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Ricerca articoli per filippo facci

Di Fabrizio (del 04/11/2005 @ 11:48:40 in Regole, visitato 1946 volte)

Pubblicato ieri su Il Giornale online

Impiccalo più in alto - di Filippo Facci

Non conosco nessuno che se incontra degli zingari non stia particolarmente attento al portafogli. Se una ragazza scorge una figura nell'ombra di un giardinetto pubblico, così pure, diventerà più guardinga se il tizio si rivelerà un extracomunitario, e un'anziana signora stringerà bene i cordoni della borsa se gli capiterà di viaggiare in metropolitana in mezzo a un gruppo di romeni. Prima che xenofobia, è statistica: la quota di extracomunitari implicati nella criminalità è più alta rispetto a quella degli italiani.

Ciò posto, la frase del ministro guardasigilli «chi giudica deve tener presente il comune senso di giustizia che il popolo avverte» (Giornale di ieri) è ugualmente sbagliata e pericolosa. Il «comune senso di giustizia caro al popolo» è storicamente quello della forca, dei linciaggi, del giudizio sommario, qualcosa che tende a comminare carcerazioni sulla base di approssimazioni mediatiche. Se poi il magistrato che ha scarcerato un rapinatore albanese in Veneto si chiama Carlo Nordio, toga da tutti stimata e non propriamente un giudice sociologo, personalmente non ho dubbi sul fatto che il medesimo si sia limitato ad applicare la lettera della legge. Stesso discorso valga per la nomade romena accusata di aver tentato di sequestrare un bimbo, poi scarcerata e in parte scagionata. Il garantismo comporta dei rischi. L'assenza di garantismo, molti di più.


Altro parere2 da Paniscus o da Kelebek

 
Di Fabrizio (del 31/08/2010 @ 09:57:20 in blog, visitato 2424 volte)

Premessa: Filippo Facci mi piace per come scrive, meno come persona (anche se devo ammettere di non conoscerlo personalmente); forte con i deboli e debole con i forti, sempre pronto a cambiare idea a secondo del vento che tira, è l'esempio classico del tipo di "intellettuali" (di destra e sinistra) che ci siamo sempre trovati in Italia. Comunque, conosce bene i suoi lettori, e quanto segue ne è un esempio

il Post (in una risposta ai commenti, Facci chiarisce che l'intervento è stato pubblicato su Libero)

28 AGOSTO 2010

Il punto di partenza è questo: che cosa uscirebbe da un sondaggio sui pregiudizi degli italiani sugli zingari? Ma non solo degli italiani. Azzardo una risposta. Uscirebbe che una percentuale quasi totale, da destra a sinistra, dall'alto in basso, pensa che si tratti di un popolo di ladri, di rapitori e se va bene di accattoni. Credo che si debba prenderne atto: nei loro confronti sopravvive l'unica forma di razzismo puro presente oggi in Italia, mentre tutto il resto è xenofobia. Esistono rom onestissimi, accampamenti stanziali che non hanno mai creato problemi: ma non gliene frega niente a nessuno, probabilmente neanche a me. Non c'è futuro per i rom, intesi come nomadi, come zingari, come volete: non c'è da nessuna parte. Dati alla mano, i rom corrispondono a un problema sociale e purtroppo criminale: è difficile fingere che buona parte di loro non tenda a compiere reati con regolarità, a non integrarsi nella comunità che li circonda, a non scegliere uno stile di vita alternativo per sé e soprattutto per i figli. L'allargamento della Ue e le nuove ondate migratorie non sono una causa, ma una conferma. Per via della loro astrazione e separatezza – espressione che ad alcuni ricorderà qualcosa – i rom sono perlopiù disinseriti da qualsiasi circuito culturale che non sia quello compassionevole o amante delle sottoculture: basti che l'Olocausto nazista dei rom resta l'unico, con quello ebraico, che i nazisti delegarono a motivazioni esclusivamente razziali. Ma pochi amano ricordarlo. I rom furono sterminati in quanto razza inferiore destinata non alla sudditanza, come altre, ma alla morte e basta. Furono imprigionati, seviziati, sterilizzati, utilizzati per esperimenti medici e infine gasati. Ad Auschwitz sopravvissero solo quattro zingari maschi, e il celebre dottor Mengele amava iniettare la malaria ai piccoli rom. L'Olocausto ebraico prende il nome di Shoah, quello degli zingari si chiama Porrajmos, che significa Distruzione. Ma questa è considerata, appunto, sottocultura, roba da preti, roba che adesso non c'entra niente. Può essere. Io, del resto, non sto facendo del pietismo: sto solo cercando di elencare dei fatti con sovrumana freddezza. Ed è un fatto, pure, che la maggior parte dei rom dipende dalla beneficenza statale e che i loro livelli di scolarità sono inesistenti, spesso vivono in caseggiati senza né acqua né elettricità, i loro mestieri tradizionali sono scomparsi, campano spesso di furti ed elemosina e in parte di economia marginale, tipo raccolta di ferro vecchio e cartoni, vendita per strada di fazzoletti e di fiori. Qualcuno fa ancora il giostraio, trascina piccoli circhi, le famiglie Togni e Orfei sono di origine sinti. La gente comunque non li sopporta, e anche i più tolleranti – a parole – girano al largo, se li incrociano, stringono i figli contro di sé e con essi i cordoni della borsa. E io non sono migliore di altri. Resta il fatto che non esiste un altro popolo per il quale siano state organizzate delle ronde mirate, per il quale sia stato appiccato il fuoco alle tendopoli. Non importa la differenza tra un romeno, un rumeno, un rom, un rom romeno, un rom non romeno, un rom polacco, uno zingaro, un sinti, un gitano, un semplice nomade. E' un razzismo che non fa discriminazioni.

Potete contestualizzarlo, spiegarlo, ma si chiama razzismo: credo l'unico – vero – che ci è rimasto. Da noi si tende a gridare al razzismo per ogni sciocchezza, a confondere con questo termine ogni intolleranza, distinguo, pregiudizio o anche solo giudizio. Ed è insopportabile. Ma ciò non toglie che questo sia razzismo e basta. E non è che i giornali, tutti i giornali, non ne tengano conto nell'inseguire gli umori popolari. Nel maggio 2008 tutti i maggiori quotidiani scrissero che al quartiere Ponticelli di Napoli avevano tentato di rapire una bambina: non era vero, ma per ritorsione – di un fatto falso – una ventina di giustizieri aggredirono un romeno che non c'entrava nulla, e pestarono e accoltellarono un operaio che aveva un lavoro regolare e che non viveva neppure in un campo nomadi. Poi, a Catania, due rom si fecero quattro mesi di galera per un altro rapimento farlocco: assolti, ma sui giornali neppure una riga. Ricordo che rilevai la cosa sulla prima pagina del Giornale e debbo dire che raramente, in lettere o mail di commento, mi era capitato di rilevare tanta freddezza o aggressività da parte dei lettori. Ricordo pure che menzionai che La Fondazione Migrantes (centro studi della Cei) aveva commissionato una ricerca all'università di Verona circa i tentati rapimenti addebitati ai rom dal 1986 al 2007, e che l'esito spiegava questo: «Non esiste alcun caso in cui viene commesso un rapimento, nessun esito corrisponde a una sottrazione dell'infante effettivamente avvenuta». La freddezza che ne ricavai fu anche maggiore.

Ora non mi aspetto niente di meglio, eppure io, ripeto, non sto difendendo i rom: a meno che il semplice parlarne in termini crudi, e cercar di chiamare le cose col loro nome, non sia reputata una difesa d'ufficio. Quindi non mi si dicano, ora, cose tipo «prenditeli a casa tua», o più spesso «se li prendano in Vaticano» – come ho letto in molti commenti sul web. Io non li voglio a casa mia, il Vaticano non so. Ma almeno si dica la verità, dopodiché ricominciamo a discuterne. Si può scegliere se abbinarvi un aggettivo (per esempio: giustificato, indotto, cercato, inevitabile, giusto) ma razzismo rimane. Anche il mio.


 

Prima di salutarvi, una citazione da un paragrafo di un articolo che parlava di sport:

[..] La tessera "ad personam" introdotta dal Viminale non piace ai fronti più irriducibili delle tifoserie italiane. "Ci vogliono schedare come gli zingari? – afferma un tifoso dell’Atalanta dopo gli incidenti dell’altro giorno a Bergamo in occasione della festa di Sant’Alessandro, "e noi facciamo casino".

con due rapide osservazioni: perché il primo paragone che viene in mente al tifoso è quello degli zingari? E' più impattante il casino che fanno i suoi amici, o quello degli zingari? Ci sarebbero molte altre cose da estrapolare da quella semplice frase. Le lascio a voi.

 
Di Fabrizio (del 18/12/2011 @ 09:14:50 in media, visitato 2190 volte)

Filippo Facci come scrivevo più di un anno fa, è uno scribacchino atipico: voltagabbana, a tratti servile, e con un ego sovradimensionato, ma ammettevo che quando scrive del tormentato rapporto tra rom, popolazioni autoctone e razzismo lo fa con una lucidità rara.

Un suo nuovo scritto pubblicato da Il Post mi conferma questa impressione, e vi invito a leggerlo con attenzione.

Ma qua, partono i necessari distinguo:

  • Neanche a me piace l'abitudine, tutta italiana, di schierarsi per forza tra guelfi e ghibellini. Però... se nell'arco di pochi giorni le piccole, quotidiane violenze che segnano il NOSTRO rapporto con chi percepiamo come straniero, hanno due picchi violenti come quelli di Torino e Firenze, è doveroso interrogarsi sulle cause politiche di quel titolo: Siamo razzisti? Sì. I vari Berlusconi, Borghezio e compagnia, avranno pure delle responsabilità nel cambiamento antropologico in senso razzista dell'Italia. Provo a spiegarmi meglio: il razzismo non può essere una scusa per giustificare le colpe di chi ha avuto ruoli di responsabilità negli ultimi decenni, casomai ne è una delle cause.
  • Non si tratta del gesto di un folle: che sia un corteo di incendiari (come a Torino, a Ponticelli, a Opera), o si tratti di responsabilità singole (Carreri a Firenzi, Breivik a Oslo). Si è formato in tutta Europa un quadro che giustifica la follia, la noia, il bisogno di distinguersi, ad esprimersi in atti violenti verso determinate categorie, guardacaso Rom, Sinti, stranieri, portatori di handicap.
  • Facci scrive "la ragazzetta di Torino è una mitomane che sconfina nel cretinismo: il contesto disegnatelo voi." Chi reggeva le torce accese, chi minacciava i giornalisti a Torino, gente matura magari, faceva parte dello stesso contesto di quella ragazzina. Per comodità li classifichiamo come mostri, ma i mostri veri sono la camorra, che per liberare un'area edilizia appetibile ha mandato in riformatorio senza prove una ragazza madre, e dato fuoco a rifugi di poveracci. Mostro è chi a Opera aizzò la folla già scalmanata di suo, e l'anno dopo incassò la carica di sindaco.
  • Essere zingari è un'aggravante? Ho paura di sì. Facci ha il coraggio di ricordare come l'immagine della zingara rapitrice di bambini sia una colossale bufala storica. Se di coraggio di uno scrittore vogliamo parlare, in fondo non gli costa niente, ma di sicuro non è una posizione comoda per chi si rivolge a lettori di destra.
  • Smontato uno stereotipo, però ricade (preso dal suo eccesso di realismo) in un altro: quello dello zingaro ladro. Si dimentica che di ladri in circolazione abbiamo un vasto campionario, e che senza scomodare i suoi compari di casta/classe (non di schieramento, il fenomeno riguarda tanto destra che sinistra), c'è chi lo fa in maniera più o meno furba. Sfugge a Facci, come a tanti altri, che non è l'etnia, ma la condizione di vita. Nel comodo delle nostre case con porte blindate ed antifurto, siamo pronti ad idealizzare la Palestina, l'Egitto, il Sud Africa o la Colombia... un giro in quegli slum ci mostrerebbe un'umanità dolente e piene di speranze che ruba, figlia, si ammala e muore con percentuali del tutto simili ai Rom e Sinti nostrani. Ma senza andare nel "terzo mondo", un giro in qualche quartiere USA del "primo mondo" restituirebbe la medesima realtà. Ma quelli, sono i poveri lontani, i loro odori e le loro grida diventano innocuo esotismo.
  • Allora, quello che scandalizza il benpensante, di destra e di sinistra, non è il furto, ma la sua necessità (che deve anche essere prossima, altrimenti non se ne accorge). Perché tutti amiamo crederci buoni, democratici, autosufficienti. Ma il pensionato beccato al supermercato con due scatolette di tonno nascoste nella giacca, ci porta la miseria allo specchio, chi ruba per fame in un mondo di prosperità lo fa perché ha sua volta è stato deprivato (derubato) dei valori occidentali di vita, compreso il pieno accesso ad istruzione, casa, lavoro, sanità. Invece, fiduciosi nel NOSTRO progresso, non solo vogliamo essere ricchi, ma pure amati dai poveri, perché così la NOSTRA coscienza (di classe?) non ci pone domande scomode. Paradossalmente, diventiamo cattivi quando questo ci è negato.
  • Facci cita il Porrajmos, un olocausto dimenticato e tutto particolare. Lo fa, sapendo quanto la nostra sia una bontà di facciata, per cui VOGLIAMO DIMENTICARE i nostri antenati che fecero del Porrajmos, della Shoa, ma anche dei massacri in Africa e nelle Americhe: non un isolato episodio di razzismo, ma un sistema pianificato di arricchimento, sterminio e terrore. Ci stupiamo che qualcuno sia sopravvissuto, emigri perché non abbia più di che vivere e soprattutto abbia l'ardire di presentare il conto. Cosa che possono fare gli Israeliani, forti di uno stato e di un esercito mica male, non i Rom e Sinti che vivono tuttora in eterno dopoguerra. E allora, dagli allo zingaro!
  • VOGLIAMO DIMENTICARE, e l'abbiamo fatto, come eravamo nel dopoguerra o quando si emigrava, perché nuovamente ci vergogniamo della povertà. Razzismo ha tanti significati e radici, questo è quello attuale. Ma ricorda un articolo del Corriere (uscito in concomitanza con quello di Facci) che c'è un ulteriore differenza: il nomadismo. Che secondo il Corriere può aprire le porte dei cieli (spero che qualche zingaro si sia fregato la chiave per tempo) e secondo il più realista Facci non ha più ragione di essere. Il Corriere ricorda come furono nomadi anche gli Ebrei, ma dimentica che tutti i popoli che diedero vita agli stati moderni lo sono stati, finché non fecero a botte per trovare una terra dove potersi fermare. Potersi fermare, non dimentichiamolo, significa avere la possibilità di cacciare qualcun altro. Non chiamiamolo NOMADE, allora, chiamiamolo SGOMBERATO. Se ci intendiamo sulle parole, forse saremo già in grado di intravedere le soluzioni.
 

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