ha una sua consistenza nel privato, e tale consistenza è data dalla sfera domestica degli affetti, ed è evidente che questa, a sua volta, si caratterizza qualitativamente anche e soprattutto secondo i parametri di abitabilità degli spazi in cui si abita.

Ecco, a fronte di tutto ciò Milano, l’area metropolitana più ricca d’Europa, attrezzata di una rete elettrica e fognaria ineccepibile, di fronte a problemi che non sono emergenziali, se non nella loro tematizzazione pubblica, anziché elaborare risposte politiche, promuove modalità di intervento che non rispettano i criteri determinati e garantiti dal diritto.

I rom di via Barzaghi, hanno ricevuto un trattamento differenziale e l’azione nei loro confronti si è caratterizzata per la “legittimità differenziale” con cui è stata accettata. Per accettare che un trattamento differenziale sia legittimo occorre che emergano delle “convenzioni” capaci di espellere i rom dalla comune umanità, di considerarli cioè di natura differente rispetto a quella di tutti noi. Il concetto di legittimità differenziale è un ossimoro. La legittimità è un rapporto di riconoscimento che ha un carattere propriamente universalista: è legittimo ciò che è universalmente riconosciuto come tale. Le stesse eccezioni di legittimità sono pubbliche, hanno ugualmente un carattere di universalità - sebbene in un sottoinsieme dell’universo di riferimento -, e non sono caratterizzate da eccessiva ambiguità. Di conseguenza, parlare di legittimità differenziale implica il riferimento ad una logica di azione che presuppone la presenza di universi rigidamente distinti e paralleli. In questo senso, uso questo ossimoro per indicare come negli argomenti degli attori politici a Milano sia emerso un progressivo trattamento differenziale dell’umanità, cioè una distinzione fra quelli che comunemente sono considerati esseri umani; distinzione che ha portato all’espulsione di una parte di questi dalla comune umanità.

Qui è importante segnalare un passaggio fondamentale. Separare l’umanità in due o più universi separati, cioè far collassare le appartenenze sociali su distinzioni ontologiche fondate biologicamente, è proprio della tradizione eugenetica. L’eugenetica è infatti la sola dottrina politica che ha preteso di fondare un modello di giustizia su caratteristiche biologiche, espellendo della comune umanità particolari categorie di esseri (umani), istituendo pubblicamente forme di legittimità differenziale.

Il trattamento differenziale dei rom, come abbiamo visto, è una modalità dell’azione pubblica ed in quanto tale va letta in chiave istituzionale per coglierne la portata normativa nelle culture e nelle identità degli attori politici a Milano (siano essi della maggioranza o dell’opposizione, dei partiti o delle associazioni). L’assenza di fogne e di elettricità nei campi ha dato vita solo a qualche lamentela timida. Nessuno ha urlato contro la matrice eugenetica di questo trattamento amministrativo.

L’eugenetica ci pone problemi soltanto a nominarla, dopo l’olocausto compiuto nel corso della II guerra mondiale, e non ne parliamo più. Parliamo di xenofobia, parliamo di razzismo perché è più facile. Io sono razzista con qualcuno perché non apprezzo una sua caratteristica, associo a questo qualcuno tutti quelli che presentano la medesima caratteristica e, tendenzialmente, cerco di eliminarla. L’eugenetica è diversa, perché ha una sua collocazione e tradizione in seno alla filosofia politica e fa riferimento a un criterio di giustizia sociale, per quanto opinabile: migliorare la vita propria e soprattutto quella delle generazioni a seguire, mettendo in pratica meccanismi di miglioramento delle condizioni biologiche. Da Galton in avanti, l’eugenetica è “evoluta” anche in senso culturalista: pretende di migliorare la società nel suo insieme, modificando alcuni aspetti della cultura di chi ne fa parte. Nessuno degli eugenisti ha mai definito quali fossero le basi biologiche della diversità e dell’inferiorità, ma tutti hanno sempre parlato di come migliorare le condizioni complessive della società, partendo da una forma di violenza profonda sulle basi culturali e corporali di una qualche minoranza.

Ora, consideriamo il caso degli albanesi. Ho chiesto agli studenti del I anno di Sociologia quanti abitanti abbia l’Albania, metà di loro mi ha risposto che ha più di dieci milioni di abitanti (contro i reali 3.582.000), probabilmente accompagnando questo errore alla percezione, spaventata, che gli albanesi siano criminali. Qui siamo di fronte a un problema di xenofobia che, come tale può facilmente spostarsi su altre minoranze. Oggi, comprensibilmente, sono i mediorientali e i magrebini sotto l’occhio del ciclone, e gli albanesi se la cavano un po’ meglio. Il problema non è quello di guardare male il Rom perché attenta alle tue condizioni di vita rischiando di peggiorarle. Questa, per inciso, è l’istanza leghista della prima ora, nei confronti degli
extracomunitari: gli stranieri ci portano via la casa e il lavoro, si fanno pagare di meno, i nostri operai perdono potere contrattuale, ecc. Sui Rom, invece il problema è differente e specifico. Nei loro confronti le amministrazioni manifestano un’attitudine differenzialista: per molti amministratori non si tratta di persone che vanno cacciate in conseguenza di comportamenti criminali, assolutamente. I Rom, più semplicemente, non appartengono alla ‘comune umanità’ per cui togliendoli di mezzo si fa un favore a tutta la società. La questione è stata tematizzata dagli antropologi in relazione al tema della purezza. Il problema dell’eugenetica è quello di impedire a una razza inferiore di contaminare e sporcare la società. Ne consegue che, liberandosene, si agisca in favore della integrità di tutti.

Sentite cosa ha detto un assessore milanese: (Tiziana Maiolo, assessore alle politiche sociali di Milano, il 4 settembre 2001): “In via Barzaghi non è questione di linea dura o linea morbida, ma di semplice buon senso: saranno espulsi i clandestini e basta... Del resto, diciamolo chiaramente: voi sareste contenti di tenere in città tutti questi zingari che vengono in casa a rubare? Insomma è risaputo che gli zingari mandano i bambini a rubare nelle case: o no?”. E ai cronisti presenti, che le chiedevano se intendesse che ‘tutti gli zingari sono ladri’, ha risposto: “Non fareste questa domanda se anche voi aveste subìto un furto in casa, come è capitato a me tanti anni fa”. In un altro intervento, riguardo ai Rom, lo stesso assessore afferma anche che: “sono tornate malattie che sembravano estinte, come la Tisi e la Scabbia”. Quello che mi colpisce, da sociologo, nel primo caso, è il processo inferenziale: il fatto che l’assessore abbia subito un furto in casa non significa che uno sappia dire chi è stato a rubare. Negli anni Ottanta c’è stato panico morale nel centro italia rispetto alle violenze sessuali per cui si sentiva dire: “sono stata violentata da un branco di persone, e questo gruppo parlava l’italiano con accento stentato, le persone di quel gruppo erano zingare”. I processi inferenziali sono segnali abbastanza consueti nelle società, e sono indice di semplice, si fa per dire, razzismo. Il salto di qualità, però, è sulla questione della malattia; per un certo periodo qualcuno lo ha detto anche degli immigrati (“gli immigrati portano malattie”), anche se poi, per fortuna, nessuno è riuscito a sostenerlo. I rom come fonte di contaminazione invece è un motivo costante del discorso pubblico. La questione della malattia non è tematizzata mai per denunciare il trattamento differenziale dei rom che genera habitat privi di quei requisiti minimi abitabilità che oggi esigiamo per legge anche per le mucche. La malattia non deriverebbe dalle loro attuali e precarie condizioni igieniche, delle quali le amministrazioni sono responsabili. No: sono loro, i Rom, a portare la malattia. E questo, a mio giudizio, è segnale di una postura eugenetica, e la conseguenza diretta è quella di sbarazzarsi, di escludere i Rom dalla comune umanità, con l’obiettivo “di giustizia” di migliorare la società a venire. Sbarazzarsi dei Rom, non cambiare la politica sociale o la politica di accoglienza. La mia impressione di studioso è che questo atteggiamento nei confronti dei Rom persista da tantissimo tempo, ben prima dell’avvento del nazismo. Il Rom fa paura più degli immigrati, anche quando è italiano, anche quando ha un lavoro, conosce bene la lingua, non è indigente, ecc. Per avere delle condizioni minime di civiltà giuridica in Europa, pertanto, diventa necessario aggredire questo atteggiamento. Di fronte alla presenza di un trattamento amministrativo differenzialista dei rom, io ritengo fondamentale lo sforzo di metterne a fuoco le matrici eugenetiche. Le atrocità dell’eugenetica a mio parere vanno richiamate sempre, in particolare ai responsabili dell’amministrazione, essendo le istituzioni il nostro patrimonio più prezioso per convivere. Il trattamento differenziale che espelle i Rom dalla comune umanità, mi sembra debba essere capito a fondo, per potere essere riconosciuto e avversato da tutti.

 

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