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Rom, Francia, Europa: stop ai fanatismi
Di Fabrizio (del 08/09/2010 @ 09:10:30, in Europa, visitato 1675 volte)

LINKontro di André Glucksmann

Il Presidente della Repubblica (Nicolas Sarkozy, NdT) ha sollevato una montagna che è ripiombata su di lui. Lanciando l’offensiva contro i Rom il governo francese credeva di risolvere a suo vantaggio elettorale un problema di semplice ordine pubblico e di organizzazione sociale. Un errore enorme. Il problema dei Rom non riguarda la sicurezza dal punto di vista militare o sociale, ma è un problema innanzitutto di sicurezza mentale. Non è soltanto francese, ma europeo. Non è di oggi, ma esiste da sempre.

Nel 1990, uno dei primi sondaggi liberi effettuati dal quotidiano americano Los Angeles Times rivelava che per l’80% della popolazione da poco affrancatasi dal comunismo – cechi, ungheresi, rumeni, bulgari e polacchi – l’immagine diabolica dello straniero si incarnava in quella del bohemienne. A partire dal 1980, i militanti di Solidarnosch hanno assistito sbalorditi ai pogrom anti-zingari creati solo a qualche chilometro da Varsavia.

Negli anni ’90, Vaclav Havel, presidente della repubblica ceca, fece smantellare con grande difficoltà un ghetto dove i suoi concittadini volevano rinchiudere i nomadi. Se l’odio per gli zingari raggiunge l’apice nei paesi dell’est europeo, non è tuttavia sconosciuto in occidente. La letteratura e l’opera del 19° secolo , Victor Hugo e Verdi, testimoniano le angosce di coloro che vivono sempre nello stesso luogo di fronte a una collettività deterritorializzata. Accattonaggio, sporcizia, scippi, fantasmi di ladri di bambini – da un secolo tormentati da dinieghi e pettegolezzi come " questa gente non vive come noi". Portando l’isteria al suo estremo, i nazisti sono arrivati a considerarli "sub-umani" nelle camere a gas di Auschwitz.

Abbiamo creato – infine - la libera circolazione per tutti, l’Unione europea suscita per contraccolpo il rinascere di paure ancestrali, un ritorno del represso. Di fronte ad una malattia endemica, le reazioni francesi si dimostrano inadeguate e malsane, precisano a ragione la Chiesa e le ONG. Sono coinvolti meno i Rom rispetto a coloro che non li sostengono. L’Europa post-moderna si pregia di far cadere i tabù che ostacolavano la sua libertà ma si rivolta davanti all’emigrato (oltre allo spaventapasseri musulmano, ricordatevi l’idraulico polacco) e inorridisce di fronte allo straniero nomade, l’errante assoluto per tradizione e volontà. Comprendiamo che si tratta di un rifiuto di se stessi più che di un rifiuto dell’altro.

L’abbattimento delle frontiere, l’europeizzazione delle nazioni, la mondializzazione dei continenti proiettano ciascuno in un universo senza punti di riferimento stabili e senza norme infallibili. Ricordiamoci la diagnosi fatta nel 1965 da De Gaulle: "Nel progresso generale, una nuvola è sospesa sugli individui. All’antica serenità di un popolo di contadini, certi nel disegnare sulla terra una esistenza mediocre ma assicurata, è seguita nei nostri figli la sorda ansia dello sradicamento".

Il volto ridente dello sradicamento sono i 300 000 giovani francesi che si sono trasferiti per arricchirsi nella City quando la borsa si è infiammata. Il volto tragico è rappresentato dagli erranti che sono inseguiti da un accampamento selvaggio all’altro, privati di fatto del diritto di viaggiare e di mendicare che solo il comunismo pretendeva di abolire con la forza. Il rom spaventa. E’ da nascondere questo possibile fratello di sradicamento, questa parte indispensabile e angosciante del nostro destino! La paura dei Rom non è che la paura inconfessata di se stessi.

Fin quando non si riconosce ai nomadi il diritto di vivere in maniera errante, fin quando non si offre loro la possibilità di sistemarsi in condizioni decenti, perdureranno sempre le ossessioni razziste e xenofobe. Una decenza minima implica che si stabilisca, come la legge francese prescrive (senza essere applicata) delle aree di alloggio e di accoglienza destinate a rimpiazzare gli accampamenti di fortuna e le bidonville ignobili che sono la vergogna dell’Europa.

Inutile cercare grande fragore mediatico per i rimpatri collettivi più o meno volontari di centinaia di sfortunati , quando solo in Romania due milioni di cittadini europei si apprestano alla partenza e si calcola esattamente che la vita di un mendicante in Francia è meno catastrofica rispetto a quella di un mendicante ostracizzato in Europa centrale.

Inutile riprodurre in scala la politica di stabilizzazione forzata dei popoli nomadi dell’Unione Europea. Era l’ossessione di Nicolae Ceausescu e dei suoi colleghi dei regimi totalitari. Laddove è fallito il terrore poliziesco, le sovvenzioni di Bruxelles, in parte dilapidate dalla corruzione, non risultano molto vantaggiose. Inutile inviare dei missi dominici a Bucarest che esigano più integrazione e assimilazione, questo è ciò che i dirigenti romeni non possono, né i Sinti vogliono.

Sta alle nostre nazioni ricche operare una rivoluzione intellettuale, riconoscendo la legittimità di un nomadismo multisecolare e transeuropeo. A questo fenomeno è necessario assicurare delle condizioni di sopravvivenza che evitino una totale marginalizzazione. Il diritto ad essere errante è imprescindibile in una buona democrazia. Né evangelismi ne despotismo, l’attenzione incondizionata della legge suppone che si rispettino non meno incondizionatamente la dignità e la libertà di coloro che vi si sottopongono.

Gara dell’ipocrisia. Coloro che criticano le azioni forti di Parigi non dovrebbero dimenticare le loro critiche. Gli edili di Bruxelles non hanno assicurato le condizioni pratiche della libera circolazione degli europei più bisognosi e l’accoglienza dei nomadi. I bravi oratori ecologisti, così pronti a criticare gli OGM con il forte sostegno della stampa, non si sono mai mobilitati contro l’emarginazione dei "nomadi" negli scambi pubblici. Salvare il pianeta si, ma salvare i nomadi no? (Rispondo all’amico Daniel Cohn-Bendit che mi cita in una intervista apparsa su Le monde del 17 agosto). Le iniziative del Parlamento europeo brillano per la loro assenza e inefficacia.

Soltanto qualche sbuffo di intolleranza suscita nei "democratici" dei sermoni ben-pensanti, presto detto, presto dimenticato. Le libertà europee non si limitano alle libertà degli uomini d’affari, dei potenti e degli intellettuali. La libera circolazione dei beni e delle idee è acquisita, resta da assicurare la libertà dei più umili tra di noi, quella delle roulotte che cercano di passare alle frontiere, quella dei viaggiatori senza legami che hanno affascinato tanti musicisti e poeti del tempo passato. Fintanto che i Rom avranno l’etichetta di "persona non grata" da parte del loro paese di provenienza , l’emancipazione dell’individuo europeo resta zoppa e fragile.

Tregua dalla demagogia. Perché tuonare oltraggiosamente contro la Francia (Gestapo dice il Times, il suo "sistema di deportazione" dice il Daily Mail, a Pechino il Quotidiano del Popolo incalza sfacciatamente)? Perché il paragone con Vichy e le sue "retate" diventano un luogo comune? Si possono contraddire le scelte di Sarkozy senza identificarle con Petain o Laval, senza cadere nell’offesa e nella caricatura. Il delirio va avanti. I Rom sono i capri espiatori dei bambini perduti dalla mondializzazione, il presidente diviene l’alibi di una opposizione in difficoltà per il programma, alla Francia è stato mostrato il dito per la sua perdita di sensi e di orientamento dalle istituzioni europee e internazionali. A ciascuno il suo capro espiatorio.

Basta al fanatismo. E’ accaduto oggi l’impensabile, un prete conosciuto e devoto ai fedeli invoca a voce alta e in modo intellegibile la supplica rivolta al suo Dio: "Vi chiedo scusa, fate che Sarkozy abbia una crisi cardiaca". Stupore generale. Le radio danno la notizia esclusiva. Qualche ora più tardi il curato ritorna imbarazzato sulla sua supplica. Non siamo tornati ai tempi di Ravaillac dove la preghiera sostituisce il pugnale.

Poco mi importa di essere elevato al rango di umanista a sinistra o di aggrottare le sopracciglia "a favore della sicurezza" a destra, la mia preoccupazione sono i Rom e le loro sofferenze tanto scandalose quanto vane. Nulla, nel festival delle misure pacchiane e nel contro festival delle invettive, lascia presagire un miglioramento delle sorti della popolazione nomade. Certamente, uno o due municipi apriranno i loro licei ad un nugolo di espulsi. Per otto giorni? Per un mese? E poi? Certamente, le elezioni presidenziali si terranno fra due anni. A condizione che non si prolunghino scherzi e dibattiti che a destra e sinistra si intrecciano e che incoronano Parigi derisa, capitale della derisione.


*Articolo pubblicato su Le Monde il 31/08/2010. Traduzione di Michela Onofri (6 settembre 2010)