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Proposte per una buona politica sui rom: lettera aperta all’assessore regionale Allocca
Di Fabrizio (del 17/01/2011 @ 09:48:53, in Italia, visitato 1586 volte)

Comunità delle Piagge, Fondazione Michelucci, Medici per i diritti umani, Rete antirazzista Firenze hanno scritto questa lettera all’Assessore Allocca - proprio oggi impegnato in un incontro sull’insediamento di Quaracchi - per sollecitare la Regione Toscana ad affrontare in modo organico la "questione rom". La pubblichiamo integralmente.

I rom di Quaracchi: la buona politica sia umana, rapida ed efficace

La Regione Toscana, che con più forza di qualunque altra ha posto la questione del superamento della condizione di "esclusione organizzata" che i campi nomadi rappresentano in Italia, è chiamata oggi a fare un bilancio delle politiche messe in atto, e della situazione inedita che vede presentarsi nuove forme di povertà ed esclusione abitativa, che riguardano anche popolazioni rom.

Dalla seconda metà degli anni Novanta due nuove leggi regionali toscane – rispettivamente del 1995 e del 2000 – e un forte movimento che ha coinvolto anche gli stessi rom, hanno consentito ad alcune amministrazioni di sperimentare strategie e azioni per il superamento dei "campi nomadi".

Questi interventi legislativi hanno aperto una fase nuova che, tra slanci progettuali e ripensamenti, nuove realizzazioni e ripiegamenti timorosi, ha cambiato la geografia degli insediamenti rom e sinti nella Regione. Se nella seconda metà degli anni Novanta i "campi" accoglievano la quasi totalità dei gruppi rom e sinti (quindi oltre 2.500 persone), oggi in "campi" variamente autorizzati o riconosciuti ci sono poco più di 1.000 persone. Più di 500 sono ora le persone che abitano in villaggi, pur costruiti con modalità e approcci differenti. Oltre 700 persone vivono in alloggi Erp, e circa 500 abitano in strutture o insediamenti transitori in attesa di nuove soluzioni.

Contemporaneamente, negli ultimi anni si è manifestato un fenomeno nuovo: la creazione attorno alle aree urbane più dense di nuovi insediamenti informali, baraccopoli piccole e grandi, occupazioni di aree o edifici abbandonati, abitati soprattutto da immigrati provenienti dall’Est Europa, da rifugiati e profughi, e da una significativa presenza di rom di più recente arrivo.

Le amministrazioni locali, già alle prese con le difficoltà e i tempi lunghi dei percorsi di superamento dei "vecchi" campi nomadi, hanno reagito a questo nuovo fenomeno prevalentemente con azioni di dissuasione o di allontanamento, in un quadro che ha risentito dell’insorgere o del radicalizzarsi di espressioni di rifiuto e di intolleranza che hanno concorso a indebolire la volontà delle amministrazioni locali nel predisporre interventi di accoglienza e di assistenza diretti a queste popolazioni.

Al contrario, le azioni di tipo repressivo riscuotono un ampio consenso ma, come è evidente anche dagli episodi che si sono succeduti in questi anni, non risolvono il "problema" della presenza di popolazioni o gruppi che sono ritenuti indesiderati sul territorio, non favoriscono alcun processo positivo e, non ultimo, alimentano discriminazione ed emarginazione.

Occorre in questo momento delicato un sussulto di consapevolezza. In una società frammentata, indebolita dalla crisi e dalla crescita degli egoismi, il riconoscimento dei diritti di cittadinanza è l’unica strategia per rafforzare la coesione sociale, per promuovere la solidarietà – invece che la competizione – tra le componenti più deboli della società. Al contrario, l’intolleranza avvelena la convivenza civile anche quando in apparenza rende coesa una comunità locale – magari contro un nemico immaginario e indifeso.

Le centinaia persone che solo nell’area fiorentina vivono in baracche, edifici dismessi, non svaniranno dopo l’ennesimo sgombero. Cercheranno riparo in altri luoghi, in condizioni ancora più critiche.

Come avviene ormai da anni per le famiglie rom che sono sgombrate regolarmente dalle sistemazioni sempre più precarie che riescono a reperire tra l’Osmannoro, l’area ex Osmatex e Quaracchi. Non è solo nel nome di una visione umanitaria che questa sequenza di sgomberi brutali deve provocare sdegno in tutti i cittadini, ma nel nome di una qualsiasi idea di buona politica e di buona amministrazione. Per quanto possa sembrare trascurabile e marginale il "problema" rappresentato da queste poche famiglie rispetto ai tanti problemi di questa area urbana, questo costituisce invece un importante banco di prova, materiale e simbolico, della capacità di buon governo dell’amministrazione pubblica proprio per la sua capacità di agire efficacemente anche sui versanti più difficili e più controversi.

Per questo chiediamo a chi è chiamato a responsabilità politiche e amministrative, di compiere uno sforzo di comprensione e di immaginazione, prima di affrontare il problema in termini razionali e operativi, come è ovviamente necessario.

Nell’area fiorentina come sul territorio regionale sono stati sperimentati in questi anni diversi percorsi di inserimento socio-abitativo per rom dalla cui rivisitazione critica possono trarsi elementi utili per affrontare e gestire (se non per risolvere) la questione delle famiglie attualmente presenti a Quaracchi.

1. La prima considerazione è che gli interventi, provvisori o definitivi, devono essere immediati e non prorogare ulteriormente una situazione ai limiti della sopravvivenza e della dignità umana.
2. La seconda è che le soluzioni devono essere condivise con i destinatari e con le associazioni che li sostengono, altrimenti sono inevitabilmente destinate al fallimento.
3. Inoltre, va considerato che soluzioni che hanno funzionato, pur tra molti problemi, per alcuni gruppi, non è detto che funzionino per altri. E’ il caso dei percorsi di accompagnamento abitativo che in larga scala sono stati messi in atto nel progetto pisano di "Città sottili", e nel caso degli ex ospedali Luzzi e Mayer nell’area fiorentina. Questi percorsi si sono dimostrati efficaci in presenza di una condizione socio-economica accettabile delle famiglie, mentre hanno avuto l’esito di ricacciare in situazioni di marginalità quelle famiglie che ne erano prive.
4. Nel caso delle famiglie di Quaracchi, siamo in presenza di persone con grandi difficoltà, alle quali non sono stati rivolti sinora interventi che ne potessero aumentare significativamente le risorse interne e le opportunità di miglioramento della propria condizione. Inserirle ora in percorsi abitativi ordinari (per quanto "accompagnati") si presenta come una operazione velleitaria e destinata a riproporre il problema in tempi brevissimi.
5. Va detto con chiarezza che si illude chi pensa che tutte le situazioni di grave disagio abitativo possano essere superate nascondendole agli occhi della popolazione, diluendone la presenza attraverso la loro disseminazione sul territorio. Le dimensioni del fenomeno e le sue caratteristiche renderanno inevitabili, nel breve-medio periodo, soluzioni temporanee di "abitare di comunità", che vanno però progettate e realizzate in modo da evitare la miseria e il degrado dei campi per nomadi o profughi.
6. Il problema di una sistemazione abitativa per le famiglie di Quaracchi non è nel "come" affrontarlo, ma nel "dove": dove, e con il concorso di chi, reperire un’area o una struttura da adibire a luoghi di vita decorosi, per quanto temporanei, con un limitato impiego di risorse economiche e spaziali.

E’ necessario decostruire il "problema", valutandolo razionalmente nelle sue dimensioni e nelle sue specificità: poche famiglie, per le quali l’abitare luoghi marginali, in situazioni insopportabili per qualunque altro cittadino, è divenuto quasi una colpa, piuttosto che la misura di una discriminazione.

La buona politica può impegnarsi per una soluzione partecipata, umanitaria, rapida ed efficace, nell’interesse della coesione sociale e della convivenza, dei rom e delle città dove vivono.

Firenze, 13 gennaio 2011