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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 11/12/2013 @ 09:00:02, in conflitti, visitato 1930 volte)

Rom-Anzi Sergio Bontempelli, 9 dicembre 2013 su corriere delle migrazioni

Quest'uomo io lo conosco da sempre: da quando, quasi venti anni fa, ho cominciato a frequentare il "campo nomadi" di Coltano, vicino a Pisa. Piccoletto di statura, con una coppola in testa che gli conferisce un'aria quasi da contadino siciliano, con il tono compassato di un vecchio saggio, Zajko è una specie di "istituzione" del campo.

E' in Italia stabilmente dal 1988, ed è stato uno dei primi rom bosniaci ad arrivare a Pisa. Davanti alla sua baracchina ha visto transitare i "nuovi" immigrati rom, i profughi della guerra degli anni novanta. E ha cresciuto almeno tre generazioni, tra figli, nipoti e bisnipoti. Un vero e proprio custode della "memoria storica" di Coltano.

Sì, lo conosco da sempre, Zajko. E lo conoscono i tanti operatori, assistenti sociali e volontari che nel corso degli anni hanno frequentato il campo. Ma non tutti hanno avuto la pazienza di ascoltare quel simpatico ometto con la coppola. Perché Zajko si esprime in un italiano tutto suo: che non è un italiano "scorretto", ma una lingua ibrida, pronunciata con un forte accento slavo, piena di costruzioni sintattiche romanes e bosniache, infarcita di parole che sembrano strane, e a volte anche un po' buffe.
Non sempre lo capisci al primo colpo, e per entrarci in contatto hai bisogno di tempo: devi passarci qualche pomeriggio, condividere un caffè, fare due chiacchiere così senza scopo. E invece gli operatori, tutti presi dai loro "progetti", non hanno il tempo per ascoltare. Vanno al campo per convincere, spiegare, illustrare, parlare. Hanno sempre qualcosa di importante da dire, e non si prendono mai la briga di sedersi un attimo.

La storia di Zajko
La storia di Zajko è venuta fuori per caso, in una fredda giornata di inverno di tre anni fa. Con gli altri volontari dell'associazione Africa Insieme eravamo andati al campo, a far visita ad alcuni amici: l'aria gelida della sera ci aveva convinto a entrare nella baracca di Zajko, a prendere un buon caffè caldo.
C'era confusione e non si capiva molto: i bambini giocavano e urlavano, una ragazza più grande ci chiedeva di spiegarle una cosa di matematica che non aveva capito a scuola. E poi le due figlie di Zajko avevano avuto problemi in Questura con il loro permesso di soggiorno, ci chiedevano di aiutarle ma non c'era verso di farle parlare una alla volta. Un gran caos, insomma.

Zajko sembrava farfugliare qualcosa, ma i familiari ci dicevano di non dargli retta, "è vecchio e non si capisce mai quello che dice". Però il "vecchio" aveva pronunciato una parola che non avevamo mai sentito al campo, e che ci aveva incuriosito: "ustascia". Sì, Zajko parlava degli Ustascia, i fascisti croati amici di Hitler, che avevano fondato uno Stato Indipendente Croato alleato della Germania.
"Io visto cartelli", insisteva il nostro amico aggiustandosi la coppola, "cartelli sui muri, dicevano evrei srbi e zingari tutti ammazzare". Zajko aveva assistito all'arrivo delle leggi razziali nel territorio croato (che all'epoca includeva anche la Bosnia): le vittime designate erano - per l'appunto - ebrei, serbi e rom.

Gli ustascia, le leggi razziali, lo sterminio
Secondo alcune stime, gli Ustascia uccisero il 75% degli ebrei presenti nel Paese prima della guerra. Quanto ai serbi, interi villaggi furono dati alle fiamme, sacerdoti e altri esponenti religiosi ortodossi furono massacrati nelle loro chiese, circa 200 mila persone dovettero subire la conversione forzata al cattolicesimo.
Fra gli "zingari" - ci informa Mirella Karpati - "le vittime accertate fino al 1998 furono 2.406, di cui 840 bambini. Il campo più terribile era quello di Jasenovac, dove si uccidevano le persone con metodi barbari. Né mancarono campi destinati ai bambini, come quello di "rieducazione" a Jastrebarsko, dove fra l'aprile 1941 e il giugno 1942 morirono 3.336 bambini di varie etnie. Nel campo per le donne di Stara Gradiska morirono oltre trecento bambini zingari".

Da partigiano ad immigrato
Zajko aveva visto le prime avvisaglie di quella tragedia: i cartelli, affissi per le strade, che annunciavano la volontà di "ripulire" la Croazia dalle "razze maledette": ebrei, serbi e rom ("evrei srbi e zingari tutti ammazzare"). E aveva deciso di scappare, rifugiandosi in montagna. Qui aveva incontrato i partigiani di Tito, e si era unito a loro. Un pezzo di storia del Novecento riemergeva dalle parole un po' farfugliate di quell'ometto in apparenza così modesto.

Zajko era stato ferito ed era finito all'Ospedale: poi, uscito, aveva continuato a combattere. Finita la guerra, era andato a Zagabria, dove con la sua formazione partigiana aveva conosciuto Tito. Quindi era tornato finalmente a casa, si era sposato e aveva costruito la sua famiglia. Aveva avuto una prima esperienza migratoria in Italia negli anni Cinquanta: era stato a Napoli, poi a Piacenza a fare il barista. Ma la vera e propria migrazione - quella definitiva - era avvenuta nel 1988: da allora non è più tornato in Bosnia.

Quando abbiamo ascoltato il suo racconto, abbiamo deciso che questa piccola storia - legata alla Storia più grande, quella con la lettera maiuscola, che si legge nei libri e si studia all'Università - doveva essere raccontata. è nato così un video, prodotto da un gruppo di volontarie della nostra associazione, che trovate qui sotto liberamente visionabile e scaricabile.

Una bandiera alla finestra
Ho continuato a frequentarlo, Zajko. Lo incontriamo tutte le volte che andiamo al campo. Oggi ha problemi di salute dovuti all'età - più di ottanta anni - e fa sempre più fatica a lavorare. Era un calderaio, un artigiano del rame: vendeva i suoi prodotti ai mercati, e con quelli si manteneva. Negli ultimi anni i dolori e gli acciacchi gli hanno reso quasi impossibile continuare. Il Comune gli ha assegnato una "casetta", perché nel frattempo il campo di Coltano è stato trasformato in un "villaggio" di alloggi in muratura: ma lui, senza reddito, fatica a pagare l'affitto, e rischia lo sfratto.

L'esperienza della guerra lo ha segnato in profondità, forse più di quanto non sia disposto ad ammettere lui stesso. Perché di guerre, Zajko, ne ha conosciute due: la prima l'ha vissuta da partigiano, da protagonista e in qualche modo da vincitore. La seconda - quella degli anni Novanta - l'ha sorpreso mentre era in Italia, e di fatto l'ha "intrappolato" a Pisa, impedendogli il ritorno a casa.

Quando parla di guerra abbassa gli occhi, Zajko. E il suo sorriso si spegne. La sua "seconda" guerra, il tragico conflitto balcanico degli anni Novanta, non lo racconta volentieri. Ma ogni volta che in televisione sente parlare di bombardamenti, di profughi in fuga, di scontri militari, si preoccupa e ci chiede spiegazioni: vuol sapere che sta succedendo, se il teatro del conflitto è vicino o lontano, se sono coinvolti i civili, se la diplomazia sta facendo il suo lavoro e se le armi si fermeranno.
Nel comodino accanto al letto Zajko tiene una bandiera arcobaleno della pace. E, quando alla televisione parlano di guerra, la appende alla finestra, così che le macchine che sfrecciano sull'autostrada possano vederla.

Zajko. Un video di Africa Insieme from Africa Insieme on Vimeo. Video di Sara Palli, Alice Ravasio, Francesca Sacco, Marta Lucchini, Irene Chiarolanza, Diana Ibba. Prodotto dall'associazione Africa Insieme di Pisa nell'ambito del progetto "volontari come in un film", con la collaborazione di Cesvot, Aiart, Progetto Rebeldia. Musiche originali di Pasqualino Ubaldini

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Di Martina Zuliani (del 10/12/2013 @ 09:04:55, in scuola, visitato 1784 volte)

Il corso è tenuto dal professor Ljatif Demir e dalla professoressa Hedina Tahirovich Sijerchich

L'insegnamento del romanes alla facoltà di filosofia. Di Adriana Pitesha su Jutarnji list
Il nostro corso è un vero successo. 40 studenti imparano la lingua rom

Il corso si tiene presso il dipartimento di indiologia ed è in programma la creazione di un corso di laurea triennale.

"Questo è un giorno storico per la comunità rom, un giorno che ricorderemo per sempre." ha detto ieri il deputato Veljko Kajtazi durante l'inaugurazione del pannello bilingue, presso la Facoltà di Filosofia dell'Università di Zagabria, per celebrare il primo anniversario dell'introduzione della lingua romanes e della letteratura rom nell'istruzione superiore in Croazia.

La decisione di Kajtazi è stata presa dopo la celebrazione della Giornata Internazionale del Popolo Rom e la prima conferenza si è tenuta nel novembre dello scorso anno.

"Mi ricordo quando io e i miei colleghi, l'anno scorso, stavamo discutendo della tecnica prima dell'inizio delle lezioni. A un certo punto ci siamo girati e ci siamo accorti che vi era una quarantina di studenti dietro di noi. Siamo rimasti davvero stupiti poiché non pensavamo che l'interesse potesse essere così alto." dice il professor Ljatif Demir, di Skopje, che insieme a Hedina Tahirovich Sijerchich, di Sarajevo, insegna al Corso di Introduzione alla Lingua Rom e Introduzione alla Letteratura e alla Cultura Rom, corsi offerti come facoltativi all'interno del Dipartimento di Indologia e Studi dell'Estremo Oriente, e che rendono la Facoltà di Filosofia di Zagabria unica al mondo.

Studenti differenti

Quaranta studenti che sono rimasti fino alla fine del corso e che non hanno risparmiato complimenti ai loro professori, l'unica nota di demerito è che avrebbero voluto imparare di più.

Ciò sarà presto possibile poiché, è stato dichiarato ieri, il piano è quello di lanciare presto degli studi universitari per far diventare Zagabria un centro per lo studio della lingua romanes, della letteratura, della cultura rom.

I profili dei primi studenti erano diversi. La maggior parte erano studenti di Indologia, ma non mancavano di studenti di sociologia, psicologia, pedagogia, giurisprudenza e di scienze della formazione...

"All'inizio c'è stato un problema di coinvolgimento poiché non sono tutti linguisti, ma siamo stati in grado di regolare il programma in modo da non danneggiare il programma ne a diminuire il loro interesse" dichiara il professor Demir.

Per far ciò hanno trovato della letteratura professionale. Inoltre, Ljatif Demir e Hedina Sijerchich stanno sperimentando un manuale per la lingua e la letteratura romanes che raccoglie manualistica e letteratura provenienti da altre comunità locali ed europee.

Temevano una rapina

"Comprensibilmente, gli studenti sono più interessati alla cultura che è a loro sconosciuta e rimangono sorpresi quando dici loro che Veijo Balzar vende titoli in 25.000 copie in Finlandia o quando si richiama l'attenzione su certi film. Ma la nostra non era una comunicazione unilaterale. Abbiamo imparato da loro che tutti hanno bisogno di agire, secondo i principi della filosofia orientale, con amore. Non c'erano barriere e siamo diventati amici. Questo è l'unico modo per far si l'integrazione non rimanga solo sulla carta. La gente è

spaventata e piena di pregiudizi pregiudizi quando non conosce qualcosa. Alcuni dei nostri studenti hanno ammesso che, al'inizio, avevano paura di essere rapinati dai rom quindi abbiamo detto loro: 'Beh, non abbiate paura, io e la professoressa, che siamo rom, non vi deruberemo.'" racconta ridendo il professor Demir.

Tra gli studenti c'è una sola rom che studia alla facoltà di legge.

"Per noi erano tutti uguali. Sono molto contento all'idea che quattro o cinque di loro continueranno con lo studio scientifico della lingua, della letteratura e della cultura rom e che una di di loro, una studentessa che non è rom, sarà, con ogni probabilità l'assistente di uno futuro corso.

Ieri sono stati in molti a sottolineare il problema dell'integrazione dei rom nel sistema scolastico. Lo scorso anno 811 bambini rom hanno frequentato regolarmente la scuola materna, 5173 le scuole elementari, 480 le scuole superiori. Quest'ultimo dato è considerato un grande progresso poiché è il 2005 gli studenti rom frequentanti le superiori erano solo 14.

Per quanto riguarda gli studenti universitari, nell'ultimo anno accademico solo 28 studenti si sono dichiarati rom. Probabilmente il numero è più alto poiché alcuni non si presentano come rom a causa della forte discriminazione sociale. Anche se gli studi della lingua rom non sono ovviamente rivolti esclusivamente ai membri della comunità rom, la loro esistenza potrebbe influenzare la percezione della loro cultura.

"Non possiamo chiudere gli occhi davanti al fatto che l'identità rom si stia perdendo a causa della paura dei rom a dichiararsi tali. Vorremmo ricordare che questa è una cultura che è significativamente più antica rispetto a quella croata e che, quindi, dobbiamo insegnare e tutelare" ha dichiarato il preside di facoltà Damir Boras.

Un buon investimento

Il costo dei due corsi ammonta a 120.000 kune, comprendente l'acquisto della letteratura e le spese di viaggio dei professori, ed è stato diviso tra il Consiglio delle Minoranze e la Facoltà di Filosofia.

"Non consideriamo un costo ma un investimento che ha molteplici benefici per l'intera comunità" ha detto il preside Boras.

Alla cerimonia di ieri hanno partecipato i rappresentanti della comunità accademica, rappresentanti politici, rappresentanti del Parlamento, il consiglio comunale e quello per le minoranze.

L'attuale situazione politica non è stata dimenticata. Gvozdan Flego ha sottolineato che l'atto è tanto più significativo in quanto avviene in un momento in cui alcuni vorrebbero negare i diritti delle minoranze. Il pannello è, inoltre, una delle prime tavole bilingui che ha come seconda lingua il romanes, non solo in Croazia, ma nell'intera Europa.

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Di Fabrizio (del 09/12/2013 @ 09:00:13, in Regole, visitato 1981 volte)

In base alle statistiche del 2010, i Rom che risiedono a Roma sono 7.177, distribuiti in campi attrezzati, tollerati o informali. La condizione di segregazione e perenne emergenza che si vive nei campi, soprattutto in quelli tollerati o informali, impedisce loro di esercitare diritti elementari come quelli sanitari, scolastici e di residenza, in quanto cittadini dell'Unione Europea. Per renderli consapevoli dei loro diritti e delle pratiche che ne consentono l'applicazione, Popica Onlus, in partenariato con Amnesty International-Italia ha realizzato con i giovani della comunità Rom residente nella "Città Meticcia del Metropoliz" un programma di informazione (documentato dal filmato "We found the way") che ha portato alla realizzazione di un opuscolo e di un dvd ambedue intitolati Conosci i tuoi diritti. Sia il testo che il filmato sono in italiano e in rumeno. L'iniziativa è stata finanziata tramite bando internazionale dall'OSCE.

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Di Fabrizio (del 08/12/2013 @ 09:03:34, in scuola, visitato 1802 volte)

E' arrivata la soluzione dopo le polemiche e le accuse di razzismo

05/12/2013 - L'ISTITUTO FU AL CENTRO DI UN CASO MEDIATICO A SETTEMBRE Il sindaco del piccolo centro della Bassa Novarese: "Sono attesi venti scolari per la primaria e venticinque per l'asilo-scuola dell'infanzia". Di ROBERTO LODIGIANI su LA STAMPA

La scuola primaria di Landiona, nella Bassa Novarese, non chiuderà. Avrà infatti lo stesso numero di scolari di quest'anno, una bimba del paese e i piccoli sinti del vicino campo.

Scongiurato, dunque, il pericolo di blocco delle lezioni che aveva indotto molte famiglie a portare i figli le vicino paese di Vicolungo.

Lo annuncia il sindaco Marisa Albertini: "Alla riunione convocata dalla Provincia per discutere del dimensionamento scolastico per il 2013-2014 abbiamo presentato una determina che conferma i numeri degli attuali iscritti. Sono attesi venti scolari per la primaria e venticinque per l'asilo-scuola dell'infanzia".

In queste settimane prosegue il monitoraggio degli scolari che effettivamente prendono posto tra i banchi: "Le presenze nella pluriclasse sono stabili e questo E' un dato di fatto confortante - dice Marisa Albertini -. A decidere il destino della scuola primaria sarà la direzione didattica ma lo farà sulla base dei numeri che finora continuano ad essere confermati".

Nel settembre scorso la struttura di via XI febbraio era rimasta coinvolta in un caso mediatico poi rivelatosi privo di consistenza: un'accusa di razzismo era stata rivolta ai genitori di Landiona che avevano deciso di iscrivere i figli alla scuola di Vicolungo per evitare la pluriclasse con i coetanei sinti.
Il caso si era sgonfiato quando emersero le vere ragioni che avevano indotto il trasferimento: "Si temeva che gli studenti non fossero in numero sufficiente per mantenere in paese le lezioni, il razzismo non ha nulla a che fare con l'iscrizione alla scuola di Vicolungo" fu la versione riferita dalle mamme landionesi.

Contro un "corvo" che da anni manda al Comune lettere-esposto che riguardano anche la realtà scolastica del paese, il sindaco ha deciso di fare ricorso a un avvocato: "Intendiamo cautelarci - spiega -. Le argomentazioni sollevate negli esposti sono state tutte verificate dagli enti competenti ma le analisi non siano giudicate sufficienti e le segnalazioni continuano. Sappiamo chi E' e abbiamo dato mandato a un avvocato per cautelarci nei suoi confronti". Per il piccolo Comune E' una spesa non da poco: costerà 2.215,20 euro.

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Di Fabrizio (del 07/12/2013 @ 09:00:03, in Kumpanija, visitato 2556 volte)

di Giorgio Bezzecchi

Signor Galli,

Sono un attivista Rom che da 30 anni condivide la realtà quotidiana dei Rom e Sinti. Ho riflettuto prima di scriverle per l'antica abitudine a sopportare il pregiudizio e la discriminazione, ma alla fine sento il bisogno di rispondere al suo articolo scritto sul "Corriere della Sera" apparso martedì 26 novembre 2013 a pagina 3 della cronaca di Milano a proposito dei funerali di Luca Braidic. Lei parla di "Funerali..........con più poliziotti che familiari"; "celebrati il più in fretta possibile"; e soprattutto di "funerali da boss di mafia...".

Io ho partecipato ai funerali di Luca Braidic celebrati da Monsignor Mario Riboldi, con Padre Luigi Peraboni (da 60 anni tra i Rom e Sinti) con don Massimo Mapelli della Caritas ambrosiana, i Padri Somaschi e esponenti di altre associazioni anche loro impegnati da molti anni con i Rom e Sinti, da lei neppure considerati evidentemente per non essersi degnato di venire a vedere o di informarsi compiutamente.

Premesso che i poliziotti erano 6 con 3 auto e parlavano tranquillamente tra loro sulla piazzetta antistante la chiesa, mentre le famiglie Rom hanno riempito la chiesa con la presenza del Sindaco con partecipazione seria secondo la nostra tradizione; che se per fretta s'intende percorrere i circa 2 chilometri dalla chiesa alla cascina per la sosta per l'ultimo saluto all'abitazione del defunto con fuochi, musica pianti fino all'imbrunire per poi percorrere un altro chilometro fino al cimitero con la cassa portata a spalla, la banda, le decine di corone, di fiori sparsi senza parsimonia (almeno l'ultima strada.... è fiorita anche per lui), certo i bersaglieri invidieranno la nostra velocità; ma la cosa che più mi ha colpito è stato definire da parte sua questi come "Funerali da boss di mafia", un insulto gravissimo per la cultura dei Rom e Sinti.

Tutto il suo articolo è pervaso, oltre che dall'ignoranza delle tradizioni di un popolo antico che avrebbe da insegnare qualcosa anche a lei, da affermazioni approssimative e infamanti ("...persone sopra i 14 anni tutte con precedenti") e quando parla di faida da una vera e totale ignoranza di quello che è veramente successo nelle comunità di via Idro e di via Chiesa Rossa e di quello che ha portato a questo tragico epilogo. Ma tanto siamo "zingari" con i quali lei certo - e per fortuna, aggiungo io - non è in grado di parlare... e per questo lei che fa il giornalista - non ho detto che lo è - dovrebbe almeno avere il dovere non dico di cercare la verità, ma almeno di non sputarci addosso.

Saluti

Milano, 05/12/2013
Rag. Giorgio Bezzecchi
Presidente Museo del viaggio Fabrizio De Andrè

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Di Fabrizio (del 06/12/2013 @ 09:07:52, in media, visitato 1252 volte)

Elmas Arus, regista turca di origine rom, insignita del premio Raoul Wallenberg - 02/12/2013, da Consiglio d'Europa

Strasburgo, 02.12.2013 - La giuria del premio Raoul Wallenberg - Consiglio d'Europa ha assegnato per la prima volta il premio a Elmas Arus, giovane regista rom della Turchia. Il premio 2014 riconosce l'eccezionale contributo di Arus nel sensibilizzare sulle condizioni dei Rom in Turchia e altrove. Ha cercato di migliorare la loro situazione, particolarmente quella delle donne, e di portare la discriminazione nei loro confronti alla ribalta del dibattito politico.

"Il duro lavoro portato avanti da Elmas Arus, con coraggio e perseveranza, è un contributo realmente impressionante alla lotta contro i pregiudizi radicati a fondo e le discriminazioni sofferte dal popolo rom in tutto il nostro continente," ha detto il segretario generale Thorbjoern Jagland, annunciando la decisione della giuria.

Tra il 2001 e il 2010, Arus con un gruppo di volontari della sua università ha visitato oltre 400 insediamenti rom in 38 città turche. Hanno prodotto 360 ore di documentazione, e creato un documentario di un'ora sulle sfide dei differenti gruppi rom in Turchia. Successivamente, Arus ha fondato l'organizzazione Zero Discriminazione, che ha aperto la strada ad altri gruppi simili, ora in Turchia ci sono oltre 200 associazioni rom. Il suo lavoro ha giocato un ruolo cruciale nell'elaborazione nel 2009 della politica di "Apertura ai Rom" del governo turco.

La cerimonia di assegnazione del premio - che ammonta a 10.000 euro - avrà luogo il 17 gennaio 2014 alla sede del Consiglio d'Europa a Strasburgo.

Sito di Zero Discrimination Organisation (in turco)

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Di Fabrizio (del 05/12/2013 @ 09:02:26, in Italia, visitato 1331 volte)

di Jacopo Paoletti su MARINO24ORE

Da qualche anno a questa parte esiste una realtà molto positiva sul territorio italiano, che ha fatto e sta facendo davvero molto per migliorare l'interazione degli immigrati nella quotidianità del tessuto sociale del nostro Paese, in particolare a Roma. Questa realtà ha il nome e i volti degli operatori e dei volontari dell'associazione Popica Onlus. La mission dell'organizzazione di promozione sociale è il sostegno e la tutela delle persone con difficoltà socio-economiche, a partire dai rom provenienti dall'Europa Balcanica. Interviene, inoltre, nella delicata situazione dei bambini e adolescenti in Romania. Il nome Popica (che in italiano significa birillo) deriva proprio dal nomignolo di uno dei tanti bambini di strada per il quale l'associazione ha lavorato. Insieme a Christian Picucci, referente di Popica Onlus a Roma per quanto riguarda gli interventi di inserimento scolastico dei bambini rom, e a Mauro Nicolò Cipriano, che da un paio di anni si occupa del progetto di sostegno all'apprendimento dei rom nelle elementari, esploriamo più da vicino la situazione capitolina e il mondo del volontariato.

Christian, quando è nata Popica Onlus? E' nata nel 2006 con progetti attuati in Romania in favore dei bambini di strada e nel 2008 ha esteso il suo raggio d'azione a Roma, in particolare sviluppando interventi di sostegno nei confronti dei rom presenti nella Capitale. Vorrei sottolineare che a Roma, sui campi rom cosiddetti "autorizzati" o "tollerati", esiste già un intervento di scolarizzazione ma contemporaneamente sono sorti, specialmente a seguito delle ultime ondate migratorie, tantissimi altri insediamenti di rom romeni che possiamo definire spontanei e proprio in questa nicchia si è inserita Popica Onlus dato il pazzesco ritardo delle istituzioni in questa situazione.

Quali sono stati i primi passi mossi dall'associazione? Nel novembre del 2008, in collaborazione con altre associazioni, è stato avviato un progetto di monitoraggio e di mappatura dei campi rom abusivi, al fine di sopperire alle esigenze primarie delle persone che vivevano in questi insediamenti. Poi, una volta riscontrati dei casi urgenti si è passati alla fase di intervento, ad esempio con gli accessi alle scuole, l'accesso alla sanità e l'orientamento verso le strutture del territorio. Terminata la collaborazione Popica ha continuato il proprio lavoro dedicandosi all'inserimento scolastico dei bambini, seguendo con costanza la relativa frequenza e soprattutto l'apprendimento. Operiamo come supporto alle scuole, anche perché alcune volte gli stessi insegnanti non sono pronti, visti i notevoli problemi della scuola italiana, a cogliere le diversità.

Come hanno vissuto i bambini l'avvicinamento alla scuola? Abbiamo iniziato, sempre nel 2008, con delle realtà in cui i bambini rom neanche sapevano cosa fosse la scuola. Poi, col tempo, abbiamo registrato un notevole riscontro. Molti bambini e adolescenti sono passati da una totale estraneità alla scuola ad una completa frequenza quotidiana. Alcuni hanno perfino conseguito la terza media. E' veramente importante la positività dell'apprendimento per questi bambini.
Alcuni anche grandicelli - interviene Mauro -, che presentavano delle lacune rispetto ai pari età italiani, attraverso l'inserimento e il sostegno scolastico sono riusciti a colmarle. Questo testimonia che il lavoro condotto, da tutti i punti di vista, non è assolutamente inutile.

C'è una storia particolare che ti è rimasta impressa più delle altre? Mi ricordo lo sguardo fiero e commosso dei genitori che osservavano i propri figli accingersi ad entrare in classe per il primo giorno di scuola. In quel caso ho percepito che l'ambiente scolastico è anche una forma di riscatto per i rom. Purtroppo, però, è anche vero che buona parte dell'associazionismo di settore si è spesso mosso su binari di mero assistenzialismo, vissuto come una sorta di "scambio" da parte degli stessi genitori, nel senso "io ti do mio figlio, tu che cosa mi dai?". Un disinteresse nel seguire i propri figli nella vita scolastica in cui Popica ha cercato di essere presente per sopperire a questa mancanza, stando anche a stretto contatto con gli insegnanti.

E lo sport? Quanto può aiutare nel processo di interazione? E' determinante quanto la scuola - spiega Christian -. Da quasi tre anni abbiamo affiancato a Popica l'attività calcistica dei bambini sfociata, poi, nella nascita dell'Associazione Sportiva Dilettantistica Birilli (che ha a disposizione le categorie Pulcini, Esordienti e Giovanissimi ndr), di cui sono il presidente e Mauro, insieme a Lorenzo Bartolomei, è uno dei soci fondatori nonché allenatore. Si tratta di un'esperienza di sport sociale per Roma, con lo scopo in primis di insegnare il rispetto per compagni ed avversari. Una tappa fondamentale di questo percorso è stata Palermo dove, nel 2011 e quest'anno, abbiamo partecipato al Mediterraneo Antirazzista insieme ad una squadra di rifugiati. Proprio nell'edizione di due anni fa ci siamo accorti che potevamo espandere l'attività di Popica ed è germogliata l'idea di costituire l'Asd Birilli, il frutto di una continuità del lavoro seminato in precedenza. Vorrei ringraziare la Uisp (Unione italiana sport per tutti), che ci ha aiutato a muovere i primi passi; l'Asd Sporting Tor Sapienza che ci ha da subito supportato con donazioni di materiale sportivo; Daniele e l'Atletico San Raimondo di Anagnina che tante volte ci ha ospitati per allenamenti e amichevoli. Un ringraziamento particolare va sicuramente ai Blocchi precari metropolitani e all'occupazione del Metropoliz che ci hanno ospitati per gli allenamenti, dando un contributo fondamentale alla nostra partecipazione al Mediterraneo del 2011. Al Metropoliz, oltretutto, alcuni rom ripetutamente sgomberati dalle baraccopoli senza una soluzione abitativa alternativa hanno trovato una casa, insieme a italiani, peruviani e altri. Un altro ringraziamento particolare va a Silvia e al centro sociale Corto Circuito di Cinecittà, che settimanalmente mette a disposizione dei ragazzi il campo da calcetto Auro Bruni e la struttura del centro sportivo, unitamente a competenze e materiale per gli allenamenti, per non parlare della campagna "porta un birillo a Palermo", con cui si è contribuito a finanziare la nostra discesa al Mediterraneo l'estate scorsa.

Quali altri progetti sono stati realizzati o avete in mente di concretizzare? Di recente abbiamo collaborato ad un progetto dell'OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) in partnership con Amnesty International, rivolto agli abitanti rom romeni delle baraccopoli di Roma. E' stata attuata una forte campagna di sensibilizzazione dal titolo "Conosci i tuoi Diritti", elaborando un opuscolo informativo in italiano e romeno, realizzato da alcuni rom da noi formati, su argomenti di rilievo come l'accesso alla scuola, alla sanità e ad altri servizi primari. E' stato ideato anche un video proiettato nelle baraccopoli. Per il futuro speriamo che altri progetti presentati per dei bandi, anche europei, vengano finanziati.

Il volontariato s'inserisce lì dove c'è un'assenza dello Stato. Cosa si dovrebbe o si potrebbe fare per migliorare l'integrazione? Tutto ciò che riguarda lo stato sociale dovrebbe essere un qualcosa di pubblico. Il nostro obiettivo è quello di diventare un giorno "inutili", significherebbe l'autonomia delle persone. Lo Stato in alcuni settori è carente e noi cerchiamo di sopperire a questa assenza con il sostegno e l'orientamento, senza nessuna intenzione di lucrare sull'emergenza. Il giorno che i rom saranno "integrati", termine che peraltro non ci entusiasma e a cui preferiamo quello di "non esclusi", ci occuperemo di altro.

Grazie al vostro lavoro, avete notato dei cambiamenti socio-culturali riguardo alla situazione dei rom? Qual è il vero valore del volontariato in questo senso? Inviterei tutti a trovare altre fonti d'informazione che non siano i giornali o la televisione perché, dietro alla situazione dei rom, c'è un mondo positivo che spesso e volentieri non è raccontato - afferma deciso Mauro -. Devo ringraziare il mio vecchio amico Lorenzo, che mi ha avvicinato al volontariato e per me è stato un modo per riempire il tempo in maniera costruttiva per gli altri. E' vero che esiste una situazione di volontariato "egoista", cioè il sentirsi utili a tutti i costi, tuttavia la mia esperienza personale mi ha portato a conoscere una nuova realtà che mi ha arricchito totalmente, anche in altri ambiti diversi dalla situazione dei rom. Bisognerebbe essere un po' più altruisti, pensare al prossimo in qualsiasi ambiente e ne esistono davvero tanti nella nostra società in cui c'è bisogno di una mano.
Non posso che essere in totale accordo - ribadisce Christian -. Credo che nella vita di ognuno di noi, oltre alla famiglia, al lavoro e agli amici, ci debba essere un po' di spazio per dedicare del tempo al prossimo. Ho iniziato a conoscere i rom nel 1999 e, come la stragrande maggioranza delle persone, ero convinto che fossero tutt'altro rispetto a quanto ho poi scoperto: un mondo davvero colmo di positività."

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Di Sucar Drom (del 04/12/2013 @ 09:07:55, in lavoro, visitato 1739 volte)

Etichette: sintologia

Così Gianni Fava intervenendo al convegno sul tema tenutosi oggi a Milano. L'assessore alla Cultura della Lombardia ha sottolineato: "Il processo attuale di presidio va sostenuto". Trecentottandadue giostre che servono circa 105.000 persone, per una presenza annua in 8.000 fiere paesane. E', in sintesi, il ritratto delle piccole giostre in Lombardia, ovvero l'insieme delle attività dello spettacolo viaggiante, che, oltre alla rivitalizzazione delle piazze comunali, comprende le tradizionali piccole attività di spettacolo gestite in particolare da appartenenti alle minoranze linguistiche sinte e destinate in particolare ai più piccoli, dai tratti fortemente identitari per la tradizione lombarda.

"Attività di nicchia - ha detto l'assessore regionale all'Agricoltura Gianni Fava, intervenendo, oggi, in apertura dei lavori del convegno 'Spettacoli tradizionali delle giostre in Lombardia: sicurezza e valorizzazione delle attività verso Expo 2015' - e di qualità, frutto di attività che assicurano il mantenimento di un presidio fondamentale nei piccoli paesi: se le giostre abbandonano i nostri piccoli centri, le piazze dei piccoli centri rimangono vuote e perderanno sempre di più il loro carattere di incontro e sicurezza"

...continua su U VELTO

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Di Fabrizio (del 03/12/2013 @ 09:06:23, in Italia, visitato 1483 volte)

Amalia Chiovaro 1 dicembre 2013 su corriere delle migrazioni

Via Boito n. 7, la palazzina in cui era situato il centro si trova nel quartiere Malaspina, a pochi passi dalla centralissima Via Notarbartolo. Il Laboratorio Zeta era il luogo sempre aperto ed accogliente in cui incontrarsi, pensare iniziative, realizzare quello che decenni di amministrazioni inadempienti non avevano voluto o potuto garantire ad un pezzo di Palermo. "La ragione di questa decisione consiste principalmente nell'impossibilità di continuare a coniugare le attività del centro sociale con l'accoglienza di rifugiati politici e quindi con la dimensione abitativa", si legge nel comunicato, pubblicato sul sito del collettivo, che ha dichiarato conclusa l'esperienza dello Zeta Lab, così era chiamato lo stabile che l'ha ospitato per oltre dieci anni.

Si tratta di un centro sociale nato nel 2001, considerato fin da subito uno dei centri pulsanti della città, che ha preso forma dall'incontro di diverse anime, esperienze e realtà sociali, tutte accomunate dalla voglia di cambiamento e da "no" risoluti verso razzismo, guerra, globalizzazione e ingiustizia sociale. Un gruppo che si è organizzato, fin da subito, in base al principio dell'autogestione e al potere decisionale dell'assemblea.

Ma lo Zeta Lab è stato anche di più, e chi l'ha vissuto o semplicemente attraversato questo lo sa. Laboratorio di idee, spazio politico e aggregativo, ha assunto negli anni un ruolo esemplare rispetto a pratiche di accoglienza e inclusione sociale, in materia di politiche migratorie.

Era il primo marzo 2003, quando una cinquantina di Sudanesi, riunitisi davanti alla Prefettura di Palermo, chiedevano asilo politico e un'accoglienza degna di uno Stato democratico. Di fronte al silenzio dell'amministrazione, lo Zeta Lab si fece carico di questa emergenza, pur non essendo attrezzato allo scopo. Gli stanzoni umidi, nel giro di poco tempo, divennero i luoghi più "caldi" che la città potesse offrire loro. Quell'ospitalità immaginata provvisoria si trasformerà in definitiva, dando vita a una lunga esperienza di cogestione.

Circa seicento migranti, provenienti da diverse parti del mondo, hanno attraversato, negli anni, questo spazio che, grazie al contributo di molti volontari e militanti, è divenuto oggi un luogo simbolo. La sua storia, infatti, è un intrecciarsi di percorsi di singoli e associazioni che ne hanno fatto casa propria.
È stato promotore di manifestazioni di ogni tipo e diversi progetti sono decollati da lì, esempio ne è il caso della Rete Antirazzista Siciliana, protagonista di numerose vertenze locali e nazionali.

Tra sgomberi e ri-occupazioni, - si tratta di uno stabile mai assegnato formalmente a scopi sociali - lo Zeta è riuscito a costruire uno spazio pubblico per la città, regalandole concerti, dibattiti, presentazioni di libri, cineforum, una biblioteca, una scuola di italiano per stranieri e uno sportello legale. Una grossa perdita, questa, per una città già sofferente, carente di servizi sociali e di spazi d'aggregazione. Ma suo contributo lo si è visto anche su altri fronti sociali, come quello della lotta antimafia, terreno su cui il centro è sempre stato molto determinato, dei senzacasa e dei beni comuni.

Dario Librizzi, una della anime del collettivo, spiega così le ragioni della chiusura e ci chiarisce: "Lo Zeta Lab non è nato per fare accoglienza, gli spazi erano stati pensati e destinati ad altre attività. In più di dieci anni, nessuna amministrazione ha trovato alcuna struttura da destinare ai ragazzi sudanesi, ritrovandoci a supplire questo vuoto istituzionale. Ma adesso non è più possibile. Da una parte questa decisione nasce dall'impossibilità di occuparsi di accoglienza, e dall'altra da una sofferta convivenza e dall'incapacità di trovare regole comuni. Attualmente sono rimasti circa sette sudanesi nei locali e con alcune di queste persone ci sono stati problemi personali molto gravi. Negli ultimi due anni lo Zeta è diventato un bivacco vero e proprio, non più un punto di partenza per provare a cambiare la propria vita, ma uno stallo". Ma si ragiona anche di futuro altrove per lo Zeta: "Stiamo ragionando - continua Dario Librizzi - su varie ipotesi. Il collettivo continua a riunirsi, discute e partecipa alla vita politica della città. Insomma lo Zeta Lab esiste e resiste". Oggi lo stabile di via Boito è diventato sede del Centro Culturale Sudanese Baobab. Lo spazio, infatti, è stato lasciato agli ultimi profughi sudanesi rimasti, declinando a loro ogni responsabilità nella gestione, come è stato dichiarato. "Le lotte dello Zeta - però - continueranno ad essere portate avanti, ma in altre forme, in altri luoghi e con altri nomi". Lo hanno promesso.

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Di Fabrizio (del 02/12/2013 @ 09:09:06, in lavoro, visitato 1661 volte)


Torino, 19 novembre 2013. Cristian Santauan, ragazzo rom rumeno, ha spiegato all'incontro "Torino Meno Rifiuti" , organizzato da Eco dalle città, la sua esperienza di recuperatore, che durante la settimana scandaglia i cassonetti e poi sabato e domenica tenta di vendere al Balon gli oggetti recuperati: abiti, scarpe, persino piatti e bicchieri. Commenta questa pratica l'assessore all'Ambiente del Comune di Torino Roberto Ronco

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