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Ventidodici
Di Fabrizio (del 02/01/2012 @ 09:06:46, in Kumpanija, visitato 1574 volte)

Sul valico. Foto da geoportale.caibergamo.it

1 gennaio 2012: mi sveglio nel mio letto, da solo. Ricordi confusi della serata precedente.

Bisogno di un caffè come si deve, al bar. Per strada, una distesa di serrande abbassate. Voglio una conferma di dove mi trovo e so dove cercarla. Vado alla torre del binario 21, in Stazione Centrale, dove si abbracciano 100 anni di storia, simboli e lotte di questa città. Milano, un'altra volta riparto da qua.

31 dicembre 2011: tutto è iniziato verso le 16.30, con panettone, peperoni ripieni e 3 montenegro (più mixité di così!)... ci voleva poco a capire come sarebbe continuata la serata. Giro tra le piazzole, un abbraccio e un bicchiere. I falò accesi rivelano se in questo momento la famiglia sia povera o ricca. Si ride, si chiacchiera (quando la musica lo permette), la regola è che devi sentirti come a casa tua, anzi meglio. Ma il mezzo non sono il vino, il cibo, le canzoni, piuttosto un mezzo sorriso che traduci come un abbraccio vero.
Fuori lontano dai fuochi fa freddo, nelle baracche le stufe vanno a tutto volume: una continua sauna finlandese, solo i bambini corrono qua e là incuranti dello sbalzo termico.
Amici, parenti e conoscenti si susseguono da una piazzola all'altra, in un corteo incessante, che stabilisce chi è parte della tua gente, quelli su cui forse potrai contare.

Entro in un grande container familiare, la tavola apparecchiata, 3 o 4 famiglie sono sedute. Il via vai continua. Musica a palla anche qui, ballano i maschietti in giacca e cravatta e le femminucce vestite da principesse. Il rito di far parte per una sera del mondo degli adulti. Anche i grandi che col tempo hanno imparato a fingersi persone serie come i gagé, si lasciano andare, cantano, fischiano, accennano un movimento del bacino o un passo di tango. Stasera non devono fingere: è il momento di ribadire, anche davanti a chi continua ad arrivare in visita, la propria identità e le proprie radici, in un casino inenarrabile e liberatorio.
Io, da sempre negato per ballare, batto il ritmo sul tavolo e con i piedi. Ridiamo: ma ti immagini fare una cosa del genere in un appartamento?
In quella baraonda, ho la netta sensazione di essere una comparsa in un film di Kusturica, e di conoscere tutti gli attori. E' la realtà, invece, che si ripete nei secoli in ogni dove sia arrivata questa gente.

29 dicembre 2011: parlando, anche dei problemi seri, emerge qualcosa di nuovo in questo festeggiare: due giorni prima c'era stata una riunione pubblica sul destino dell'insediamento. Abbiamo lavorato bene per un anno, anche fuori dal campo, e siamo riusciti a riempire la sala della riunione di tanti cittadini che, sorpresa sorpresa, erano lì a difendere i loro rom ed il loro futuro. Rispettosi ma determinati. Con l'assessore che sinceramente non se l'aspettava, ma anche i Rom presenti che si guardavano intorno stupiti.

I segnali c'erano... prima e dopo natale tanta gente del quartiere, molti sconosciuti, è arrivata in quest'angolo dimenticato di Milano, anche solo a stringere una mano, farsi un caffè o un bicchiere di vino, e dire silenziosamente che non si era soli.
E ripenso alla strada percorsa in quest'anno, agli sforzi comuni per abbattere, prima dei ghetti fisici, quelli mentali. Ai tanti Carlo, Paolo, Laura, Cesare, Stefania, Antonio, Marco, Marina... che nonostante i dubbi ed i problemi, ci hanno creduto ed hanno tenuto la rotta.
Se altrove il vento nuovo su Milano fatica a farsi sentire, la nostra piccola primavera di via Padova (tutta, da Loreto sino alla Gobba) sta resistendo all'inverno. Si continua a credere che E' POSSIBILE migliorare SOLO assieme, e per farlo abbiamo dovuto imparare a parlarci da pari a pari. Non è stato così con tutti, dice chi non ci crede... ed ha ragione. Ma c'è chi continuerà.
Parlandoci, vedendoci, siamo cambiati. La mia gente forse ha meno paura del diverso. Qualche rom ha imparato che non si deve sempre fuggire o abbassare la testa; cambiare non significa per forza spostarsi se non lo si vuole, cambiare significa magari trovare il coraggio di lottare anche per restare.

Anche se non sarà (mai) facile. Continuavo a ripeterlo il 31: stavolta abbiamo portato a casa il punto, ma non è finita. Dopo questo valico, nel nostro viaggio da fermi, ce ne aspettano altri.

31 dicembre 2011: mi dice un amico: "A mezzanotte arriva il cotechino con le lenticchie. Se vuoi, poi ti fermi a dormire da noi".
"Grazie fratello, ma ho bisogno di fare due passi. Ci vediamo dopo." Ed invece passo dopo passo mi sono trovato davanti al portone di casa.

E adesso che ho riordinato i ricordi, un buon anno a tutti BAXTALO NEVO BERSH SAVORRENGE.