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La vera storia di Pirlo lo "zingaro"
Di Fabrizio (del 15/05/2012 @ 09:56:01, in sport, visitato 5287 volte)

Lui pubblicamente non l'ha mai ammesso, anche se la storia è da anni di dominio pubblico. Così qualcuno è andato a spulciare nel passato

L'Espresso di Gianfrancesco Turano

I tifosi avversari lo chiamano così, pensando di insultarlo. Viene da una famiglia che lavora i metalli secondo la tradizione Rom. E che nel tempo ha creato un piccolo impero siderurgico. A cui anche lui si dedica appena esce dal campo

(14 maggio 2012) "Andrea Pirlo resterà con noi e finirà la sua carriera al Milan", disse Silvio Berlusconi nell'agosto 2009. Un impegno concreto, uno dei tanti. Due anni dopo, il centrocampista italiano più forte dell'ultimo decennio - non è un giudizio, è un'evidenza - è stato ceduto alla Juventus. A Torino è stato decisivo per uno scudetto che chiude il periodo infernale per la Juve, condannata per Calciopoli, privata del titolo del 2005 e del 2006, retrocessa in serie B e reduce da due settimi posti indegni della tradizione gobba.

Un autogol di mercato così clamoroso non si vedeva dal 2001, quando l'Inter di Massimo Moratti cedette al Milan il centrocampista italiano più forte del decennio a venire. Cioè, sempre Pirlo. L'estate scorsa a Milanello dicevano che il regista di Flero (Brescia) era vecchio, che era rotto e che costava caro. Non più caro, rotto e vecchio di tanti altri rossoneri, come si è potuto notare. Di sicuro, più orgoglioso di molti compagni e per ragioni che vanno oltre le righe di un campo di calcio.

L'uomo chiave dello scudetto juventino non è solo un grande giocatore. E' anche un industriale siderurgico di etnia politicamente scorretta e sospette simpatie progressiste. Così, quando Adriano Galliani gli ha chiesto di ridursi lo stipendio a 2 milioni di euro netti, Andrea metallurgico ferito nell'onore ha fatto il borsone ed è partito alla volta dello Juventus stadium, dove un altro Andrea, di cognome Agnelli, gli ha offerto il doppio dell'ingaggio: 4 milioni netti più bonus legati ai risultati. Risultati che sono arrivati subito, prima ancora di quanto lo stesso Agnelli pensasse. Tra industriali ci si intende, fatte salve le proporzioni.

Il gruppo Pirlo è composto da una mezza dozzina di aziende tra Flero e Castel Mella, dove inizia la Bassa bresciana, terra piatta e nebbiosa molto diversa dalle valli dei tondinari a nord della città. La capogruppo, guidata dal padre Luigi, si chiama Elg steel e, nell'insieme, tiene piuttosto bene in tempi di recessione. I ricavi dalla produzione di tubi tondi e quadrati sono passati dai 41 milioni del 2004 ai 63 del 2010 con un picco di 72 milioni nel 2008. I bilanci sono in equilibrio e le spese per il personale si aggirano intorno ai 4 milioni di euro, la metà di quello che la Juventus spende, a costi aziendali, per il solo centrocampista con la maglia 21, stesso numero che porta in Nazionale.

Nella società fondata dal padre trent'anni fa, Andrea ha una piccola quota attraverso la sua holding personale Ap 10. Poteva limitarsi a quello e agli investimenti in immobiliare che fanno tutti i calciatori. Che fa anche lui, del resto. E che fa bene. Il patrimonio di Ap 10 supera i 15 milioni di euro, in larga parte edifici a Brescia, una villa a Forte dei Marmi, un appartamento in via Moscova a Milano e un intero edificio acquistato a marzo del 2011 nell'altrettanto pregiato corso Magenta al civico 10. Non poteva mancare l'azienda vitivinicola, la Pratum Coller sempre nella bassa bresciana, dove Pirlo si esibisce con uve marzemino, sangiovese e trebbiano messe in botte nelle cantine di una cascina medievale.

Ma l'amore per la siderurgia è una passione fisica dominante. Non c'è altro modo per spiegare quello che passa per la testa di un tizio che il 23 maggio 2007 vince la finale di Champions league contro il Liverpool ad Atene e meno di quarantotto ore dopo, il 25 maggio 2007, sì e no il tempo di tornare dalla Grecia, fonda a Brescia la Fidbon che di mestiere fucina, imbutisce (sic), stampa e profila metalli per circa 3 milioni di euro di ricavi annuali.

La ragione profonda di questo attaccamento va al di là di una logica di investimenti diversificati ed è legata alle origini della famiglia del calciatore che, dal lato paterno, avrebbe discendenza sinti, una delle etnie romanì, la stessa del chitarrista jazz Django Reinhardt. Il commercio e la lavorazione dei metalli è uno dei mestieri tradizionali delle comunità romanì. Negli stadi li chiamano zingari e, di solito, la definizione è seguita da apprezzamenti razzisti. Il giocatore non ha mai voluto commentare la questione, alquanto problematica in un ambiente dove ancora si lanciano le banane ai giocatori africani e alcune curve espongono simboli nazifascisti. Senza dimenticare il sindaco di Chieti che, lo scorso marzo, ha definito con disprezzo "mezzo rom" l'allenatore boemo