\\ Mahalla : Articolo : Stampa
Bulgaria
Di Fabrizio (del 17/01/2008 @ 09:15:33, in lavoro, visitato 2590 volte)

Riassumo un lungo articolo da Romaworld.ro

Se non verranno fatti presto investimenti per i Rom marginalizzati, la più grande minoranza d'Europa rimarrà in un trappola di povertà. Per le strade del ghetto Rom di Sofia, il catrame è un ricordo. Le baracche, costruite con fango e mattoni. sono allineate lungo la strada. L'odore del fango spunta dalle grondaie. I collegamenti tra le famiglie seguono le linee elettriche illegali che collegano le loro capanne. Qui, il concetto reale di infrastruttura è estraneo come l'astrofisica, mentre "municipalità" è una parolaccia.

Può sembrare un quadro da Terzo Mondo, ma siamo a Faculteta, quartiere della capitale bulgara, e le stesse scene si replicano attraverso il paese e nella vicina Romania, entrambe membri dell'Unione Europea dal gennaio 2007. Il recente boom ha visto la disoccupazione nei due paesi praticamente eliminata dalla richiesta saettante di lavoro. Ma questo trend benigno ha toccato a malapena i Rom. Razzismo, mancanza di scolarizzazione e qualificazione li hanno tenuti ermeticamente al margine dei cambiamenti economici raggiunti dai loro compatrioti.

Niente sta cambiando. Al contrario, anche se la maggioranza dei 45.000 residenti di Fakulteta è senza impiego, la Bulgaria intende importare lavoratori stranieri per alimentare la sua crescita economica piuttosto che mobilitare la minoranza Rom nel mercato lavorale.

Ufficialmente, la Bulgaria conta 370.000 Rom. Ma le OnG ritengono questa cifra molto inferiore al reale, che sarebbe di 800.000, il 10% della popolazione.

Negli ultimi 15 anni, molti Rom dalle povere aree rurali sono migrati in città in cerca di una vita migliore. Ammassati in quartieri poveri e sovraffollati, che si sono mutati in ghetti virtuali. Circa il 54% dei Rom vive ora in queste mahali, come sono conosciute in bulgaro. Circa i 3/4 non le hanno mai lasciate dopo la nascita.

Georgi Krastev, capo dell'Unità d'Integrazione del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, concorda che il paese si trova di fronte ad un problema di severa segregazione economica. Dice "Oltre il 90% dei disoccupati [in Romania] sono Rom."

In agosto, il suo ministero ha riportato che il tasso di disoccupazione era arrivato al record del 7% , ma i così in basso, e le previsioni sono che il trend continuerà. A Sofia, gli unici adulti disoccupati sono Rom, di cui il 60% è senza lavoro, secondo l'NSI, Istituto Nazionale di Statistica.

Assorbiti da altri problemi del periodo di transizione e paurosi di promuovere i diritti di una minoranza impopolare, nessuno dei governi post-comunisti ha preso misure sostanziali per migliorare la mobilità economica tra i Rom.

Qui e negli altri nuovi stati membri, molti ora si rammaricano che di più non sia stato fatto delle possibilità offerte dalla fase di pre-accesso alla UE  per aumentare le azioni di pressione. E mentre Bruxelles insiste che l'integrazione dei Rom deve rimanere una priorità per Bulgaria e Romania - in pochi ritengono che l'ammontare dei fondi disponibili possano rimuovere gli ostacoli che impediscono la mobilità tra i Rom. Le comunità Rom nei paesi balcanici cheserano di unirsi presto alla UE ne prendono nota.

Un problema regionale, con radici storiche

I politici bulgari non sono i soli a mettere la testa nella sabbia. Scene simili a quelle di Faculteta si possono trovare attraverso l'Europa Centrale e del Sud Est. In Ungheria, dove i Rom sono dal 6 all'8% su di una popolazione di circa 10 milioni, circa il 50% sono disoccupati, comparati alla media nazionale del 7%, secondo un rapporto del 2005 di Magyar Agora. Oltre il 50% dei Rom in Ungheria vive sotto la soglia di povertà, comparati alla media nazionale dell'8%.

La situazione è simile in Serbia, dove oltre il 60% dei 300.000 Rom è considerato molto povero, comparato al 6% della popolazione, secondo un rapporto ufficiale sull'inclusione Rom del 2006. Il tasso di disoccupazione per i Rom di tutte le fasce d'età e a tutti i livelli scolastici è di tre volte superiore alla media della popolazione non-Rom.

Nella Repubblica Ceca, oltre il 70% dei Rom sono senza lavoro, comparato al 10% nazionale, secondo un rapporto 2005 della Commissione Europea. In Romania, dove i 2 milioni di Rom sono circa l'8% su una popolazione di 22 milioni, il 75% di quanti sono in età lavorativa è disoccupato, secondo una inchiesta compilata dall'UNPD e dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Le radici di questi problemi datano secoli, dice Rumyan Sechkov, storico dell'Accademia Bulgara delle Scienze e presidente del gruppo per l'Alternativa Civica. La curiosità inizialmente sollevata negli Europei dai Rom migrati nel XV secolo dal subcontinente indiano si è mutata rapidamente in ostilità autentica, racconta, spiegando "che il rifiuto dei Rom ha le sue radici in profondità indietro in quell'era."

Molti hanno cercato riparo nelle terre europee dell'Impero Ottomano, dove non erano benvenuti ma d'altronde nemmeno sterminati. Ma secondo gli storici durante la II Guerra Mondiale, circa mezzo milione di Rom furono uccisi dai nazisti e dai loro alleati locali nei nuovi stati dell'Europa Centrale e dell'Est.

I sopravvissuti si trovarono di fronte ai tentativi di assimilazione forzata dei regimi comunisti che avevano preso il potere. In Bulgaria, il romanés venne soppresso, la loro musica bandita in pubblico e lo stile di vita nomadico finì nel 1957 con una legge che ordinava a tutti i cittadini di registrarsi ad u indirizzo fisso. Ancora peggio, in Cecoslovacchia, alcune donne Rom furono sterilizzate come parte di una politica statale per ridurre il loro numero.

Nei primi anni '90, con i cambiamenti politici ed economici che arrivavano nelle terre del vecchio blocco orientale, i Rom ottennero riconoscimento come un distinto gruppo etnico. Da un punto di vista fu un sviluppo positivo. Ma questo coincise col collasso di molte istituzioni sociali e, come il gruppo più vulnerabile economicamente, i Rom videro aumentare il loro distacco dal resto della società.

Ignoriamo il problema

Nel gennaio 2007, con la Romania e la Bulgaria che raggiungevano la UE, i Rom divennero la più grande minoranza etnica dell'area, tra gli 8 e i 10 milioni. Ma il numero non significa potere, e nei nuovi stati membri, i Rom rimangono in un distinto svantaggio, legati ad un circolo di discriminazione, negligenza ed esclusione.

"Io non dico che tutti i Rom sono pericolosi, ma la maggior parte lo sono," dice Anton Ivanov, 22 anni di Krasna Poliana, un quartiere che confina con Fakulteta. Ad agosto, cinque uomini sono stati seriamente feriti quando un gruppo di Rom ha iniziato una ronda perché un loro ragazzo era stato malmenato.

Il quartiere è noto per le tensioni etniche, anche se ufficialmente il problema non esiste. Dice Marko Popov, 17 anni abitante a Fakulteta, "Viviamo normalmente con i Bulgari di Krasna Poliana," aggiungendo che "normalmente" sottintende anche tensioni quotidiane.

Ma le autorità negano che incidenti simili  nascano dal razzismo, classificando gli eventi di agosto come disturbi di routine. Similarmente, un altro incidente ad agosto quando un ragazzo rom di 17 anni fu malmenato da Bulgari nella città di Samokov, venne descritto dalla polizia come "combattimenti tra gangs giovanili".

Nel frattempo, i pregiudizi dei giovani come Ivanov forniscono terreno fertile per la crescita dell'estrema destra. Bojan Rasate, capo dell'Unione Nazionale Bulgara, è diventato l'eroe di Ivanov, avendo istituito una squadra di volontari nazionali per "proteggere" la popolazione bulgara "dalla minaccia rom e dai disastri naturali".

Era ora che qualcuno prendesse misure contro di loro, e siamo molto grati a Bojan Rasate," dice Ivanov con gli occhi che brillano dall'entusiasmo.

Come altri nuovi stati membri dell'Europa Orientale, la Commissione Europea ha fatto pressione a Romania e Bulgaria per implementare una politica a tolleranza zero contro il razzismo prima di raggiungere la UE. Secondo Katharina von Schnurbein, portavoce di Vladimir Spidla, Commissario per gli Affari Sociali, che conta le tematiche rom nel proprio portfolio, che include "l'aggiornamento legale degli incidenti che capitano negli insediamenti rom e la lotta al cattivo trattamento".

Ma gli effetti sono scarsi ed ammette che il razzismo esiste e rimane un tabù. Questo, assieme ad una negligenza cronica, ha reso lettera morta le politiche delle autorità bulgare, come "Il Decennio dell'Inclusione Rom" o "il 2007 Anno Europeo delle Pari Opportunità per Tutti".

Una passeggiata a Stolipinovo conferma questa impressione. Alla periferia di Plovdiv, seconda città della Bulgaria, con i suoi 35.000 abitanti è il secondo ghetto rom della Bulgaria. All'ora di pranzo di un giorno qualunque della settimana, tutti sono all'aperto e le strade sono piene di clamori. I bambini giocano nel fango, gli uomini sono riuniti a piccoli gruppi e le donne lavano di fronte ai loro blocchi di appartamenti.

Ma gli abitanti sono cronicamente deprivati e soffrono di cattiva salute. "Non abbiamo avuto acqua corrente per dieci anni," si lamenta una donna piccola, gli occhi blu e i capelli riuniti in una crocchia. "Come risultato tutti i miei tre figli hanno avuto l'epatite l'estate scorsa."

Continua: "Hanno i pidocchi nei capelli perché non posso lavarli. Qualcuno mi accusa di non mandare i bambini a scuola. Come posso mandarli a scuola in questo stato? Non li manderò!"

I problemi di sanità e sicurezza così visibilmente presenti a Stolipinovo sono replicati a Marchevo, un villaggio noto per le povere condizioni nelle montagne Rodope del sud, vicino alla città di Garmen. Le sue origini datano al 1960, quando un clan di intrecciatori di cesti vi si impiantò a seguito del decreto del 1957.

Per lungo tempo è stato fonte di epidemie locali a causa delle scarse condizioni sanitarie. "Mancano soltanto 500 metri di tubature perché la mahala abbia assicurato il rifornimento idrico," dice Kalina Bozeva, capo della Iniziativa Inter-Etnica per i Diritti Umani in Bulgaria. "La responsabilità era del municipio, ma è stato fatto solo recentemente, come risultato di un progetto di OnG."

Petar Dikov, capo architetto di Sofia, spiega che le aree popolate dai Rom sono di solito elencate nei piani urbani come aree industriali, così da esentare i comuni dal costruire le infrastrutture.

E' lo stesso al di la del confine in Romania dove, secondo Magda Matache capo dell'OnG Romani CRISS con sede a Bucarest, i villaggi e gli insediamenti di solito non hanno acqua corrente. "Lì la gente può soltanto sognare un sistema di tubature," dice. "Devono camminare per miglia ogni giorno per portare a casa l'acqua per le loro famiglie."

Il fallimento inizia a scuola

Tra i molti errori ed omissioni del governo bulgaro riguardo i Rom, nessuno è così cruciale o devastante come viene affrontata la tematica scolastica. Una politica di effettiva segregazione ha deprivato generazioni di Rom della possibilità di avanzare verso una pari partecipazione nel mercato lavorale.

Nel periodo comunista, i Rom potevano studiare soltanto in scuole periferiche create per formare forza operaia o per altri lavori sotto-qualificati. Erano omesse materie delle scuole "normali", come storia  e matematica.

"Si produssero generazioni di persone con bassa educazione," dice Krasimir Kunev, capo del Comitato di Helsinky bulgaro. Oggi circa il 70% dei bambini rom continua a studiare de facto in scuole segregate, secondo un rapporto del 2006 del Comitato di Helsinky bulgaro. Ciò, spiega, rende anche i Rom il gruppo più vulnerabile alla depressione economica e alla disoccupazione nella transizione post-comunista. Ed anche se lo stato si è reso conto del problema attorno alla metà degli anni '90, ha fatto poco per intervenire.

"E' stato un grande fallimento, - dice Rumyan Sechkov - era la soluzione più facile, gente senza qualificazione rimane sotto-qualificata e marginalizzata." Nel frattempo, secondo lo storico, i bulgari ordinari hanno trovato i versamenti ingiusti, cosa che incita le tensioni sociali.

La scala del problema ha continuato a crescere, intrecciando una cultura di dipendenza. "Ora siamo di fronte ad un problema nazionale, perché un'intera generazione di Rom è cresciuta senza mai vedere i propri genitori alzarsi la mattina per andare a lavoro," continua Sechkov.

Nel 2006, il 58% dei Rom hanno ricevuto qualche forma di aiuto sociale, secondo il ministero del lavoro.

Ma qualcosa sta cambiando. Dal 1 gennaio 2008, ci sono nuove regole che limitano il periodo in cui chiunque può ricevere questo aiuto a 18 mesi. Decisione presa per ridurre gli abusi del sistema, i critici insistono che gli sviluppi saranno vani se non accompagnati da politiche rivolte alla scarsa scolarizzazione e alla disoccupazione.

Roza Tzvetanova, 54 anni, è seduta di fronte alla sua casa a Stolipinovo. La sua testa è coperta da un foulard rosa e lei arrotola una sigaretta mentre descrive come lei ed i cinque figli sopravvivono coi benefici sociali, lei senza lavoro, il marito in prigione. Quando sente che il suo assegno sarà presto tagliato, diventa furiosa: "Ma sono pazzi? Stanno cercando di sterminare i miei figli e me! Nessuno vuole dare lavoro ad una cinquantenne con la licenza elementare. Non lo vedono?"

La Bulgaria non è sola nella regione nel mancare di offrire ai Rom un'educazione decente. Nelle recenti decadi, gli standards sono rimasti poveri nell'Europa del sud-est, offrendo poche possibilità di fuggire dalla povertà e partecipare alla società su basi egualitarie. Ma se gli altri paesi della regione hanno percorso i primi passi per rompere il circolo vizioso, in Bulgaria si continuano a negare i fatti.

Secondo il censimento 2001, il 20% dei Rom di 20 anni in Bulgaria sono totalmente illeterati. Ma anche se questo numero sta crescendo, il Ministero dell''Educazione non pare avere nessuna strategia per affrontare il problema. Nel 2002, per esempio, il governo promulgò un atto per cui igli studenti delle minoranze andavano integrati, mai comuni non collaborarono. E secondo il rapporto Kunev del 2006, le cose non sono cambiate.

Le autorità rumene sono maggiormente pro-attive e dal 1993 hanno adottato azioni affermative per aumentare il coinvolgimento dei Rom nelle scuole superiori e nelle università. Come risultato, 400 studenti rom sono stati ammessi nell'anno accademico universitario 2005-06.

Magda Matache descrive l'azione politica affermativa della Romania come di successo, citando rapporti che indicano come i Rom frequentino le scuole e si diplomino. I risultati saranno visibili nel lungo termine, ma i primi effetti stanno emergendo, in quanto chi riceve un'educazione di qualità funziona come modello per la propria comunità o rimangono in città trovando lavoro. "Lavorano nelle istituzioni o nel settore della società civile [piuttosto che negli affari], ma è già un passo avanti," insite Matache.

Anche in Serbia vengono prese misure affermative. Secondo il censimento del 2002, circa il 62% dei Rom serbi non ha completato la scuola elementare, meno dell'8% la scuola media e un minuscolo 0,3% la scuola superiore. D'altra parte, il governo ha recentemente allocato un budget extra per borse di studio per gli studenti rom.

I risultati sono eclatanti, soprattutto se si paragonano i dati di due anni consecutivi. "Nel 2005-06 abbiamo avuto 88 studenti rom iscritti alle superiori, nel 2006-07 il loro numero era cresciuto a 260," dice Ljuan Koka, direttore del Segretariato per la Strategia Rom in Serbia.

Una fonte non battuta di lavoro

Gli esperti concordano che la principale precondizione per migliorare le prospettive socio-economiche tra i Rom è tagliare l'alto tasso di disoccupazione.

L'ironia è che paesi come la Bulgaria cerchi altrove dei lavoratori. Infatti, secondo un recente rapporto della Banca Mondiale sull'Europa dell'est, la Bulgaria rischia un rallentamento nello sviluppo economico se non richiama la relativa scarsità sia del lavoro specializzato che non qualificato. E mentre suggerisce una migliore utilizzazione e formazione dei lavoratori locali "attraverso la riforma del sistema educativo e l'aumento della mobilità interna" stabilisce che si dovrebbero importare lavoratori dall'estero.

Evgeni Ivanov, della Confederazione Impiegati ed Industriali di Bulgaria, dice che è insensato cercare lavoratori esteri ignorando la domanda interna. Puntualizza: "La Bulgaria ha tutte le risorse finanziare ed umane di cui c'è bisogno perché i Rom si integrino nel mercato lavorale".

Ivanov predice che il ministro del lavoro avrà a disposizione 1 miliardo di EU dei Fondi Strutturali UE da spendere per programmi indirizzati ai Rom. "Ma non abbiamo informazioni che il ministro ci stia lavorando," aggiunge. "Si parla solo del futuro prossimo."

Secondo Ivanov la comunità economica dovrebbe appoggiare misure proattive per aiutare i Rom nel lavoro. "Come lavoratori, non importa l'etnicità o la nazionalità, è la capacità che è importante."

Ma sono pochi i segni dei governi regionali realmente impegnati a migliorare le prospettive della comunità Rom. In Serbia, Bulgaria e Romania,le autorità hanno fallito nel trovare una formula per migliorare le loro possibilità.

leggi tutto l'articolo (in inglese)

This article was produced as part of the Balkan Fellowship for Journalistic Excellence, an initiative of the Robert Bosch Stiftung and ERSTE Foundation, in cooperation with the Balkan Investigative Reporting Network, BIRN.