Rom e Sinti da tutto il mondo

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\\ Mahalla : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 18/02/2012 @ 09:30:08, in media, visitato 1352 volte)

NotiziarioItaliano Giovedì, 16 Febbraio 2012 16:53

Un viaggio attraverso le regioni montuose della Bosnia centrale dove vivono alcune comunità di rom kaloperi: famiglie stanziali che possiedono una casa, guardano con sospetto gli zingari dediti al nomadismo e non parlano volentieri la lingua romanì. Di villaggio in villaggio, vengono scrutate attentamente tutte le abitudini più ordinarie dei membri delle varie famiglie e vengono registrate alcune testimonianze: esperienze e pensieri di differenti generazioni che cercano di aprire un nuovo sguardo sulla diversità e la ricchezza dei popoli rom.

Di ciò che risponde all'idea comune di "zingaro", ci sono solo le immagini. Frutto di un viaggio invernale nel cuore della Bosnia compiuto nel 2004, il documentario di Massimo D'orzi vive di immagini libere e fluide colte nell'intimità di quei piccoli gruppi di rom bosniaci che trovano nella dimensione quotidiana degli affetti familiari e del lavoro la loro condizione ideale.

Questa carattere "erratico" e in divenire della ripresa è evidente nella condizione temporale che impone da subito il lavoro: privilegiando i tempi morti, uno sguardo da documentario antropologico e una dimensione evocativa attivata dall'accompagnamento costante della fisarmonica di Hazdovic Ruzdija. La vocazione naturalista del lavoro non preclude tuttavia che il suo obiettivo sia quello di raccontare attraverso una serie di testimonianze dirette una storia differente rispetto alle idee e ai luoghi comuni sui gitani. Obiettivo evidente fin dal titolo, che privilegia il carattere della piccola Adisa, la più giovane fra le protagoniste intervistate, e la mette a confronto con l'esperienza di una nonna particolarmente vivace ed emancipata, ma soprattutto con una cultura nata mille anni fa nell'India d'epoca medievale. Un confronto fra generazioni nel quale emerge anche un certo disagio per l'identità del popolo rom e per tutti quei sottogruppi dediti al nomadismo e al brigantaggio.

È vero che c'è una certa discrasia fra il modo di condurre le interviste (che, per quanto informali, appaiono in più momenti pilotate, animate dalla volontà di far emergere i pensieri pacifisti e quelli anti-tradizionalisti delle famiglie kaloperi) e quello di guardare al paesaggio. Ma, preso come un'unica, lenta e lunga panoramica, il film trova una temporalità personale che riesce a dare un ritmo anche a questa dialettica fra immagini entranti e immagini contemplative. Fra ottica di studio e ottica di poesia.

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Di Fabrizio (del 19/02/2012 @ 09:52:21, in sport, visitato 1718 volte)

Precisazione per i lettori che non masticano di sport: quel tipo allegro ritratto qui sopra è un calciatore (fin qui ci arrivavate da soli), pure bravino, sino a qualche mese fa molto amato dai tifosi bergamaschi. Non mi risulta che abbia cromosomi "zingari", come è successo ad altri campioni..

Seconda precisazione: anni fa ho linkato con Google Alert la parola "zingari" per ricevere segnalazioni puntuali sull'attenzione dei media. Ebbene, da qualche mese le segnalazioni sono aumentate notevolmente, ma Rom e Sinti c'entrano una beata cippa. Riguardano, ad ondate regolari, storie legate ad una nuova Calciopoli.

Sintesi: prima o poi qualcuno doveva scriverlo, è toccato a Ticinonews:

    "Voglio però aggiungere una cosa", prosegue Giulini. "Qui si sente parlare di "zingari" e di "slavi" e queste sono reminiscenze che mi ripugnano. E che non fanno bene a nessuno. Secondo me bisogna usare nomi e cognomi".

E se cercate altre notizie di sport, eccovi una settantina di segnalazioni DOC.

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Di Fabrizio (del 20/02/2012 @ 09:19:22, in lavoro, visitato 1234 volte)

Tzigania Tours (TzT) è un'organizzazione senza scopo di lucro, che porta il turismo nelle comunità rom tradizionalmente ostracizzate di Romania. Il nostro prodotto ed il suo lavoro sono rom al 100%, anche se esiste un forte interesse internazionale sui Rom.

Siamo la prima e unica agenzia turistica in tutta Europa specializzata in questioni rom.

TzT presenta la vita reale. Invitiamo a vedere i Rom come sono realmente. Non troverete "arte performativa" nei nostri piani Tzigania, ma soltanto forti dosi di realtà traboccante di zingari che indulgono nel loro naturale stile di vita bohemienne.

La nostra ricerca ha trovato che mentre quasi tutti sanno dei Rom - pochi sanno qualcosa su di loro al di là delle immagini poco lusinghiere o altrimenti romantiche, veicolate dagli schermi televisivi. Ancora più scoraggiante che nove turisti su dieci che visitano la Romania, sono soggetti ai molti livelli degli stereotipi negativi, dei miti e/o esagerazioni che circolano sui Rom: che sono sporchi, rubano, che detestano il lavoro, ecc. I nostri programmi offrono ai turisti l'opportunità di incontrare e di conoscere per gradi i Rom in un rapporto uno-a-uno, nel loro ambiente naturale e prendendo le loro decisioni... Quello che troverete potrebbe sorprendervi.

Però, il nostro programma non è disegnato esclusivamente a vendere divertimenti e riscoprire ricordi; la nostra forza propulsiva è più profonda. I nostri obiettivi a lungo termine e ciò che ci aiuta a motivarci nel far progredire lo status-quo attuale della segregazione sociale dei Rom, è di aiutare a cambiare la mentalità di entrambe le parti in causa. Non è soltanto la prospettiva dei non-Rom ad essere negativamente influenzata dagli stereotipi, ma i Rom stessi soffrono di paura e diffidenza verso i "gagé" (i non-Rom). Tutti hanno da guadagnare da queste esperienze uno-a-uno.

Quella è metà dei nostri obiettivi... I nostri progetti intendono anche contribuire al miglioramento delle comunità fiscalmente prosciugate con l'introduzione di una nuova forma di reddito: il turismo. Oggi, le entrate nelle comunità zingare marginalizzate in Romania provengono principalmente dal sistema assistenziale. Anche se nei quartieri zingari c'è abbondanza di manodopera e di competenze, non ci sono investimenti, per cui i risultati sono la stagnazione e la sopravvivenza giorno per giorno. Portare il turismo nelle comunità è il nostro trampolino per stimolare l'economia zigana e suscitare nuovo interesse per queste comunità abbandonate, la sua gente, le loro abilità ed i prodotti romanì.

Ci vediamo in Tzigania!

il video

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Giornalismi.info L'avvocato del ragazzo italiano: "rispetto per la vittima, ma va fatta giustizia, è competente il tribunale dei minori".
Hanno puntato il dito contro Rom, Slavi, Nomadi e "Zingari": ma l'arrestato e' italiano, come anche suo padre. Hanno detto che il ragazzo e' maggiorenne basandosi sull'approssimazione di un esame radiologico, ma il test del DNA e i certificati di nascita dicono il contrario. Quando la sete di giustizia si trasforma in voglia di vendetta e "caccia allo straniero". 18 febbraio 2012 - Carlo Gubitosa

(clicca per ingrandire)

Rom, rom di etnia sinti, zingaro, nomade di origine slava, slavo nato in Germania. Sul ragazzo recluso a San Vittore per l'omicidio del vigile urbano Nicolò Savarino è stato detto di tutto, ma ora sappiamo che Remi Nikolić è un cittadino italiano nato a Parigi il 15 maggio 1994, fratello di Gojko Jovanović (cittadino italiano nato ad Hamm, Germania), figlio di Snežana Nikolić (cittadina serba nata a Rašanac) e di Zoran Jovanović (che nonostante il suo nome straniero è un cittadino italiano nato a Busnago, nel cuore brianzolo della Padania).



Mentre la comunità Rom di Milano attende invano delle scuse per il trattamento da "caccia allo zingaro" riservatole dalla stampa quotidiana nel corso di questa vicenda, la procura di Milano sarà chiamata nelle prossime ore a misurarsi con questi dati, che oggi noi possiamo confermare in esclusiva dopo aver esaminato i documenti del nucleo familiare e Il test forense del DNA datato 10 febbraio 2012 che ne certifica gli effettivi legami di sangue.

Dati che sembrano consegnare alla cronaca un ulteriore dramma che si aggiunge al lutto della famiglia Savarino: la possibilità molto concreta che un ragazzo minorenne sia recluso in un carcere per adulti tra i più "duri" d'Italia, con la giustizia che si trasforma in vendetta negando quel supporto educativo, psicologico e assistenziale che la legge prevede anche per gli assassini, quando hanno meno di 18 anni.

Un pasticcio aggravato dalle false generalità fornite dal ragazzo, che attualmente è registrato a San Vittore con il nome del fratello ventiquattrenne Gojko, a cui si aggiunge l'ondata di sdegno che ha attraversato il paese in seguito all'omicidio Savarino, aumentando il "peso" sul tavolo del Gip dell'esame radiologico che attribuiva al ragazzo una età approssimativa di diciotto anni.

In assenza dei riscontri che oggi il test del DNA è in grado di fornire, la competenza del caso è stata quindi attribuita al tribunale ordinario, e sono serviti a poco il certificato di nascita rilasciato dalla quarta circoscrizione del comune di Parigi (dichiarato inammissibile in quanto prodotto in copia) e il documento d'identità rilasciato al ragazzo dal comune di Albignasego, che a sua volta aveva provveduto alle opportune verifiche con le autorità francesi.

(clicca per ingrandire)

Per confermare la competenza del tribunale dei minori sul caso del vigile ucciso a Milano, l'avvocato David Russo, che assiste il minore Remi Nikolić, ha richiesto e ottenuto che si procedesse ad un test del DNA per verificare gli effettivi legami di parentela tra le persone coinvolte nella vicenda. Dai risultati delle analisi forensi effettuate dalla sezione dipartimentale di Medicina Legale dell'Università degli studi di Milano, il ragazzo arrestato risulta figlio della signora Nikolić con una probabilità del 99,999% il che dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che è proprio lui quel ragazzo nato a Parigi "domenica quindici maggio 1994, alle ore ventuno e trentacinque minuti, in rue D'Arcole n.2" e registrato dalle autorità francesi diciassette anni e nove mesi fa come figlio di Snežana Nikolić.

Anche il legame di paternità risulta confermato dalle analisi con valori che "consentono di ritenere i rapporti di maternità, paternità e genitura come praticamente provati".

Le prove sono state presentate nel corso dell'udienza che si e' svolta il 15 febbraio presso il tribunale del riesame di Milano, dove David Russo, l'avvocato del ragazzo, ha invocato ancora una volta la competenza del tribunale dei minori per questo caso.

"Siamo ben consapevoli che è stata stroncata una vita umana - ha dichiarato l'avvocato Russo - e non possiamo che essere vicini al dolore dei familiari. Ma quello che chiediamo è che venga fatta giustizia, e non possiamo condannare questo ragazzo se prima la giustizia non accerta chi è e quanti anni ha. E' prioritario effettuare questo accertamento - prosegue Russo - perché c'è il rischio che tutti gli atti processuali raccolti finora possano essere considerati nulli in quanto prodotti da un tribunale incompetente".

Analisi di maternita' e paternita' (clicca per ingrandire)

Ma il 17 febbraio il tribunale del riesame di Milano ha deciso: al collegio giudicante basta un semplice esame radiografico (e non una perizia legale) per determinare che quel ragazzo è maggiorenne con assoluta certezza, e valgono a poco certificati di nascita e test del DNA, di cui potete visionare degli estratti in questa pagina.

Le motivazioni di questa maggiore età "assegnata d'ufficio" sono piuttosto kafkiane. Di fronte a quell'unico esame radiografico, a detta dei giudici Martorelli, Taccone e Corte il dubbio sull'età del nomade "sfuma, ed appare evidentemente superfluo, foriero di inutili costi per la collettività".

E qui l'interpretazione si fa difficile: il dubbio sfuma o è superfluo? Perché se sfuma bisogna capire cosa lo fa sfumare, e quali documenti di prova lo fanno sfumare perfino di fronte ad un test del DNA eseguito dall'Università di Milano. Se invece il dubbio sembra superfluo, allora state violando i diritti di un minore perché il codice penale prevede che in caso di dubbio si facciano degli accertamenti affidando il soggetto al tribunale dei minori fino alla determinazione della sua età, e quindi il dubbio sarà superfluo per il collegio giudicante, ma è fondamentale per il codice penale.

Alle motivazioni incomprensibili si aggiungono quelle risibili: per il tribunale del riesame il ragazzo "in più occasioni, ha dichiarato date di nascita che ne attestano la maggiore età", e poco importa che poi sia stato indagato con l'accusa di false generalità.

Per il collegio giudicante i documenti prodotti dalla difesa si basano su "dichiarazioni di sedicenti parenti e testi", ma la parentela "sedicente" è in realtà biologica, visto che i giudici non hanno in alcun modo confutato il test del DNA eseguito dalla sezione dipartimentale di Medicina Legale dell'Università degli studi di Milano. Semplicemente non lo hanno preso in considerazione.

Inquietante poi l'affermazione in base alla quale sarebbero "costi inutili" quelli sostenuti dalla collettività per la tutela legale dei minori o dei "non certamente maggiorenni", anche quando sono assassini. Chi se ne frega se ha 17 anni e 9 mesi o 18? Lo buttiamo in galera, gettiamo la chiave e risparmiamo anche dei soldi.

Ma la vera motivazione di questa negazione dell'evidenza documentale sembra trasparire da un'altra frase del collegio giudicante, che attribuisce al ragazzo "assoluto spregio per la vita umana", e probabilmente è questa la ragione per cui "si merita" di stare a San Vittore, indipendentemente dalla sua età e da quello che prevede la legge per ragazzi della sua età.

Ma questo non è diritto, è vendetta. Una vendetta che a qualcuno potrà dare una forma di macabra soddisfazione, appagamento o sollievo, ma che di fatto aggiunge una nuova vittima a questa tragedia: lo stato di diritto. Se abbandoneremo la giustizia per passare al giustizialismo, all'elenco delle vittime di questo dramma umano, familiare, cittadino e sociale andrà aggiunta anche la nostra civiltà democratica, che si manifesta anche anche in quel rispetto della persona umana e dei suoi diritti riconosciuto dal codice penale e dalla costituzione anche ai criminali.

Se cederemo all'odio, alla vendetta e alle reazioni di pancia che portano alla negazione dell'evidenza documentale perfino quelli che indossano una toga, su quel maledetto asfalto non avremo perso solo la vita di un vigile, ma anche lo stato di diritto, che un tempo nel nostro paese veniva fatto valere anche per capimafia come Riina e Provenzano, senza processi sommari e con un puntiglioso esame delle carte. E questo nonostante l'"odiosità dei crimini commessi" e il più che assoluto disprezzo per la vita umana attribuito agli imputati.

Oggi questo stato di diritto sembra sospeso per questo ragazzo a cui le carte rifiutate dal tribunale attribuiscono 17 anni e 9 mesi, un ragazzo che possiamo odiare quanto ci pare in quanto assassino o presunto tale, ma che almeno in teoria non possiamo privare di quei diritti che lo stato riconosce "perfino" agli assassini minorenni, a meno di non voler sostituire il codice penale con l'"occhio per occhio".

E noi adulti non dovremmo essere migliori dei ragazzi a cui pretendiamo di insegnare la morale e la giustizia? Vogliamo davvero che l'omicidio che ha portato in galera questo ragazzo trascini a fondo anche noi, in un sonno della ragione che porta i tribunali ad azioni che negano la realtà documentale e il diritto penale? Cedere alla giustizia sommaria non è in fin dei conti una sconfitta per chi cede alla tentazione della barbarie e della vendetta? La giustizia chiara, limpida e cristallina al di sopra di ogni dubbio o sospetto sui diritti negati all'imputato non è anche un dovere di rispetto verso la famiglia della vittima?

Domande, queste, destinate a perdersi nei corridoi del palazzo di Giustizia di Milano, dove il ventennale di "Mani Pulite" verrà macchiato da una grave ingiustizia che nega elementi chiave di fatto e di diritto. Ma questa macchia la vedrà soltanto chi avrà la mente abbastanza aperta da capire la differenza tra la tolleranza verso un omicidio e l'intolleranza verso l'ingiustizia.

La famiglia di questo ragazzo se ne faccia una ragione: la civilissima Italia ha deciso che non merita gli stessi percorsi di recupero riconosciuti agli assassini minorenni, l'ha fatta troppo grossa, ha dato troppo scandalo. E' "maggiorenne ad honorem", perché Milano ha deciso che il Beccaria è un carcere troppo leggero per lui. Che rimanga pure a San Vittore.

La "caccia al Rom" sui media italiani

L'omicidio dell'agente di polizia municipale Nicolò Savarino e' stato arricchito nella cronaca da molti particolari "etnici", con la comunita' Rom di Milano nel mirino dei titoli di giornale.

"Vigile ucciso, è caccia a due slavi" (La Repubblica), "Incastrati dal cellulare: sarebbero due rom sinti" (Corriere della Sera), "I Rom finiscono sotto torchio" (Il Giornale), "Blitz nel campo rom ma gli assassini erano appena fuggiti" (Il Giornale), "Basta fare favori ai Rom" (Libero): E' stato questo il tenore dei titoli apparsi nei giorni immediatamente successivi all'uccisione del vigile.

A partire da questi titoli, l'ondata di intolleranza si e' propagata, con articoli a sostegno della pena di morte e vere e proprie istigazioni al linciaggio che hanno attraversato per giorni i blog e i social network.

Ma ora la cittadinanza italiana di Remi Nikolic, attualmente recluso a San Vittore, e' un dato consegnato alla cronaca, come le origini "padane" del padre Zoran Jovanović, che nonostante il suo nome straniero è un cittadino italiano nato a Busnago, nel cuore della Brianza.

Di fronte al trattamento riservato dalla stampa alla comunità rom in occasione dell'omicidio del vigile Savarino, c'e' chi ha chiesto ragione di quello che a posteriori appare come un "accanimento mediatico". Tra questi c'è Dijana Pavlovic, membro della "Consulta Rom" del Comune di Milano e vicepresidente della Federazione "Rom e Sinti Insieme", che ha stigmatizzato il ruolo giocato dai media e dalla politica in questa vicenda.

"E' l'ennesima volta che si strumentalizzano fatti di cronaca - afferma la Pavlovic - con vere e proprie istigazioni all'odio razziale che hanno portato a situazioni violente come quelle che si sono verificate a Torino. Sin da subito abbiamo invocato il rispetto della carta di Roma, chiedendo che la vicenda di Milano non venisse cavalcata politicamente e mediaticamente, ma questo e' avvenuto nonostante i nostri inviti".

Dopo essere stata trascinata suo malgrado sulle prime pagine dei giornali, la comunita' Rom di Milano adesso presenta il conto della disinformazione. "Di fronte alla provata falsita' di tutte le etichettature etniche dell'omicidio Savarino - ha dichiarato Dijana Pavlovic - valuteremo con l'Osservatorio sulla discriminazione la possibilita' di intraprendere opportune azioni legali a tutela della comunita' Rom di Milano".

Ndr. considerazioni del mese scorso:

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Di Fabrizio (del 21/02/2012 @ 09:15:27, in media, visitato 1582 volte)

CLOSE UP Pubblicato il 17 febbraio 2012 da Giovanella Rendi

Tra il 2008 e il 2009 in Ungheria sono stati commessi numerosi atti di violenza nei confronti della comunità rom. Delle 55 persone coinvolte, 6 sono rimaste gravemente ferite e 5 sono morte e i sospetti sono attualmente sotto processo. La stranezza di questi eventi (oltre ovviamente all'assurdità della violenza e della morte) ha consistito nel fatto che tutte le vittime, sopravvissute o meno, conducevano una vita normale, lavorando, studiando, abitando in condizioni modeste e sotto il livello di povertà ma non in campi nomadi bensì in case. Lo scopo, secondo il regista Bence Fliegauf che ha dedicato molto tempo a studiare la tragica vicenda, non avrebbe dunque motivazioni razziste "classiche" e immediate, ovvero il pericolo sociale e la delinquenza, ma un piano a lunga durata per scatenare una vera e propria guerra civile con i gruppi nomadi per eliminarli definitivamente.

Poco interessato agli autori dei crimini, che pure ha incontrato e intervistato, (per la banalità del male), Fliegauf sceglie invece di avvicinarsi in punta di piedi alle vittime e seguirle per un solo giorno, quello che per loro sarà l'ultimo, dall'alba al tramonto. E per far questo mette al bando qualsiasi stereotipo sui rom che cantano, ballano e suonano la fisarmonica e soprattutto sono sempre in gruppo, per seguire i loro passi nella solitudine di un bosco ai confini di un centro abitato, uno spazio « altro » custodito dai vigilantes della comunità che passa repentinamente da idilliaco a tenebroso.

I quattro personaggi principali (madre, figlia adolescente, figlio ragazzino e un anziano nonno arteriosclerotico) seguono i loro ritmi quotidiani, che sono quelli «normali» : la madre lavora come donna delle pulizie, la figlia va a scuola e fa i compiti, il figlio bigia e va in giro per i campi e al fiume con gli amichetti. Tutto nella norma, se non fosse che la famiglia dei vicini è stata sterminata mentre dormiva, la comunità vigila e su tutto aleggia un'atmosfera di tensione tanto più insopportabile quanto i protagonisti sembrano non percepirla. Eppure non è così perché ognuno di loro non fa altro che pensare a quando si trasferiranno tutti in Canada per raggiungere il padre. Nel frattempo mille piccoli episodi inquietanti si vanno a sommare, come subliminali atti di razzismo a scuola e al lavoro, momenti di gentilezza invece da parte di colleghi o compagni di liceo, esplosioni di rabbia subito sedate e la raccomandazione continua di «fare attenzione».

Divenuto famoso nel 2010 con il discusso Womb (storia di una donna che clona nel figlio l'amante defunto, interpretata da Eva Green), Bence Fliegauf è probabilmente l'unico esponente della cinematografia ungherese contemporanea a riuscire ad essere da anni ospite di vari festival internazionali. Utilizzando spesso la macchina da presa a spalla, che soffia letteralmente sul collo dei personaggi come se li inseguisse invece che pedinarli, costringe lo spettatore, che già sa come andranno a finire le cose, a partecipare alla sorte dei protagonisti aumentando il climax fino all'ultimo, quando invece lo congela con un pudore che però non gli impedisce di mettere chi guarda davanti alle responsabilità di tutta una società.

CAST & CREDITS
(CSAK A SZÉL) Regia e sceneggiatura: Bence Fliegauf; fotografia: Zoltán Lovasi; montaggio: Xavier Box; musica: Bence Fliegauf, Tamás Beke; interpreti: Katalin Toldi, Gyöngyi Lendvai, Lajos Sárkány, György Toldi; produzione: Inforg M&M Film; origine: Ungheria/Germania/Francia; durata: 91'.

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Di Fabrizio (del 22/02/2012 @ 09:20:37, in Italia, visitato 2204 volte)

La notizia è stata resa pubblica l'altroieri da Il Giornale di Vicenza, VicenzaToday e da TMnews

immagine da Giornalettismo

questa invece viene da L'Orda - Vietato l'ingresso agli italiani: Una fotografia scattata nel 1958 a Saarbrucken, alla finestra di un club. Il divieto d'ingresso per gli italiani era bilingue. Si tratta solo di un esempio: simili avvisi, in Germania e soprattutto in Svizzera, erano frequentissimi.


Aggiornamento delle 13.45: Vicenza si interroga. Sempre da Il Giornale di Vicenza

«Quel divieto intollerabile No alla giustizia fai-da-te» ASSOCIAZIONE SINTI. Il presidente condanna il cartello del negozio - 22/02/2012 E-MAILPRINT

Davide Casadio, presidente Sinti

«Non sono tollerate le discriminazioni razziali o etniche così come non sono ammessi i furti: tutti devono rispettare le leggi e se qualcuno delinque bisogna fare denuncia, non una pseudo-giustizia fai-da-te». Davide Casadio, presidente dell'associazione sinti italiani e vicepresidente della Federazione rom sinti insieme, alza le barricate. «Quel cartello non è tollerabile, è razzista anche se la ragazza dice che il suo intento non è razzista: non si possono discriminare alcune categorie». E aggiunge: «La legge è uguale per tutti, chi ruba va punito, ma anche la giovane commessa deve attenersi alle regole». Se qualcuno ruba nel suo negozio? «Deve chiamare le autorità». E se sono i bambini a rubare? «Ne rispondono i genitori». L'Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, ha aperto un'istruttoria e chiede al Comune di adoperarsi per togliere il cartello, cosa cui ha già provveduto la commessa.

UDC: «I TAGLI DELLA DESTRA». Sul tema interviene anche Antonio De Poli, deputato Udc: «Capisco gli intenti della commessa ma francamente si tratta di un'iniziativa che sta al di fuori delle regole. Non si può, in un Paese civile, esporre un cartello che ricorda ben altri tempi. La gente è stanca di vedere i delinquenti in giro e spesso, troppo spesso, è costretta a mettere in atto delle iniziative, a volte anche discutibili, per tutelarsi e proteggere le proprie attività. Tutto questo perché alle forze dell'ordine mancano la carta per stampare e la benzina per le volanti. L'ultimo taglio risale ad agosto con la manovra Tremonti quando al governo sedevano i paladini della sicurezza, ovvero i leghisti. Questo è il risultato: la gente è esasperata».

LETTERA DI PRC. Irene Rui, di Rifondazione comunista, scrive una lettera aperta: «Cara Fatima, tu non sei razzista... sei il risultato di una società, di quei cittadini che passano davanti alla tua vetrina e menano la testa per la disapprovazione e poi non vogliono sentir parlare dei "zingari". Il tuo però è un atteggiamento razzista. D'altronde cosa puoi fare tu, sola in quel bazar del centro, contro la microcriminalità che aumenta... Tu che razzista dici di non essere lo sei diventata per aver osato dichiarare ciò che gli altri nascondono sotto il carbone "I zingari sono ladri"».M.SC.

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Di Fabrizio (del 23/02/2012 @ 09:37:57, in Europa, visitato 1726 volte)

Da Bulgarian_Roma. Segnalazione precedente QUI

GreenLeft Jock Palfreeman in prigione a Sofia, 2009. Photo: Freejock.com - Thursday, February 16, 2012

Nel dicembre 2009, il ventitreenne australiano Jock Palfreeman venne condannato a 20 anni di prigione per omicidio a Sofia. Due anni prima era stato coinvolto in una rissa contro un gruppo di 15 uomini, di cui uno morì per una coltellata.

Palfreeman affermò di aver agito per legittima difesa, dopo essere stato assalito da una banda di giovani ubriachi, mentre era  intervenuto in soccorso di due Rom, aggrediti a loro volta. Le dichiarazioni rese alla polizia dai componenti della banda e da testimoni indipendenti, confermano ampliamente la sua versione degli eventi.

Il processo è stato contrassegnato da diverse gravi anomalie, prima fra tutte che la polizia ed i componenti della banda hanno cambiato la loro versione, affermando che nessun Rom venne aggredito e che Palfreeman aveva attaccato il gruppo senza motivo. Alla difesa è stato impedito di adoperare in tribunale le dichiarazioni originali, come pure di interrogarli sul perché avessero cambiato le loro testimonianze.

Nell'appello susseguente, alla difesa venne concesso di interrogare polizia e membri della banda sul perché avessero cambiato le versioni sugli eventi. Molti tornarono sulle loro dichiarazioni precedenti, che sostenevano la versione di Palfreeman. I testimoni addussero confusione e perdita della memoria come causa dell'aver cambiato le loro storie. Nondimeno, la corte d'appello confermò la condanna originale.

Durante il processo sono state organizzate in tutto il mondo azioni di solidarietà per Palfreeman. E' stato appoggiato anche da un importante gruppo bulgaro dei diritti umani, il Bulgarian Helsinki Committtee.

Di seguito, Green Left Weekly rende pubblica una nuova lettera aperta di Palfreeman.

* * *

    Cari Compagni,

    Da agosto 2011 sono stato condannato senza diritto d'appello al più alto tribunale della Bulgaria, ad una pena di 20 anni in un carcere di massima sicurezza.

    Però, il tribunale ha cambiato il primo verdetto, stabilendo che erano presenti dei Rom e che vi fu "una lotta tra i Rom ed il gruppo dei ragazzi".

    Dato che i Rom erano 2 e il "gruppo dei ragazzi" in 15, l'uso del termine "lotta" è abbastanza improprio. I neonazisti della South Division Levski Ultras hanno negato che ci fu una "lotta" con qualsiasi Rom e persino negato la presenza dei Rom stessi.

    Tuttavia la corte d'appello, nonostante le contraddizioni dei neonazisti su questo punto, ha continuato a sostenere che le dichiarazioni dei neonazisti erano veritiere. Stranamente, il punto cruciale delle argomentazioni del pubblico ministero è che non ci fu rissa tra neonazisti e Rom e che là non c'erano Rom, da cui l'accusa contro di me di averli assaliti senza motivo.

    Questa è stata anche la scusa per cui gli inquirenti non hanno portato i Rom a testimoniare in tribunale. Però adesso il tribunale ha dichiarato che i Rom erano presenti e che ci fu contatto fisico tra loro ed i neonazisti, ma nel contempo la corte si ferma a screditare le testimonianze di questi ultimi e a non fare alcun tentativo di trovare questi "nuovi" testimoni.

    Fino ad oggi le uniche prove usate per accusarmi sono state le dichiarazioni dei neonazisti stessi. Non ci sono altre testimonianze portate alla corte che io abbia "senza alcuna ragione assalito 15 persone con l'intento di ucciderle".

    Non ho cambiato la mia versione iniziale, che rimane la stessa quattro anni dopo essere stato rapito dallo stato bulgaro. Ho assistito all'assalto di una banda di 15 neonazisti contro due Rom, a causa del colore della loro pelle. Sono intervenuto per difendere i due Rom.

    Per questa e molte altre ragioni, stiamo tentando di rivitalizzare il movimento di solidarietà sul mio caso, e su tutte le connotazioni che comporta, es. razzismo, violente bande neonaziste e le complicità tra i poliziotti corrotti, corruzione in tribunale e nel sistema carcerario.

    I neonazisti non attaccherebbero la gente per strada, senza le protezioni offerte loro da polizia e tribunali. E' significativo di come centinaia di agenti dello stato siano necessari per fermare me, individuo solitario. Nonostante queste centinaia, ho mortalità, sono nel giusto e sono loro nel torto, questo è il perché sia necessario che loro siano così in tanti.

    Chiamo all'azione quanti si oppongano al razzismo , tanto per strada che nelle forme istituzionalizzate di fascismo: Questo marzo 2012 organizzatevi presso le ambasciate o consolati bulgari nelle vostre città. Portate a conoscenza dello stato bulgaro che [...] non riconoscete la decisione di incarcerarmi e di proteggere i razzisti.

    Ho anche chiesto l'estradizione in Australia per poter essere più vicino alla mia famiglia e fuggire dalle persecuzioni contro di me, condotte dall'amministrazione penitenziaria a favore di chi è legato al mio caso. Ma il procuratore capo Boris Velchev con la sua cagnolina, procuratore Krassimira Velcheva, hanno già provato a costringermi a ritirare la mia richiesta di trasferimento.

    Ho rifiutato di farlo e perciò l'ufficio della Procura della Repubblica non intende rispondere alle mie richieste, sulla base della legge bulgara, di trasferimento in Australia.

    Solidarietà a tutti i compagni, sia dentro che fuori.

Le richieste di March 2012 solidarity sono:

  • Sia riaperto il caso di Jock, soprattutto per la mancata testimonianza dei due Rom vittime.
  • Siano puniti i neonazisti per i crimini passati e siano messi in condizione di non compierne altri.
  • Sia permesso a Jock di trasferirsi in Australia, come a tutti gli stranieri di trasferirsi nei loro paesi.

Le lettere devono essere inviate a:

  • Head prosecutor of Bulgaria, Boris Velchev, Ns 2 Vitosha Boulevard, Sofia 1061, Bulgaria.
  • Directorate of International Legal Assistance and European Integration, Krassimira Velcheva, 2 Vitosha Boulevard, Sofia 1061, Bulgaria.
  • Minister of Justice, Diana Kovacheva, Ns 1 Slavanska Street, Sofia 1040, Bulgaria.
  • Prime Minister of Bulgaria, Boiko Borrisov, Ns 2 Dondukov street, Sofia 1123, Bulgaria
  • President of Bulgaria, Rosen Plevneviev, Ns 2 Slavanska street, Sofia 1040, Bulgaria
  • Ministry of Foreign Affairs, N2 29 "6th September" street, Sofia 1000, Bulgaria.
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Di Fabrizio (del 24/02/2012 @ 09:31:14, in conflitti, visitato 1639 volte)

Domenica 26 febbraio alle ore 19.30, presso l'Obra Cultural, il Cantiere Sociale de l'Alguer presenta "Qualche Rom si è fermato italiano".

Sono oltre 10 milioni i Romà d'Europa, la più grande minoranza etnica transnazionale, formata da varie etnie accomunate dall'uso del romanésh, antichissima lingua di origine indiana. Dieci milioni di persone di cui i due terzi vivono al di sotto della soglia di povertà, confinati soprattutto in Italia nei "campi nomadi", recinti suburbani senza strade, acqua corrente, luce elettrica, con difficoltà e discriminazioni nell'accesso al lavoro, all'assistenza sociale e sanitaria. La parola zingaro è carica di connotazioni negative e rimanda a rappresentazioni stereotipate di un intero popolo a cui vengono associati comportamenti sociali fuorvianti, veri o presunti. Spesso i romà diventano i capri espiatori dei malfunzionamenti e delle perversioni della politica e dell'economia dei nostri paesi.
Della lunga e sofferta storia di questo popolo, un tempo nomade ora sempre più sedentarizzato, abbiamo scelto la pagina più tragica: lo sterminio da parte dei nazifascisti. Porrajmos (distruzione) è la parola in lingua romanì corrispondente all'ebraico Shoà: si stima che quasi 500.000 tra romà, sinti e camminanti siano stati uccisi nei campi di concentramento tedeschi, con la solerte collaborazione dei fascisti di Mussolini che in Italia e in Jugoslavia provvedevano a rastrellare e caricare nei vagoni piombati ebrei e figli del vento. Una storia a lungo dimenticata ma che aggrava il bilancio della follia nazifascista: due, e non solo uno, furono i popoli perseguitati per motivi razziali e destinati alla "soluzione finale": romà ed ebrei.

Durante la serata saranno proiettati i documentari "Porrajmos" di Paolo Poce e Francesco Scarpelli, e "Un rom italiano ad Auschwitz"di Francesco Scarpelli ed Erika Rossi (tratti dal dvd "A forza di essere vento" edito da A rivista anarchica), e l'intervista a Pashana, realizzata dal Cantiere Sociale de l'Alguer nel 2003.

Bica (nonna) Pashana, anziana capostipite degli Hadzovich, famiglia rom khorakhanè che vive ad Alghero da quasi 40 anni, racconta la storia dei suoi due fratelli, partigiani di Tito durante la II Guerra Mondiale (e di cui conserva gelosamente un attestato al merito), le stragi che ha patito il suo popolo in Jugoslavia per mano di tedeschi e ustasha, e poi la povertà, i lutti, la semplice dignità di una vita sempre in viaggio. Con il solo desiderio della serenità per se, ormai ultraottantenne, e la sua famiglia: speranza delusa dalla sorda burocrazia italiana che gli ha negato "la pensia", l'agognata pensione sociale. Per tutti noi un'occasione mancata per sentirci parte di una società del diritto, prima che Pashana lasciasse la sua sempre più numerosa discendenza per riprendere il suo viaggio.

La proiezione dei filmati si alternerà alle letture tratte dal libro "Màskar e Borori", a cura di Joan Oliva.

«fuggi luna, luna, luna se verranno i gitani faranno del tuo cuore collane e anelli bianchi» Federico Garcia Lorca, 'Romancero Gitano'

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Di Fabrizio (del 24/02/2012 @ 09:42:51, in lavoro, visitato 2179 volte)

SARTORIA JELESAN

Milano, domenica 26 febbraio e domenica 4 e 11 marzo, dalle 8.30 alle 13.30, al mercato della Bovisa, nel piazzale del parcheggio vicino alla Scighera

Venite a trovarci, siamo lì tutta la mattina con il nostro meraviglioso banchetto pieno di belle cose, tutte cucite a mano!

Realizzate in proprio, col supporto dell'associazione Idea Rom

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Di Fabrizio (del 25/02/2012 @ 09:28:24, in Italia, visitato 2655 volte)

  immagine da lussuosissimo.com

La recente vicenda della commessa che a Vicenza ha esposto un cartello per vietare l'ingresso "AI ZINGARI" ha sollevato diverse e comprensibili reazioni. Come succede spesso, il rischio è che in una settimana il silenzio subentri al clamore; sottopongo allora ai pazienti lettori alcune riflessioni da riprendere col tempo.

Un primo punto riguarda la fruizione della notizia: CLAMORE IMMEDIATO e SUCCESSIVO SILENZIO. La parola ZINGARI su quel manifesto (un giornalista, un politico, uno studioso avrebbero adoperato il politically correct ROM E SINTI) continua a riportarci indietro negli anni, nonostante da lungo tempo si vada ripetendo quanto quel termine sia offensivo. E' la dimostrazione che si continua a giocare "in difesa".

Ma, mi chiedo, è vero razzismo usare la parola ZINGARI? L'ultima frase dell'articolo di TMnews riassume bene il concetto:

    La ragazza parla di ingiustizie, lei paga il biglietto sull'autobus e gli zingari no. "Non sono razzista - rincara - ma le regole devono valere per tutti". Insomma i suoi colleghi negozianti non mettono cartelli ma non fanno entrare gli zingari.

...molto simili, questi negozianti, a giornalisti, politici, studiosi, che usano il termine "Rom e Sinti", ma magari hanno il terrore di un contatto fisico con qualcuno di loro.

La commessa: io penso che razzista sia stata la scritta, non chi l'ha vergata, e sicuramente lei non si percepisce tale. Racconta di sé su La nuova Venezia:

    «Entrano e scappano con la roba. Io do quello che posso a chi chiede aiuto. Ecco, qui ho una bottiglia di shampo difettata, la do a chi me la chiede, do anche lo yogurt della mia colazione. Ma tutti vogliono soldi, non aiuto. L'altro giorno sono stata aggredita da un uomo di colore. Gli zingari non fanno del male, ma entrano in tanti, con i bambini si riempiono le tasche di roba ed escono dalla porta senza pagare. Io li rincorro. Ho chiamato la polizia quando sono stata aggredita, ma se non hai un avvocato e i soldi non serve a niente».

Ragionamenti che appartengono probabilmente alla gran massa del resto della popolazione, che più che il problema del razzismo o degli zingari, si pone quello dell'arrivare a fine mese.

Questa ragazza, che ha messo la questione sul tappeto con molta più chiarezza di qualsiasi sociologo, suscita scandalo perché giovane e soprattutto perché è di origini marocchine e (come si scrive oggi) immigrata di seconda generazione. Questo particolare diventa anzi la chiave di lettura dell'articolo di Tuttogratis.

Per questo invitavo a riflessioni più approfondite e meno scandalizzate. Parto da una provocazione:

Se tu lettore fossi un immigrato, un rom, un sinto... cosa diresti se qualsiasi italiano ti spiegasse che sì, la piena integrazione è un tuo diritto, ma a differenza degli italiani non hai diritto a lamentarti se qualcuno ti ruba qualcosa? AUMENTANDO LA PROVOCAZIONE: se io ho gli stessi diritti (e doveri) di un italiano, perché non mi riconoscete il diritto di essere razzista quanto e più di voi?

Gian Antonio Stella, quando scrisse L'Orda, svolse un lavoro egregio di ricostruzione della memoria di un Italia passata dall'essere vittima di razzismo a paese che si mostra sempre più razzista. Sul Corriere della Sera è tornato sul concetto dei penultimi che per salire mettono i piedi in testa agli ultimi.

Il razzismo è una malattia che si può curare, ma non sono sicuro che esista un vaccino efficace ed universale. E' successo agli italiani, succede oggi agli immigrati ed alle seconde generazioni. Se gli zingari (pardon: i Rom e i Sinti) ne sono tuttora immuni, è perché (indipendentemente dai progressi socio-economico-politici di alcuni dei loro settori), rimangono gli ULTIMI nella percezione popolare.

Hanno allora tutte le ragioni ad argomentare contro il razzismo che subiscono quotidianamente (e quello della commessa vicentina è forse meno doloroso di altri), ma ATTENZIONE che se anche per loro arrivasse... non dico tanto, ma almeno il riconoscimento di essere persone come tutti... credo sconsolatamente che cercherebbero a loro volta un PARIA  con cui pigliarsela.

Ad esempio: da almeno due decenni assisto a situazioni dove Rom e Sinti italiani incolpano della loro situazione i Rom stranieri, e Rom slavi di lungo insediamento che se la prendono con l'arrivo di Rom bulgari e rumeni... SONO ATTEGGIAMENTI RAZZISTI? Apparentemente sì, anche perché espressi con più rabbia di un italiano, che non si sente personalmente minacciato da questa "concorrenza tra poveri".

Eppure, ricordo tanti anni fa, i Rom che conoscevo allora vedevano di mal occhio l'arrivo dei primi immigrati dal Nord Africa: pubblicamente contro di loro ne dicevano di tutti i colori, ma quando questi immigrati avevano necessità di un piatto di minestra, di una roulotte dove ripararsi, dove pensate che andavano a chiedere? Proprio da quei Rom che di loro parlavano male, ma che lontano da occhi indiscreti riscoprivano la loro antica solidarietà. Come noterete, non è un atteggiamento molto distante dalla nostra commessa di Vicenza.

    Però, dopo tutto questo scrivere di razzismo, devo deludere i miei lettori, non è di quello che mi premeva ragionare, non adesso, perlomeno. Il razzismo ha diversissime maniere di manifestarsi, soprattutto perché dietro quel concetto si mascherano spesso problemi più pratici.

Ragionando sulla commessa (di seconda generazione, ricordiamocelo), e rileggendo l'articolo di Stella che ho menzionato prima, è da inquadrare l'ambiente in cui si sviluppa la vicenda: il Veneto già terra di immigrazione e poi roccaforte leghista. Con tutte le contraddizioni che si porta dietro: quelle di un territorio molto più curato e protetto rispetto a tante altre regioni italiane, ma anche patria (assieme alla Brianza) del fenomeno dei capannoni con fabbrichetta abbinata o del consumo di suolo.

Se ad esempio a Treviso (dove è ancora l'ex sindaco Gentilini a dettare la linea politica) l'ideologia leghista ha raggiunto parossismi tra l'avanspettacolo ed il codice penale, la sua provincia è quella che percentualmente ha attirato più immigrati. Sembrerebbe un paradosso, ma la cosa (ad un milanese come me) riecheggia certe dichiarazioni dell'ex sindaco De Corato che, gonfiando fascistamente il petto, giustificava ai giornalisti i suoi sgomberi infiniti spiegando come alcuni sondaggi mostrassero che la città di Milano fosse una delle mete di arrivo preferite per i Rom stranieri.

Non che mi sia mai fidato di De Corato, ma qualche domanda su quanto sia complesso interpretare le realtà locali me la pongo.

Il Veneto, il nord-est in genere, come sistema economico, quante volte se n'è sentito parlare in questi anni. Il Veneto dove un'immigrata di seconda generazione si è talmente integrata da assumerne la mentalità, con tutti i lati positivi e negativi. Ma quest'area, dove a vari livelli convivono e producono genti così diverse, è stata anche tra le prime, oltre 15 anni fa, a delocalizzare la produzione all'estero. Erano già allora i primi segnali di un modello che andava ripensato, e che nonostante la sua pretesa autonomia ed autosufficienza, non era in grado di reggere all'innovazione della globalizzazione.

La crisi oggi colpisce duro anche lì, scrive il Giornale di Vicenza:

    La paura - o la constatazione - di non farcela: quel bazar chiuderà a marzo. E i negozianti del quartiere che testimoniano: «Da un po´ di tempo i nomadi passano con maggior frequenza - racconta Mauro Oliviero, fruttivendolo in contrà XX settembre - Prima passavano solo il giovedì, giorno di mercato; sarà la crisi?».
    Forse è la crisi. Vedere mamme e bambini nomadi sui marciapiedi del centro a chiedere l´elemosina ormai è una costante. Non lo fanno solo loro. E non è una novità assoluta. La crisi, comunque sia, condiziona il clima.

La prima vittima è proprio la solidarietà che quel modello non è stato in grado di far attecchire. La seconda, purtroppo, è la commessa di Vicenza, quella seconda generazione che ha potuto per ultima approfittare della ricchezza veneta, e come i suoi coetanei italiani avrà un futuro incerto di fronte a sé.

Tocca ancora al Giornale di Vicenza fornire una sintesi con le parole della commessa stessa.

A questo punto, torniamo un attimo al razzismo o meglio, ALLE COSE DA FARE. Il cartello è sparito dalla vetrina, l'UNAR ha aperto una propria inchiesta. Potrebbe sembrare un lieto fine, ma ho i miei dubbi, perché:

  1. la commessa non ha cambiato opinione, si è limitata a cambiare atteggiamento;
  2. l'UNAR sta facendo cose notevoli, ma quante delle inchieste che apre periodicamente portano ad un costrutto? Corre il rischio, di fronte agli innumerevoli argomenti da affrontare ed alle pressioni politiche a cui è sottoposto, di trasformarsi nell'ennesimo carrozzone parolaio italiano, più funzionale ai tecnici che vi sono parcheggiati che nell'affrontare e risolvere i problemi.

Premesso che non conosco la realtà del Veneto così bene dal poter dare consigli, ho tentato di spiegare quali sono per me alcuni punti nodali da affrontare, di una versione molto più complessa di come si presenta apparentemente.

Ci sono problemi generali, dove razzismo, zingari, immigrati sono alcuni degli elementi. E ci sono poi situazioni particolari, dove le varie aree del paese hanno specificità, storie, risorse diverse.

E' possibile INTERVENIRE ADESSO, oppure aspettare la prossima notizia simile. Ma soprattutto, occorre coniugare le sacrosante battaglie per i principi universali, all'individuazione di soluzioni PRATICHE più localizzate, che mettano in moto soggetti e competenze che già esistono.

In parole povere, vedrei la necessità di istituire in tutte le città medio-grandi (ma anche nelle piccole, se ci sono necessità e competenze), di un TAVOLO-CONSULTA locale (chiamatelo come volete), dove affrontare questi argomenti, assemblea che veda la partecipazione di soggetti tra loro diversi, ma comunque coinvolti: associazioni di immigrati, organizzazioni di Rom e Sinti, assieme ad amministratori, sindacati dei lavoratori e di categoria, associazioni imprenditoriali, cooperative... (l'elenco può anche continuare, ma fermiamoci prima di riscrivere le Pagine Gialle!).

Lo scopo è di agire sulle tante leve che rimandino ad azioni condivise, sostenibili e che facciano uscire dal ghetto, dove Rom e Sinti rischiano di venire rinchiusi parlando del solo razzismo, senza affrontarne le cause. Creando nel contempo quella conoscenza e quell'azione comune indispensabili per ottenere (ed offrire) solidarietà.

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